Incoronazione di Carlo V

Esaurito tutto quanto potevamo offrire ai nostri benevoli lettori risguardante il Ristretto di fatti rimarchevoli della Storia di Bologna susseguito da un Appendice, diamo separatamente la descrizione di una solenne cerimonia che ebbe luogo in questa nostra Città nel secolo XVI e precisamente nella Chiesa di S. Petronio, e cioè l' incoronazione di Carlo V. Vogliamo sperare di non essere tacciati d' indiscreti se pure l'inserimmo nella nostr' Opera in corso: Cose notabili detta Città di Bologna: sicuri davanzo che l' importanza del documento, ed il desiderio che sia maggiormente divulgato, ci provocherà l'altrui perdono, tenendo a calcolo che il numero dei soci di quella è ben ristretto di fronte allo scopo su espresso. Neppure temiamo rimprovero se non ci trattenne dal toccare questo argomento, il sapere che fu di già sì tanto maestrevolmente trattato da insigni scrittori o ciò sempre per le ragioni surriferite. Crediamo infine che il minuto dettaglio sia superiore a qualunque altro fin qui pubblicato, avendolo ritratto da un compendio prezioso, i di cui pochi esemplari, quasi contali , non ponno offrire facilità agli studiosi di prenderne conoscenza.

Carlo V Re cattolico di Spagna, e di Aragona, Quinto Re de' Romani Cesare Augusto felicemente regnante, mandato dalla divina provvidenza quaggiù a difesa della cristiana lode, e per distruggere tutte le sette nemiche del nome di Cristo, nell'anno cessato 1529 determinò di scendere in Italia per ivi incoronarsi. Nel Luglio dell'anno stesso sciolte le vele dal porto di Barcellona ebbe sì propizi i venti che coll'aiuto celeste giunse a Genova, poi a Piacenza, e Parma, e di là a Bologna il cinque novembre ove di pochi dì lo aveva preceduto il santissimo Pastore della Romana Chiesa Clemente VII successore di Cristo. Fu più volte discusso se dovesse cingersi delle due corone a Bologna, o a Roma, ed essendosi risolto per quest' ultima si partirono da Bologna molti reverendissimi cardinali, prelati, ed altri signori sul cadere del gennaio 1530. Raunatosi poi un consiglio generale, da questo invece si decise che la incoronazione dovesse aver luogo in Bologna a scanso di perditempo. Fecesi tosto intendere ai Reverendissimi Cardinali, e prelati, e signori I' indispensabilità di loro presenza, siccome pure ai canonici di S. Pietro, o di S. Giovanni Laterano di Roma che intervenutivi previo i mandati dei rispettivi loro capitoli, diedesi mano a grandiosi preparativi.

Nel palazzo dei Magnifici signori Anziani di Bologna, e precisamente sopra la piazza dal lato di occidente furono alloggiati il Papa e l' Imperatore, ed a mano destra sopra la porta verso S. Mamolo nelle seconde stanze fu rotto il muro ed aperta un'ampia finestra rasento il muro stesso, dalla quale innalzavasi un lunghissimo ponte di legno che estendevasi fino alla porta di mezzo della chiesa di S. Petronio, traversando la piazza maggiore, che poi continuava in retta linea per la medesima fino all'altar maggiore. Que sto ponte era tutto ornato con festoni di edera, e lauro, e degli stemmi sia del Papa, che di Cesare. Nella chiesa eranvi eretti molti ponti da ogni parte per ricevere coloro che avessero voluto assistere alle cerimonie della messa però dietro prestabilita corrisposta.

Ai 22 di febbraio e precisamente in giorno di Domenica la Santità di nostro Signore rese informato Cesare non constargli ancora ch'esso fosse realmente eletto Re dei Romani. Il conte di Nassau cameriere maggiore di Cesare, il prenotano Caracciolo, Messer Andrea da Borgo, ambasciatore del Re d' Ungheria, il segretario Messer Alessandro, giurando esserlo realmente, resero testimonianza, siccome Carlo V Re di Spagna canonicamente fosse stato eletto Re dei Romani dagli elettori del Sacro Impero alla lor presenza.

Il giorno susseguente la Santità di nostro Signore convocò il concistoro , ed il Reverendissimo Ancona protettore di Spagna presentò la informazione e testimonianza della elezione allegando ragioni, e titoli di benemerenza a prò di Cesare verso la Romana Chiesa, e propose che il Santissimo nostro Signore assieme a tutti i reverendissimi determinasse di coronarlo. Ai ventitre dello stesso mese in martedì che fu giornata alquanto piovosa la mattina il Reverendissimo Dertusense volgarmente chiamato Hineforte avutane commissione recossi alla cappella del palazzo suaccennato che era riccamente tappezzata, in mezzo a otto Vescovi vestiti con apparamenti, e mitra adatta a sì gran circostanza, ed indossati i sacri vestimenti per celebrare la messa, s'assise noi faldestorio appoggiando il dorso all'altare aspettando la venuta di Cesare, che uscì con vestito tutto d'oro passando in mezzo a due fila di militi distesi dalla camera alla cappella. Lo seguivano i camerieri Cubiculari Ostiarii, commendatori, segretari, ed altri signori, principi, conti, marchesi, e duchi tutti sfarzosamente vestiti, ed in guisa tale da renderne meravigliati i circostanti tutti. Il marchese di Astorga portava in mano lo scettro Imperiale, ed a lui dietro il Duca di Ascalona la spada nella vagina con la punta alzata, poi il duca Alessandro dei Medici dal lato del Papa il pomo d'oro raffigurante il Mondo. Il marchese di Monferrato portava la corona di Milano, infine veniva Cesare in mezzo ai Reverendissimi Medici, e Doria, e ultimi diaconi. Giunto all'altare si mise genuflesso sopra lo scabello con cuscino d'oro davanti il Sacramento. Il vescovo di Malta che già era preposto del Cancelliere di Allemagna, presentò un breve di nostro Signore al Reverendissimo Dertusense richiedendo fosse eseguito quanto in esso contenevasi che fu poi letto dal mastro di cerimonia. Il Reverendissimo fatta la monizione consueta gl' intimò il giuramento ed esso giurò colle solite forme dicendo Ego Carolus etc. etc. poi si distese sui cuscini. I cantori intuonarono le litanie, ed il Reverendissimo assieme a tutti gli altri prelati genuflessi davanti al faldistorio lessero le stesse litanie. Cesare fu da suoi spogliato ed unto dal Reverendissimo nel braccio destro, e spalle, con olio de' catacumeni mentre contemporaneamente dicevansi le orazioni del cerimoniale, poi condotto nella sagristia di detta cappella fu abbigliato di una veste di broccato aperta davanti con le maniche strette da sacerdote, ponendovi sopra un manto pure di broccato d'oro ricco morello del Re, foderato magnificamente. Sortito da quella, si pose a sedere sopra una piccola sedia, ove sopraggiunto il Papa ed il Clero (siccome di costumanza) coi cardinali e prelati, Cesare si alzò in piedi e andò ad incontrarlo fino alla metà della Cappella ove gli fece reverenzia, poi fatta l'orazione il Papa cominciò la confessione, dopo la quale ognuno ritrassesi al suo posto. Cesare assidevasi alla sinistra del Papa in luogo più basso, mentre quattro signori ponendo lo scettro, la spada, il pomo e la corona sull'altare e cantata la Epistola col cerimoniale di pratica, l' Imperatore s' inginocchiò davanti al Papa che dal Vescovo di Pistoia ricevette l'anello che pose in dito a Cesare dicendo orazioni d'ordine, poi consegnò la spada al Reverendissimo che dopo snudò e la ritornò per darla in mano a Cesare che era sempre inginocchiato davanti S. Santità che finì per cingergliela. Poscia gli diede la corona, lo scettro, e per ultimo il pomo, facendolo Re dei Longobardi, e perché la corona di Milano era troppo piccola, gli pose in capo quella di Roma in mozzo alle salve d'artiglieria, e così tutto disposto e fatte le debite riverenze andò a collocarsi su di una sedia coperta di panno d' oro posta dove prima oravi la piccola, ove fu in essa intronizzalo dai duchi Medici, e Doria. La spada fu imbrandita e data in mano al marchese di Moja, poi si cantarono le orazioni fIno all'offertorio e si terminò alla pace che Cesare andò a prendere dal Papa, ove , comunicato dal Reverendissimo, terminata la messa sfilarono tutti i famigliari l' un dopo l'altro, i Signori, Cardinali, Prelati, Ambasciatori, e finalmente il Papa, cinto della mitra Episcopale col piviale a mano destra, l' Imperatore in questa tenendo la sinistra del Papa, e colla sinistra il pomo d'oro, o la corona in capo ed entrambi traendosi alle vicine stanze, ivi si lasciarono recandosi ciascuno alii luochi soi. Lo stesso dì giunse il duca di Urbino prefetto di Roma ed armigero di Cesare e fu dal maggiordomo di questo ricevuto in unione a moltissimi altri signori del suo seguito e Cardinali.

Li 23 del detto mese e precisamente in giorno di mercoledì venne il Vescovo di Trento ambasciatore d'Allemagna e fu da esso ricevuto come di pratica, siccome il duca di Savoia sulle ventiquattro Vicario di Cesare lo fu dal cameriere maggiore che smontato prima al palazzo, baciò la mano di Sua Maestà che erasi recato nella sala e poscia andò a piedi di Nostra Santità che riverentemente baciò, recandosi di poi alla sua stanza. Ai 24 nel cui giorno si celebrava la festa di San Mattia, natalizio di Cesare auspicatissimo, eravi giunta tutta quanta la corte di lui , compresovi il Signor Antonio da Siena suo capitano generale che aveva seco condotto la fanteria e parte di cavalleria assieme a tutti gli altri capitani Borgognoni, Alemanni e Spagnuoli, ed in pien' ordine prese la piazza tutta, facendo caricare l'artiglieria. Ivi costui stette tutto il dì adagiato sulla sua sedia. Un bove intiero fu posto in uno schidione di legno con le unghie e corna dorate avente nel ventre diversi animali quadrupedi, e volatili, le di cui teste sortivano dal ventre del bove stesso, in modo che riesciva agevole conoscerne la specie. Fra le due ultime colonne del palazzo del Podestà e dalla parte di settentrione verso quella occupata dai Signori Anziani eravi dipinto un Ercole con Anteo nelle sue braccia levato da terra, e sotto dipinte due croci rosse pel traverso in mezzo a due corone imperiali con lettere che dicevano Plus oultre che suonano in latino - plus ultra - Più sotto eranvi fabbricati due Leoni d'oro con un'aquila nera in mezzo che buttava vin nero, e cosi a vicenda i due leoni ne buttavano del bianco mentre sopra la fontana posta nella sala maggiore del detto palazzo erano uomini che gettavano per tutto il dì, e parte della notte nella piazza gran quantità di pane. Per il ponte già sopra descritto circa le quattordici ore cominciò a sfilare la guardia spiegata in due fila che distendevasi dalla camera di Sua Santità fino alla chiesa con ordinata uniformità a due a due e cioè i Cubiculari, gli Ostiari , gli Scrittori Apostolici, il Collegio dei Dottori Leggisti, fatti allora Cavalieri e Conti da Cesare con amplissimi privilegi, poi procedevano i venerandi padri auditori della Sacra Ruota, gli ufficiali vescovi ed arcivescovi con paramenti e Mitra, e così del pari, i Reverendissimi Car dinali. Veniva quindi portata la santità di N. S. con il Regno in capo e coperto da un preziosissimo manto sopra una certa sedia coperta di panno d'oro sotto un baldacchino pure di broccato d'oro in mezzo a due reverendissimi diaconi con Cibo legato di Bologna a destra , ed alla sinistra Cesis e non molto lungi il reverendissimo Cesarini, entrando così nella chiesa di San Pe- tronio. — Ricevuti alla reverentia tutti i Cardinali e prelati cominciò terza, poscia si calzò i sandali dicendo salmi ed orazioni d'uso, e terminata terza indossati gli altri paramenti pontificali disse orazioni sopra ciascun vestimento facendo le solite cerimonie. Andò poi ad assidersi sopra una certa sede verso l'organo del coro coperto di broccato ed adorna di ricchissime tappezzerie. Nè molto tardò a venire per il già ricordato ponte Cesare circondato da ogni parte dalla sua guardia dal palazzo fino al tempio. Per primi vennero i Cubiculari, gli Ostiarii, i paggi, famigliari, i domestici, ufficiali, capitani, segretari, conti, principi , marchesi , duchi, vescovi, arcivescovi, ambasciatori di tutto il mondo, tutti ricchissimamente abbigliati.

Il marchese di Monferrato portava lo scettro imperiale, il duca di Urbino la spada nel fodero, il duca di Baviera il pomo d'oro, il duca di Savoia la corona d'oro imperiale, il cui valore è impossibile determinare. Questi erano vestiti con abbigliamenti di seta Carmisina lunghi fino alle calcagna, e il duca di Urbino differenziava dagli altri nel capo avendo una berretta lunga e rotonda e nell'estremo bianca traversata da due sbarre rosse che formavano due croci dello stesso colore; gli altri avevano berretta rossa guarnita di pelli e molte gioie. Appresso veniva Cesare in mezzo a due reverendissimi diaconi con Salviati a destra, Ridolfi a sinistra; era esso vestito di broccato d'oro fino a terra ed avea sul capo quella corona che due giorni prima aveva cinto nella cappella di palazzo. Andando pel più volte nominato ponte piegò a mano destra verso una cappella fuori del tempio nell'angolo sinistro che chiamavasi S. Maria inter Turres. Detta il Salviati l'orazione e dopo aver ammonito Cesare di quanto era obbligato verso l'Altissimo, e quanto tenuto alla protezione di Sua Santità per l'aumento della cristiana fede, del beato Pietro e suoi successori, gli aprì il libro dell' Evangelo sul quale colla solita formula giurò di mantenere quanto aveva promesso ed obbligato dicendo Ego Carolus. I canonici di S. Pietro gli posero la cotta e Almutia fecerlo canonico di S. Pietro riverendolo con atto fratellevole al bacio della pace, e poi ripostosi la corona, precedette il clero che cantava Petre amas me. Giunto alla porta di mezzo del tempio si ruppe una parte del ponte alla distanza di 20 piedi dove trovavasi , ove precipitando molti della sua guardia e parecchi nobili, non vi perirono che due o tre persone fra i quali un gentiluomo fiammingo rimanendo parecchi feriti essendo vero miracolo che molti nol fossero del pari. Sulla porta del tempio inginocchiato fece orazione, dove erano venuti due reverendissimi Vescovi Cardinali i più anziani ( tranne il priore ) con le mitre e piviali, e sopra Cesare genuflesso ove il più giovane intuonò l'orazione : Deus in cujus manu dopo la quale prece, condussero Cesare ad una cappella posta nella chiesa a mano sinistra che rappresenta quella di San Gregorio ove deposta la cotta e l' almutia si calzò i sandali cioè le scarpe di carmisino, e calze ricamate d'oro, e di perle ed altre gioie preziosissime, poi il manto imperiale, il che tutto era di tal prezzo da non potersene applicare alcuno, poi ritornato sul primo ponte, a mezzo del quale eravi una ruota chiamata rota porphirea e giuntovi Cesare, l'altro Vescovo Cardinale il più anziano di tutti che fu il Reverendissimo Ancona genuflesso disse l'ultima orazione, Deus mirabibilis. Cesare condotto alla confessione dal Beato Pietro, vi giacque sopra due cuscini d'oro, mentre due Cardinali Vescovi partendo ed andando nella cappella ai suoi posti, furono sostituiti da altri due Reverendissimi, e cioè dal Priore dei Diaconi che era il Cibo, e da quello dei preti Campeggi parati con piviali, e mitre ed entrambi genuflessi intuonando lo litanie cui rispondevano i suddiaconi, secolari, cappellani assieme ai cantori imperiali, e terminate, il priore dei preti si alzò e sopra Cesare disse Pater noster con altri versicoli ed orazioni d' uso. I due reverendissimi priori dei diaconi e preti andarono ad assidersi al loro posto nella cappella; venutovi Cesare il priore dei Vescovi Cardinali che era il Reverendissimo Farnese, in mezzo ai due diaconi Salviati e Ridolfi col piviale , stola e mitra, lo condussero ad un'altra cappella a sinistra del detto ponte, chiamata di S. Maurizio. Ivi Cesare dai suoi camerieri fu spogliato del manto imperiale, ed altra sopravveste , ed aperta la manica del giubbone a mezzo di certi bottoni, e levata la camiscia detto Reverendissimo Farnese con la mitra in capo lo unse con l'olio di cresima nel braccio, sovrapponendovi bombace e tela candidissima e ricoperto il braccio ne venne alle spalle, che denudate a mezzo del giubbone e camiscia essendo affibbiate di dietro lo unse facendogli una croce e toltasi la mitra disse: Deus Omnìpotens etc. etc. ed incontanente Cesare fu rivestito e ricondotto sul ponte accompagnato dal Vescovo, e Diaconi e così finchè giunse al Pontefice.

Il Vescovo ed i Diaconi andarono alla reverentia del Papa colle mitre in mano. Allora scese dalla sede e recossi all'altare per ricevere il bacio del petto e della bocca dai tre Reverendissimi sacerdoti Cardinali Coronaro, S. Croce e Grimano.

Cesare era sopra il faldestorio in vero scabello, e confessatosi il Papa baciò l'altare ed incensollo, e ricevuto Cesare al bacio del petto, della bocca ed i tre Reverendissimi che furono, Medici, Doria, Grimaldi, tornò alla sua sedia che era eminente posta nell' estrema parte del coro sotto il Crocifisso e più di quella di Cesare che era verso l'organo, e di quella dei Cardinali. Ivi stando Cesare circondato da suoi ministri e principali, il marchese di Monferrato, il Duca di Urbino, il Duca di Baviera, il Duca di Savoia andarono all'altare, ed in mano del Sacrista, e Maestro delle cerimonie deposero Io scettro e spada nella vagina, ed il cingolo, poi il pomo e la corona, mentre il coro cantava l' introito ed il Kirie. Il Pontefice senza mitra in piedi disse l'introito e si procedette, secondo il costume, alla messa fino all'epistola, che fu cantata in due lingue, e cioè in latino da messer Giovanni Alberini suddiacono apostolico ed in greco da messer Bracio Martelli cameriere del Papa, e dopo l'orazione del dixit Deus regnorum cantato il graduale, Cesare andò ai piedi di Nostro Signore con i Reverendissimi Salviati e Rodolfi, dove il Vescovo di Pistoia pigliando dall'Altare presentò al Reverendissimo Diacono Cibo la spada che snudatala la diede al Papa e questi a Cesare nella mano destra avente la mitra in capo e dicendo: Accipe gladium che poi restituì al detto Reverendissimo, che la ripose nel fodero in unione al Papa e da questo fu cinta a Cesare dicendo : Accingere gladio etc. L' Imperatore fatto cavaliere di S. Pietro, levatosi in piedi snudò la spada che alzò in alto, e poi ponendo la punta in terra ed alzandola tre volte la vibrò, poi la rimise nel fodero, poscia il suaccennato Vescovo preso lo scettro dandolo al Reverendissimo e questo al Pontefice diedelo nella man destra a Cesare dicendo inginocchiato accipe virgam poi il pomo a sinistra, e la corona in capo dicendo accipe signum gloriae.

Cesare baciò i piedi di Nostro Signore ed alzandosi fu discinto della spada che data al Duca di Urbino, esso colla corona, col pomo, e collo scettro, dai due detti Reverendissimi fu condotto alla sedia Imperiale. Il Priore dei suddiaconi apostolici, l'Alberini con gli altri suddiaconi e cappellani di Cesare, vennero alla confessione del beato Pietro, e fecero le laudi di lCesare dicendo: Exaudi Criste e gli altri che erano sopra il coro risposero Domino Carolo a tre ripetute volte con certi altri versicoli e litanie, ognuno tornando al posto suo. Si cantò il Tratto e l'Evangelio latino dal Reverendissimo Cesarini, e greco dallo Arcivescovo di Rodi, poscia il Papa disse il credo in tutti gli atti con le cerimonie solite. Detto poi l'Offertorio Cesare depositò il manto Imperiale, la corona, lo scettro, ed il pomo; inginocchiossi dinanzi sua Santità e gli offri 30 Doppioni da quattro Ducati l'uno, poi incamminandosi all'altare con S. S. che come suddiacono somministrò il calice, la Patena, l'acqua che si mesce col vino, si ritirò alla destra finché il Papa andò alla sua sede per comunicarsi. Il suddiacono apostolico portò dall'altare alla sedia del Papa due ostie consacrate, una grande ed una piccola prese pria la grande e disse Domine non sum dignus, e cosi del pari Cesare, ed i due Reverendissimi che ne fecero due parti , una prendendone per se poi bevendo con una canna d'oro nel calice e dell'altra metà facendone due parti, diederne una al Diacono Reverendissimo Cesarini, l'altra al suddiacono Alberini, poscia comunicò Cesare con l'ostia piccola, ed il Diacono gli porse da bere, mentre il Papa disse altre orazioni e ritornò alla sua sede. Fu tale la contrizione addimostrata da Cesare, che da questa si potè argomentare essere tanta la sua santità che Iddio per questo lo scelse a difesa della santa fede. N. S. terminò la messa, diede la benedizione solenne, ed a mezzo dell'assistente Diacono Cibo furono pubblicate le indulgenze. Il Pontefiee si spogliò di tutti gli apparati siccome tutti i Cardinali e prelati, e col solo piviale e la mitra tenendo la destra dell' Imperatore che teneva il pomo nella sinistra mano entrambi sotto un medesimo baldacchino uscirono dalla Chiesa. L' Imperatore depose la veste imperiale per esser troppo grave e ne prese un'altra più leggiera. Monsignor messor Carlo Ariosti ferrarese Vescovo di Acerra, maestro di casa di N. S. vesti da canonico Cesare nella cappella di Santa Maria inter turres ed ebbe il governo di tutta la giornata , e notisi bene che Monsignore Nassau cameriere maggiore di Cesare sìa che nella prima come nella seconda incoronazione era quello che poneva e toglieva di capo la corona a Cesare.

Scese le scale di San Petronio, il Pontefice e l' Imperatore, quest'ultimo tenne la staffa della cavalcatura di N. S. avendo deposto il pomo e le altre insegne che furono portate in chiesa, poi montato il Papa un cavallo turco bigio riccamente bardato, Cesare glielo tenne pel freno e camminando a piedi voleva guidarlo, al che ricusossi modestamente Nostro Signore, con parole cortesi, così avanzossi per sei passi circa ma poi fermatosi il Papa disse che non avrebbe permesso più oltre, per cui Cesare aiutato dal Duca di Urbino, montò a cavallo su di una Chinea bianca che aveva una coperta d'oro ricamata in perle e gioie e con finimenti d'oro battuto, e unitosi poi alla sinistra del Santo Padre sotto un medesimo Baldacchino che era portato dai gentiluomini di la terra mentre avanti erano in quest'ordine, procesaionalmente avviaronsi due fila del seguito del Papa e due dell' Imperatore, però gli ecclesiastici a mano destra e gl' imperiali a sinistra; venivano poi i famigli de' Cardinali, con le valigie e quelli dei Prelali, i Principi, i Curiali sì del Papa che dell' Imperatore, i famigliari e domestici sia dell'uno che dell'altro, Nobili, Baroni e Conti minori, gli stendardi del popolo portati da uomini a piedi, i tribuni della plebe cioè Gonfalonieri del popolo, gli stendardi rossi portati dai cursori, il Collegio di Dottori Leggisti con le gollane d'oro, Monsignor di Gambara Governatore di Bologna con la sua guardia ed il bastone in mano, il nobile Cavaliere Angelo di Ranucci Gonfaloniere di giustizia vestito di broccato, con cavallo coperto portante lo stendardo di Bologna, ed il conte Giulio Cesarino quello del popolo di Roma. Il conte Lodovico Rangone vestito di bianco portava quello del Papa, lo stendardo dell'aquila D. Giovanni Manrich figlio del Marchese dell'Anguillara, e l'altro, Monsignor di Utrech entrambi camerieri di S. Maestà riccamente vestiti, un Barone portava lo stendardo della chiesa, ed in ultimo venivano Lorenzo Cibo vestito di berettino e senza berretta in capo avente in mano uno stendardo bianco colla croce rossa. Tutti costoro erano seguiti da quattro Chinee bianche del Papa, coperte di broccato d'oro, poi duo Cubiculari secreti colla mitra, quattro nobili conti, quattro cappelli del Papa sopra bastoni di carmisino, e due che portavano sopra le lancie due Cherubini, poi Cubiculari, Accoliti, Segretari, uno con una lanterna, e l'altro con la croce papale, un baldacchino portato dai dottori di medicina ed altri gentiluomini della terra sotto il quale era una Ghinea bianca ornata di broccato d'oro con una cassa pure egualmente coperta portante il sacramento ed al collo una Campanella guidata da un palafriniere di N. S. con attorno 12 luminari di cera bianca accesi, il Sacrista con una bacchetta, i Reverendissimi Cardinali, poi tutti i Principi di mano in mano, Segretari, Commendatori, Ufficiali , Signori, Baroni, Conti, Marchesi, Duchi, Balestrieri di mazza, Re d'arme di Cesare, Re d'arme del Re di Francia, del Re d'Inghilterra, o del Duca di Savoia, il Marchese di Monferrato collo scettro, il Duca di Urbino con la spada nuda, il Duca di Baviera col pomo, il Duca di Savoia senza nulla in mano, i due Reverendissimi Cibo e Cesis, un Re d'arme di Cesare senza berretta con l'aquila grande nel petto, con borse di denari di svariate monete, cioè d'oro da due ducati, da uno, da mezzo, monete d'argento da tre reali, da due, da uno, da mezzo. Queste monete avevano da una parte la testa di Carlo tratta dal naturale coronato dal diadema imperiale, con lettere che di cevano Carolus Imperator, e dall'altra due colonne con lettere che dicevano MDXXX. Questo Re d'armi copiosamente gettava per tutta la via percorsa denari, veniva poi il Pontefice e Cesare sotto il baldacchino, e dietro loro i consiglieri di Cesare, Vescovi e Arcivescovi, Ambasciatori, uno dei quali tutto armato a cavallo che portava una lancia sotto un padiglione. Andarono por Strada Maggioro a quella di S. Vitale ove erano i cavalli di Cesare che aspettavano per congiungersi a lui; per Cartoleria Nuova vennero a Strada Stefano fino al crocicchio delle Chiavature. Il Papa qui lasciollo dirigendosi al palazzo con i Cardinali e con tutta la sua famiglia ed il Sacramento sotto il baldacchino. Cesare andò a S. Domenico surrogando questo tempio a quello di S. Giovanni Laterano sotto un altro baldacchino ove fu onorevolmente ricevuto e baciò le reliquie dei santi, o dopo incensato, e cantato il Te Deum laudamus, fu condotto all'altar maggiore e posto sopra il faldestorio senza corona misesi ad orare, poi rimessogli la corona in capo e fatto canonico ricevendo tutti al bacio della pace, levando dal fodero la spada, ne percosse quelli che volevano esser fatti cavalieri. Rimontò a cavallo, e per la via diretta venne a quella di S. Mamolo, e di là al palazzo ove fece cavalieri quei sei che avevano per lato gli stendardi , entrandovi circa alle 22 ore. Si scaricarono allora venti pezzi di artiglieria grossa, e l' archibuseria che dal fracasso sembrava il mondo volesse rovinare. Giunto nella sala di mezzo trovò apparecchiate le mense regali corredate di ricchissime tappezzerie in una delle quali soprastava un realto d'oro ove furon poste la corona, lo scettro, ed il pomo, ed a quelle si assise, e ad un'altra i quattro Marchesi di Monferrato, di Urbino, di Baviera e di Savoia, che erano serviti da quelli di Cesare. Tutte le vivande che si levavano dalle mense furono gettate in mezzo alla piazza con vasi di terra e così ebbe termine questa memoranda solennità.

Ora daremo conto dei vestimenti che indossavano certi signori accorsi da tutte le parti del mondo, parte per onorare tal solennissimo atto, altri per prenderne cognizione, i cui nomi tutti, non ponno essere designati per esserne molti non conosciuti, e parte per non dilungarci di troppo nella nostra descrizione non ommettendo però i più importanti, che riferiamo tal quale sono indicati nella cronaca originale.

D' Italia il Marchese di Monferrato. Il martedì presentossi con composte vestimenta d'oro.

Il Duca Alessandro de' Medici nipote del Papa, tanto nel martedì che nel giovedì, intervenne con ricchissime vesti, accompagnato da tutta la sua famiglia, e cioè il Principe di Astigliano, quello di Bessognano, il Sig. Luigi Gonzaga, il conte di Gaiazzo, il Signore della Mirandola ed altri, senza numero, di Napoli, di Roma , Milano e di altre città d' Italia.

Il Duca di Ascalona, marchese di Villena e di Moia. Il martedì aveva una veste di broccato d'oro riccio sopra riccio, foderato di zibellino con fila d'oro con un saio del pari guarnito in argento e fila d'oro, giubbone lo stesso, scarpe e berretto di velluto nero con penna e medaglie, la mula da lui cavalcata aveva i finimenti d' argento con coperta d'oro. Il giovedì aveva una veste di broccato d'oro foderata di tela d'argento, e sopra di raso bianco tutto tagliato con corone d'oro battuto per tutta la veste, come pure i finimenti del cavallo, aveva il berretto di broccato. Lo seguivano ragazzi e staffieri con casacche di velluto carmisino listate d'oro, calze di grana, e berrette di velluto carmisino, e giubbone d'oro.

Il Marchese di Astorga il martedì aveva una veste di tela d'oro in morello foderata di Zibellino con fila d'oro e di argento, saio, e giubbone del pari, berretto di velluto morello con penna idem, la mula coi finimenti di argento con coperta di velluto morello con fila d'oro e d'argento. Il giovedì aveva una veste di broccato riccio sopra riccio foderata di tela d'oro incarnata coperta di raso carmisino tutto tagliato con molti fregi di perle e gioie, fiori d'oro battuto con cordoni di perle grosse di inestimabil prezzo, calzo e giubbone di raso carmisino , foderato il tutto d'oro con molte perle e gemme, una berretta di velluto carmisino con una penna d'oro battuto con una bellissima medaglia. La mula aveva una coperta di broccato di raso carmisino tagliato, e ricamata a compassi di perle grosse, e pietre preziosissime, e lo seguiva pure un cavallo con sella di carmisino arzone dorato ricamato di pietre grosse, e gioie. Lo seguivano a piedi dieci cavalieri con calze e giubboni di tela d' oro e d' argento foderati di tela d'oro azzurra tagliata, con cappe d'oro foderate di damasco bianco e berrette di velluto bianco ed azzurre, poi ragazzi e staffieri con saioni e giubboni di velluto bianco ed azzurro listati d'oro, calze di panno degli stessi colori foderate di taffetà azzurro. berretto di velluto giallo, con penne bianche ed azzurre ed un bel gioiello.

Il conte di Saldagna, il martedì portava una veste di tela d'oro foderata di martora e sella bordata d'oro con berretto di velluto nero con molte perle grosse, e aveva una mula coperta di velluto nero foderata di tela d'oro. Il giovedì poi era vestito di tela d'argento foderata di tela pure d' oro tagliata tutta e guarnita di ricamo in oro battuto, e nei tagli ricamata con molti bottoni di perle. Poi un saio d'oro con lavori d'argento battuto, ed un giubbone di broccato d'oro foderato d'oro in tela d'argento. Aveva una berretta di velluto bianco con penna bianca adorna di molte perle e gioielli. Il cavallo che lo seguiva aveva una coperta d'oro foderata d'argento, poi al suo seguito, ragazzi, staffieri vestiti di velluto giallo, e giubbone e berretta dello stesso colore.

Il Conte di Fuente era vestito di una veste di velluto berrettino foderato di velluto bianco con filoni d'oro, con casacca, berretta e coperta del cavallo dello stesso colore, calze di tela d'oro e d'argento con fila d'oro. II giovedì aveva una veste di broccato riccio foderata di tela d'oro in azzurro con ricami d'argento filato, con molto oro battuto e perle, e le perle erano unite a pietre di gran valore. Aveva il saio, giubbone e calze di tela d'oro e d'argento a quarti con perle e gioie nei tagli. Il cavallo era guarnito d'oro e d'argento. Poi ragazzi e staffieri con casacche di velluto giallo intagliato con panno azzurro, giubbone, e cappe di raso azzurro, e berrette di velluto.

Don Alfonso Teles signore di Monte Albano, il martedì indossava una veste di tela d'oro, e berettino foderato di martora, saio giubbone lo stesso. Il giovedì aveva una veste di tela di argento foderata di martora, saio, giubbone, calze di tela d'oro. Ragazzi e staffieri con cappe di velluto nero listate d'oro.

Don Giovanni Pacheco il giovedì portava una veste di tela d'oro foderata di martora, un saio pure con una catena d'oro che pesava libbre quindici. Ragazzi e staffieri con cappe di panno morello e giubbone di velluto.

II Marchese di Villa Franca, il martedì aveva una veste di velluto incarnato foderata di tela d'oro, saio e giubbone idem. Il giovedì una veste di tela d'oro azzurra foderata di velluto azzurro, saio e giubbone idem il tutto tagliato.

Il commendator maggiore di Lione il martedì aveva una veste di velluto carmisino foderata d'oro, siccome il saio e giubbone, il giovedì una veste di broccato riccio foderata di martora con un saio a ghironi d'oro, e di velluto carmisino.

Il conte di Altamira il giovedì portava una veste di tela d'oro foderata di velluto morello ed un saio d'oro e d'argento.

Il Conte dell'Anguillara aveva una veste di tela d'oro foderata di tela di argento. Dalla descrizione di questi pochi che dalla cronaca annunciata ne ritraemmo, può formarsi un giusto criterio della ricchezza straordinaria che si fece mostra in quella circostanza che a buon dritto potrebbe chiamarsi unica e non superata da altra.