N.96(14). Casa Berti già De Bianchi

Cartigli

Progettata da Giuseppe Verardi per volere di Carlo Berti nel 1775, conserva una scala ed una loggia 'all'antica' con stucchi (1777) e affreschi di G. Gandolfi. Le statue di Giunone, Venere, Amore e Minerva sono di D. Palmerani; le candeliere sono eseguite su disegno di G. Terzi e realizzate da B. Furlani; i rilievi con le Stagioni sulla volta della scala sono di L. Acquisti. Nelle sale del piano nobile decorazioni neoclassiche.

Guidicini

Casa dei De Bianchi, famiglia senatoria, che l'abitarono antichissimamente, anzi fu la prima loro abitazione, dicendosi che Filippo di Bianco Bianchi l'abitasse nel 1287.

Questo stabile nel 1309 era dei figli di Fra Bagarotto Bianchi, e fu rovinato por la caduta della torre dei Rodaldi.

1411, 15 aprile. Nicolò del fu Bianco Bianchi, erede di Pietro, Bianchi suo fratello, fece donazione al figlio naturale del fu Pietro Bianchi della metà di tutti i beni di detto Pietro, compresa una casa in Bologna sotto Santo Stefano, nella via dei Surici (Allemagna), e L. 140. Rogito Guglielmo dalla Stuppa e Nicolò dalla Foglia.

1414, 26 maggio. Divisione fra Nicolò del fu Bianco Bianchi e Antoniolo del fu Pietro di detto Bianco Bianchi, nella quale venne assegnato a detto Antoniolo una casa grande in Bologna sotto Santo Stefano, che già erano due, poi unite assieme, dove abitò detto Pietro. Confinava la via pubblica davanti, altra via a settentrione (Trabisonda), gli eredi di Zordino Bianchi, e quelli di Bartolomeo Lombardi. Rogito Andrea Bistino.

Li 19 aprile 1511 si concesse a Gio. Battista De Bianchi, che aveva casa in cappella Santo Stefano, e che confinava a settentrione colla via detta Zola per la quale si andava a Strada Maggiore, suolo nell'angolo di quella per fare un bel prospetto essendo deforme.

Il senatore conte Annibale di Alessandro Bianchi, morto li 19 novembre 1763 in età d'anni 61, abbandonò quest'antica dimora per passare nel casamento Seccadenari in Strada Stefano N. 107. Carlo Berti l' acquistò dal senator Giuseppe De Bianchi nel 1772 per L. 9500, e la ridusse con molta spesa nello stato attuale nel 1774. Ora è del suo erede Carlo Berti Pichat, figlio di Anna del predetto Carlo illustre nostro concittadino(1).

Nota(1).

Carlo Berti Pichat nato sul finire del 1800 non è soltanto una gloria di Bologna sua patria, ma pel suo ingegno e sapere, e per le sue opere è una illustrazione d'Italia e del nostro secolo. Il suo carattere e le une virtù civili e politiche hanno riscontro solamente nell'epoche dei Fabrizi e dei Cincinnati. Educato nel Collegio di S. Luigi di Bologna, vi lasciò ricordo di nobili esempi di sua giovinezza, e negli archivi di quel Collegio, ci si dice, si conservino ancora pregiati di lui componimenti musicali, essendo cultore amantissimo di questa bell'arte, e distinguendosi specialmente nel violino. All' Università si applicò agli studi fisico-matematici con singolare perseveranza e ne sortì profondo maestro.

Raccolta la ricca eredita dello zio materno, sig. Andrea Berti, ne assunse il nome, e si diede alla pratica e allo studio dell'agricoltura con un amore intensissimo, subordinandolo al consiglio illuminato della scienza. Condusse a sposa la signora contessa Vittoria Massari di Ferrara, nome caro a Bologna che in tutte le opere di carità e patrio interessamento mai sempre prese parte. N' ebbe figli emuli del carattere e delle virtù de' genitori.

Gli avvenimenti del 1831 richiesero Berti Pichat di sostituire alla cura de' campi il servizio della patria, ed eletto al comando di Guardie nazionali, con zelo ed amore indefesso seppe utilmente condurle e dirigerle, e nel 1832 n'ebbe il comando per una sedizione contro le truppe Pontificie. Fallita però la riescita di quel generoso e primitivo inizio di nazionale indipendenza, alla vita prediletta de' campestri negozi fece ritorno, con gran letizia de' suoi lavoratori agricoli che lo amarono e lo amano come padre benefico.

Uomo di prandi idee e di vigorosa iniziativa, pensò scuotere l'universale inazione della patria creando una vasta associazione agricola che comprendeva proprietari e coltivatori di città e di campagna, sotto il modesto titolo di Conferenza Agraria, per cui nella sua casa adunava ogni venerdì i soci per trattarvi oggetti economici agrari, e non vi fu straniero che visitasse quel consesso senza esser rimasto compreso di ammirazione, mentre trattando gl'interessi privati dava pur anco forte impulso alla cosa pubblica. In queste, in apparenza, umili ma fruttuose riunioni, fece le sue prime prove il Minghetti che per la sua capacità fu insignito della presidenza, ed il Berti Pichat del segretariato perpetuo, e nel suo giornaletto di agraria, economia e industria, intitolato il Felsineo, pubblicava i verbali delle sedute, insieme a' suoi articoli agrari popolari sempre brillanti, e di spiritosa crìtica eziandio sul governo della pubblica cosa.

Grandi proprietari, eletti ingegni, e modesti fattori e coltivatori facevan parte di questa Conferenza che estendeva le sue corrispondenze in tutta la provincia, e di qui escirono le prime rappresentanze o petizioni al governo sui bisogni dello Stato.

Giunta col 1846 i'epoca delle riforme, la patria trovò negli uomini della Conferenza Agraria un utile centro di attività. Si costituì inoltre un altraConferenza per trattare morale e politica, alla quale non solo il Berti Pichat accordò residenza nella propria abitazione, ma le cedè ancora il suo giornale il Felsineo, e perché avendo concepito più vaste aspirazioni, stimò opportuno fondare altro giornale politico che intitolò l'Italiano, propugnando esso colla vigorosa e potente sua penna il riscatto e la nazionale indipendenza.

Le rivoluzioni di Milano e di Venezia furono il compimento de' suoi voti, poi andò a Roma per dare impulso al governo, e proclamata la guerra nazionale, annunzio a' suoi associati dell'Italiano non essere più tempo di parole, ma di fatti, e per questo lui primo impugnava la spada e sospendeva il giornale.

Partì pel Veneto con un battaglione bolognese, e prese parte ai fatti militari dell'assedio, finchè civici e volontari fecero ritorno nel dicembre.

La Provincia di Bologna avea bisogno di forte e illuminata mente per governarla, travagliata com'era da mala amministrazione e da attentati contro la pubblica sicurezza, venne perciò dal Governo di Roma nominato il Berti Pichat Preside della Provincia di Bologna, e Comandante militare delle quattro Legazioni.

In un istante cangiò d'aspetto l'andamento amministrativo della Provincia, e siccome continuavano i furti e le aggressioni, così pubblicò un proclama che si rese celebre, incominciando colle parole È ora di finirla ! Alle parole fecero seguito i fatti, perocché i suoi ordini e le da lui emanate provvidenze restituirono ben presto l'ordine e la sicurezza ai cittadini e alle provincie.

Avvenivano poco stante le elezioni per la Costituente e Berti Pichat veniva eletto membro dell' Assemblea con 49 mila voti. La corte di Gaeta intanto congiurando, spediva Commissario Mons. Bedini per sollevare le truppe Svizzere, e condurle seco presso la Curia Pontificia, suscitando la guerra civile. L'energia di Berti Pichat però sventò il progetto, addimostrando al Generale Svizzero il fermo proposito di opporsi alla loro partenza confidando nell'aiuto del popolo, che riponeva ogni fiducia in lui e mostravasi pronto a seguirlo. Il Generale Svizzero, veduta la fermezza del capo del Governo, di cuii conosceva non meno l' intelligenza che il coraggio. venne a trattative, rinunziò ai progetti del Bedini che dovette sollecitamente fuggire, ed accettò che i Corpi Svizzeri fosserj disciolti. Frattanto l'Haynau minaccioso mostravasi a Ferrara, e pretendeva giungere a Bologna, ma il Berti Pichat nominò tosto una Giunta di Governo, assimilando egli il comando delle truppe. Le disposizioni date, la temuta risolutezza del Preside di Bologna, consigliarono I'Haynau a differire i suoi progetti e abbandonò Ferrara.

Eravi crisi monetaria proronda, e pel licenziamento degli Svizzeri ne occorreva molta per mantenere i patti della loro capitolazione. In breve tempo senza che la piazza ne sentisse aggravio, radunò il Preside l'occorrente numerario, e lo scioglimento pacificamente fu eseguito. Non mancarono però perturbazioni specialmente pel battaglione giunto da Forlì, e per le mene dei cospiratori pontifici, noudimeno ogni ostacolo fu superato.

La fama delle opere di Berti Pichat produceva entusiasmo in tutte le Provincie, onde no fu penetrata l'Assemblea Costituente che nella seduta del 22 febbraio 1849 lo proclamò unanime benemerito della patria, distinzione ben più onorevole di ogni altra decorazione.

La voce pubblica e la stampa insistendo nell'ammirazione del Preside di Bologna, lo designò come Ministro, infatti il Triumvirato a tal posto lo nominò, ed egli rinunciando al governo della città, parti per Roma, ma tosto ch'ei s'avvide la responsabilità della cosa pubblica appartenere al Triumvirato, di cui i Ministri non venivano ad essere che commessi, immediatamente rinunciò, volendo egli solo, e non altri, responsabile degli atti suoi in faccia alla nazione.

Ritornato a Bologna, ben presto ebbe a rendere nuovi servigi, per essere lo Stato minacciato da invasione straniera, per cui partì alla testa del battaglione bolognese che egli fece coprire di gloria nella difesa memorabile dell'eterna citta. Le storie e le incisioni ricordano ancora il fatto del 13 giugno sui monti Parioli. Tanto coraggio fu premiato per la giornata favorevole che i nostri si ebbero, riconquistando posizioni ch'eran state abbandonate. Roma era costernata per la novella sparsa sulla morte di Berti Pichat, che alcuni dicevano sol gravemente ferito, e in tutti gli ospedali fu preparata una camera per ricevere il benemerito cittadino e valoroso soldato, quando con istupore generale fu fatto segno alla pubblica ammirazione, passando per Roma in una vettura, entro la quale si recava agli ospedali a visitare i feriti del suo battaglione che amava come figli.

E a Velletri, e nei fatti successivi non ismentì mai il suo carattere, il suo valore, e fu esterefatto il giorno in cui l' Assemblea dichiarò cessare dalla difesa — la patria esser perduta — .

Gli fu giocoforza prendere la via dell'esilio, e passare in Francia per ridursi in Isvizzera. L'uomo nato per la patria e per la famiglia che tanto amava, eccolo condannato all'isolamento. Ma se grande ne fa il dolore, non meno gli venne la costanza del carattere onde sopportarlo fino all'ultimo giorno della liberazione, con eroica rassegnazione. Ma fece di più, passato in Piemonte, volle nel suo esilio, novello Crescenzio, accrescere alla patria in catene lo splendore, e nel 1850 incominciò la pubblicazione della sua grand'opera intitolata: Istituzioni Scientifiche e Tecniche, o Corso teorico-pratico di agricoltura. Egli era già conosciuto nel mondo letterario, essendo membro dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna. e di molte altre Accademie. I di lui scritti erano stati coronati dai più felici successi, onde gran rumore levò in Italia e fuori I'annunzio della sua colossale pubblicazione. Giornali italiani e stranieri, corpi scientifici fecer plauso alla più grande opera originale di questo secolo, meraviglia di sapere e di erudizione, per concetti e per pratica ed esperienza sorprendente, talché in alcune Università fu accolla per testo. Visse il suo esilio in campagna, fra gli studi e l'indefessa attività pel suo lavoro, e il pratico esercizio della coltura de' campi.

Finalmente il 1859 benaugurato ridonava Berti Pichat alla sua terra natale, alla sua famiglia. Fatta accorta la città del suo arrivo, a migliaia accorsero i cittadini col concerto musicale a farli onoranza, con immenso sforzo di applausi, ch'egli accoglieva dal Balcone con lacrime di tenerezza, riconoscente alla memòria che di lui serbavano, e alla imponente amorosa dimostrazione. Tosto fu eletto Consigliere di Stato, Consigliere Comunale e Provinciale, e Membro dell' Assemblea delle Romagne, nella quale fece parte della Commissione Legislativa e di altre Commissioni importanti.

Pubblicata la convocazione del Parlamento, fu eletto deputato del terzo Collegio di Bologna, e ripetutamente confermato, e quel posto occuperebbe ancora se egli non avesse offerto la sua spontanea dimissione nel 1868.

Fra i molti suoi incarichi ebbe pur quello di presiedere una Commissione di tre membri per recarsi nell'Italia Meridionale ad eccitare ed istruire quei paesi sulla coltivazione del cotone e del tabacco. Le accademie delle due Sicilie lo nominarono fra i suoi membri, e Benevento lo dichiaro suo cittadino.

In questo frattempo pubblicò scritti interessanti di pubblica economia e difinanza, oltre i Manuali per Ia coltivazione del tabacco, pel cotone, per Iafognatura, per la cànapa, più la sesta edizione di quello dei bachi da seta.

Nel!'anno 1872 essendo stato sciolto il consiglio Municipale, e quindi eseguite nuove elezioni, venne eletto e nominato facente funzione di Sindaco.

Finalmente i rappresentanti del Consorzio delle Provincie dell'Emilia, radunati in Bologna, elessero il Berti Pichat a membro del gran Giurì Internazionale, come Giurato pel III gruppo all' Esposizione di Vienna, ove si recò e adempì, con quell'attvità, intelligenza e giustizia che lo distinguono, il suo mandato ad onore d' Italia.

Il Berti Pichat per vita sobria ed attiva, per costumi intemerati, per intelligenza e cuore, esempio rarissimo, è uno di quei cittadini a cui si può sempre ricorrere ed ottenere segnalati servigi. La sua lealtà, la sua probità, il suo carattere, le sue virtù, lo dimostrano lo specchio del vero italiano, del vero cittadino, benemerito dalla patria. Dio lo conservi lungamente all'amore della sua famiglia, all'affetto de' suoi concittadini, a Bologna, all'Italia; lo conservi nell'attual vigore ed energia di tutte le sue fìsiche forze, e delle chiare e splendide sue facoltà della mente e dello spirito. L' Editore.

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