67 - Casi occorsi a diversi soggetti bolognesi in aggiunta al Dolfi.

Armi Aurelio di Giovanni senatore.

Li 4 maggio 1614 venendo esso da s. Francesco, i marchesi Cesare Taddeo, ed Ugo Pepoli lo incontrarono dalla Madonna delle Asse, fermatosi dalla parte del muro, esigendolo dai Pepoli II marchese Cesare Pepoli gli domandò bruscamente — perchè esigete voi questi termini? L'Armi rispose — perchè mi si competono. I Pepoli lo tolsero di là a viva forza, e conseguentemente sguainate le armi, venne a fatti, toccando la peggio all' Armi che restò ferito e due suoi servitori mortalmente. Portato nel prossimo palazzo Amorini da S. Salvatore, e postosi bocconi su di un letto morì. — Così il fatto vien narrato dal GhiseIli.

Nella relazione fiscale fra la causa Pepoli ed Armi, invece così si riferisce.

Ebbero origine i disapori fra il senatore Aurelio Armi, ed il conte Filippo Pepoli per un fosso fatto fare dal primo a S. Giovanni in Persiceto (ove possedeva molti terreni) e questo per ripararsi dalle acque, che poi recavano danno al conte Filippo Pepoli. Vi mandò tosto degli uomini che in una notte lo riempirono. Si recarono sul luogo l'Auditore ed i sbirri. Furono citati a comparire in tribunale quelli della Palata, ma il messo che portava la citazione fu bastonato, ed i sbirri maltrattati e messi in fuga da contadini armati di zappe.

II Legato Barbarini fece eseguire un sequestro tanto nel palazzo dell'Armi che del Pepoli, li fece far la pace ordinando che i condotti fossero rifatti, e pagate le spese a chi si competeva, quali furono abbastanza rilevanti. Di qui dunque ebbe principio il mal umore fra i Pepoli ed i dall'Armi, e così quando il primo maggio 1614 il conte Ercole Pepoli fece l'entrata sua solenne siccome Anziano, il senatore Armi non solo si rifiutò di prendervi parte, sebbene consigliato da molti amici, ma si permise sopra mercato proposizioni sconvenienti contro i Pepoli, che malauguratamente gli furon riportate.

Il primo aprile, prima di questo fatto avendo luogo la festa della B. V. del Borgo S. Pietro, e ritrovandovisi il senatore Armi in carrozza incontrò il Pepoli a cavallo accompagnato da parecchi gentiluomini, salutò cortesemente questi, ma rifiutossi riguardo al Pepoli Ercole che però non disse motto alcuno. Fu notato che nel secondo incontro avvenuto, il conte Ercole si contenne siccome l'Armi, e così furon dirette aspre parole sì dall' uno che dall' altro, ma attraversati e divisi da quelli che seguivano entrambi a cavallo non ebbe luogo alcun sinistro.

Il conte Ercole voleva esigere una tal somma dai Fiorentini o Genovesi, i quali intendevano computarla in un credito di tremila ducati che avevano verso l'Armi, assicurando che da questi sarebbe prontamente saldato, ma l'Armi rispose che l'avrebbe fatto a tutto suo comodo.

II 4 maggio 1614 avendo il .senatore Armi accompagnato il Cardinal Legato a Palazzo, venendo dalla processione della B. V. di S. Luca, che aveva avuto luogo verso s. Francesco, nel recarsi a casa ove dava un pranzo, quando voltò verso la Madonna delle Asse scorse da lungi i marchesi Cesare Taddeo, Ugo Rizzardo Pepoli, ed il figlio del conte Jacopo con i loro bravi, e Muzio Ercole Berò, e Magron. L' Armi tosto si slanciò per occupare il muro avendo seco il maestro di casa Nicolò, un altro suo confidente e pochi servitori. Il marchese Taddeo Pepoli gli disse che andasse per la sua strada, alla quale intimazione l'Armi rispose che come senatore gli competeva il muro, e come Aurelio Armi glielo avrebbe ceduto, mettendo però contemporaneamente la mano sull' elsa della spada; ma i Pepoli lo prevennero dandogli una stoccata e malamente ferendo il suo mastro di casa. Il terzo in compagnia dell' Armi raccomandava che cessassero da ulteriori sevizie, ma dal Pepoli gli fu ri sposto che deponesse le armi altrimenti gli sarebbe toccato la peggio, per cui obbedì tosto. Ma però vi hanno altre versioni e cioè che quegli che ferì l'Armi, fosse stato il marchese Ugo, altri che il Taddeo Pepoli lo disarmasse soltanto e lo lasciasse rifugiarsi nella Madonna delle Asse, risparmiandogli la vita ed accontentandosi del già toccatogli, e che rimasto l'Armi per alcun tempo in chiesa si risolvesse di andare a casa, credendo non avventurarsi ad ulteriore incontro tanto più che i Pepoli se l'erano svignata verso la porta S. Mamolo rifugiandosi nell'Anunnziata, ma che sentendo crescere il rumore popolare coressero a S. Michele in Bosco, ove montati su veloci destrieri fuggissero alla volta di Pontecchio accompagnati da molti seguaci. Soggiungesi che il conte Ercole Pepoli che era Anziano, scorgendo dalle finestre la insorta zuffa accorse co' suoi servitori ed un bravo chiamato il Passerino. Il conte Aurelio Armi allora giunto alle scalette degli Amorini, trovò il Passarino che gli scagliò ingiuriosissime parole, poi a più riprese lo ferì e particolarmente nella testa, e riparò poi nella chiesa di S. Salvatore assieme agli staffieri del Pepoli, che furono quest' ultimi fatti prigione dagli sbirri, ma non così il Passarino che fu salvato dai frati a furia di denaro. Il conte Ercole smarrito e confuso era per recarsi altrove, ma quindi colto da due soli sbirri che messolo in una carozza lo trassero prigione. Accorsero poi. ma tardi il conte Prospero Castelli ed il conte Bentivogli degli Anziani.

Il conte senatore Aurelio cosi ferito fu trasportato al palazzo Amorini, ove in mezzo a spasimi orribili mostrò molta devozione, togliendosi dal collo un reliquiario che il cardinale Montalto gli aveva donato. Il prete che lo assisteva poco e nulla poteva intenderne dal povero moribondo, ma pure assicurasi che gli stringesse la mano, onde addimostrare che perdonava a tutti. La sua morte fu dovuta al Passerino, perchè le antecedenti ferite potevano ritenersi poco più che graffiature per cui se non accorreva il conte Ercole Popoli co' suoi seguaci esso ne sarebbe sortito quasi illeso.

La stessa sera della sua morte la compagnia dei Poveri coi frati di S. Salvatore, vennero a trarlo da casa Amorini. Le sorelle del defunto non intesero accordare mai perdono a coloro che gli avevano assassinato il fratel suo, e per tal sinistra catastrofe tutti i Principi sollecitarono grazia pel Pepoli dal Papa, che fu irremovibile. Molti credono che la truppa del conte Ercole sparisse, che esso solo rimanesse in prigione per pochi giorni, fuggendo da essa una notte essendo stato secondato da amici suoi, e che il cardinale Borghesi lo raccomandasse al Legato nei termini i più spiegati, e precisamente come se fosse stato un fratel suo.

Il marchese Riari per questo fatto dovette fuggire da Bologna e poi pagare diecimila scudi di garanzia se volle ripatriare. Il conte Filippo Pepoli che porse mano ai suoi congiunti mandandogli cavalli ed armi, dopo qualche tempo scoperto su ciò gli fu intimato dal Brambilla sotto auditore per parte del Legato, di porger cauzione di ventimila scudi. A questa intimazione rispose di non potere in nessuna guisa accudire, non avendo chi potesse fargliela e che attendesse l' arrivo di qualche gentiluomo che andava a far chiamare. Arrivò uno degli Scotti ed il senatore Castelli, che fecero le viste di trattare questo affare in unione a Francesco Parati coll' auditore, ed il Castelli chiedendo di allontanarsi il conte Filippo disse — con vo stra licenza — e fingendo accompagnarlo, raggiunte certe scale segrete scese alle stalle, e cavalcato un bravissimo destriero se ne fuggì a tutta corsa. L' auditore aspettò gran tempo il suo ritorno, ma poi s'accorse di essere stato burlato. Tutta la nobiltà fu motta lieta che il conte Filippo fosse riescito a fuggire, mentre avevansi gravi indizi che il Papa intendeva condannarlo a morte. Vien fatto credere da alcuno che da Modena venissero molti uomini armati per accompagnarlo e che lo aspettassero fuori porta, e da altri che l' auditore avesse accudito mediante una grossa somma di denaro. Il custode del Porto Navile fu incarcerato perchè la grada era stata aperta, per dove credesi che fuggisse il conte Ercole la notte stessa del fatto accaduto, ed altri dicano che fuggisse per porta s. Felice vestito da corriere.

Implorarono pei Pepoli presso il Papa i Duchi di Parma, di Modena, di Mantova, di Urbino, il Gran Duca di Torino, gli ambasciatori di Spagna, di Francia e molti cardinali, ma il Papa non volle sentirne parlare di nessuna guisa. Dal palazzo del conte Ercole furono levati tutti i mobili, argenterie, e gioie, per tema che potessero essere confiscate. Si radunarono da circa venti gentiluomini col procuratore Fontana, e le consorti tutte dei Pepoli per tener parola sul modo da tenersi in tanto frangente, ed il Legato Barberìni favorì molto il conte Ercole che lo lasciò fuggire, e fu pel meglio altrimenti essendo ne sarebbe venuto un danno alla città, per la quale la famiglia Pepoli era il maggior splendore.

Ariosti conte Rinaldo

Fu figlio del conte Cristoforo maritato nella Catterina Aleari Palermitana. Fu esso agente del Duca di Modena in Bologna. Nel 1606 in unione ad Atti, lo Ariosti e Cosimo Bargellini, furono carcerati causa l' omicidio accaduto sulla persona del conte Antonio Ruini, e precisamente alli 15 settembre 1606, e fu pure arrestato il conte Francesco Maria Ranundosi co' suoi fratelli Attilio Galeazzo Vincenzo canonico di S. Pietro ed Azzo, giurò inimicizia eterna contro Odoardo, Flo- riano, Ovedio e Gregorio fratelli Bargellini, e questa fervente avendo voluto il canonico Vincenzo Ariosti passare più volte sul limitare della porta di Odoardo Bargellini, fu da esso ucciso mediante archibuggiata, poi Mario Bargellini fu ucciso in Bologna, e Gregorio fuori di città. Perdurò tale inimicizia per lungo lasso di tempo alternandosi vicendevolmente atti ostili, ma finalmente mercè l' interposto di alcuni Principi ebbe termine del tutto. Il conte Rinaldo Ariosti mori nel 1670.

Beccadelli

Lo stipite di questa famiglia alcuni fan derivarlo da un cavaliere inglese morto a Bologna da ottocento anni circa. Altri pretendano che provenga da un certo Arrigo Beccadelli marito della vedova di un suo zio, dalla quale ebbe due figli, che uno fu Antonio Arcivescovo di Londra, l'altro Giuliano che poi si stabilì in Bologna. Questo Arrigo venne in Italia accompagnando il figlio di un Re d' Inghilterra. Altri invece lo credono proveniente da un Greco che accompagnò a Bologna S. Petronio. Ma tutte queste dicerie non scemano punto l'antichità di tale famiglia. Vannino di Ricciardo, oppure Riccardo, scacciato da Bologna nel 1334 recossi a Napoli con tutta intera la sua famiglia, dalla quale ne sortirono i Duchi di Bologna in Sicilia, e da questi Antonio Panormita che nel 1433 fu carcerato dall'Imperatore Sigismondo, che piantò la sua casa in Napoli, chiamata del Seggio di Nido. La famiglia stabilitasi a Bologna fu chiamata ancora degli Artenisi. Furono accerrimi nemici dei Pepoli, e scacciati da Romeo, quindi posti in bando nel 1321. Nel 1336 furon di bel nuovo scacciati da Taddeo Pepoli, e dalla sezione scacchese.

Dopo circa tredici anni d'esilio e precisamente quando Bologna era sotto il dominio dei Visconti ripatriarono, ma impoveriti alquanto pel sofferto esilio gli mancò la forza per potersi mettere a capo del loro partito. Giovanni Antonio Vittori ci riferisce che Artenisia od Artemisia fu sempre chiamata la famiglia Beccadelli. — Artos e Misios sembra che debba alludere allo stemma che è una branca alata. Gli storici tutti concordano sull'antichità di questa famiglia, e si ricorda di loro un Artenisio detto Beccadello, pel dominio e proprietà che tenevano di un Castello chiamato Beccadello, che trovavasi non molto lungi da Bologna e sulle rive dell'Idice. Circa l'anno 1114 la famiglia Artenisi Beccadelli inalzò la superba e vaga torre nell'angolo delle Giubbonerie.

Ebbero inimicizie coi Griffoni ed i Castel de' Britti. Il consiglio fece tagliar la testa ad Amadeo Beccadelli uno dei capi nell'anno 1242 ed atterrare le loro case, poi per interposto di frate Giovanni da Vicenza domenicano, si rapacificarono nel 1244. Nel 1285 i Lambertazzi avendo potuto dalle Romagne penetrare in Bologna fecero strage dei Beccadelli, distrussero il Castello del Beccadello fin dalle fondamenta, e secondati dai Castel de Britti atterrarono la magnifica torre posta nelle Giupponeriè, bruciarono la casa di Mino Beccadelli che poscia uccisero. Questa torre era ove presentemente trovasi il Foro de' Mercanti, il di cui suolo fu allora acquistato da Beccadino figlio di Mino al quale lo cedette il Consiglio. Beccadelli Colaccio di Mino di Cenno, sposò poi Agnesina di Castel de Britti, che morì in lmola il 23 maggio 1342 dopo sei anni d'esilio. Il Vittori invece dice che ebbe in moglie Millina di Bornino Bianchi.

Bovio Giovanni

Li 1 dicembre 1621 essendo esso andato a cavalcare sul guasto dei Bentivogli circa le ore sedici, mentre stava assieme ad altri gentiluomini osservando il cavaliere Sabattini che colà equitava, il signor Orazio Soiimei che abitava in strada Maggiore, gli tirò un' archibuggiata dalla parte sinistra che lo passò da parte a parte, e la palla andò a confinarsi nel muro. Cadde subito a terra e voltosi conobbe chi era stato dicendogli voi mi avete assassinato; cominciò a sgorgargli il sangue dalla bocca in grandissima copia, ed il Solimei fuggì verso S. Jacopo avendo quattro che lo guardavano alle spalle, poi andò in S. Martino e così fu salvo. La cagione però dì questa catastrofe provenne dal essere il Bovio venuto alle mani in casa Malvasia con un amico del Solimei, che gli fu dato fuggire in casa propria e chiuderne la porta. Sopraggiunto il Bovio con molti dei suoi volle entrare a viva forza in casa Solimei credendolo quivi rifugiato, e non potendolo, insultò infamemente il Solimei, per cui ne nacque fra loro inestinguibil sete di vendetta, e tale che ogni volta gli veniva fatto d'incontrarsi dirigevansi aspre parole. Meno il Calcina uno dei seguaci del Solimei che ebbe a soffrire molte persecuzioni, gli altri non furono per nulla molestati. Il Bovio era generalmente maleviso ai gentiluomini per essere molesto, e per accatar brighe con tutti, disgraziate tendenze che furono ereditate da suoi posteri e per le quali renderonsi di proverbiale tradizione. Il Bovio così ferito fu trasportato in casa dei Piatesi suoi congiunti. Sopravisse quattro giorni soltanto, ed amministratogli i sacramenti, fu detto che morisse compunto con somma sorpresa di tutti. Questo stesso Bovio che abitava in strada Stefano, essendo a tavola il 31 luglio 1613 ad ore due di notte sgridò il suo credenziere, che gli rispose risentito. Il Bovio gli scagliò un piatto nella testa, ed il credenziere gli appicicò due coltellate per le quali dovette serbare il letto per alcun tempo.

Ai 22 marzo del 1615 da casa Mellara, il Bovio fu ferito nella testa da un servitore di un nobile veneto, la quale ferita però fu di poco momento, e che andò a curarsi in casa Vitali. Ne fu causa l'esser egli in casa di una donna di mal affare chiamata la modenese. Il nobile veneziano fece picchiare all'uscio di costei dal suo servitore, ed il Bovio presentatosi gli scagliò acerbissime ingiurie. Fu poi detto che il servitore fosse ucciso a Venezia. Nel maggio 1615 andando di notte a diporto con alcuni giovani suoi amici, e trovando porte aperte di povera gente li portava a certa distanza, e così facendo a quella di un uomo dabbene, che abitava dietro Reno e che aveva zitelle in casa, perchè rimproverò il mal loro contegno fu gettato nel canale. Il Legato lo fece incarcerare in unione ai suoi compagni, ma dopo pochi giorni tutti furono messi in libertà. Era conchiuso il suo matrimonio con Ippolita del conte Orazio Lodovisi, quando precisamente il di lei zio cardinale fu fatto Papa sotto il nome di Gregorio XV, ma questi volle che si sciogliesse il contratto, e la diede invece in isposa al Principe Aldrobandini. Nell'agosto 1621 fece dare delle pugnalate ad un suo servitore da casa Bolognini, che venne a morire dalla sua porta, e ciò fece eseguire per tema che potesse denunziare alcuni suoi misfatti.

Bentivogli

Bentivogli Giovanni 1°, di Antonio, marito di Elisabetta Sampieri nell'anno 1401. Ebbe la prima tonsura li 22 febbraio 1377. Trovasi una comparsa di Lorenzo Rossi procuratore di Margherita, del fu Filippo Guidotti, già moglie di Giovanni. Il Sigonio dice che assunse il titolo di Conservatore della Libertà offertogli dal popolo, ma non è vero. Occupò però il dominio e s' intitolò Dominus. Era molto devoto della Madonna del Baracano. Fu ucciso nel 1402.

Bentivogli Antonio, di Bertuccio, detto Toniolo. Fece esso testamento li 25 ottobre 1374. Evvi un documento che prova la di lui morte essere seguita nell' anno 1374, e che gli fu interdetta la sepoltura ecclesiastica, per gravi usure da lui praticate nel corso della sua vita. Il suo testamento trovavasi nell'archivio Masini. Fu marito di Zana Maranesi e fu dottore.

Bentivogli Antonio di Giovanni 1°, ossia Antonio Galeazzo

Li 16 febbraio 1416 i sedici Riformatori gli confermarono il dono del reddito sulla tassa degli Ebrei proveniente alla Camera di Bologna, che ammontava alla somma di circa 530 fiorini d' oro. Sposò esso Francesca Gozzadini nell' agosto 1420, e la condusse a Castel Bolognese, nella qual terra per Bolla del Papa emanata il 20 agosto dell' anno stesso era Vicario. Nel 1423 fu bandito per causa di Stato in unione ad Annibale suo figlio. Sua moglie era figlia di Gozzadino Gozzadini. Era dottore in leggi e fu fatto decapitare li 24 dicembre 1435 dal Governatore di Bologna per ordine di Eugenio IV. Fu pure Riformatore nel 1416.

Bentivogli Annibale I, d'Antonio Galeazzo

Li 20 giugno 1423 fu bandito in unione al padre, nella tenerissima età di appena due anni, dacchè suo padre avea sposato la Gozzadini nel 1420. Alcuni hanno voluto far credere che fosse bastardo, ma siccome nel bando vien nominato subito dopo Antonio, così se realmente lo fosse stato non si sarebbe tenuto conto veruno di lui nel succitato bando, ne sarebbe stato neanche nominato prima di tant' altri subito dopo il padre. Ai 14 ottobre 1438 gli venne confermata la concessione sulla tassa degli Ebrei estesa ai suoi figliuoli leggiltimi. La cronaca Bianchetti dice, che nel 1430 Annibale aveva 25 anni, e se ciò fosse, o non poteva essere figlio della Gozzadini, o la Gozzadini fu sposata prima del 1420, o finalmente il Bentivogli non poteva avere 25 anni. Li 20 ottobre 1441 fissò la dote di Elisabetta sua sorella, data in isposa a Romeo di Guido Pepoli nella somma di mille ducati d'oro, nel quale istrumento rinvengonsi espressioni che fanno nascere qualche dubbio sulla legittimità di Annibale. Il Rogito è di Antonio da Manzolino. Li 10 dicembre 1441 Nicolò Picinino gli assegnò il molino nel Comune di S. Maria in Duno, in luogo chiamato Ponte Poledrano con sua possessione, ed altre pezze di terra in detto Comune. La cronaca Seccadenari sotto la data dei 17 marzo 1441, annunzia il matrimonio di Elisabetta figlia leggittima d' Antonio con Romeo Popoli, e dice esso pure che Annibale era bastardo. Fu marito di Donina di Lancilotto Visconti affine del Duca di Milano. Alcuni documenti che risguardano la tutela di Giovanni II, assunta dalla moglie di Annibale e dall' avia, confermerebbero invece la leggittimità d'Annibale I. La cronaca Tagliacozzi dice che aveva 36 anni quando fu ucciso. Fu il Ghirardazzi che nel tomo terzo della sua opera sparse dubbi sulla sua leggittimità.

Bentivogli Sante di Ercole, figlio naturale e signore di Bologna, marito di Ginevra Sforza figlia del signore di Pesaro nel 1450, dal Comune fu donato degli avanzi rimasti sugli utili della tesoreria.

Bentivogli Giovanni II

Fu esso marito di Ginevra Sforza. Il Duca di Milano gli donò i Castelli di Calvi e di Antignano. L'imperatore Massimiliano lo insignì dell'Aquila da porsi nel suo stemma. Ebbe esso il senatorato nel 1465, ed agli 8 dell' anno 1445 la sua tutela era stata assunta da Francesca Gozzadini vedova d' Antonio, e da Donina Visconti vedova d'Annibale. Questo documento pure prova la leggittimità di Annibale, perchè le tutrici accettano ut proximiores de jure delatam, e nell' atto stesso a più riprese sono nominate — Mater et Avia. — Veggasi il Rogito di Cristoforo del fu Antonio Fabbri. Nel 1443 il Consiglio Generale dei Seicento donò il dazio delle carticelle per anni 5 ad Annibale, cominciando dal 1 gennaio 1449. Giovanni fabbricò il magnifico palazzo Belpoggio fuori di strada Stefano (ora Ercolani) e lo passò in dote a Lucia sua figlia naturale, e moglie d'Alessandro Sforza Attendoli Manzoli fabbricò pure quello di Foggia Nova e quello del Bentivoglio. Testò li 17 dicembre 1501. Nel 1488 aveva ottenuto la nobiltà veneta, e nel 1495 terminò la fabbrica del suo palazzo. Nel 1495 fondò la compagnia della B. V. della Consolazione in S. Jacopo, e finalmente cessò di vivere a Milano li 11 febbraio 1508 nell' età di anni 66.

Bentivogli Giovanni II, di Giovanni II

Fu marito di Lucrezia figlia naturale di Ercole d'Este Duca di Ferrara. Stabilì la sua famiglia in Ferrara. Li 18 di settembre del 1511 divise co' suoi fratelli, e fece testamento li 23 settembre 1534.

Tutto quant' altro a Iui riferiscesi lo abbiamo di già dato quando stendemmo la storia ristretta del capitano Ramazzotto.

Beltrami

Nel secolo decimo settimo fu decapitato per avere rapito e stuprata la sorella carnale di sua moglie, figlia di Ser Pirro Begliossi o Belliossi, ed ecco come ci viene riportato il fatto. Il tintore Beltrami inamorato di sua cognata che abitava da Santa Lucia si accordò con lei, e dopo aver tolto al di lui padrone quanto trovavasi di seta nella sua bottega, fuggirono entrambi in una vettura. Il padre della putta Ser Pirro Begliossi notaio accortosene, in unione al padrone del Beltrami avvisarono la Corte di questa fuga. Lo sbirro Sant' Urbano li raggiunse sulla strada di Ferrara a sei ore di notte, e li tradusse a Bologna. Il Legato Giustiniano volle che morisse.

Implorando non morire impiccato ottenne la grazia di essere decapitato come difatti successe. Sperava di ottenere la grazia mediante il cardinal Sforza, che doveva giungere a Bologna, ma non arrivò in tempo. L'Arcivescovo prese sotto la sua protezione la fanciulla, perchè il di lei padre era notaio dell' Arcivescovato e la diede in consorte ad un suo sostituto. Pirro Begliossi era poi morto nel 1611.

Bargellini Ermes

In giugno suo fratello Ugo aveva sposato una donna da bordello, che poi si scoprì ancora manutengola da ladri, e perciò più non la volle e fece metterla nel convento delle Convertite. Il procuratore Lazzaro che trattava per costei, trovandosi in Vescovato col suo figliuolo, ove pure trovavasi il conte Giulio Cesare Bargellini con altro suo fratello, che abitava nel Begato assieme al signor Ermes, usò verso i medesimi modi poco convenienti ed anzi insultanti, che sopportarono con una pazienza senza limite, ma alla fine volendo il figlio del procuratore prendere la parte del padre, il conte Giulio Cesare, quando fu nel cortile, gli lasciò andare un sonoro pugno nella faccia per non avere la spada. S' impugnarono dagli altri le armi, ed il sig. Ermes venne ferito in una mano. Il figlio di Lazzaro non potè esser ferito per chè era armato, infine tutti fuggirono. Dall'Arcivescovo, e molto peggio da Roma, fu inteso tal fatto, ed in guisa che se avessero potuto averli nelle lor mani li avrebbero certamente fatti morire. Il procuratore avanzò querela, ed il 25 ottobre 1605, andando a casa, fu ferito nella testa da un pugnale alla bolognese, più in un braccio, mortalmente. Suo figlio uscì fuori con alabarda, o forcale, e corse dietro al feritore, il quale aveva quattro pistole. Ne esplose due, ed una andò direttamente a colpirlo nella chiavichella, e l' altra in un orecchio, sempre correndo da casa Sampieri fino in Gatta Marza, dove incontrato da un giovine dei Felicini che voleva pur trattenerlo, esplose pure contro quello, sempre continuando a correre, le due altre pistole, che una lo ferì alla testa e l'altra in un Fianco. Ma il Lazzaro da lontano sempre gridando fece crescere il raduno di persone e cosi raggiungere il fuggitivo e colpirlo col forcato nella testa, gettarlo a terra, poi dargli un altro colpo nel fianco in guisa che imbattendosi nei birri dei Mendicanti fu preso e legato con una fune da pozzo. Era questi un giovine distinto che non avrebbero potuto averlo se non fosse stato ferito. Portava esso una barba posticcia, lo condussero in palazzo con seguito di molte persone.

Per questo fatto il 6 novembre 1605 fu preso al Poggio Marcantonio Lambertini, che si giustificò provando non aver preso parte alcuna in questo affare. Vi erano però intricati uno dei Bottrigari, genero del Rossi, che abitava nella via di Mezzo, il cav. di Malta Carbonesi, Marcantonio Ghiselli, ed il sig. Carlo Zani.

Bolognlnl di Galliera

La famiglia del conte Gio. Battista Bolognini è il vero stipite dell'antichissima di quel nome. L'ultimo senatore Bolognini riconoscendola per tale, affinchè non cessasse con lui dopo la morte del canonico frateI suo e de' suoi cugini marchese Fulvio e Cesare, lasciò erede universale il figlio del conte Gio. Battista.

Per varie disgrazie sofferte e per dispendiosissime liti sostenute contro la casa senatoria Zambeccari pel lasso di molt'anni, avendo dovuto per ben due volte all'anno il suddetto conte Gio. Battista recarsi a Roma per sorvegliare le vertenti cause, si restrinse l'annua rendita a soli 500 scudi, rimanendo gravato il patrimonio di debiti fruttiferi per la dote costituita alla figlia maggiore maritata in casa Soglia d'Imola. Oltre detta figlia avea un maschio d'anni 21 e due altre femmine, una dell'età di anni sedici e l'altra di quattordici, e quest'ultima di straordinario ingegno.

Bolognetti Camillo di Iacopo Maria In Dorotea Zambeccari

Fu paggio di Clemente VIII. Sua moglie era figlia del capitano Carlo Zambeccari e sorella di Camillo. La trovò col senatore Filippo Pepoli che soleva andar spesso da lei. Un bel giorno la condusse ad un suo palazzo a Pontecchio accompagnato da suo fratello, poi barbaramente l' uccise, e perchè niun altro potesse essere incolpato di tal delitto, scrisse di propria mano una lettera al Vice-Legato confessando il tutto e scusandosi d' aver fatto ciò per riparar l'onta che erasi recato al onor suo. Tale catastrofe ebbe luogo il 15 aprile 1606.

Pochi di prima eransi apostrofati da S. Giorgio con suo cognato Aldrovandi. Gli si crepò la pistola ferendosi nella mano, lasciolla cadere a terra, e fra la moltitudine se la svignò. I birri, siccome allora di costumanza, dovevansi trovare di piantone alla cantonata Legnani, ma non trovandovisi dovettero recarsi al palazzo Barbazza prendendo con loro tutta la famiglia compreso suo zio, ed il solo marchese Andrea potè fuggire, che poi si costituì volontariamente. I quattro fratelli Barbazza poterono evadere di fronte alle più scrupolose ricerche fattesi per poterli avere, non omettendo pur anco di far suonare tutte le campane delle chiese circonvicine, e mettere i contadini sulle loro traccie. I Barbazza erano accompagnati da un forte drappello di uomini armati, per cui le guardie furono costrette di lasciarli passare. Scalarono le mura della città, poi passarono in Savoia protoni dalla benevolenza di quel principe.

Per questo falto furon proibite le maschere, che si concessero di nuovo quando si seppe ove eransi rifugiati i delinquenti. Estinti poi in progresso di tempo i marchesi Guido e Gio. Paolo Pepoli, e rimasta sola superstite la sorella Vittoria, maritata prima nel marchese Gonzaga di Mantova poi rimaritata col marchese Capponi di Firenze, e finalmente col conte Odoardo Pepoli suo cugino, furono stabilite le paci sotto condizione espressa che i Barbazza non potessero andare in Piazza, nè al palazzo del Comune, nè transitare da quello Pepoli. Assentendo i Barbazza tosto ripatriarono.

Caccianemici Alberto d'Alberto d'Orso fratello di Lucio II

Morì esso nel 1165 e fu marito di Fausta Scannabecchi secondo quanto ne riporta il Negri. Benchè si trovi indicato Alberto d'Orso, pure va chiamato invece Alberto d'Alberto d'Orso, essendo costumanza di quei dì, e cioè nel 1138 che quando padre e figlio avevano lo stesso nome univano l' uno all' altro, per esempio Pier Leone antipapa, era Pietro figlio di Pietro Leone che così testò.

Cristoforo di Brainguerra Caccianemici

Fu esso senatore nel 1466 essendo già stato Riformatore nel 1445. Nel 1460 fu mandato in deputazione al Duca di Modena, per l' immissione di Reno in Pò in unione a Lodovico Caccialupi, Galeazzo Marescotti, Paolo dalla Volta, Gio. Guidotti, Virgilio Malvezzi, Gabriello Poeti unitamente a Battista per conto del Legato. Li 11 dicembre 1472 fu cacciato dal Senato in causa dell' omicidio da lui comesso a danno di Antonio del Lino. Fileno dalle Tuate così racconta il fatto. Li 5 giugno Cesare figlio di Cristoforo, fu ferito nel Trebbo dei Carbonesi in giovedì ad ore due di notte, ed il sabato morì. I feritori furono Teseo di Galeazzo Marescotti, Lorenzo di Giovanni dai Pennacchi Calognego, Rigo Antonio dei Mezzovillani, ed invece i parenti ne incolpavano Jacopo dal Lino. Ai 4 dicembre Bartolomeo bastardo di Cristoforo Caccianemici ad ore ventiquattro, ferì Antonio di Jacopo dal Lino per detto sospetto, ed incontanente alzossi gran rumore ed il popolo fu messo in armi. Antonio Bentivogli accompagnato da molti suoi seguaci recossi alla casa di Cristoforo, lo saccheggiarono, appicicaronvi il fuoco e poi l'uccisero. Brainguerra Caccianemici fuggì, ed il sabato susseguente morì Antonio. Cristoforo ed Allessandro suo figlio dottore ed Anziano furono in perpetuo confinati a Mantova, e Francesco di Brainguerra pur esso, poi Bartolomeo di Cristoforo fu bandito siccome ribelle. In luogo di Cristoforo nei Sedici fu posto Bernardo da Sassuno. Allessandro Caccianemici genero di Virgilio Malvezzi, morì di crepacuore in Mantova nel breve periodo di quarantacinque ore il 23 maggio.

Caprara Enea Antonio del conte Nicolò e di Vittoria Piccolomini

Fu generale di cavalleria dell' Imperatore Leopoldo, sotto gli ordini del Montecuccoli; fu cavaliere del toson d'oro, e morì in Vienna li 3 febbraio 1701, poi trasportato a Bologna sepolto li 9 settembre 1725 in S. Francesco. Aveva consegnato il suo testamento secreto fino dal 13 giugno 1694.

Clarissimi

Famiglia antichissima che portava anche il nome di Grassi, ma non appartenente a quella cui è ultima superstite la moglie del Marchese Luca Marsigli. Abitava esso nei contorni di S. Gio. in Monte, e donò la chiesa stessa che gli apparteneva ai canonici di S. Vittore nel 1518. Un ramo poi di questa famiglia abitava presso S. Damiano, e precisamente dov'erano le case dei Garzoni, ove pure abitava Alberto causidico vivente alla fine del secolo undecimo, che ebbe tre figli per nome Gerardo, Alberto e Marchesello. Il primo era canonico di S.Pietro nel 1122 al 1123, ed è citato in parecchi atti del 1128, 1133 e 1143. Questo Gerardo fu poi eletto vescovo di Bologna nel 1143. Gli altri due furono quelli che donarono la chiesa di S. Gio. in Monte ai canonici Regolari, che la tennero poi per lungo lasso di tempo. Questa illustre famiglia mancò nel secolo XIII.

Castelli

Sull' origine di questa famiglia non si hanno dati certi. Ciò che sembra probabile si è che prima fossero chiamati degli Alberi, da un Alberio che vi ci portò tal nome, e ciò sembra esser provato da un istrumento che trovavasi nell'archivio di S. Salvatore, che è una supplica di questa famiglia per essere ammessa al benefizio della chiesa di S. Martino di Casalecchio di Reno. Geremias Parmesano pro se et Zacaria, et Jacobino, et Gabriel nepotibus suis, et Raynerius Sighicelli pro se, et Zampolerio, et Albirolo fratribus suis. È inconcepibile come compatibilmente abbia potuto reggere il benefizio di quella chiesa, alternativamente coi detti canonici di S. Salvatore, trovandosi di più provato nel detto istrumento, che per cent'anni gli Alberi erano stati proprietari di detta chiesa e Monastero, ed un documento invece di quaranta soltanto. Rilevasi che quattro erano i rami degli Alberi, cioè Zampolus de Castello o Gio. Paolo, Geremias de Mattone, Geremias Parmesano ed i nipoti Zaccaria, Jacobino, Gabriele e Raynerius Zampolinus.

Dai pubblici istrumenti però rilevasi che ve n'erano altri due rami ancora, e cioè di Bonus de Castello, e Baladus figlio di Manfredino. Egli è quindi a ritenersi che positivamente fosse un Alberus quello che dasse il nome a questa famiglia, non essendo a quei giorni in pratica alcuna i cognomi, e che quando si cominciò ad usarne fosse preso da uno degli antenati. Il Dolfi su tal particolare argomenta ben debolmente, e cade poi nelI' inverosimile quando li suppone derivanti dai duchi di Normandia. Altri li dicano provenire dai Castelli già signori di Narni, alla qual famiglia uno ne appartenne, detto antecedentemente Mastro Guidone, e cioè nel 1143 sebbene per equivoco fosse creduto di città di Castello di lesi. Che in Bologna Perticone fosse il terzo della sua famiglia, che sia venuto ad abitarvi e che fosse figlio di Somarone morto in Milano, lo asserisce il Dolfi. Se ciò fosse realmente di fatto il Perticone non sarebbe stato il terzo, ma bensì il primo, quando però il Dolfì non avesse inteso riferirsi a Perticone di Gabriozzo, che mori nel 1296 e che realmente fu il terzo come nipote ex filio di Perticone I. Altri dicono discender essi dai signori di Castel dell'Albero, posto fra lmola e Castel S. Pietro, e precisamente ove presentemente trovasi il Castelletto che per accordo fu ceduto al Comune di Bologna, e che così venissero ad abitar Bologna ove furori chiamati del Castello, come oggi per lo appunto si va chiamando Castel S. Pietro sorto dalle rovine di Castel dell'Albero. Ma negli archivi si trovano ricordati gli Alberj, e tutto il resto non può che ritenersi un mero sogno dei genealogisti, essendo di fatto che i Castelli, i Gabriozzi ed i Perticoni debbano comprendersi tutti netta stessa famiglia.

Davia marchese Glo. Battista di Virgilio

Fu coraggioso milite nelle armate austriache, ed ebbe l'ardimento di entrare colla sua compagnia in Milano mentre questa città era occupata dai francesi. Era esso primogenito, fu aiutante maggiore del Principe Eugenio in Italia. Fu ucciso in uno scontro avuto nel 1704. La notizia della sua morte giunse soltanto li otto dicembre accompagnata da dettagli, che indicavano esser provenuta da una archibuggiata tiratagli presso Salò da varii contadini mentre stava predando in una cascina. Ebbe il tempo di potersi confessare prima di morire e lasciò centoventimila scudi allo spedale in cui morì ordinando che fossero venduti i suoi arnesi ed il ricavato passato ai poveri, ed il suo equipaggio al fratello minore. Queste sue volontà non poteronsi adempiere, stante non aversi potuto trovare presso lui più che trecento fiorini già destinati per una giovane di Polonia seco vivente.

Sul conto poi di questa polacca nel 1820 furonvi praticate molte indagini da Vienna per una famiglia che vantavasi aver avuto una Davia, della quale volendosene provare la nobiltà, si richiedevano e recapiti e notizie circa la nostra Senatoria, e di una figlia di un Davia aiutante già del Principe Eugenio. La pretesa Davia si maritò circa il 1730, e non trovandosi alcuna di detta famiglia che sia passata all'estero in quell'epoca, lo scrivente sospetta che la pretesa Davia di Vienna non possa essere che la figlia della donna polacca, che rimandata al suo paese fosse incinta e forse del Davia, e per questo appunto la spacciasse per figlia di quel militare. L'età coincide, niuna Davia si è mai maritata in Germania, quella di Vienna ha l'armi stessa dei Davia di Bologna, adunque non sarebbe fuor di proposito il dubbio qui esposto.

Ercolani Filippo Principe del S. R. I.

In aprile del 1703 in Venezia in casa dell' Ambasciatore Cesareo, gli fu conferita la carica di consigliere di Stato. Ai 24 settembre dello stesso anno sortiva dalle monache di Santa Margherita Porzia Bianchetti, promessa sposa all' Ercolani, e la cerimonia aveva luogo in S. Donato li 6 ottobre 1703 portando seco una dote di settantamila lire. Fu gentildonna di moltissimo spirito. Li 12 agosto 1705 il marchese Filippo fu delegato ambasciatore a Venezia. Era esso uno dei più estimati gentiluomini di Bologna, ricco di circa diecimila scudi d' entrata, somma rilevante per quei dì, ma però ambizioso, troppo ossequiante verso la Corte dell' Imperatore. Mercè il suo talento ed i suoi denari potè pervenire ad ottenere il titolo di Principe del Sacro Impero, posizione che recò grave disesto nei suoi affari e che gli scemò di molto quella popolarità e stima di cui prima godeva.

Giunto nel dicembre del 1705 a Venezia diresse al Senato una lettera nella cui mansione era scritto — Illustrissimi Signori Osservandissimi — e nella sottoscrizione — Affezionatissimo per servirli — contegno che spiacque sì tanto da ingenerare il dubbio se doveva rispondergli, il Senato però di cortesia tanto distinta diressegli il suo scritto apponendo alla soprascritta il titolo di Sua Eccellenza ambasciatore Cesareo ommettendo il cognome Ercolani, per cosi farlo avvertito che rispondevano all'ambasciatore e non al loro concittadino. In maggio del 1707 da Venezia partì per Vienna, e prima di partire venne in sospetto che sua moglie volesse avvelenarlo, perciò la pose sotto strettissima custodia, sinchè avesse partorito. Tolse dalle mani dei birri nel 1707, a mezzo dei suoi sicari a Castenaso un infanticida che conducevano dal Medesano a Bologna. Nel 1710 Porzia fu fatta da lui rinchiudere nella fortezza di Modena, dove morì miseramente li 26 di aprile 1711 con strenuo coraggio. In novembre fu esso sfidato dal conte Giulio Seghizzo Bianchetti nei Grigioni per vendicare I' estinta sorella, ma nulla si sa di quell'incontro, e neppure se avvesse luogo. Sposò in seguito Carlotta di Moy, che morì per il vaiuolo e per aborto.

Fagnani Onorio II Pontefice

Il Sigonio dice che fu Cardinal Vescovo Ostiense fatto Legato da Calisto II, che appianò le differenze insorte fra l'Impero e la Chiesa ai tempi di Gregorio VII, ed Enrico che nel 1124 fu fatto Papa, poi aggiunge che nominò Cardinale Uberto Ratta, Gerardo d'Alberto Caccianemici suo nipote ex sorore, e Pietro ed Ugo Garisendi.

Che fosse fatto cardinale nel 1122 è vero, che Lamberto fosse canonico di S. Pietro è probabile, ma non però di S. Maria di Reno, siccome è certo che fu arcidiacono di Bologna. Alcuni ci hanno nelle loro cronache tramandato che Lamberto venisse da una illustre e nobile famiglia proprietaria del Castello di Fagnano, ma nel Muratori vien trasmessaci una bolla d' Onorio II, che dà, e conferma questo castello di Fagnano in proprietà dei Vescovi d'Imola per cui non sembra probabile che fosse feudo o signoria appartenente a quella famiglia. Uno scrittore che si trovò presente alla sua elezione scrive che era nato de mediocri plebe Bononiensi. Egli è certamente di fatto che questa pretesa sua nobiltà non si comincia a produrre che dagli storici del secolo XVI. Ai giorni che Onorio fu eletto Pontefice, Fagnano era castello del territorio imolese assieme a tutta la podesteria di Casal Fiuminese, che non apparteneva al territorio bolognese. Su quanto poi riguarda i succitati Cardinali, vi ha luogo a dubitar molto sulla loro esistenza.

Guastavillani

Possegono in monte Griffone nel comune della Misericordia nelle vicinanze di Barbiano, un di cui predio fu manomesso dai pretendenti al fidecomesso Griffoni, e poi ritornatogli mediante transazione che ebbe luogo nel 1771 fra i padri di s. Barbaziano e gli eredi Griffoni. Il palazzo di Barbiano fu fabbricato dal Guastavillani e venduto poi dal senator Angelo Michele, col consenso del figliuol suo Girolamo ai Padri Gesuiti di S. Lucia nel 1693 per lire trentaduemila. Nel 1773 dopo la sopressione dei gesuiti si tentò dalla famiglia Guastavillani di provare, che la vendita corsa fosse nulla — ex capite lesionis enormissimae. — I Legati di Roma difesero il contratto mercè le clausole emesse nell' istrumento, fra le quali esisteva quella che all'alienazione gli si era assegnato il titolo di vendita, e di donazione, pei quali titoli vi erano concorse tutte le opportune solennità nello stipulato, per cui quando anche si fosse ottenuta favorevole sentenza dai Guastavillani, avrebbe dovuto questi improntar sempre la restituzione delle lire trentaduemila, somma non indiferente impiegata in uno stabile di mera delizia e sogetto a motta spesa di manutenzione. Quindi consigliaronsi a prenderlo piuttosto in enfiteusi perpetuo dalla Camera di Roma, e così il palazzo ed adiacenze furono e sono godute dai Guastavillani.

Grassi Cardinale Ildebrando

Vescovo di Modena detto Cardinale di s. Eustacchio. Fu canonico di s. Maria di Reno. Non si sa se fosse fratello di Gerardo vescovo di Bologna. Nell' istrumento del 1133 che trovasi nell'archivio di S. Gio. in Monte, non è annoverato fra i fratelli figli d'Alberto nella divisione che fecero, ma poteva però in quel tempo essere figlio d'Alberto fratello d'Alberto, e conseguentemente cugino di Gerardo. Il Sigonio lo dice Vescovo di Bologna e di più, che in progresso di tempo abdicasse, ma non si trova alcun documento od atto che constati questa sua asserzione. Morì esso nel 1178. Il Dolfi ed il Negri errano quando lo dicano vescovo di Modena.

Grassi Lesbio Cardinale

Il Sigonio ed il Negri ricordano questo Cardinale che il Dolfi assicura essere morto nell'anno 1186. Il Negri dice esser stato fatto Cardinale nell'anno 1162, ed il Sigonio nel 1177. Ma entrambi sono caduti in gravissimo errore perchè l'esistenza di Lesbio non è, ne più ne meno che una favolosa storiella.

Gozzadini Bettisia

Secondo quanto ne racconta il Balduino, il Dolfi, il Ghirardacci ed il Masini sarebbe essa stata figlia di Amadore, ma l' asserto di tutti questi storici non regge. Il Ghirardacci dice che nel 1239 fu ordinata Lettrice, e che poi nel 1241 fu essa che fece l'orazione funebre per la morte di Enrico Vescovo di Bologna, e che si vestisse per quella circostanza a lutto. Aggiunge poi che nel 1244 fece un orazione in lode del Papa, e che fosse addottorata il giorno di martedì 3 giugno 1236, nel qual stesso giorno ebbe luogo un eclissi solare e che per due anni continuati insegnò in casa sua a circa trenta scuolari, che poi s'infermò e giaccque cosi fino al 1239, e che vestì da uomo fino all'età di anni dodici, non volendo mai applicarsi ai lavori donneschi. Che ai 13 di ottobre dell'anno 1261 essendo a villeggiare, incolta per la continuata pioggia da un' innondazione dell'Idice nella sua villa, e che fuggendo e ricoveratasi in un casolare investita dalle acque cadde e fu morta fra la Reccardina e la Mezzolara, e che il giorno che si conobbe il disastro avvenutogli non si lesse nello studio di Bologna. Si dice che fosse nata nel 1209.

Ghisilieri Virgilio di Fausto

Nel carnevale del 1612 fu fatto prigione per essere stato ritrovato armato in maschera in unione a parecchi altri gentiluomini suoi amici. Il Legato lo fece attaccare alla corda a due ore di notte con due torcie accese, ma però non gli diedero la strappata. Si fu questa una vendetta che volle contro lui prendersi il Vice Legato Lorenzo Magalotti il quale essendo in maschera in un festino si corucciò oltre ogni modo perchè il Ghisilieri andò vicino ad una donna che seco lui era accompagnata. Questo Magalotti fu poi fatto Cardinale da Urbano VIII che era Matteo Barberini. La sopracitata giustizia eseguita a danno del Ghisilieri fu causa che la giostra all' incontro abitualmente in uso la domenica di carnevale non ebbe luogo, essendone per quella indignatissima contro il Vice Legato tutta quanta la nobiltà. Questo Virgilio era fratello di Maria Francesco e precisamente uno dei cavalieri che intervenir dovevano alla Giostra. Liberato dal carcere il giorno susseguente partì per Ferrara in unione di Francesco Maria e Lucrezio suoi fratelli, per rimanervi per tutto il tempo nel quale fu la Legazione Barberini a Bologna. La donna che accagionò tutto questo guazzabuglio fu certa Canevrina, donna da bordello.

Giovagnoni Orazio

Fu esso Anziano. Nel mese di marzo dell'anno 1616 essendo nata discordia fra il priore degli scuolari ed i Collegiali di Montalto, il Giovagnoni scrisse in favore dei Collegiali di Montalto, per cui gli scuolari si portarono alle scuole armati, non volendo che il Giovagnoni leggesse, e si vuole di più che lo maltrattassero. Il susseguente giorno il Giovagnoni si portò alle scuole accompagnato da grossa comitiva di gentiluomini, fra i quali gli Ariosti, e tutti armati di pistole. Precedeva la comitiva il signor Enea Magnani, che con un alabarda faceva far largo acciochè il dottore potesse recarsi alla cattedra. Il Legato mandò molti birri e cavalleggieri perchè non avesse luogo alcun disastro, essendo entrambe le fazioni armate. Un cavalleggiero di guardia ad una sala non volle lasciar passare un romagnolo, questi volle metter mano ad una pistola, ma il cavalleggiero più lesto lo prevenne, ma senza colpirlo. Tutto però ebbe termine mediante universale pacificazione, essendosi trattenuto il Giovagnoni per qualche tempo dal leggere nelle scuole.

Grassi Paris Maria di Gabrielle

Fu esso marito di Daria nipote del Cardinale Bernardino Spada, poi di Costanza Baglioni dalla quale ebbe molti figli. Fu fatto uccidere per mezzo di un archibugiata dal senator Antonio Legnani. Il Legato Savelli era informato che il Grassi andava armato, diede per questo, ordine al Bargello Gamboni di farlo arrestare in qualunque luogo fosse trovato. Lo trovò sul corso di S. Mamolo, l'afferò pei capeli, lo gettò a terra e gli disse all' orecchio che si lasciasse servire da chi lo serviva bene, e levategli destramente le pistole dal fianco, se le pose alla cintura propria e lo condusse in prigione, attestando di non avergli trovato indosso arma alcuna, e che lo aveva carcerato perchè aveva mancato di rispetto alla forza. Stette in prigione per qualche dì, poi fu libero.

Guidotti

Giovanni di Bartolomeo nel suo testamento del 1465 ordinò, che tutte le scritture di famiglia venissero custodite in una camera fatta fare appositamente nel suo palazzo. Per qualche tratto di tempo fu obbedito, ma poi si lasciò correre, per cui molte di quelle andarono disperse. Giovanni d' Antonio il più vecchio della famiglia compreso del danno che si andava subendo, chiamò a sè il senator Federico d'Aurelio e tutti gli altri componenti la famiglia, e si deliberò che Giovanni si incaricasse di raccoglier tutto, e questi sebbene della inoltrata età di anni settanta accettò l'incarico che condusse a buon termine. Le mise tutto in ordine per pacchi e poi ne compilò un indice, dal quale risultarono 1617 scritture collocate in diciasette mazzi, sciolse ancora ventisette libri che racchiudevano utilissime memorie, e di essi pure ne fece il repertorio. Convocatasi la famiglia e mostrato il lavoro da lui stesso eseguito, pregò si determinasse un luogo ove potesse collocarsi senza tema di smarrimento.

Il senator Federico concesse in perpetuo nel suo palazzo un armadio posto nella prima camera a sinistra entrando per la piazza dei Calderini. Nella prima scansia (Orig. Scansia) furono collocati i ventisette libri sopra citati, e nelle scansie (Orig. Scanzie) più alte i diciasette mazzi di scritture, ed in quella di mezzo il repertorio e di più un sacchetto di tela verde con entrovi il testamento di Gio. Bartolomeo Guidotti, il quale era a foggia di un libro colle coperte in legno involto in corame rosso, con fibbie e scritto di tutto pugno in pergamena dal più volte menzionato Giovanni. Nel medesimo sacchetto trovavasi l'inventario fatto fare da Costanza vedova di Giovanni e tutrice dei figli, più la divisione fatta dai primi Guidotti con breve e licenza di Clemente VII per poterla effettuare. In una cassetta poi vi erano le scritture della chiesa di S.Salva ore della Quaderna, di S.Nicolò di Migarano e Giuspatronato della famiglia. Tutto fu rinchiuso in detto armadio con rogito dei 9 gennaio 1609. Le chiavi furono consegnate a tre dei più vecchi della famiglia e cioè a Gio. Antonio di Galeazzo, al senator Federico d'Aurelio, e ad Annibale di Gio. Gabriello.

Isolani conte Gio. Francesco di Jacopo

Fu senatore e marito di Eleonora di Alamanno Bianchetti, e morì ai 19 febbraio 1542. Fu fatto senatore ai 14 agosto 1528. Il Rinieri invece dice che morì li 20 febbraio 1542, e che nel 1532 gli fu tolta la contea di Minerbio per bolla di Clemente VII, e che testò nel 1539. In detto testamento si fa menzione di una casa grande detta la casa vecchia degli Isolani, posta in strada Maggiore confinante con altra via, che da detta strada si va alla chiesa di santo Stefano, con Lodovico Musotti, con gli eredi di Jacopo Sampieri, con uno stradello detto la Magna per di dietro, con gli eredi di Aimerico Bianchini, con Pompeo Bianchini, e finalmente con gli eredi Bolognini entro i quali confini si comprendevano due casette con botteghe.

Legnani Gio. Alfonso del conte Maria

Fu senatore. Il 3 aprile 1601 si battè da casa Ruini con Ottavio Ruini, ed un suo servitore rimase ferito. Fece tirare un archibugiata ad Antonio Ruini ma non fu ferito. Ai 2 di agosto dell' anno 1602 fece tirare un archibugiata ad uno della famiglia Casi che rimase morto. Il sicario fu preso, impiccato e squartato, ed il Legnani corse rischio di essere bandito come assassino, ma mercè la protezione del cardinale Ascoli fu salvo. Li 22 di marzo dell'anno 1606 giunse in Bologna Gio. Battista Pellegrini da Matelica, sotto auditore del Torrone, mandato dal Papa espressamente siccome commissario straordinario per l'omicidio comesso a danno del senatore conte Antonio Ruini. Li ventotto detto mese il senator Giovanni Alfonso e Vincenzo suo fratello, imputati di tal delitto dovettero forzatamente costituirsi in Torrone. Ai 26 dicembre 1606 dopo nove mesi di carcere furono entrambi condotti a Roma dagli sbirri e dal commissario Pellegrini. Li 10 dicembre 1609 dopo circa quattro anni di carcere, Gio. Alfonso Legnani in giorno di giovedì a buon ora fu decapitato nella Torre di Nona per ordine di Paolo V; il cadavere fu esposto nel catalelto con due torcie accese nella piazza di Ponte. Vincenzo suo fratello fu trasportato da Tor di Nona (Orig. Tordinona) in Caslel s. Angelo e confinato in Avignone per dieci anni. Un loro servitore fu impiccato, ed un certo conte Trissino Vicentino per la stessa causa tratto da Milano a Roma fu pure decapitato. Le imputazioni che a loro furono date erano le seguenti.

1. Dell'omicidio del senatore Antonio Ruini.

2. Per quello d'Ulisse Pandolfo da Casi.

3. Per aver avvelenato il Procuratore fiscale di Reggio.

4. Per aver tentato di sfregiare Ercole Berò.

Oltre le qui sopra citate cause il senatore Legnani fu giustiziato per aver accordato ricetto ai banditi. Fu questa giustizia di Dio per aver fatto esso ancora impiccare due miseri innocenti, nel tempo del terrore nel 1599 innanzi la sua casa mentre era Confaloniere. Il Papa diede il senatorato a suo fratello Marcantonio di Giovanni Alfonso. L'omicidio del Ruini segui li 7 febbraio 1606.

Malvasia marchese Cornelio di Ercole

Ai 19 giugno 1619 Cornelio ed Innocenzo Malvasia di Strada Maggiore, andando fuori di Saragozza s' imbatterono nei mietitori, che cominciarono a fare dello schiamazzo secondo l' uso loro. I Malvasia dissero alcun che di aspro a coloro che corrisposero villanamente e non quietaronsi. Così, deliberarono recarsi a casa ove presi gli archibugi risortirono sull'ora del mangiare. I contadini s' avvidero che a loro venivano e prevedendo qualche malanno, essi mandarono ad incontrarli un povero diavolo dei suoi, perchè si scusasse adducendo non averli conosciuti. I Malvasia risposero con un archibugiata a quel meschino dalla quale rimase morto, e poi si rifugiarono ai confini del Modenese. Il povero estinto lasciò cinque miseri orfani. La madre dei Malvasia sostenne in gran parte questa sventurata famiglia. In fine mediante potenti interposti che purtroppo anche a quei dì prevalevano, la partita fu accomodata e gli omicida poterono ripatriare ma però soltanto quando il Legato Capponi erasi partito da Bologna.

Nel dicembre dell'anno 1621 Cornelio Malvasia trovandosi a Roma nell'osteria di Montecavallo e pranzando in compagnia di Pietro Savignani gentiluomo bolognese, accattaron brighe per sostenere l' uno esser più onorevole la religione di Malta, e l'altro quella di S. Stefano. Si presero alle mani ma niuno di loro rimase ferito, perchè accorso l'oste con uno spiedo li divise. Ai 14 maggio 1621 in unione al Solimei ebbero rissa con alcuni scuolari da essi beffegiati, perchè facevano una inserenata ad una loro amante. Due scuolari rimasero feriti. Nell'anno 1622 i sudetti due fratelli non avevano per anco accomodato un mal affare capitatogli a Firenze, pel quale Innocenzo gli fu mestieri andar prigione. Nello stesso anno esplosero archibugiate nel mese di aprile contro la Corte. La seguente mattina Cornelio essendo sotto il portico dei Banchi gli sbirri vollero arrestarlo, ma secondato da molti gentiluomini amici suoi potè riescire a rifugiarsi nella chiesa di S. Petronio. Innocenzo essendo il dopo pranzo nel giuoco da palle del Principe Ercolani, vennero gli sbirri per trarlo prigione. Esso mostrò accudire rassegnato, e soltanto domandò il permesso di mandare a prendere la sua carozza e suo cognato Fantuzzi, che fra non molto venne. Andò tenendo in tempo i sbirri fino a che gli giunse l'aiuto, ed allora posto mano alla spada e raggiunta la porta, potè battendosi sempre giungere nella chiesa di S. Stefano, dove rimase fino a tanto che i sbirri furono partiti, poi per la via di Gerusalemme passò alla chiesa di s. Giacomo, e la mattina susseguente a buonissima ora con tre uomini armati di tutto punto partì alla volta di Modena uscendo dalla porta Saragozza. Nell'anno 1623 Cornelio ed Innocenzo erano rifugiati alla Mirandola per molte loro prepotenze ed in particolar guisa per una lite avuta col Capitano Lancilotto.

Mariani Mario dottore in leggi

Fu figlio del celebre medico Andrea, e fratello di Mariano altro dottor di leggi. Morì ai 20 settembre del 1709 ultimo della sua illustre famiglia. Nel testamento ordinò la fondazione di un collegio per quattro giovani nobili. La sua morte fu compianta da tutti, per essere uomo estimatissimo per rare qualità che lo distinguevano al disopra di ogni altro. Mentre stavasi eseguendo le sue volontà testamentarie comparve un certo Mercantonio Scotti bolognese che pretendeva a quella eredità. Era egli nipote d' altro Mercantonio Scotti che si trovò presente all' uccisione di Paris Grassi, eseguita per mandato del marchese Antonio Legnani che cadde nelle mani della giustizia e fu condannato a dieci anni di galera. Prima però di partire costui per la sua destinazione, lasciò tutti i suoi beni in custodia di quell' Andrea Mariani dottor di filosofìa e medicina padre del succitato Mario. Morendo Marcantonio Scotti in galera prima che avesse potuto scontare la sua pena restò di lui un figlio, il quale volendo intraprendere un lungo viaggio venne a convenzioni col Mariani, pigliando centodiecimila lire in contanti, e cedendogli cosi tutti i suoi beni col patto però, che dovessero restituirsi ai di lui eredi quante volte rimborsassero la somma che gli era stata contata. Costui prese moglie ed ebbe un figlio che fu Marcantonio il quale saputa la morte del dottor Mariani e venuto a conoscenza del contenuto del suo testamento, fatto ricerca delle carte di sua famiglia e della detta obbligazione, citò per lesione di contratto ripetendo i frutti che gli competevano per i tant'anni goduti dal Mariani, e che intendeva potessero equiparare la somma delle centoundicimila lire. Mosse giudizio per la restituzione dei beni, per cui in causa di tale pendenza restò sospesa l'esecuzione del testamento. — Usque ad jus cognitum. —

Marescotti Ciro di Bartolomeo

Un gentiluomo dei Marescotti andava sempre con un giovane della famiglia Campioni cui era legato in stretta amicizia. Un giorno s' accorse che gli era stata derubata una collana d' oro, e sospettò esser stato il Campioni che erasi recato a Milano. Il Marescotti lo fece sorvegliare, ed il Campioni tornato a Bologna avendolo incontrato in strada Maggiore gli diede due coltellate, e cioè una nella pancia e l'altra in una spalla, indi ricoverossi nella chiesa dei Padri Serviti, poi fuggì a Modena presso un suo zio uomo d'armi che gli promise di proteggerlo. Questo fatto successe precisamente il dì 7 aprile dell'anno 1612. Il Marescotti dopo essere stato obbligato al letto per alcun lasso di tempo potè sortirne perfettamente guarito. Un certo signor Ciro cugino del Marescotti prese in sua compagnia un giovane Cremonese e recossi per le poste a Modena determinato di uccidere egli stesso il Campioni oppure di riescire a farlo uccidere. Andarono entrambi a riverire il Duca che li accolse benevolmente. Ma accusati poscia di essere armati di pistole quando recaronsi a visitarlo li fece carcerare entrambi, in pena del mancato rispetto verso di lui. Per questo fatto il Marescotti ed il compagno erano incorsi nientemeno che alla condanna di morte per titolo d' indebito porto d'armi. Ciro fu soltanto condannato a mille scudi di multa, che mercè l'influenza del padre suo si ridussero a soli dugento, e così potè tornare a Bologna. II compagno a cui mancarono i mezzi di poter antistare alla multa inflittagli fu costretto andare in galera, anche perchè era bandito da Modena e per aver osato presentarsi al Duca e mancato di rispetto ad un commediante dandogli una mano sul viso in presenza del Duca stesso.

Negri

Ebbe esso nell' anno 1632 contesa con certo Serra, al quale in Castel S. Pietro fece tirare una salva d' archibugiate che misero morto un bravo dei Pepoli. Poscia s'unì a molti suoi compagni scorazzando quel contado, derubando le persone sulla pubblica via e nei suoi dintorni. Un povero calzolaio che abitualmente lo accompagnava fu da lui ammazzato, poi squartato e le parti del suo straziato corpo gittate quà e là. Portossi esso alla casa del prete di Castel dei Britti ma non potè entrarvici, poscia a quella di una povera donna, che la derubò delle anelle che portava alle orecchie, della biancheria e del pane. Il Legato irritato da simili eccessi tanto mise in opera, che potè riescire ad averlo nelle sue mani e tosto lo fece impiccare, non volendo concedergli di commutar la pena in quella del taglio della testa, nè di aderire all'offerta che l'Opera dei Vergognosi gli aveva fatta, quella cioè di sborsare un' ingentissima somma per poter ottener grazia della vita. Fu compianto da tutti non per la pena inflittagli che era troppo meritata, ma per riguardo all' illustre famiglia cui apparteneva, della quale fecero parte un Pompeo e suoi fratelli uomini di preclare virtù e di gran sapere. Nella casa loro si conservavano molti busti antichi, molte medaglie, camei e pitture di gran valore.

Ai 24 settembre 1632 erasi recato il succitato a Vignola, dove il Governatore avea permesso potesse rimanere purchè non andasse armato, non avendo obbedito ne fu tosto cacciato. Passò sconosciuto nel Bolognese, ma coll' andar del tempo fu preso. Stette tutto il tempo della sua prigionia di buon umore sperando di scampar la morte. L' Opera dei Vergognosi che fu sua erede aveva esibito la cospicua somma di cinquemila scudi per salvarlo, e mille perchè gli fosse permutata la pena del capestro in quella del patibolo. Non voleva in nessuna guisa cedere alle ammonizioni dei preti in sulle prime, ma poi finalmente cedette. Non volle tagliarsi la zazzera siccome di pratica, e prima di andare all' estremo supplizio fece testamento lasciando cinquanta scudi annui ad un suo amico finchè visse. Dei trecento scudi annui liberi che poteva disporne a piacer suo, testò a favore del figlio del dottor Bucchi che aveva in moglie una sua zia. Gli furon fatti funerali splendidissimi, e fu sepolto vestito da gentiluomo nell'Annunziata e precisamente in una capella fatta innalzare da suo padre. Dicesi che non aveva certamente tendenze per fare l' assassino, ma che l' odio implacabile che nutriva contro Filippo Sampieri e Massimo Caprara, causa del testamento fatto a favore dell'Opera dei Vergognosi, l'aveva deciso ucciderli entrambi, e che per giungere al desiderato intento aveva ricorso a quei malandrini cui erasi associato. La sua condanna fu eseguita li 29 luglio 1634, ed in poco tempo tutti i suoi seguaci morirono.

Pepoli del marchese Fabio del marchese Cesare

Li 5 luglio 1620 un giovane appartenente alla famiglia Barbazzi figlio della madre di Aldrobandino Malvezzi, uscito di palazzo ed avviandosi verso casa sua, giunto dai Caldarini sentì venire a lui una carozza con entrovi persone che suonavano. Si fermò egli, ed allora alcuni bravi raggiungendolo gl'intimarono di retrocedere. Rispose che a dei pari suoi non s'ingiungeva tornar indietro, e cosi s'imbrandirono le armi. Esso seppe strenuamente difendersi, ma ferito poi e giunto da S. Domenico cominciò a chiamar soccorso, per cui da casa sua sortirono parecchi uomini armati di picche e fucili, che riescirono a salvarlo. In quella truppa che assalì il Barbazza trovavansi pur anco il conte Fabio Pepoli, il di lui cognato Aldrovandi ed il marchese Riari. Passato qualche mese da quel dispiacevole incontro, il Barbazza s' imbattè da S. Giorgio coll' Aldrovandi e si batterono. L' Aldrovandi restò ferito, e gli fu salva la vita mercè un bravo che seco trovavasi di scorta. Furon fatte le paci. Questa zuffa ebbe luogo li 25 novembre 1620. La ferita che toccò all'Aldrovandi fu nel volto perchè era armato. I di lui servitori tutti l'abbandonarono a riserva del bravo del quale più sopra tenemmo discorso e che anch'esso restò ferito. Furono carcerati i fratelli del Barbazza, e lo zio sequestrato in casa con sicurtà. Poi tutto fu pacificamente accomodato.

Ai 31 gennaio del 1622 fu ucciso mediante archibugiata il marchese Fabio Pepoli nella via di S.Mamolo da un uomo mascherato essendolo del pari il Pepoli. Fu proibita la maschera. Ecco come troviamo descritto questo fatto. Bianca Bentivogli donna bellissima e di sorprendente spirito, era sposa al senator Andrea Barbazza. Il Pepoli usava verso questa dama riguardi oltre misura che non garbavano punto al marito, uomo anch'esso fornito di spirito e di virtù. I parenti di lui pure non vedevano di buon occhio l'assiduità molesta del Pepoli.

Il Pepoli soprafatto dalla passione non sapeva trattenersi, nè rispettava punto quelle convenienze che pur si dovrebbero in simili emergenze. Il Barbazza vedendo che i favori cavallereschi oltrepassavano i conflni del dovere lasciò sfuggirsi dal labbro che vi avrebbe provveduto. Ciò fu riferito al conte Fabio Pepoli. il quale essendo a cognizione che fra i Barbazza il più temibile era il conte Guidantonio, colta l'opportunità che questi una sera stavasene sul limitare del suo palazzo a goderne il fresco, essendo stagione estiva, e precisamente in sull'ora di notte, il Pepoli accompagnato dall' Aldrovandi, dal Vizzani, dal Riari e da altri, assalì Guidantonio con tal veemenza ed impeto che quello non ebbe il tempo di ritirarsi in casa, ed essendo affatto senz'armi andò schermendosi alla meglio che potè riportando però una ferita nella testa, e forse l' avrebbero pur anco ucciso, se a furia d' indietreggiare non fosse caduto nella chiavica in mezzo della strada. Uditosi il rumore da suoi fratelli accorsero con armi, e così gli aggressori si ritirarono. I Barbazza raccolsero il Guidantonio ferito, che gli fu mestieri tener il letto per alcune settimane; non volle però mai denunziare i suoi agressori assicurando non averli conosciuti, ed esser invece in lui credenza esser stato preso in isbaglio.

Ai 30 gennaio 1622 passeggiando Guidantonio sul corso di S. Mamolo, s'incontrò con Fabio Pepoli, e furono da entrambi scambiate alcune parole, per parte del Pepoli assai sconvenienti. Tornarono di bel nuovo ad incontrarsi ed allora il Pepoli ad alta voce disse: — Convien che io m' imbatta sempre con questa razza di baron —.

li Barbazza allora disse ad un suo confidente, questo è troppo, ritiriamoci, e lasciato il corso andò a casa a travestirsi, poi vi ci tornò di pieno accordo col compagno, che ove gli venisse fatto incontrare Fabio gli avesse a tirare un'archibugiata. Avvennuto l'incontro, colui non ebbe coraggio di eseguire quanto avea promesso per cui avvedutosene il Barbazza appuntò una pistola ed uccise il Pepoli, e col favor della gente moltissima che trovavasi nel corso avviossi a casa sua, si spogliò e poi tornò al corso dove tutto era a scompiglio ed accostatosi sul giacente cadavere, che trovavasi precisamente sul canto della strada che conduce a s. Paolo disse: — Peccato che questo cavaliere abbia avuta una sì miseranda fine. — Poi tornato ancora a casa, la notte stessa coi suoi fratelli conte Astorre e Romeo, scalando le mura della città se ne andarono in Piemonte, ove furono ricevuti al servizio di quel Duca rimanendovi per molti anni.

Questi partiti, rimasero a Bologna il conte Ugo ed il conte Giacinto Barbazza, che incontrato il conte Filippo Aldrovandi l'assalirono in guisa tale, che se non gli fosse riuscito di fuggire l'avrebbe passata male assai, e ciò perchè esso Aldrovandi trovavasi presente al fatto nel quale il conte Guidantonio era stato assalito. I fratelli del defunto Pepoli, e cioè, Guido e Gio. Paolo dubitando che in quel malaugurato affare avesse potuto prendervici parte Aldobrandino e Gio. Battista Malvezzi, pregarono il Gran Duca a prendere in proposito le debite informazioni, dalle quali nulla emerse a carico di quello. Fra non molto morì Bianca Bentivogli Barbazza per lunga e penosissima malattia che a poco a poco la consunse, ne mancovvi alcuno che dicesse esser stata avvelenata. Era dessa figlia d' Ulisse Bentivogli e di Pellegrina Bonaventuri, la quale fu l'ultima figliuola di Bianca Capello Gran Duchessa di Toscana.

Porti Azzone di Soldano

Fu dottor di Iegge. Il Gravina dice che fu scuolaro di Gio. Bosiano Cremonese e che da Baldo fu chiamato Fons Legum. Il suo Epitome o Somma, superò in credito quant' altri lo precedettero. Dicesi ancora che a Milano ed a Cremona fosse prescritto, che tutti quelli che avessero voluto aspirare alla carica di giureconsulto dovessero avere la somma di Azzone. Pretendesi che l' alta rinomanza di lui attraesse in Bologna per assistere alle sue lezioni più che diecimila scuolari, fra i quali essendovene de' Toscani e de' Lombardi, per spirito di partito vennissero fra loro alle mani ripetute volte, accadendo frequenti uccisioni e mettendo la città in grandissimo sgomento. A quei dì ai professori tutti indistintamente competeva il diritto di punire gli scuolari pei delitti che comettevano, e più la giurisdizione nelle cause civili, ma essendo in loro troppa facilità nel perdonare, dovettero i magistrati privarli del primo attributo, lasciandogli soltanto il secondo.

L' Imperatore Enrico recatosi a Bologna passeggiava fra Azzone e Lotario emulo del primo, ed interrogatoli a chi appartenesse indipendentemente l'Impero, Lotario rispose — al solo Cesare. — Azzone invece ebbe l'ardimento di soggiungere — non al solo Cesare, ma ai Presidi delle Provincie. — Alla custodia della scuola esso Azzone teneva un servitore chiamato Tarrentino Gallograssi, che per la nera sua carnagione, e piccolissima statura, e deformità del corpo, e del volto, era lo zimbello degli scuolari, ma però con tutto questo nel lasso di tempo che servì raccolse dagli scuolari duemila fiorini. Morì Azzone nel 1200 con dolore universale, e sopratutto dell'Università che non fu riaperta che ai Santi, per por tempo a fargli i funerali. È vergognosa invenzione quanto ne dice l'Alciato, che cioè la morte dell'Azzone fosse ignominiosa per aver ucciso Martino Gosiano, alla quale contrapponesi per interamente distruggerla l'onorevole e splendido monumento eretto alla sua memoria, che rovinoso per l'andar del tempo fu risarcito per pubblico comando nell'anno 1416.

Ruini conte Antonio di Carlo

Fu esso senatore. Li 7 febbraio 1606 in una sera di carnevale sulle ore cinque di notte, fu ucciso dirimpetto alla via larga di S.Domenico da casa Campeggi. Ebbe molte ferite nel volto in guisa da non essere più riconoscibile, ed una stoccata nel ventre colla quale cadde a terra spento del tutto. Era esso mascherato nè accompagnato da alcuno, tornando da casa Pepoli e da altre feste. Divulgatane ovunque la notizia tutte le feste che avevano luogo in quella sera furono sospese, ed ognuno ritirossi alle proprie abitazioni preso dallo spavento e cordoglio, dacchè era esso un compitissimo gentiluomo, e generalmente amato e stimato. Le congetture furono molte in proposito sulla causa di tale assassinio. Il fatto si è che fu carcerato il figlio del senator Boschetti con tutta l'intera famiglia, ma però tutti rimessi in libertà.

Ai confini del Modenese furono arrestati tre individui fra i quali un fornaio, che essendo stato in casa di una donna che non voleva cedere alle sue malnate voglie le disse, che le avrebbe fatto subire la stessa sorte del Ruini. Fu esso imprigionato; confessò di aver tenuto per parecchi giorni in casa sua a dozzina, certi individui ai quali aveva dato mano perchè potessero scalare le mura. Da quell'indizio si sospettò che il cardinale d' Este avesse potuto aver parte in tal omicidio. Il conte Antonio aveva dato da parecchio tempo in prestito al detto cardinale dodicimila scudi, ma non poteva incassarne nè il capitale, nè i frutti. Essendo esso ambasciatore a Roma ne presentò lamentanza al Papa, il quale diresse aspro rimprovero al cardinale dicendogli, che non conveniva trattenere cosi il denaro altrui. Furono imprigionati gli osti della Samoggia, che avevano per quindici giorni tenuto nella loro stalla quattro cavalli, alla quale osteria erasi portato il succitato fornaio per informarsi sul conto di quei tali e cioè se erano passati o no. Nel giorno di S.Stefano dell'anno 1606 i due fratelli Legnani furono tradotti a Roma in carozza, sotto sorveglianza ed accompagnati dall' Auditor Pellegrini. Nello stesso giorno Tiberio Rossi e suo figlio il primo cognato del Legnani partirono per Firenze. Aldrobandino e Gasparo Malvezzi furono messi in carcere poi in libertà.

Il Senato pubblicò una taglia di scudi mille, alla quale ne aggiunsero altri mille d'oro i Pepoli essendo il Ruini figlio di una Pepoli. Li 6 maggio il Senato aggiunse altri scudi mille, coi quali si poterono avere lontanissimi dati ma non positivi, per cui convenne desistere dalle indagini, e così ritenere che l'omicidio era stato comesso per fatto di persone che era impossibile rinvenirne le traccia. Il Ruini nel 1606 aveva comprato il villaggio detto Cocodruzzo sulle montagne di Cesena, alla distanza di sette miglia da detta città dai Malatesti, avendogli pagato la somma di ventottomila scudi, e mercè quello olteneva la contea per sè e suoi eredi. Nella stessa notte del giorno che fu sì barbaramente ucciso fu sepolto nella chiesa di S. Gio. in Monte.

Ruini marchese Ottavio del conte Antonio

Fu sposo a D. M. Mattei vedova del marchese Carlo di lui fratello, e poi moglie del marchese Gio. Paolo Pepoli, al quale non lasciò alcun figlio, poi ancora del Principe di Bozzolo. Il marchese Ottavio Ruini era innamorato d'una dama maritata in casa Sampieri, che abitava in strada Stefano, ed essendovisi recato una sera siccome era solito, mentre aspettava l'ora per essere introdotto, si addormentò mezzo adagiato sulla porta e mezzo sopra la ferriata di cantina. Passarono gli sbirri e temendo non gli fosse succeduto qualche sinistro lo svegliarono, ed esso li ringraziò. Ebbe questa dama un Figlio che sebbene riconosciuto dal marito, somigliava in modo si straordinario al marchese Ottavio che ognuno lo riteneva per suo.

Ruini conte Carlo del conte Antonio

Sposò donna Maria Mattei di Roma, la quale la mattina dello sposalizio trovandosi in chiesa prima di andare allo scabello gli fu presentato un mazzo di fiori da odorare, e quasi d'un tratto sentì venirsi meno ed in pochi giorni morì, e cioè il 26 giugno 1630.

Rossi conte Nestore del conte Luigi

Morì ai ventitre di dicembre all'improvviso. Fu marito di Domicella del senatore Giovanni Zambeccari ed era giovanissimo. Ne' suoi prim' anni fu molto amico del Principe Cesare d' Este, il quale si servi dell' opera sua in molle circostanze gravissime e specialmente per levare a tutta forza da certa casa una partita di seta, per cui fu fatto prigione, e mandato a Roma incatenato di dove fu liberato, mercè potenti maneggi della casa d' Este, poi per altri fatti andò a rischio di lasciarvi la testa. Ritornò a Modena dove soverchiamente fidandosi della protezione che godeva alla Corte, mancò di rispetto a certe dame di quella città, onde obbligò i mariti a risentirsene, che fecero in modo fosse assalito dai carabini del Duca che con archibuggiate lo ferirono malamente. Fu portato in una chiesa ove rimasevi senz'aiuto per alcuni mesi, avendo il Duca espressamente vietato che alcuno potesse andare a visitarlo, e gli convenne per tutto un inverno conseculivo dormire sulla pradella di un altare, e ciò finchè al Duca sembrò di averlo abbastanza punito. Recossi poscia a Bologna e si diede a far il vagheggino con Anna Maria Bianchetti Gambalunga moglie del Priore Castelli, il quale non potendo tollerare un simile contegno se ne risentì seco lui e venne a serie spiegazioni, dopo le quali cangiò partito e moderossi affalto prendendo in moglie la succitata Zambeccari colla quale visse pochi anni, ma da uomo dabbene ed in guisa che ognuno lo estimava moltissimo. La sua morte dispiaccque a tutti essendo seguita in casa di una certa donna, che era stata serva di un suo cognato abbenchè si sapesse che vi era andato per portargli la carità dei ferlini che si dispensavano per le solennità degli Anziani.

Ratta Bartolomeo di Giovanni

In un rogito di Nicolò di Bonifacio da Lojano in data 4 marzo 1475 trovasi così scritto. "L' egregio Juresperito Bartolomeo del fu Giovanni della Ratta, cittadino bolognese della parocchia di Santa Lucia, e la Maria figlia di Francesco Riana del comune d' Argile al presente abitante sotto la parocchia di Santa Lucia di Barbiano nella contrada detta della Ratta, sapendo di essere sciolti, e che nel tempo che è passata copula carnale fra loro erano in stato che fra essi potevasi contrarre il matrimonio, e Bartolomeo aver potuto avere presso la detta Maria pubblico e notorio accesso come a suo concubino, e che nessuno aveva avuto a che fare colla medesima, e dalla loro congiunzione essere nata Lucrezia e Giovanni, e volendo legittimare detti figli contrassero cononicamenle il matrimonio". II Dolfi dice che Bartolomeo di Giovanni Ratta ebbe in moglie Diana da Parma e Maddalena Testa.

Ratta Uberto

Sotto l'anno 1121 il Sigonio dice che Papa Onorio II, creò alcuni Cardinali Bolognesi fra i quali Uberto Dalla Ratta. Questo supposto non regge mentre nel secolo duodecimo non vi era questo cognome dalla Ratta. Quelli che così chiamaronsi in antecedenza portavano il cognome Lana o Dalla Lana sino dall'anno 1306, trovandosi nei libri dei memoriali nominati con tal cognome, che poi cominciarono a scambiarlo in quello Dalla Ratta, che credesi provenisse dall'aver essi le case loro a piedi della Ratta di S.Gio in Monte.

Nel 1363 agli 11 di febbraio Bartolomeo di Jacobino di F. Guglielmo della parocchia di Santa Lucia, comprò case in strada CastigIione, e questi è quegli precisamente dal quale discendono i Ratta. L'Ughelli ed il Ciaconio lo (Uberto della Ratta) dicono Pisano e gli appongano arma diversa.

Sabbattini Floriano

Fu marito di Francesca Cuppi e fece testamento li 5 marzo 1683, il cui testamento fu aperto per la sua morte avvenuta il 10 marzo 1683. Furono suoi eredi Margarita, Maria Madalena e Chiara, lasciandogli un patrimonio di L. 57047.16.

Sandelli Francesco

Esso Francesco e suo fratello Giulio entrambi mercanti, mandarono un loro agente per affari in Francia. Questi gli scrisse da Lione che voleva sposare la vedova di Jacopo Razzali, che aveva lasciato un figlio e tre figlie. Nel venire a Bologna morì la moglie per viaggio, ed egli andò in casa dei Sandelli con questi figli. I Sandelli vedendo la buona disposizione del giovinetto n'ebbero molta cura e lo fecero studiare. In questo frattempo Francesco Sandelli sposò una delle sorelle di detto giovane, dalla quale ebbe figli. Questo giovane si chiamò Serafino Olivari Razzali, che fu poi Cardinale e nel suo testamento del 18 febbraio, lasciò erede suor Silvia, Vincenzo, e Francesco suoi nipoti, figliuoli d' Ippolita Razzali sua sorella, e di Francesco Sandelli suo marito. Le altre due sorelle del Cardinale morirono in Roma e lasciarono eredi i figli di legittimo matrimonio del sudetto Sandelli.

Salaroli

II ramo Senatorio non era quello d'Achille che morì nel 1707, ma bensì quello di Gilio Camillo estinto. Vi era differenza d'arma fra il ramo Senatorio ed il non Senatorio. Il ramo di Paolo non ha rapporto alcuno, nè col ramo Senatorio nè con quello d'Achille, ma viene da un merciaio. Questi Salaroli ebbero il titolo di marchesi dal Re di Polonia. I beni dei Salaroli nel comune di Castel Guelfo erano del ramo Senatorio, e Paolo Salaroli li comprò ed avrebbe vivendo acquistato in detto Comune per lire 180,000.

Sampieri Enrico del senator Francesco

Ai 4 di agosto dell'anno 1613 essendo casualmente nata rissa di notte, fra detto Enrico allora anziano, Leonardo Cantofoli, Allessandro di Galeazzo Fava pure anziano, Francesco Maria Andreoli orefice, Pirro di ser Achille Morandi , ed Ippolito di Gio. Battista Caprara, vennero alle mani colle spade e nel conflitto rimasero morti il Caprara e l' Andreoli, e gli altri malamente feriti. Il Legato emise una taglia per chi avesse avuto o vivi o morti i feritori.

Tanara Alessandro

Stava esso in strada Maggiore nel 1605 quando fu eletto Pontefice il Borghesi chiamato poi Paolo Quinto. Alli 2 di ottobre dell'anno 1606 Girolamo Ferrari mercante bolognese, fu ucciso nel proprio suo letto con pugnalata da Allessandro Tanara suo cognato, (fratello di sua moglie) marito di sua sorella. Il Vice-Legato emise una taglia di cento scudi, ma presto fu messa in silenzio questa partita, perchè il Papa così volle e lo fece ripatriare. Questo Allessandro non aveva alcuna attinenza di sangue coll' altra famiglia dello stesso nome, da più anni domiciliata in Bologna, la quale però anch'essa traeva origine dalle montagne di Gaggio nel Bolognese ove possedevano molti terreni.

Che Allessandro fosse un esposto trovato entro una sporta in S. Petronio dal canonico Tanara e da lui educato, e poi lasciato erede, è fatto da molti ripetuto ma non provato. Fu uomo di moltissimo senno e fortunato nei suoi affari. Morta la Ferrari sua prima moglie, si rimaritò con Diana di Nicolò Barbieri. La sua intrinsichezza con monsignor Borghesi Vice-Legato di Bologna e che poi fu Paolo V, contribuì molto ail' innalzamento della sua famiglia. Giovanni Nicolò suo figlio fu tosto fatto prelato, e la sua famiglia ottenne immensi privilegi. Esso ed i figli nulla la sciarono d'intentato per innalzare viemaggiormente la loro famiglia.

Allessandro vendette ad Annibale Ranuzzi la casa che altra volta era del cavaliere Antonio Tanara in Galliera, rimpetto a Fibbia. Il Ranuzzi non potè pagarlo e vergognando d'incontrarsi col Tanara, una mattina colto dalla disperazione si gettò nel canale di Reno alla Grada. Fu veduto da certe donne che lavavano panni, e così fu salvato e portato a casa. Allessandro Tanara andò a trovarlo, gli fece animo, si dolse della poca fiducia che aveva in lui riposta, dicendogli che se per lo passato non gli aveva richiesto quanto dovevagli, tanto meno l'avrebbe fatto per l'avvenire, permettendogli di farlo quando soltanto l'avesse potuto. Questo atto di spiegata generosità cavalleresca gli ottenne la simpatia e reverenza di tutti i suoi concittadini.

Vizzani

Questa famiglia si disse ancora dei Cattanei, ora è estinta, e da molto tempo. Ebbero l'eredità Coltelli che passò poi ai Bentivogli, e ai Savioli. Dai Bentivogli l'eredità Savioli passò ai De-Buoi, e poi dovevasi trarre un secondogenito di un senatore. I Vizzani fabbricarono nel 1132 la chiesa e l' ospitale di s. Nicolò di Pontecchio, ed ebbero sepoltura in S. Gio. in Monte. Il palazzo Vizzani in strada Stefano fu da essi fabbricato circa il 1336, ed in progresso di tempo comprato dal cardinale Lambertini. Costanzo Vizzani di Giasone fu paggio di Clemente VIII, ed il primo di gennaio 1622 fatto senatore.

Zanini Angelo Maria

Testò il 5 marzo 1745 ed il testamento fu aperto li 29 dicembre 1746. Lasciò la sua eredità a quel dottore che nell'epoca della sua morte siedesse a giudice degli Anziani; ma purchè tanto la paternità che la sua nascita constatassero la sua cittadinanza bolognese, e più che tant'esso che il padre provenissero da leggittimo matrimonio, non amettendo legittimato mercè qualsiasi privilegio. Nel caso che questi requisiti da lui voluti mancassero, l'erede sarebbe stato il giudice mediato ed immediato. Di più intendeva che il giudice non fosse nè cavaliere, nè titolato, nè gentiluomo. Era allora giudice l'avvocato Vincenzo Piella, nel quale mancava il requisito di legittimità del padre dottor Paolo leggittimato dai Campeggi. Si tentarono ricorsi presso il Papa per togliere possibilmente la mancanza del Piella, ma non ci si riusci, e l'eredità fu accordata al suo successore che fu l'avvocato Arnoaldi. Il patrimonio fu valutato circa scudi novemila in stabili fruttiferi, e di tremila in denaro sonante a frutto.