Panico (da)

Una delle più antiche, più potenti, e più malvagie famiglie rurali, che dominò gran parte della montagna bolognese e alcune castella di Toscana. Talun scrittore la dedusse dai progenitori dei conti di Bologna, talaltro dai conti di Mangone; ma ne rimane incerta ed oscura la remota origine. Alberto era già conte di Panico nel 1068: Milone, o Smilone, suo figlio ingrandì la contea paterna, aggiungendovi Montarsigo, Vignale e Intrigeta. Ugolino al principiare del secolo XIII aumentò il retaggio avito con i territorii di Sirano, Domalfolle, Ignano, Lamola, Borgadello, Caprara, Sassopertuso, Venola, Carviliano, Salvaro, Cedrecchia, Capriglio, Bedoleto, Montaguto, Veggio, Campiano, Confiente, Montefredente, Vedegheto e Vigliola, e con la quarta parte di Monzuno, Bibulano, Castel dell' Alpi, Aqualto e Corizano; e riportò carta d' Impero che gli raffermava le giurisdizioni su le terre e i vassalli assoggettati (1). In quel torno la consorterìa dei da Panico numerava dugentoventisei servi della gleba (2), sicchè non era in ciò sorpassata se non da quella degli Andalò.

Tra le più antiche memorie che s' han di costoro è la dotazione del monastero montano di s. Maria di Roffeno, fatta dall' anzidetto conte Alberto e da suo figlio Smilone, nel 1074. I nepoti Guido, Ugo e Ranieri ne imitarono la divota liberalità, donando il castello di Riversano nel cesenate alla chiesa di Ravenna nel 1144 e 1157 (3). Ma siffatte generosità non eran rare nei grandi di quel tempo, i quali le reputavano sufficiente ammenda, se non pure largo compenso, di iniquissime colpe.

I da Panico parteggiarono per lo più per l' Impero, che blandiva i potenti signorotti e confermavane le usurpazioni; onde vediamo che fino dal 1116 il conte Ugo faceva codazzo all' imperatore Enrico, nel castello di Quarnenta (4). Ma quasi nel tempo stesso che Ugolino I rendeva omaggio al vescovo eletto di Pistoia, per le castella dalla sua chiesa infeudate, salva la debita fede all'Imperatore; Enrico, Zacco e Bonifacio erano decapitati in Verona (1243) per aver congiurato in pro de' guelfi contro Ezzelino il feroce, antesignano del ghibellinismo in Italia (5).

Le gesta dei conti di Panico possono d' altronde esser divise in due categorie; cioè nel poco ch'essi operarono a vantaggio di Bologna e nel molto che fecero a danno di essa, non che delle terre e delle genti del contado.

Il conte Ugolino II fu eletto capitano generale della montagna bolognese nel 1292, e confermato nel 1296 e nel 1300, specialmente al fine di tener testa ad Azzo da Este. « Ed egli incontenente ordinò molta gente e andò nel Frignano nel contado di Modena, prese il castello di Montese e Monteforte con molti altri castelli in quelle parti e vi prese anche Antonio Ferro podestà del Frignano, perchè aveva esso Ugolino un grande animo e un gran seguito d' uomini » (6). In quel mezzo gli ambasciatori della Romagna, raccoltisi a parlamento, statuirono che se il papa non liberava Imola dai bandi, dalle condanne e dagli interdetti, la pretoria e custodia di questa città fosse data ad esso conte Ugolino (7). Sottentrò a lui nel capitanato della montagna Alberto, cui fu commesso di mettere a dovere un Marchesino Lupo famoso bandito, che con grossa schiera d' armati spaventava e depredava le genti di colassù. Alberto trovò una gagliarda resistenza, ma distrusse tutta la banda con la spada e col capestro (8).

Ugual missione, ugual successo ebbe contemporaneamente Paganino contro Desolo ed altri da Cuzzano, che, fortificatisi nel castello di Gesso, taglieggiavano ed uccidevano a talento. Così pure in quel torno il conte Rodolfo ebbe ragione dei banditi e ladroni che desolavano le ville e le castella della podestaria di Casio e Castel Leone. Così nel 1326 Maghinardo II detto il grande, figlio dell' anzidetto Ugolino, fu uno dei capitani che liberarono dai fuorusciti il territorio montano (9). Si sarebbe perciò quasi tentati a dire che i da Panico furono angeli tutelari della montagna, se in pari tempo altri di loro non ne fossero stati i demoni tormentatori.

Intenti o a perseguitare le masnade che infestavano il nostro territorio, o a condurne di più grosse per proprio conto, sanguinarii, faziosi, quasi non preser parte alle guerre derivate da altre cause; e così poco si curarono di partecipare al governo di Bologna, o di altre città, chè tre volte soltanto andarono podestà altrove (10) e poche più furono qui degli anziani, soltanto dopo il 1352.

Ora cominciano le dolenti note. Primo dei da Panico a macchiarsi nel sangue cittadino fu il conte Maghinardo I, che nel 1264 assalì e uccise sulla via Uguccione degli Arienti, giudice del pretore. La mischia, impedita allora dal pretore, si attaccò poscia a riprese, specialmente nel 1269 (11). Quando poi divenne universale nel 1274 « s' accrebbe il disordine (è il Savioli che narra) mercè dei conti di Panico, divisi fra sè di setta e assistiti da' loro seguaci che scesero dalla montagna. Maghinardo conte ottenute alcune contrade poste all' intorno de' luoghi di sua dimora, guardavale per parte guelfa, e tendeva ad occupar la porta s. Isaia. Viceversa Ugolino conte messe le roste al serraglio di Saragozza s' af faticava difenderlo da' lambertazzi. Ciascuno intanto de' due partiti invocò soccorsi al di fuori ». S' affrettarono i Fiorentini ma furono disfatti dalle società della Branca e dei Griffoni, le quali « tolte in questa guisa d' impaccio, piombarono sopra Maghinardo al momento che due delle altre animosamente affrontaronsi con Ugolino e in brev' ora sopraffatti entrambi salvaronsi fuori della terra » (12). Ranieri seguiva la stessa parte lambertazza e per essa teneva il castello montano di Predacolora, il quale fu assediato e preso da' Bolognesi nel 1276 (13).

I conti da Panico, complici i Gallucci, perpetrarono un altro omicidio in Bologna, nella persona di Michele del Priore (1297): quattr'anni dopo, insieme con altre famiglie, si composero (14). Ma, alternando con le private le pubbliche contese, presero segreti accordi nel 1305 col legato del papa, cardinal Orsini, che sotto il manto di paciere veniva in Bologna, poi n' era scacciato quale partigiano. Dietro di che furono pubblicamente citati tre di loro: Paganino, Tordino e Doffo, per iscolparsi d' aver adunato armati coll' intendimento di muover contro Bologna. Non essendosi presentati furono proscritti e le case loro saccheggiate ed arse (15). Dopo pochi mesi essi tentarono di rappattumarsi col comune di Bologna, ma Romeo Pepoli e gli altri eletti sopra la 'pace « considerando la grande ingratitudine dei conti da Panico verso la patria e giudicando che la richiesta loro nascondeva una frode » non solo opposero un rifiuto, ma confermarono la proscrizione (16). Poscia il consiglio ordinò a Muzzino della Moscaglia ed a Tommaso Ramponi, l' uno capitano della montagna l' altro della pianura, di attaccare i conti da Panico con dugento cavalli, centocinquanta pedoni e parte della tribù di Porta stiera. Tale stuolo si avviò al castello di Panico; ma giunto in una stretta, tra il monte e il Reno, fu assaltato così impetuosamente dai conti Rodolfo e Paganino, a capo della propria gente, che pochi poterono salvarsi e che fra gli uccisi contaronsi i due capitani bolognesi. Il rivo scorrente là presso, fu ed è tuttavia detto della sconfina, come il vicino ponte sul rio Maggiore ritiene il nome di Paganino (17).

Ma Bologna non poteva sopportare l' onta di una tale disfatta e tosto s' apparecchiò a vendicarla. Estesa la proscrizione a tutti i da Panico, cominciò con lo snidarli da Baragazza e da Mongardino; poi spinse le tribù di Porta stiera e di Porta s. Pietro contro il castello di Panico che esse occuparono e munirono, trovatolo vuoto di gente e di robe. Presero anche Casio, senza colpo ferire, e, rafforzate d' altre tribù giunte da Bologna, si diedero a inseguire i conti, i quali celatamente si ritrassero con le robe loro nel castello di Stagno, sul confine pistoiese; e vi si fortificarono sì bene, che i Bolognesi, assediatolo e datovi di molti assalti non poterono averlo che quattro anni dopo, abbandonato dai difensori (18).

Cogliendo il destro, i conti di Panico scorrazzavano a Bargi e a Vedegheto dediti ai guelfi ed a Bologna, e li taglieggiavano così spietatamente che gli abitanti avrebbero esulato, se Alberto conte di Mangone, eletto capitano della montagna per perseguitare i da Panico, non avesse recato a quegli abitanti soccorso di soldati e di vettovaglie (19).

Anche Castelnuovo fu preso e saccheggiato da Paganino, da Adolfo e da Tordino, i quali vi si rinchiusero ed afforzarono ( 1307 ). Sì che i Bolognesi Io assediarono per tre mesi nè l' ebbero se non quando fu evacuato nottetempo dagli assediati. Par quindi da porre tra le novellette il racconto del Ghirardacci, che alla presa di Castelnuovo aggiunge quella di Maghinardo I seguita da accecamento e da morte in prigione. Fu bensì frattanto accalappiato per tradimento il suo figlio Mostarda e decapitato sulla piazza (20).

I da Panico, che non davano e non avevano tregua, tribolavano anche i guelfi di Capugnano, di Monteacuto dell' Alpi e di Lizzano, entravano per tradimento nel castello di Gaggio, saccheggiandone tutte le case ed uccidendo uomini e donne (21). Ma più clamoroso e più sanguinolento assassinio commetteva nel 1313 il conte Paganino: imperciocchè sul modenese egli assaltò ed uccise Raimondo da Spello conte della Romagna e quaranta de' suoi, rubando robe, cavalli e settantamila fiorini d' oro, che da Raimondo erano portati al papa in Avignone (22). Si direbbe allevato a questa scuola il moderno Passatore, modificato dall'indole dei tempi.

Essendo dunque malagevole il domare i da Panico, i governanti di Bologna ricorsero talvolta alle blandizie, alle minacce, e alla distruzione delle fortezze, nelle quali coloro imbaldanzivano. Così nel 1313 e nel 1320 chiamarono ad abitar la città Federico, Bonifazio, Maghinardo II con le proprie famiglie, e Muzzolo arciprete, prescrivendo a un tempo che dessero garanzìa di non uscirne se non con licenza (23). Così nel 1316 imposero al conte Federico di restituire la fortezza e il castello di Montarsigo, sotto pena di ribellione. Così ordinarono la demolizione dei castelli di Rudiano tenuto da esso conte Federico, di Malfolle tenuto dal conte Maghinardo, e di Panico tenuto dal conte Ugolino. Ma l' incendio e la distruzione di Panico non furono effettuati se non nel 1325, dopo che i conti ebbero tolto di viva forza dalle mani del capitano della montagna un prigione, ch' era menato a Bologna (24). Gli avanzi di questo grande castello tutto costruito di pietre da taglio squadrate, vedonsi spuntare tra gli sterpi sulla cima d' una specie di promontorio, che sta a cavaliere d' una risvolta del Reno. Gli fa prospetto l' antichissima pieve di Panico, i cui capitelli mostrano tuttavia il leone rampante a scacchi, con una rosa all' orecchio, stemma dei conti. Oh se le rovine di quel castello fossero disascose dal suo ricco proprietario, spiccherebbero certo fra le più interessanti medioevali.

Ma nè blandizie, nè ferro, nè fuoco potevano domare quelle belve che tenevano del leone e della tigre, onde non tardò guari Maghinardo III ad assalire il castello di Toletto, ad ardervi molte case, a ucciderne molti abitanti, a farvi preda di robe e di bestiame. Poi, non meno crudele co' suoi, Maghinardo nel tornare a Caprara scontratosi con Paganino, l' uccise (25).

Più tardi (1334) i da Panico ripresero Rudiano e non ne furono snidati se non dopo tre mesi e alquanti combattimenti, ond' è manifesto che prima non era stato smantellato. Facevano scorrerìe eziandio in altre parti della montagna e per fino nella pianura, sicchè due tribù di milizie mossero da Bologna ad infrenarli. Allora i da Panico si ritrassero nel castello di Bombiana, ove i Bolognesi non osarono di attaccarli (26).

Trent' anni dopo dalla rocca delle Padellette i conti Bonifacio e Lippo prepotevano su i vicini, e ingelosivano l' Oleggio che faceva altrettanto su i Bolognesi. Di guisa che ottenuto per mezzo del loro perfido cugino Alidosi di poterli visitare, andò accompagnato da lui e da altri alla rocca. Accoltovi dai conti, e mentre con essi ragionava accanto al fuoco, l' Alidosi e i compagni si gettarono su i da Panico che non poterono difendersi, ed accecatili s' impadronirono della rocca (27). Poco dopo Paganino II, ammazzato il castellano di Badalo, s' impossessò per tradimento del castello di Battidizzo e spalleggiato da Leonardo suo consanguineo, che occupava il vicino castello di Monte mariano, tenne testa a tre gagliardi assalti de' Bolognesi (28).

Intanto che nella montagna perpetravano i fatti narrati, ed altri ommessi per brevità, i da Panico macchinavano rivolgimenti in Bologna: contro il legato pontificio in favore di Lodovico il Bavaro (1329), contro i Pepoli per rientrare in Bologna (1342), contro Bologna per darne la signorìa all' Oleggio (1355), contro esso Oleggio in favore di Bernabò Visconti e mal capitarono (1356), due volte contro Bologna in pro dello stesso Visconti (1360), contro un altro legato pontificio in favor di Bologna (1376), poi da ultimo contro Bologna per Giangaleazzo Visconti (1389) (29).

Nello scorcio del secolo XIV cessarono finalmente i conti di Panico d' infestare il contado e la città di Bologna, poichè si trapiantarono a Padova. Clemente VII e Paolo III, non so se a rimunerare la costoro . benemerenza, dieder loro il privilegio di ripatriare quando volessero e di godere le prerogative e gli onori de' nobili bolognesi (30).

Sembra però che qualcuno o rimanesse o tornasse, giacchè il Calindri (31) assevera che « l'unico rampollo (dei conti di Panico) rimasto nel bolognese è in uno stato da aver più voglia di levarsi il pensiero del come fare a vivere, di quello che ricordarsi da quali illustri antenati e da quale cospicua famiglia discenda ». Altrove (32) dice che i superstiti da Panico « ridotti si sono ad arare la terra ».

Le antiche case torrite, in Bologna, dei da Panico erano in Saragozza, ove poi fu il convento della Concezione (nn. 251, 252). La torre sarà stata demolita in una delle narrate proscrizioni e probabilmente in quella del 1289, che appunto infliggeva tal pena. Certo è che nel 1582 non ne rimaneva se non la memoria, che ci fu tramandata dall' Indicatore.

(1) Savioli, Ann. v. 1, pag. 316 e geneologia; v. 5, pag. 2. Calindri, Dizion. co- rogr. v. 3, pag. 277.

(2) Il conte Maghinardo ne aveva 77, il conte Tommaso 44, il conte Facciolo 52, il conte Corrado 47, i conti Raniero, Tommaso e Facciolo, in comune, 6.

(3) Savioli, Ann. v. 1, pag. 133, 314.

(4) Savioli, Ann. v. 1, pag. 171.

(5) Savioli, Ann. v. 5, pag. 179.

(6) Histor. miscel. col., 301.

(7) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 278, 335, 395, 413.

(8) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 431.

(9) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 432, 453; v. 2, pag. 64.

(10) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 574; v. 2, pag. 85. Savioli, Ann. v. 3, pag. 225.

(11) De Griffonibus M. Memor. col. 118. Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 205. Sa- vioii, Ann. v. 3, pag. 422.

(12) Savioli, Ann. v. 3, pag. 478.

(13) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 229.

(14) Histor. miscel. col. 301. Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 348. A questa pace concorsero i seguenti dei da Panico: conte Ugolino di Ranieri e figli legittimi e naturali. Giacomo canonico e il fratello Tordino; i figli del conte Maghinardo: Rodolfo di Borniolo e i suoi figli naturali Cursino e Pietro, e i figli naturali di Maghinardo (Ghirardacci, Hist. v. 1. pag. 426).

(15) De Griffonihus M. Memor. col. 134, Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 486, 488.

(16) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 489.

(17) Histor. miscel. col. 310. Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 490.

(18) Histor. miscel. col. 310. Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 490.

(19) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 495.

(20) De Griffonibus M. Memor. col. 136. Histor. misceli, col. 311. Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 496, 497.

(21) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 500, 514, 533.

(22) De Griffonibus M. Memor. col. 137. Histor. misceli, col. 324. Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 562.

(23) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 564, 608.

(24) Histor. misceli, col. 338. Ghirardacci, v. 1, pag. 592; v. 2, pag. 46, 57.

(25) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 69.

(26) Histor. misceli, col. 363. Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 116, 122.

(27) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 240.

(28) Histor. miscell, col. 469. Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 258, 260, 264.

(29) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 91, 92, 162, 220, 230, 245, 245, 433.

(30) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 296.

(31) Dizion. corogr. v. 4, pag. 237.

(32) Dizion. corogr. v. 4, pag. 213.