Cimarie, dal I volume delle “Cose Notabili…” di Giuseppe Guidicini, con le correzioni di Luigi Breventani

La via delle Cimarie comincia da quella degli Orefici, e termina nel mercato di Mezzo.

La sua lunghezza è di pertiche 15, 3 e la sua superficie seliciata in sassi pertiche 5, 40.

I suoi sbocchi sono coperti da voltoni. Il suo antico nome era corte, o cortile dei Scanabecchi, per abitarvi allora questa illustre famiglia. Si disse ancora Ruca, o Ruga della Sartoria Vecchia. Pare ancora che siasi detta Ruga dei Pianellari, o sartori, deducendosi ciò da una compra delli 19 dicembre 1414 fatta da Giovanni del fu Nicolò di Sibaldino, di una bottega da pellizzaro posta sotto S. Damiano dei Scannabecchi, nella Ruga, ossia via dei Pianellari, o Sartori, vendutagli da Gaspare del fu Gio. Bargellini, procuratore di Ettore del fu Nerio Cazziti, e pagata L. 50. Rogito Bitino Lamandini.

II nome di Cimarie fu adottato quando nel 1488 le botteghe dei cimatori furono unite in una contrada, che è dietro quella dei sartori, la quale passa sotto due voltoni dal Mercato di Mezzo alla via degli Orefici, rimpetto alla Beccarie, la qual contrada prese il nome di Cimarie.

I Scannabecchi si dissero da prima de Gisle, de Gisella, e Gislabella. Uno Scannabecco Gisla, morto nel 1165, o 1166, il cui testamento si trova nell'archivio delle monache di Santa Cristina, diede il nuovo cognome ad un ramo della famiglia, mentre l' altro ritenne ancor per qualche tempo l'antico, poi anch' esso finì per adottare il nuovo.

Nel 1146 circa viveva Gerardo Gisla, che ebbe Alberto, e si crede anche Gerardo (1) iuniore canonico di S. Pietro nel 1170, poscia vescovo di Bologna nel 1187, e vescovo e podestà ad un tempo stesso nel 1192. Il predetto Alberto fu padre di Rolandino, da cui nacque Alberico dottor in leggi, che assunse anch' egli il cognome Scannabecchi, lasciando quello dei Gisla.

Tanto i Scannabecchi, quanto i Gisla, abitavano nella così detta corte dei Scannabecchi, ora Cimarie, presso la quale vi era la chiesa di S. Damaso dei Scannabecchi.

Questa famiglia terminò in una femmina, maritata nei Cavalli di Verona, e ciò si prova all'evidenza col libro delle Collette, ossia Collazioni del B. Nicolò Albergati eletto vescovo di Bologna nel 1413, che stava presso il P. abbate Trombelli canonico di S. Salvatore, dove si legge, che essendo insorta lite fra vari pretendenti al padronato di S. Damaso, sono dichiarati esclusi, aggiungendo che se alcuno fosse legittimo pretendente, sarebbe il Cavalli veronese discendente per linea femminile dai Scannabecchi. In un memoriale intitolato : Liber Collectae impositae in Clero Bon. non exempto causa pignosa supposita ad rationem octo solidorum Bon. pro qualibet libra extimi tempore Domini Ludovici de Pina Massarij dicti Cleri MCCCCVIII Ind. p. , si trova :

"Ecclesia S. Dalmaxy de Pescariis.

Federicus, et Iacobus fratres de Chavallis, qui fuerunt fily olim Dominae Patasileae de Scanabicis sunt patroni, et morantur Veronae, et dicitur quod unus ex eis est mortuus.

Istam tenuit D. Petrus Mathaeus de Martignanis, et quia ipse eam reparavit, seu rehaedificavit, fertur quod impetravit a Papa iuspatronatus, tamen fertur quod illa impetratio fuit subretitia, quia ipsam rehaedificavit de reditibus ipsius, unde verus patronus est quidam piscator de Scanabicis, qui moratur in Strada S. Vitalis, vel ejus haeredes si non vivis.

Istam tenet D. Opizo de Martignanis pro quodam suo filio patroni Rizardus et Annibal de Martignanis.

D. Antonius de Ranutiis est rector".

I pretendenti al jus patronato suddetto esclusi dal B. Nicolò erano dunque i Martignani, e fors'anco gli eredi del Pescatore sumentovato.

Merita ricordanza che Lucio II fu figlio di Fausta Scanabecchi.

Questa famiglia magnatizia fu cacciata da Bologna coi Lambertazzi nel 1282, e si rifugiò in Verona. Nell' Archivio di S. Francesco esiste un mandato di Milancio e di Mauro Albrico Scannabecchi da Bologna, abitanti in Verona, fatto a Ugolino Danielle loro fratello, come da rogito di Andrea di mastro Daniele delli 11 maggio 1353. Guglielmo Scannabecchi ottenne dal cardinal Egidio Albornoz, Legato di Bologna, la reintegrazione de' suoi jus e segnatamente della sua casa presso S. Dalmasio. Questa con cessione deve essere seguita dopo il 1360, e cioè dopo che il Legato ottenne dall' Oleggio il libero dominio di Bologna per la Santa Chiesa.

Due atti autentici ci apprendono da chi fossero goduti i casamenti dei Scannabecchi dopo la loro espatriazione. Il primo è una sentenza delli 15 febbraio 1309 per una differenza sulla quinta parte degli edifizi posti sopra il terreno, che fu già della famlglia Scannabecchi, differenza che passava fra Nicolò Bentivogli, Antonio Compagnoni, Pietro Malcontenti, Giovanni Mezzovillani, Leonardo di frate Bonvicino, e Vezzante Zovenzoni, nella quale si dichiara spettare a detto Antonio Compagnoni una quinta parte di detto suolo per indiviso cogli altri quattro comproprietari, e che Nicolò Bentivogli abbia jus per L. 500. Rogito Egidio Melloni. Il secondo è delli 27 aprile 1342. Gregorio di Benedetto da Casio aveva comprato due parti di alcune case poste in cappella S. Dalmasio, in luogo detto i casamenti de' Scannabecchi, vendute da Pietro di Giacomo Abbati, da Marano di Bongiovanni, e da Paoluccio di Bono dal Frignano, eredi di Giacomo detto Muzzolo di Tommaso Guinicelli. (Vedi via delle Pellizzarie).

(1) Gerardo di Gisla. Da un atto autentico nell'archivio del Capitolo di S. Pietro si rileva che nell'anno 1187 Gerardo Gisla era semplicemente Canonico di S. Pietro, e non Arcidiacono, perchè in detto tempo eravi altro Arcidiacono detto pure Gerardo.

Il Sigonio a pag. 89 dice: "Gregorio VIII venne da Ferrara a Bologna, dove consacrò Gerardo Gisla, o Gisella, cittadino e Arcidiacono di Bologna, e già Canonico di San Gio. in Monte; è designato Vescovo di Bologna, il quale consacrò la chiesa di Santa Maria Maggiore in Galliera, fabbricata dal Vescovo Giovanni, e tutto ciò nel 1187; l'anno dopo 1188 morì detto Vescovo Giovanni, a cui successe Gerardo. La venuta di Gregorio VIII a Bologna risulta dalle cronache; che Gerardo fosse Canonico di S. Gio. in Monte lo dice il calendario di S. Gio. in Monte; le nostre cronache parlano della consacrazione di Santa Maria Maggiore, e la morte di Giovanni nel 1188 rilevasi dal Calendario, ossia Necrologio di S. Gio. in Monte".

Sopra ciò occorrono le seguenti riflessioni:

Gerardo non fu Canonico regolare di S. Gio. in Monte, perchè era Canonico della Cattedrale, come si proverà più avanti. Nè il Calendario, ossia Necrologio di S. Giovanni in Monte, che il Sigonio allega, lo prova punto, non leggendovisi altro se non che: Obiit Don. Mem. Gerardus. Episcopus 1198 - Che fosse Arcidiacono non è ben certo, e si osservi su ciò quanto ha scritto l' abb. Ruggieri. Che in quel tempo vivesse un Gerardo Arcidiacono è certo, risultando da documenti autentici, ma è dubbio che sia Gerardo Gisla, poichè si trovano atti nei quali è nominato Gerardo Gisla Canonico della Cattedrale, sebbene l' aggiunto Gisla si trovi accompagnato col Gerardo Canonico, ma non mai nomi nato Gerardo Gisla Arcidiacono. Gli atti nei quali è citato Gerardus de Gisla Canonicus, cominciano dal 1170, e continuano fino al 1187, nel qual anno fu eletto Vescovo dai Canonici. Nell'anno stesso in cui fu eletto Vescovo si trova un atto, X Kal. Iulij 1187, nel quale sono nominati Gerardus de Gisla e Gerardus de Ariosto, Canonici, perchè nel giorno X Kal Iulij 1187 era bensì morto il Vescovo Giovanni, ma la sede era ancora vacante, perchè l'elezione di Gerardo a Vescovo successe sulla fine del 1187. Di più gli atti nei quali è nominato Gerardo Gisla Canonico, sono posteriori agli atti nei quali è nominato Gerardo Arcidiacono, onde non è probabile che fosse prima Arcidiacono, poi, minorando di grado, diventasse semplice Canonico. Leggesi una Bolla di Urbano III nell'Archivio del Capitolo, data in marzo 1187, nella quale è inscritto Gerardo Arcidiacono, dopo che Gerardo Gisla era già stato consacrato Vescovo. Egli è vero però che fu poi Arcidiacono ancora il Canonico Gerardo Ariosti, e probabilmente successe al suddetto Gerardo Arcidiacono. Il P. Sarti ha molto discusso su tale questione, e pare che inclini a credere che il Gisla sia stato realmente Arcidiacono.

Che il Vescovo Giovanni morisse Idibus lanuarii 1188, e che ciò lo provi il Calendario, o Necrologio di S. Gio. in Monte, è uno sbaglio, perchè il Necrologio lo dice anzi morto nel 1187. Supponendo erroneamente il Sigonio che dunque morisse Giovanni nel 1188, e trovando la consacrazione di Gerardo nel 1187, per conciliare il suo riferto dice che Giovanni rinunciasse nel 1187, e fosse eletto e consacrato Gerardo, e che Giovanni soppravivesse fino al 1188. Ma Giovanni morì Idibus lanuarii 1187 secondo il detto Necrologio e secondo il Rubens, Ibis Rav. Lib. 5 pag. 358. La sode era ancor vacante, e Gerardo Gisla era semplicemente Canonico, X Kal. Iulij 1187, come dall'atto sopracitato. Fu poscia eletto Vescovo sul finir del 1187. La consacrazione di Santa Maria Maggiore fu veramente fatta da! Vescovo Gerardo Gisla.

Gerardo Gisla era della famiglia Scannabecchi, come vien confermato da una cronaca inserita dal Muratori, Tom. XVIII, e come l'ha provato l'abbate Sarti nella vita di Alberico Scannabecchi. Il Sigonio a pag. 90 dice che Carlo IV Imperatore dichiarò il Vescovo di Bologna Principe del Sacro Romano Impero, e dice che il privilegio si legge nell'Archivio dell' Arcivescovo. Si consulti su ciò l' abbate Ruggieri.

Alla detta pag. 90 il Sigonio dice che Gerardo fu eletto Pretore, ossia Podestà, ma non dice poi tutto quello che accadde in seguito, e poteva ritrarlo dai libri Actorum del Comune di Bologna, che sono nell' Archivio pubblico, d' onde ricavò l'elezione alla podestatoria. Si rileva dunque dai detti libri che il Vescovo Gerardo Gisla era Podestà di Bologna per due anni, cioè nel 1192 e 1193, benchè le nostre cronache non concordino su queste date.

Gerardo, essendo della famiglia Scannabecchi, era di famiglia Magnatizia e di fazione imperiale, come lo erano molti magnati, e per conseguenza fu promosso a questa dignità dalla fazione Magnatizia ed Imperiale. Si oppose la fazione popolare, ma non potè impedirlo, solo dopo I' elezione formò un partito che lo avrebbe potuto deporre. La fazione imperiale tentò di sostenerlo, ma infine si venne ad un accomodamento, dal quale ne conseguì l' elezione dei Consoli, che unitamente al Vescovo Podestà, governarono, e così gli fu scemata l' autorità. Questa fu la prima ed ultima volta che in Bologna governassero il Podestà ed i Consoli a vicenda. L'elezione di questi Consoli successe nel 1193, ed i Consoli eletti appartennero a famiglie popolari.

Circa la sedizione sotto Gerardo Gisla, è mestieri sapersi che allora anno per anno il Consiglio Generale determinava se nell'anno entrante volesse il governo del Podestà, cioè di un solo, o quello dei Consoli, il numero dei quali era indeterminato, quindi a volta per volta ne fissavano il numero. In allora non era stabilito che il podestà fosse un estero, e diffatti si trovano molti Podestà Bolognesi. I Consoli erano poi sempre Bolognesi, e qualche volta è accaduto che fossero fatti per due anni, mentre il Podestà non poteva rimanere in carica più di un anno, poi nel principio del 1192 determinarono creare Podestà Gerardo Gisla Vescovo.

È probabile che essendo stato l'Imperatore Enrico l'anno precedente 1191 (quando lasciò il privilegio della moneta) in Bologna alloggiato presso Gerardo, colla fazione imperiale contribuisse perchè Gisla fosse fatto Podestà, o anche che lo comandasse. Gerardo fu dunque Podestà per tutto il 1192, e si adoperò per essere confermato, come lo fu realmente per il 1193. In quel tempo non vi era nè nome, nè carattere di Magnati, vi era il fondamento della qualità dei Magnati, ma in sola existimatione hominum, cioè di più parenti e ricchi, ma non erano caratterizzati per la legge, che fu fatta soltanto nel 1230, escludendo dal Governo certe famiglie, che diedero loro titolo di Magnato, e allora fu introdotta la distinzione.

Nel maggio del 1193 ebbe luogo la sollevazione. Gerardo era protetto dai nobili contro i popolari composti di famiglie nuove, e che non erano a un certo grado di ricchezza, ma che però erano anch'essi sostenuti da alcuni nobili. Il partito del Vescovo inclinava a far coprire le cariche ai nobili, cioè all' aristocrazia, per restringere le cariche agli ottimati di partito democratico. Questi ultimi si sollevarono e cacciarono il Vescovo Gisla. Allora la famiglia Geremei, non giunta ad esser capo di partito, era popolare e contraria a Gerardo sostenitore dell'aristocrazia Imperiale. Forse questa sollevazione seguì dopo la disfatta di Enrico in Sicilia, e la sua depressione avrà influito su quella del Vescovo Gerardo, che, espulso dalla Pretura, vide succederglisi dodici Consoli, numero maggiore che sia mai stato. Fra questi Consoli alcuni erano di famiglie, che poi furono Magnatizie, ma in quell'epoca amavano il governo democratico. Quantunque le nostre cronache dicano che Gerardo restò espulso sino a tutto il 1194, pure si trova che nel 1193, andato a Sarizano, o S. Martino di Soverzano, di cui era padrone Iacopo d'Alberto d'Orso, era già tornato prima del 1193, ed era rientrato in possesso della Pretura, avendosene atti come Podestà, ma si vede che vi erano contemporaneamente i Consoli, onde pare che dopo il tumulto fatto pel ritorno, si facesse accordo che tutti seguitassero nel governo sino al fine del compimento del suo anno di podestaria del Vescovo.

Finito l'anno 1193 proseguirono i Consoli probabilmente sino al maggio 1194 per finire il loro anno, essendo stati eletti in maggio 1193. Dopo non vi furono mai più Consoli, ma sempre Podestà. Sembra dunque che ciò coincida col tempo in cui Enrico tornò a risorgere, in guisa che il partito democratico trovandosi umiliato dal partito dei nobili assistiti dal l'Imperatore, non potò rialzar il capo fino al 1230, e fini per prevalere il partito democratico. Nacque poi la legge che escludeva quelle famiglie che colla loro potenza potevano opprimere il popolo; quindi si formarono due Consigli, uno del Comune al quale concorrevano tutti, anche i Magnati ; l' altro del popolo, dal quale i Magnati erano esclusi, ma entrandovi famiglie popolane ricchissime, queste divennero le più influenti. Manchiamo dello statuto che assegni le condizioni dei Magnati. Col tempo ancora di una famiglia Magnatizia diramata, restò Magnatizio quel ramo che seppe conservarsi ricco e potente, e passò fra i popolani quell'altro caduto in povertà. Tutti quelli che avevano feudi erano Magnati. Sopra il governo popolare e aristocratico vedasi Ammirati, Storia di Firenze, Tom. l, Lib. II, pag. 123, dov' è spiegata la distinzione dei Magnati dai popolani.

Nel 1193 segui la pace fra i Bolognesi e i Ferraresi a Santa Maria di Dugliolo essendo Gerardo Vescovo e Podestà. Vedi Ronconi Catalogus Monumentorum Bonon. manos. Tom. I, pag. 294.

Le nostre cronache dicono che l'elezione dei suddetti Consoli seguisse nel 1194, ma è errore, perchè ebbe luogo nel 1193. Nell'Archivio della Badia di Santo Stefano, ove è un atto sotto li IV Id. Decem. del 1193, si dice de Mandato Gerardo Episcopi, et nunc Potestatis Bononiae et eius Consulum, ma poi in altri atti si trovano nominati i Consoli soli senza il Podestà. Questi sono del principio del 1194. Ben è vero che questi Consoli non durarono tutto l'anno 1194, ma solamente sino al compimento dell'anno dal giorno della loro elezione, spirato il qual anno la città elesse un Podestà forestiero, e così durò poi sempre.

Dicono le nostre cronache che nel mese di agosto 1194 seguisse in Bologna una sedizione con grande spargimento di sangue per rimettere il Vescovo Gerardo nella carica di Podestà, ma che essendo rimasto soccombente il partito del Vescovo, fu egli costretto a fuggire dalla città. Tutto questo è anacronismo, e confuso con ciò che seguì nel 1193 e 1194.

Gerardo Gisla, VIII Kal. lul i j 1194, pose la prima pietra nella fabbrica della chiesa della Madonna di S. Luca, la qual pietra fu mandata da Celestino III. Era allora sul monte della Guardia Angelica eremitessa succeditrice della prima. Queste eremitesse erano allora secolari, e questi romitaggi erano case laicali che elleno possedevano di loro proprietà. Infatti nei libri dei Memoriali si trovano atti e testamenti, dai quali si deduce che esse disponevano liberamente, o per contratti, o per ultime volontà, di tali romitori.

Nel 1195 Gerardo approvò la fondazione dell' eremo di Camaldoli fuori porta Santo Stefano alla distanza di due miglia. Cosi dice il Sigonio, ma si consultino gli Annali Camaldolesi.

Alla pag. 91 il Sigonio riferisce il privilegio concessogli da Celestino III, e dice che l'originale trovasi nell'Archivio dell'Arcivescovo.

Alla predetta pagina dice che Gerardo morì VII ld. nov. 1190, ed il Necrologio di S. Gio. in Monte dice VII Kal. novemb. obiit Gerardus b. m. Episcopus anno Domini 1198.

Alla stessa pagina parla della B. Lucia da Stifonte. Ma intorno a ciò nulla si sà con certezza, e nulla pure ne sanno gli Annali Camaldolesi.

Ai tempi di Gerardo Gisla Vescovo seguì l'unione dei Canonici di Sant'Eutropio con quelli di S. Gìo. in Monte. Quest' unione si vede nella Bolla di Clemente IV, nella quale si dice che tale unione seguì essendo Priore di S. Vittore Rinaldo. Questo Rinaldo fu fatto Priore nel 1175, e finì il suo priorato nel 1198. Dunque l'unione seguì ai tempi di Gerardo. Questa Bolla è nell'Archivio di S. Gio. in Monte.

Cimarie a destra entrandovi per la via degli Orefici.

N. 1270. in questo stabile vi era la residenza dell' arte dei gargiolari. I gargiolari e capestrari nel 1423 ottennero che venti di loro fossero aggregati all' arte dei salaroli. Arrivato l' anno 1663 ricorsero per essere separati, lo che ottennero li 29 dicembre 1666 dal Senato, come consta da rogito di Agostino Orta e Sforza Alessandro Bertolazzi. Li 3 ottobre 1670 sortirono per la prima volta in corpo colle altre compagnie d'arti per accompagnare il trasporto della testa di S. Petronio da S. Stefano alle sua basilica.

Il primo loro Massaro fu Floriano Pizzoli nel quarto trimestre del 1670. Al loro protettore, Sant' Antonio Abbate, era dedicata la cappella di questa residenza, che cessò di esserlo quando li 11 gennaio 1798 furono avvocati alla nazione i loro beni.

Confinava questa residenza a levante coll' arte dei gargiolari, a ponente colla via pubblica, a mezzodì con Gualandi, e a settentrione con Pellegrino Torri.

In questo locale vi era ancora la cappella dedicata a S. Petronio della compagnia dei tessitori di seta, aperta li 4 ottobre 1749. Questi tessitori facevano parte dell' arte dei mercanti da seta, poi essendone stati separati ebbero i loro particolari statuti fatti nel 1540, poi riformati li 29 novembre 1582. Li 16 ottobre 1640 fu rivocata l' erezione dell' arte dei tessitori dal Legato e Reggimento, ed annullati gli statuti fatti dai detti tessitori ad istanza dell' arte della seta. Li 29 ottobre 1664 fu rimessa l'arte, a cui furon dati nuovi statuti. Non ebbero però Massaro nel Collegio dei Tribuni che il primo gennaio 1627, e fu Angelo Maria Vannini. Li 22 dicembre 1797 questa corpo razione fu sciolta.

I cordellari, o tessitori di cordelle di seta, erano uniti all'arte dei merciari, poi separati, avendo ottenuto l' approvazione dei loro statuti in 13 capi li 21 giugno 1686. Scielsero a protettore S. Francesco d'Assisi. Il loro Massaro non faceva parte del Collegio dei Tribuni della plebe.

Cimarie a sinistra entrandovi per la via degli Orefici.

N. 1275. Ingresso alla residenza che fu dell'arte dei falegnami, posta sopra il voltone dalla parte della via degli Orefici. Confinava a levante colla strada, a ponente colle Pellizzarie, o Trippari, a mezzodì la via degli Orefici, e a settentrione la residenza dell'arte dei bombasari.

La loro cappella era dedicata a S. Giuseppe. Il più antico statuto di questa società è del 1230. Dal 1248 alli 4 dicembre 1556 fu per dodici volte riformato. Li 22 dicembre 1797 il governo prese possesso de' suoi beni, che gli forono poi restituiti nel 1800. Aveva beni stabili valutati scudi 3784.

Dipendevano dall' arte dei falegnami i carrozzari, i segantini, gli asto-lancieri, i fusari, i gavolieri, o bottari, i bastieri, i gripieri, i casseri, i fardelieri, gl' incavatori che fanno dozze, pompe, staj, cucchiai, tacchieri, stellalegne, tagliolo-settazieri, zangolo-corbellieri, sporto-storari, panierai, ecc.

Questo stabile deve essere parte delle case, edifizi, e beni dell' eredità di Nicolò Sanuti, rogito Melchiorre di Senesio Zanitti, i quali erano condotti dalla società dei falegnami, e posti sotto S. Dalmasio dei Scannabecchi, in confine dei beni di detta chiesa a mattina, dei beni di detta arte a sera e di sotto, e la via pubblica di sopra, che a mezzodì deve essere la via degli Orefici.

N. 1274. Residenza dell'arte dei bombasari composta di tre camere, una delle quali con cappella dedicata al loro protettore S. Gio. Battista. Confina a levante la strada, a ponente i beni del Capitolo di S. Pietro, a mezzodì la residenza dell'' arte dei falegnami, a settentrione il conte Filippo Bentivogli.

I primi statuti di questa compagnia datano dal 1288, poi riformati nel 1336, 1377, 1569 e 1662. Fu unita a quest' arte, quella dei pittori, dopo che questi ebbero fatto parte delle quattro arti, e della quale era massaro nel giugno 1399 Giacomo di Pietro pittore. L'unione suddetta ebbe luogo il primo gennaio 1570, e si trova che il primo luglio 1572 era Massaro Orazio Samacchini (2). I pittori si separarono dai bombasari il primo gennaio 1600, ed il loro primo Massaro fu Gio. Battista Cremonini (vedi via Toschi N. 1237). Dopo questa digressione si dice che i bombasarì, come arte, furon sciolti li 4 gennaio 1798.

Li 19 ottobre 1576 gli uomini dell' arte dei bombasari e dei pittori uniti assegnarono a Teodora madre, e a Giuseppe figlio de' Spiriti, una camera altra volta ad uso della congregazione dei drappieri posta nella Ruca anticamente detta della Sartoria Vecchia, o le Cimarie, lunga piedi 21, e oncie 6, larga piedi 12, e oncie 4, per L. 400. Rogito Achille Panzacchia.

1606, 14 Giugno. I bombasari, a cui erano uniti i pittori, avevano la loro residenza nelle Cimarie.

(2) Diamo qui testualmente due Memoriali che furono dai plttori presentati al Senato in due differenti epoche, e cioè il primo l'anno 1588, col quale chiedevano essere separati dal l'arte del bombasari, redatto di tutto suo pugno dal notaio dell'arte stessa Flaminio Machelli ; e l'altro del 1685 col quale chiedono esserlo da tutte le arti meccaniche. Questi due preziosi documenti che non trovansi nella Biblioteca Universitaria, nè tampoco nella Comunale, sono posseduti dalla collezione Guidicini. Il Cicognara nel suo ragionato catalogo di libri d'arte Tom. I, G. 27, N. 167, così si esprime circa quello del 1685: "Memoriale rarissimo ad aversi e che serve alla storia dell' arte del disegno massime per la Bolognese". Il Malvasia parla a plù riprese del desiderio che avevano i pittori riguardo alla detta liberazione. Se dal Cicognara tiensi per rarissimo quello stampato e del 1685, sarà conseguentemente a ritenersi di maggior rarità quello del 1598 manoscritto ed originale.

MEMORIALE DATO DAI PITTORI N. 1.

Illustrissimi Signori,

L' Arte della Pittura Nobilissima per il fine, che ella ha di essere emula dalla natura, et per i mezi de quali ella si serve, che sono quasi tutte le scienze e particolarmente le Matematiche negli antichi tempi fù tenuta in tal prezzo da i magiori Prencipi e più famosi scrittori del Mondo, che non isdegnarono quelli d' essercitarla, ne questi di celebrarla, si che non solo la divisero dall'arti medianiche, ma la tenero per mirabile come quella che le superficie rapresentando i corpi suol' inganar non pure gli antichi senza ragione, ma gli homini stessi, se bene poco le valse la propria dignità contra le ingiurie delle guerre, et il furore de Barbari, che la ridussero a tale che apena se ne serbò la memoria finchè cessate le rivolutioni ella cominciò a risorgere; ma con si debole principio, che da ben pochi, e così rozamente ella era essercitata, che apena di semplice Arte non che di liberale meritava ò, ricercava il nome. Quindi nacque che ella fu particolarmente in Bologna accompagnata ad Arti mechaniche, et affatto sproporzionate ad essa. Di poi nel progresso del tempo, et della pace facendo pure l'Arte stessa gagliardi progressi fiorirono Pittori, come il Bonarotti, Raphello, Titiano, et altri che la restituirono alla primiera dignità si che ella ha havuto et ha al presente Prencipi suoi professori, e fautori, et che hanno premiato e stipendiati largamente i pittori, e particolarmente alli giorni nostri, et della nostra città. Nè hanno mancato, nè mancano scrittori, che hàno celebrata et exaltata l'Arte et gli Artefici insieme, et nelle principali Città d'Italia si sono perette Academie famose de Pittori, privilegiate, favorite dagli stessi Prencipi segnatamente. Onde i Pittori che hoggi vivono in Bologna in buon numero desiderosi d' honorare l' Arte, e la Patria col dar forma e titolo d' Academia alla compagnia loro sicuri che dalle SS. VV. Illustrissime di sposte et inclinate ad imprese heroiche, e nobili, sarano favorito e promesso questo loro desiderio, considerando che la compagnia loro unita ad altra Arte in niuna parte conforme alla Pittura, come quella de Bombasari non può stare in quella quiete, e con quel decoro che si ricerca, ne conseguir quel fine che si pretende: le suplicano a farne la divisione, mantenendo però loro il luogo fra Massari di Collegio, che tengono al presente con questo però che non vadino fuori con l'altre Arti per rispetto che altri non si rechi a pregiudizio d' esser preceduto da loro, oltre ad altri degni rispetti, che si come vivamente sperano riportaranno tal gratia dalle benignità delle SS. VV. Illustrissime tutti insieme, e ciascuno di essi rimarràno stretti d' obbligo perpetuo con loro, come con veri fautori e protettori.

Ill,mo et Rev.mo Signore Padron nostro Colendissimo,

Intorno alla separatione, che domandano li Pittori della nostra Compagnia de Bombasari habbiamo rissoluto di consentire molto volontieri à quello tanto che da V. S. Ill. ma et Rev.ma sopra ciò sarà ordinato tenendo noi per fermo che non potrà sucedere cosa, che non sia piena di paterno affetto, et di perffetta giustitia, suplicandola ad haver risguardo alle infrascritte nostre pretensioni.

1°. Che alla compagnia de Bombasari restano gli honori, utili, còmodi, et incòmodi che haveva et godeva inanzi, che si unisse con dètti Pittori tanto circa gli obedienti quanto al creare il Massaro di Collegio, et altre dispositloni contenuti nelli loro statuti.

2°. Che si come li Pittori sin qui hanno participati di tutti gli utili della compagnia unitamente, così in questa separatione participino, et concorono per la sua ratta al pagamento dell i debiti et graveze in sin' qui unitamente supportate, come ancora sentirano il comodo delli crediti quando ve ne sia.

3°. Che quelli che sin'hora sono entrati [nella compagnia unita s' intendano essere dell'una, et l'altra compagnia senza dover pagar ubidienza ad alcuna di loro, ma che per l'avenire se un' Pittore volesse entrare nella compagnia delli Bombasari sotto nome di persona, che sia stata acetata in dette compagnie mentre erano unite insieme. Quanto alle L. 650 che dimandano li Pittori gli assegnarano il terreno comprato dal Savignano per L. 400, et gli cederemo ragioni de riscodere da detto Savignano L. 215 di quattrini che era debitore per affitti decorsi, e non pagati, e perchè in materia di detto acquisto si è agitata una lite contra detto Savignano nella quale (come sano essi Pittori) si è fatta gran spesa di L. 50 di quattrini, deveràno perciò far buono à Bombasarl la ratta loro di detta spesa cioè L. 40 et massime essendo il detto Savignano stato condenato nelle spese, che perciò stante la cessione, che se li farà potràno li Pittori recuperarli dal Savignano. In modo che li stessi Pittori resteràno debitori alli Bombasari facendole buone le sue L. 680 in buona sòma di denari, et anco per molti obedienti rescossi da loro Pittori et non pagati alla compagnia, le quali essi Bombasari suplicano a V. S. Ill. ma in questa separatione farli sodisfare. Tutto ciò sia detto a V. S. III. ma per informatione delle cose nostre rimettendoci alla prudenza sua intendendo sempre di conformare le voglie nostre con la mente di V. S. Ill. ma la qual piacia a Dio (come cosi preghiamo) di conservarla in quella felicità desidera, con ogni humiltà li faciamo riverenza.

Humilissimi et Devotissimi servitori

GLI HUOMINI DELLA COMPAGNIA DB BOMBASARI

di Bologna.

Flaminius Machellus Bon. aedicte societatis Bombasarios

noct. mand. sub die 25 dicembris 1568.

MEMORIALE N. 2.

Illustrissimi Signori.

Que Pittori, ch' esercitano nobilmente la Professione e con decoro, ricevendone anche talora ciò, ne vien loro più abbondantemente contribuito in fine, di che seppero addimandarne e pretenderne, supplicarono umilmente nel terzo bimestre dell'Anno scorso, l'Illustrissimo Reggimento ad esentarli da quella annua colletta chiamata comunemente la obbedienza, e dalle altre soggezzioni e gravezze, che pare sol giusto vadino a cadere sovra li Pignatari, Scatolari, Coramari, Indoratori, Ventarolari, Santari, Stuccatori, Vernicatori, Cartolari, et altri si fatti mecanici alla nobìl Arte subordinati e soggetti: e sovra que' Dipintori da bottega, che travagliano in tinger cassobanchi o armari, far voti e Croci ne' muri, colorir armi da morti, e simili altre bassezze.

E perche il memoriale portone all' Illustrissimo Signor Confaloniere, e letto in pubblico Reggimento fù rimesso alle Assontarie di Militia, e di Magistrati e sentire, e riferire quanto sopra ciò fossero per addurre i supplicanti, han stimato questi correre loro in debito, con ogni più riverente ossequio et umiltà, rappresentar loro ciò che qui segue.

Cioè, che delle ragioni e motivi, che gl' inducono a sperare una simil grazia dalla somma benignità dell' Illustrissimo Senato, parte risguarda la Professione considerata in se stessa e da se sola, e parte risguarda la medesima in ordine a gli altri.

E prima quanto a se stessa, qui si tralasciano (come d' un infinito numero) i di lei pregi e le lodi, con le quali, assignandole il primo grado di nobiltà sovra ogn' altra, l'esaltano Plinio nel libro 35. cap. 17. et segg. Filone Ebreo lib. 6. de somn. pag. 380. facendone Dio solo il primo e vero autore, Quintil. lib. 10. c. 10. Pietro Crinit. de honest. discip. lib. 6 cap. 11. Natal. Gont. lib. 6. mithol. e. 6. il Cassaneo Calai, p. 11. confld. 44. Luca de Penna in l. 8. C. de mi. eia ei epidemet. nella parola: professores Eman. Barbosa in remiss, ad ordi- nat. Regn. Lusit. lib. 4. Ut. 92. Munoz. in traci, de arte poetic. y de piniar Ut. de lavores de Pintura, il Budeo in l. Athlelas. ff. de his qui not. infam. il Donello lib. 4. commentar, cap. 26. il Possevin. de Pict. et poes. cap. 32. il Tiraq. de nobilit. cap. 34. n. 3. 4. 5. il Bollanger. de Pict. il Iunio de Pict. veter. Gio. de Butron in Apol. pro ingenuit. Picturae, eie. il Patrie. de instit. Reipub. I. 1. c. li. il Castilion. nel suo cortig. il Garzone nella sua Piazza, et tanti altri senza fine. Puramente, e senza ingrandimenti retorici si dice solo, che quando anche non si voglia concedere ch' ella sia arte architetonica, e sovra tutte le altre arti più nobili e le Liberali; come ch'elleno senza di essa sussistere non possano, necessitate l'Aritmetica, per esempio, l'Astrologia, la Geografia, la Perspettiva, l' Architettura, sì militare che civile, a prendere da lei il disegno nel formare le loro linee, gl' angoli, i circoli, ed ogni altra forma e figura; pare negar non si possa che, per lo meno, non si dia a conoscere anch'essa per un' arte liberale ; mentre che la sublime sua operazione più d' intelletto che di mano (la quale mano poi anche in compor quelle mestiche, e compartir que' colori sulla tela, non sente aggravio minimo o fatica immaginabile, ma ben sì prova più tosto un geniale e soavissimo compiacimento e trastullo) non si distingue nè si valuta a ragione di peso, di numero, ò di misura. Che però se a nissuna tassa o contribuzione si soggetta lo Gramatico, il Poeta, il Musico, il Computista, e simili ; perchè dovrà sottomettervisi il Pittore, le di cui sovranarurali fatture esposte nelle Chiese e su gli Altari alle adorazioni, promovono più efficacemente il culto verso Iddio, e maggiormente ne accendono alla venerazione ai Santi ? et affisse entro i nostri palagi superano di longa mano i più ricchi e preziosi arredi tempestati anche d'oro e di gemme; cagione perchè anche in oggi concorrino da tutte le Provincie, e da i Regni i dllettanti e gl' intelligenti, profondendo tesori per noi pur troppo privarne, ed arricchirne i loro Monarchi ?

Ch' ella sia arte liberale, lo stabilisce il maestro di tutti quelli che sanno, Aristotile, che discorrendo di quelle professioni, con le quali devonsi rendere cospicui, et adornare gli animi de' nobili giovanetti, vi annumera quella della Pittura.

Lo conferma Galena in exhortat. ad bon. art. in fine, la dove separando le Liberali dalle Mecaniche, aggiunge alle Liberali la Pittura. Lo medesimo asseriscono Lorenzo Valla nella prefazione alle sue eleganze: il Cardano de subtilit. lib. 17. de Artib. ll Vossio de quattuor art. popular. cap. 5. et altri in somma, a' quali mai potè arrecare difficultà veruna il vedere, che fra tanti altri virtuosi, il Pittore solo sia quello, che non può non valersi nelle sue operazioni del materiale, che sono i colori ; perchè di questi, come de parvilate materiae, (direbbero i Teologi e i Canonistl in occasione anche più stretta, quale si è il digiuno, e l' alienazione di beni Ecclesiasticl) non si tien conto; come per figura nelle carte dl musica non si considera l'inchiostro che delineò quelle mirabili note, ma la sostanza e 'l valore delle medeslme, che ne rapiscono con I'armonia. Certo che chi acquista una testa diremmo del gran Rafaelle, o del Coreggio, un ritratto di Tiziano, non compra con le dugento doble che vi spende, quelle pochissime tinte che l'han colorito, e che non montano quattro baiocchi, mà il magistero di quella operazione, preziosa per l'eccellenza della forma, nò per la. bassezza della materia: il perché con gran ragione la legge, contro al comune assioma, che quod accedit cedit (onde la porpora preziosa cede anche al vile vestimento al quale fu inserita: le lettere ancorché d'oro, cedono alla tenuissima carta sulla quale furono scritte: la gemma di sommo valore cede a quel poco d'argento ò d' oro che la ricigne e la lega) al contrario vuole nella Pittura che ceda la tavola a que' pochi e vili anche colori, non perché siano colori, ma per I' artificio che ci figurano e ci rappresentano; attesoche, come soggionse di poi Giustiniano Ridiculum est enim picturam Apellis vel Parasy in accessionem vilissimx tabula; cedere.

La stessa legge adunque, ch' è quella che regola gli affari del Mondo, la giudica tacitamente in tal guisa; e perciò vuole ch'ella sia resa partecipe delle stesse grazie che godono le altre Arti Liberali; mentre gl'Imperatori Teodosio e Valentiniano nella Archiatros C. de metat, et epidemel. lib. 11 esentano si li Pittori, che gli professori di dett' Arti dal peso, al quale sono gli altri comunemente soggetti.