Andalò

Trassero origine, insieme con i Carbonesi e con altre illustri famiglie, dall'Alberto ch' era conte di Bagnacavallo al principio del secolo XI e cominciarono a dirsi dall'Andalò di Pietro di Lovello che resse in Cesena nel 1202. Il quale, tre anni dopo avuta podestà su tutta la montagna bolognese, e andato con possente apparecchio a metter campo alla selva di Modignano presso il confine pistoiese, astrinse i castelli di Succida e Badi, e la Sambuca a prestar sommessione (1).

Altre città seguono l' esempio di Cesena, sì che gli Andalò vanno a governarne quattordici, fra le quali Genova, Firenze e Milano (2); e due volte tengono la suprema magistratura italiana, cioè il senatorato di Roma. Era podestà di Genova Brancaleone, miles formosus et sapiens, siccome lo qualifica l'antico annalista Caffaro (3), allorchè quella città guerreggiava i Vercellesi, i Tortonesi, gli Alessandrini (1225). E poichè il distretto d' Asti era da costoro manomesso, Brancaleone quantunque infermo accorreva coll' esercito, metteva in fuga il nemico, ma soccombeva compianto nel castello di Gavi (4).

Loderingo suo fratello fu un uomo eminente e degno di ben altra fama che quella inflittagli dal cantor dei tre regni. Imperocchè, sebben nato ed allevato tra gli odii e le vendette di parte e imparentato per matrimonio con Salinguerra signor di Ferrara un de' capi della fazione imperiale in Italia, intese a fondare un' istituzione che menomasse le divisioni politiche e religiose ond' era dilaniato a que' giorni il bel paese. E, formato un nucleo di cittadini dediti al bene, instituì l' ordine dei militi di Maria Vergine gloriosa, o del gaudio, da cui il nome di gaudenti che fu travisato. Alessandro IV ne riconobbe l' utilità, e Urbano IV ne approvò solennemente la regola nel 1201, con la bolla Sol ille verus. Ne affidò il governo a Loderingo col titolo di maggiore generale, che fu da lui ritenuto soltanto quanto bastò per rassodare e per diffondere il suo portato; dopo di che con temperanza di animo dimise quella dignità suprema (5).

La benefica istituzione fece molti proseliti in Bologna, venne accolta bramosamente da cinquantaquattro città e da sedici terre, e trovò favore ed assistenza nei comuni, in al quanti papi ed in alcuni imperatori: non doveva esser dunque e non era una fantasmagoria d'un illuso ed esaltato pinzocchero (6). E in fatti Loderingo era tal uomo da esser richiesto di governo da sei città (oltre la propria con raro esempio ), il che per autorità del Muratori basta a servire di elogio distinto (7).

Prima fu Modena nel 1251, e siccome essa aveva perduto il Frignano, Loderingo adoperò a rivendicarglielo in Genova, ove Innocenzo IV aveva radunati gli oratori di lega lombarda (8). Susseguirono altre città della Toscana e dell' Emilia, poi Bologna nel 1263 gli diede prova di gran fiducia aggiungendolo con facoltà opportune ai proprio podestà Jacopo Tavernieri, in voce di reggere mollemente o slealmente, quando gl' Imolesi, scacciati i guelfi e danneggiati de' Bolognesi, dovevan essere puniti. E non fu invano, chè Loderingo, insieme col podestà domate le sedizioni interne, rintuzzate le minacce esteriori, costrinse gl'Imolesi a piegare ai voleri del comune di Bologna (9).

Due anni dopo, la licenza ed il furore delle fazioni mettevano sossopra Bologna, neghittoso o fiacco il podestà Guglielmo da Sesso; sì che i cittadini a insinuazione dell'illustre giureconsulto Egidio Foscarari trasferirono di nuovo il sommo potere in Loderingo, associandogli Catalano Catalani altro gaudente ed esperto rettore di città. L' uno era ghibellino, l' altro guelfo, ciò non ostante furono concordi, e « senz' essere accettatori di persone e giudicando il giusto fecero meraviglioso frutto nella città, acquetando e componendo assai discordie e lunghe inimicizie... Ed in somma ridussero la città ad un stato tranquillo » (10).

Tra i providi loro ordinamenti furono quelli per l' integrità de' giudizii, la riforma degli statuti, dai quali, prevenendo i tempi, tolsero quasi affatto la pena di morte ed esclusero la tortura. Ad evitare le frodi vie più crescenti istituirono l' ufficio di que' memoriali dai quali ho tratto gran copia di documenti per questo mio lavoro, e a raffermare i tumulti formarono una guardia di 1200 cittadini che sotto il vessillo di Maria Vergine Gloriosa dovev' accorrere all' uopo (11).

Codesto buon successo invogliò i Fiorentini più flagellati che i Bolognesi dalle fazioni. Dopo il grande scempio sull'Arbia, l'attentato di tor via Firenze, la sconfitta di Grandella, nuove calamità minacciando, eglino s' indussero con beneplacito di Clemente IX a cambiar podestà e ad eleggerne due nelle opposte fazioni, affinchè si contemperassero; e furono Loderingo e Catalano. I quali misero mano alle riforme ed a' provvedimenti ed « acquistaronsi da principio fama di esatta giustizia, non preferendo più i guelfi che i ghibellini... e addolcirono gli animi a modo che sorse giusta speranza di salda conciliazione » (12). Ma poi i sospetti e le invidie, che sorgono sempre ove si parteggia, ogni cosa travolsero.

Il Villani narra che, in seguito ad un tumulto eccitato da' ghibellini in Firenze, i due podestà bolognesi furono rinviati. Ma io ho dimostrato con documenti (13) che i due avevano già chiesto al papa d'essere esonerati da quell'officio essendo scorso il consueto semestre e che ciò non ostante, dopo il tempo assegnato dal Villani, i due indussero a comporre guelfi e ghibellini in Firenze ed a far tra loro parentadi. Ciò non valse però a mantener la pace, ma valse meno la predilezione del papa per re Carlo e l'avversione ai ghibellini sorretti da perfidi e scomunicati alemanni (14).

Loderingo e Catalano furono accusati di parzialità partigiana, ma, si noti bene, tanto dai guelfi quanto da' ghibellini; furono dal sommo poeta relegati nella sesta bolgia per la grave colpa che « Ancor si pare attorno del Gardingo: » cioè l' aver fatto atterrar le case de' tumultuanti Uberti, con i quali Dante divideva gli amori di parte. Ma Firenze, dopo partiti i due podestà, confermò quella demolizione, decretando non si dovesse più fabbricare sulle rovine delle case degli Uberti e impose ad Arnolfo d' innalzare il palazzo della signoria piuttosto sopra una pianta irregolare, che valersi d' un suolo abborrito. Ma i Bolognesi nel susseguente anno 1267 confidarono di nuovo la salvezza della città dilacerata a Loderingo, a Catalano e ad altri due gaudenti, che ricondussero la concordia e la pace (15). Se non che il canto XXIII dell' Inferno, quasi tutto rivolto a quei due, i quali richiesti dal poeta dell'esser loro cominciano a rispondere dicendo

« Frati godenti fummo e bolognesi, »

quel canto dico ha troppo fascino perchè ne possa essere cancellata l' impressione dal decreto della repubblica fiorentina, o dalla fiducia de' Bolognesi.

Loderingo, forse affranto dalle lotte sostenute e dalla cancrena delle fazioni, ritirossi (1267) nel convento da cui scrivo, sul colle romito di Ronzano, circondandosi d'un'eletta di confratelli militi di M. Vergine Gloriosa, fra i quali sono ricordevoli l'anzidetto Catalano ed il giureconsulto Bonaventura da Savignano, com' è pur ricordevole l' ospite, anch' esso confratello, fra Guittone d' Arezzo, il poeta. Dopo ventisei anni di claustro Loderingo morì in questo Ronzano e vi fu sepolto (16).

Gli è lo stesso Ronzano in cui si rifuggì due volte Diana, sorella di Loderingo, avvenente e leggendaria donzella inspirata di celestiali amori dal Guzmano che fu poi s. Domenico. Vi si rifuggì per evitare nozze, alle quali avevanla destinata i genitori ed alle quali preferì gli sponsali monastici, benedetti dal Guzmano. È dessa la fondatrice del convento di s. Agnese, ed ha culto di beata (17).

Nipote a Loderingo e a Diana, e figlio del primo Brancaleone, era un altro Brancaleone il quale fu scelto dal maggior consiglio di Bologna a senatore di Roma, allorchè (1252) gli oratori dell' alma città vennero a richiedere il consiglio d' un cittadino per tale eminente ufficio, non tenuto per anco da nessun straniero, che tale allora stimavasi un italiano di altro stato (18).

Brancaleone all'illustre lignaggio, al pingue censo, accoppiava grandezza d'animo, severità di costume e fama di equità incorruttibile. Ma poichè Roma era agitata dai partiti ed egli prevedeva l'avversione de' magnati guelfi contro lui ghibellino, impose la condizione che l'ufficio gli fosse prorogato a tre anni con autorità illimitata e gli venissero dati ostaggi da custodirsi in Bologna fino al suo ritorno; e avutili, furono splendidamente accolti da Galeana Savioli sua moglie, che ne curò la custodia. Ma gli avvenimenti non tardarono a giustificare i sospetti e le cautele del senator di Roma. Ne riferisco la narrazione del Savioli (19).

« Brancaleone degli Andalò purgando il distretto da' ladronecci, frenando i grandi e spiegando ne' suoi giudizii una rigida integrità, s'era compra l' aura del popolo, che racconfermollo in ufficio; ma non isfuggì l'avversione di più famiglie possenti, che messa Roma a tumulto s'insignorirono del Campidoglio (1255), sostituirono a senatore Manuello dei Maggi e Brancaleone racchiuso in carcere parve riservato al supplizio. Nè indugiò il comune a manifestarsi sollecito per la salute d' un tanto concittadino. V'accorsero in nome nostro un Arienti, un Asinelli, un Guezzi, un dalla Fratta, che dopo aver perorato senza profitto intimaronvi che quel destino medesimo che s'apparecchiava a Brancaleone era riservato agli ostaggi custoditi all'uopo in Bologna. Frattanto gli Annibaldeschi ed il restante de' sediziosi insistendo presso il pontefice gl'indicavano nel prigioniero una vittima necessaria alla sicurezza della chiesa e l'astrinsero a interessarsi per la libertà degli ostaggi, che opponevano col loro rischio alla stabilita vendetta. Alessandro infatti precettò il comune per lo rilascio e gli minacciò l'interdetto quante volte si mostrasse alieno dall'ubbidirgli. E in allora la moglie di Brancaleone fornì un esempio assai chiaro di sua pietà coniugale, perchè, sottrattasi celatamente da Roma ove divideva le angustie del distenuto, apparve in Bologna e vi reclamò virilmente la fede pubblica. A Castellano degli Andalò e ad Arriverio dei Carbonesi obbligò il consiglio al Dicembre la protezione implorata, e gli ostaggi, in onta dell' interdetto onde la città fu percossa, permessi alla famiglia dell' aggravato, sostennero una più dura custodia ». Per lo che indirizzarono lettere supplichevoli al popolo romano, lamentando l' atra domus Brancaleonis, ubi seva mulierum custodia premit (20).

Infruttuose le preghiere, giovò la generosità del comune di Bologna. Poichè fatti prigionieri in Romagna e qui tratti due Romani, primarii congiunti del papa, furono rilasciati dal comune, e in contraccambio venne levato l' interdetto e Brancaleone fu sciolto. I Romani lo costrinsero però a rinunziare all'ufficio di senatore, a qualsivoglia compenso e a comprare le case che i Colonnesi avevano in Bologna. Ma Brancaleone, ricuperata la libertà, protestò contro l' estorta rinunzia (21).

L'altalena delle fazioni risollevava due anni dopo il popolo romano, che sbarazzavasi del senatore Maggi, uccidendolo, e redintegrava il deposto Brancaleone. « Nè si tosto (continua il Savioli) fu in Campidoglio che spiegò sui nobili un' inflessibile severità e assaporò una vendetta coonestata dalla giustizia. Si moltiplicarono gl'imprigionamenti e le multe, diroccaronsi le loro torri, e due degli Annibaldeschi si videro strascinati al patibolo. Inutilmente il pontefice ricorse all'esperimento delle censure. Egli stesso all'ultimo, negletto fino al vilipendio ed in forse di sua salvezza, fu costretto a ricoverarsi in Viterbo » (22). Poi per salvare Anagni sua patria, minacciata da un esercito di Romani, dovette umiliarsi e supplicare Brancaleone per mezzo di oratori, i quali riuscirono a piegare quell'animo poco flessibile. Se non che poco appresso Brancaleone fu colto da morte, nel fior degli anni e con sospetto di veleno, quando domato l' orgoglio de' prepotenti aveva conseguito l'autorità assoluta e l'amor del popolo. I Romani, rendutigli i più grandi onori, ne raccolsero la spoglia in urna di porfido che situarono su colonna eminente (23). È documento della sua dittatura una moneta d'oro che ha Roma da una parte e la scritta S. P. Q. R., dall'altra parte un leone e il nome Brancaleo (24).

Consultato mentre giaceva moribondo sulla scelta d' un successore, mise in rilievo la rettitudine di Castellano suo zio, fratello di Loderingo, il quale fu quindi solennemente acclamato, non ostante i divieti e le censure del papa. Egli aveva governato con energia i ghibellini di Modena, non che gli estrinseci riminesi, e trovavasi pretore a Fermo, di dove recossi in Campidoglio, per seguir le orme del nipote che lo condussero allo stesso passo. Chè il volubile popolo romano, raggirato l' anno appresso dai guelfi, proruppe in nuova sedizione, depose Castellano ed assediollo nel castello in cui aveva riparato. Ma costui si difese e potè mettersi in salvo. Rimaser però prigioni il suo assessore, ch' era de' Storlitti, ed altri Bolognesi invano richiesti dal comune, che per contro diniegava di render gli ostaggi romani al papa, il quale aveva ricorso al solito spediente dell' interdetto, prescrivendo inoltre l' allontanamento dello studio (25).

Castellano, rimpatriato con la fama d'uomo forte e virtuoso, succedette per quanto appare a Fabro nel primato della fazione che continuò ad essere designata col nome di lambertazza. Ed è indizio della sua preminenza l'esser egli andato sul carroccio ad incontrare al ponte di Reno Margherita di Borgogna, circondato dai più illustri nella milizia (26).

Ma poichè nel 1272 i geremei impedivano in armi la spedizione prescritta contro gli Aigoni di Modena, Castellano con gli antesignani di sua parte oppose armi alle armi e cominciò la lotta. Giunse il carroccio, ma per tradimento fu abbandonato a' geremei che lo sospinsero dentro la cattedrale. Al pretore e alla società di giustizia riescì di sedare il tumulto (27).

L' anno susseguente l' esercito bolognese, malgrado l' opposizione de' lambertazzi, assediava Forlì, validamente difesa. S' interponeva paciere Edoardo re d' Inghilterra reduce dalla Palestina, e i lambertazzi ne avvaloravano gli ufficii. Ma Alberto Cazzanemici caporione de' geremei, volendo vender la pace, sdegnò talmente Castellano che i preliminari non ebber seguito. Allora i Forlivesi tramarono co' lambertazzi una sortita per piombare su' geremei, e sterminarli: ma Castellano, non smentendo sè stesso, rifuggì dal tradimento e la sua autorità ritenne gli altri. Se non che dopo un mese d'inutili prove l'assedio fu levato, mentre Castellano, diffidando dell' avvenire, si collegò col conte di Modigliana e n'ottenne la figlia in isposa del suo unigenito Andrea (28).

Ma nel 1274, e mi valgo della robusta narrazione del Savioli « si ripreser l' armi fra geremei e lambertazzi e la guerra fu per ogni modo civile. Castellano traendo a seguito coll' intera schiatta de' Carbonesi gli Abaisi, quei della Fratta, i Nasini e i Porri, primo si azzuffò coi Galluzzi e coi lor seguaci Nè in breve rimase immune da mischia angolo veruno della città ed il furore s'estese a tutto il contado... Pel tratto di più d' un mese proseguirono i due partiti a contendere contrada opposta a contrada, società a società, famiglia a famiglia. Nelle famiglie medesime, divise fra sè di parte, violaronsi le ragioni del sangue e le donne non inorridirono infra gli stormi, e vi secondarono il furor de' padri e de' mariti.

E ormai per prova apprendevano i geremei che le sole forze non bastavano loro a sterminio degli avversarii. Ricorsero al tradimento. Fu proposto che Castellano e Alberto Cazzanemici, ciascuno con altri nove maggiori di sua fazione, convenissero al palagio senz' arme e vi dimorassero in protezion del comune, finchè seguisse fra loro un accordo che ristorasse la quiete. Nè i più avveduti fra' lambertazzi s'astennero da suspizioni d'insidia. Piero Carbonesi, manifestandole a Castellano, lo scongiurava a non riposar soverchio sull'apparenze, fino a comprometter sè stesso e la causa a lui confidata. Ma l'imperterrito capoparte preferì il rischio all'imputazione d'aver rimossa per timor privato la pubblica tranquillità » (29), ed entrò nel palagio seguito dal Carbonesi e da otto de' maggiorenti. Arrestati e tradotti al carcere, inutilmente invocarono l'avuta fede e nella loro fazione vennero estorti al tempo stesso venticinque ostaggi primarii, che tratti in Castelfranco subironvi rigorosa custodia, mentre al Cazzanemici e agli altri nove fu dato modo a sottrarsi e a raccorre il frutto della perfidia (30).

La prigionia di Castellano fu di gran danno ai lambertazzi, che avidi di vendetta e di strage scorsero le vie ululando nel buio della notte, brandendo armi e faci. Dall' alto degli edificii gittavano bitumi ardenti, pietre e travi, uccidendo, ardendo, demolendo sì che dagli incendii furono avvolte eziandio le case di Castellano, sotto le cui rovine perì Castoria moglie di lui (31). Erano in vero tempi feroci; ma lo sarebber meno quelli di cui han dato saggio i petrolieri?

Dopo cinque giorni di eccidio, i lambertazzi vedendosi sopraffatti abbandonarono Bologna. Le confische che ne seguirono non risparmiaron verun possedimento degli Andalò (32), nè meno quelli di Loderingo che viveva pacificamente nel chiostro di Ronzano; e Castellano venne costretto un anno dopo a ratificare, dal carcere che gli fu tomba, la vendita fiscale degli avanzi delle sue case gentilizie.

Un Brancaleone Andalò era tra' fuorusciti lambertazzi che congregaronsi in Imola nel 1298, per elegger arbitri fra loro ed il comune di Bologna. Un Niccolò è annoverato tra i soccorritori del pubblico erario, esausto, nel 1333 (33) ed ultimo menzionato è un Domenico, anziano nel 1377. Il cognome degli Andalò fu dai Branchetti associato al proprio e si rinviene tuttavia nella classe artigiana.

Gli Andalò signoreggiarono su Piancaldoli, Belvedere, Massa, Monterenzo, Cassano ed altre castella (34) e non ebber pari nel possesso di quattrocentoquattro servi della gleba.

Le case loro, come avvertì il prof. Gaetano Monti e riferì il Melloni (35), estendevansi dalla via s. Mammolo per quella de' Libri, ora Farini, fino all' attuale piazza del Pavaglione. Ed erano distinte in case nuove e case vecchie, tutte nella corte degli Andalò nel 1273, cioè quando ne fu fatta la divisione insieme con i possedimenti in Funo, Argelata, Bondanello, Casola e Badalo, tra Loderingo e Castellano. In queste case teneva ragione Loderingo con Catalano, allorchè in loro si commisero i Bolognesi, come mostrano alcune paci giurate in curia D. Andalo et D. Castellani (36). Arse e rovinate nel 1274, vennero dette il guasto degli Andalò. Poscia risorte, vi si accentrò lo studio bolognese che nel 1563 fu trasportato nell' archiginnasio espressamente costruito: allora quelle case vennero ridotte a palazzo de' Seccadinari, che passò ai Dolfi e ai Ratta ed è segnato col n. 37.

Nella ricostruzione fattane non ha guari, per l'allargamento di via Farini, furono scoperti gli avanzi della torre presso l' angolo della via suddetta di s. Mammolo, ed eran mura, con parallelepipedi di gesso, larghe un metro che formavano un rettangolo d' otto metri di lato.

(1) Savioli, Ann. v. 3, pag. 36 stemma genealogico, 257, 278.

(2) Savioli, Ann. v. 3, pag. 257, 360, 367, 386. v. 5, pag. 22, 26, 26, 107, 116, 249, 200, 277, 279, 303.

(3) Annales genuenses col. 437.

(4) Caffarus, Annal. genuens., col. 437. Savioli, Ann. v. 5, pag. 30, 32.

(5) Federici, Stor. dei cavalieri gaudenti, v. 1, pag. 289. Savioli, Ann. v. 5, pag. 406.

(6) Federici, Stor. dei gaud., v. 1, pag. 187.

(7) Savioli, v. 5, pag. 245, 260, 279, 323, 363, 392. Muratori, Antichità ital. v. 3, pag. 58.

(8) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 181. Savioli, Ann. v. 5, pag. 245.

(9) Savioli, Ann. v. 5, pag. 367. Il quale ne riporta il lodo nel v. 6, pag. 390.

(10) Histor. misceli., col. 276. Villola, cronaca ms. del sec. XIV, pag. 42. Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 209. Savioli, Ann. v. 5, pag. 382.

(11) Gli statuti fatti dai due gaudenti furono da me pubblicati per la prima volta, nella mia Cronaca di Ronzano e memorie di Loderingo d' Andalò pag. 134 e segg., e cominciano cosi: Hec sunt statuta et ordinamenta facta per DD. Fratres Loderengum de Andalo Catalanum D. Guidonis Domine Hostie Ord. Mil. B. M. V. Gloriose.

(12) Savioli, Ann. v. 5, pag. 392.

(13) Cronaca di Ronzano, pag. 38, 39 e docum. 20 e 23.

(14) Breve di Clemente IV riportato dal Federici, Stor. dei gaud. v. 2, pag. 84.

(15) Histor misceli, col. 278. De Griffonibus M. Memor. col. 119. Savioli, Ann. v. 5, pag. 400, v. 6, pag. 415.

(16) Ghirardacci, Hist, v. 1, pag. 312. Melloni, Uom. ill. v. 1, pag. 204. Ulteriori notizie e documenti sono raccolti nell' accennata Cronaca di Ronzano.

(17) Savioli, Ann. v. 5, pag. 7. Melloni, Uom. ill. v. 1, pag. 194 e segg., ove sono raccolti gli atti e le memorie di questa beata. Gozzadini, Cronaca di Ronzano, pag. 12 e segg.

(18) Savioli, Ann. v. 5, pag. 258.

(19) Savioli, Ann. v. 5, pag. 285, 290.

(20) Savioli, Ann. v. 5, pag. 290 e due lettere nel v. 6, pag. 323, 324. Muratori, Ann. v. 11, pag. 295.

(21) Savioli, Ann. v. 5, pag. 291, 301.

(22) Savioli, Ann. v. 5, pag. 306. Muratori Ann. v. 11, pag. 308.

(23) Savioli, Ann. v. 5, pag. 318. Muratori Ann. v. 11, pag. 308.

(24) Savioli, Ann. v. 5, pag. 324. Questa moneta fu pubblicata dal Muratori nelle Antiquit. ital. med. aevi, v. 2, pag. 365, flg. II.

(25) Savioli, Ann. v. 5, pag. 318, 330.

(26) Savioli, Ann. v. 5, pag. 337. 410.

(27) Savioli, Ann. v. 5, pig. 456.

(28) Savioli, Ann. v. 5, pag. 469.

(29) Savloli, Ann. v. 5. pag. 481.

(30) Savioli, Ann. v. 5, pag. 482.

(31) Savioli, Ann. v. 5, pag. 484, 491.

(32) Il seguente documento accenna gli edificii e fortilizii confiscati a Castellano in Casadio.

Millesimo ducentesimo septuagesimo septimo, Indictione quinta, die quintodecimo intrante Ianuario.

Damianus qd. Vilani Linarolus ex causa venditionis dedit, cessit d. Galatto (sic) de Lanbertinis omnia jura et actiones que habet in edifficiis, domibus et fortiliciis d. Chastelani de Andalo, que sunt in curia Chasadej, quas dictus Damianus emit a comune Bonon. et hoc predo centum viginti libr. bonon. ex instromento Homoboni de Tederixiis hodie facto ad banchum dicti notarli, presentibus etc. testibus et sic diete partes scribi fecerunt.

Lib. 34 Memorial. Bonbologni Ghiberti not., fol. v.iiij. v.

(33) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 360; v. 2, pag. 109. Savioli, Ann. v. 5, pag. 491.

(34) Savioli, Ann. v. 5, pag. 177, genealogia, pag. 434.

(35) Atti e mem. v. 1, pag. 207, n. 20.

(36) Savioli, Ann. v. 5, pag. 404. Gozzadini, cron. di Ronzano, pag. 179, docum. 52.