Androna.

La denominazione urbanistica generica androna era a Bologna sinonimo di vicolo usato come latrina a cielo aperto. Androna era denominazione molto comune nel medio evo (era molto diffuso negli estimi del 1296/97). Con il passare del tempo il suo utilizzo divenne sempre più raro, un po' per le migliorate condizioni delle fognature cittadine, ed un po' per una certa forma di censura, non sempre spontanea (si veda il caso della via Fregatette che poi divenne vicolo della Neve), che tentò di sostituire odonimi sconvenienti con altri più "onorevoli". La prima odonomastica ufficiale, quella delle lapidette napoleoniche del 1801, fece sopravvivere una unica androna: l'Androna di San Tommaso della Braina che con l'occasione divenne via Androna. L'odonimo via Androna scomparve nel 1874, nell'ambito della riforma toponomastica del 1873/78, sostituito da vicolo Bolognetti.

Anche se assente da tempo dall'odonomastica ufficiale bolognese, androna sopravvive nella lingua bolognese come sinonimo di cosa puzzolente (puzèr com' un'andranna: puzzare come una androna), ed anche nello slang bolognese nel vocabolo landra, sinonimo di aria puzzolente.

Androna non è denominazione esclusiva bolognese e nemmeno emiliana. Gli Statuta Civitatis Mutinae (Parma, 1864) nel 1327 riportano androna sive canaletum (pag. 582). Troviamo androna molto diffuso (tutt'oggi) in Friuli (Trieste, soprattutto, ma non solo), nel Trentino, ma anche ad Osimo (Ancona) nei cui statuti del 1308 troviamo "nec etiam in androna aliqua fiat putredo ex qua via publica et etiam vicinali aliquod incomodum fiat", "Ordinamus quod nulli liceat habere versatorium sive cloacham in andronibus comunibus", "Quod nullus habeat versatorium vel cloacam in andronibus comunibus"

Addirittura si trova androna nella lingua catalana con il significato di Llenca estreta de terreny sense edificar entre dues cases contigües (Enciclopèdia.cat), ovvero striscia di terreno non edificato tra due case contigue.

Questa definizione catalana è coerente con quella data nel XIII secolo da Johannes de Janua (Giovanni da Genova): spatium inter duas domos.

Precedentemente anche Vitruvio (VI,7), che utilizzò l'accusativo plurale andronas e Plinio (Ep. II, 17, 22), che usò il termine andron definirono il nostro vocabolo come passaggio tra due muri.

Androna, quindi è parola di origine latina: il latino andron significa corridoio. Il latino andron deriva dal greco andròn, che indicava nelle case elleniche la parte riservata agli uomini, in opposizione con gineceo, la parte riservata alle donne, ma questo significato greco non è evidente nelle nostre androne. Il già citato Johannes de Janua tenne a distinguere androna (spatium inter duas domos) da androneo (locus domicilii, ubi multi viri habitant).

Il Du Cange (Du Cange et al., Glossarium mediæ et infimæ latinitatis.) riportò una definizione che risente del tentativo di proporre una etimologia dal greco: locus publicus, ubi viri invicem confabulantur.

E' certo però che le nostre androne erano luoghi in cui non era opportuno fare chiacchiere, né per gli uomini, né per le donne.

Nel Friuli, androna è sinonimo di vicolo senza sfogo, vicolo cieco.

In Emilia, androna è sinonimo di scolo cittadino, e con tale significato lo troviamo in Bologna.

Sono i già citati statuti di Osimo del 1308 che chiariscono la relazione tra androna - vicolo e androna - latrina a cielo aperto. Nei passi citati, si proibisce l'uso delle androne come cloache e si stabilisce che non si accumuli in tali androne putritudine che potrebbe creare problemi alle vie pubbliche e vicinali.

Se gli statuti davano queste indicazioni, è segno che viceversa l'uso di riversare putritudine nelle androne era piuttosto diffuso.

Le androne erano gli spazi che separavano case contigue. Spazi necessari per dare luce ad ambienti interni, su cui si affacciavano lati della casa ben diversi dal fronte, sulla via pubblica, e dal retro da cui spesso si accedeva ad un orto. Su questi spazi spesso insistevano dei gabinetti pensili (vi sono tuttora parecchi esempi, uno dei quali ben visibile nello scomparso (dal punto di vista odonomastico) vicolo Trebisonda, tra via Santo Stefano e Strada Maggiore) e questi gabinetti scaricavano la putritudine direttamente sul vicolo. Mentre ad Osimo gli statuti cercavano di impedire questa prassi, a Bologna invece, mediante il sistema di chiaviche derivate dai canali di Savena e di Reno, le androne venivano periodicamente lavate, ovvero, venivano fatte percorrere dalle acque di queste chiaviche, acque che poi venivano raccolte da chiavicotti e reimmesse nel sistema di canalizzazione della città.

Quando il Salaroli scrisse la sua Origine delle Porte, Strade, Borghi, etc. (1743) parecchie di queste androne erano già state bonificate. Si legga a tal proposito l'interessantissima introduzione che comincia così: L'Avere nelli Anni scorsi l'Eccelso Senato fatta spianare, livellare, e seliciare tutte le Strade, e Vie di questa nostra Città, levando alcuni ponticelli, bocche di Chiaviche, ed altro, che serviva d'incomodo al transito delle Carozze, e de Carri ...