Lodovisi

Ne fu tessuta la storia dal Litta (1) e di essa mi valgo specialmente nel tempo moderno: ebbero da Leon X la contea di Samoggia e Tiola nel 1514, che fu loro tolta diciott' anni dopo da Clemente VII, ad istanza dello stato bolognese impacciato e leso da molti di siffatti feudi (2). Divenuto papa un Lodovisi, la famiglia ebbe i ducati di Fiano e Zagarolo, il principato di Venosa e il principato sovrano di Piombino, il quale passò poi in conseguenza di un matrimonio nella famiglia Boncompagni, anch' essa bolognese.

I Lodovisi erano geremei prima del 1228, ma non appare che prendesser parte nelle guerre civili. La pace fatta da un di loro, Tommaso, con Petruccio Beccadelli nel 1341, è da riferirsi a private inimicizie (3). Non si tennero però, al principiare del secolo XV, dal favoreggiare il partito che s' opponeva al popolare cui era a capo Nanni Gozzadini, nè si stettero dal trattare con Giacomo Isolani per sottoporre Bologna al papa (4). Un Lodovico Lodovisi, giudice e rettore, aveva nel 1228 rappresentato il comune al parlamento di Milano ed un Bonaccorso era ito qual milite e giudice del concittadino Brancaleone d' Andalò, senator di Roma (5). Alcuni de' Lodovisi furono ambasciatori, capitani, sei senatori e cinquantatrè anziani dal 1296 al 1617.

Tra i capitani si distinse Niccolò per l' assedio e la presa della Torre de' Cavalli, e di Cento, nel 1378, onde solennemente fu dal pretore fregiato del cingolo militare e quindi chiamato cavaliere del comune (6). Poco dopo, Giovanni esulato in Francia vi fu fatto conte di Agramonte: passato a Napoli divenne gran cameriere della regina Giovanna e poscia suo luogotenente nel tribunale della camera regale in Sicilia. Due Lodovici furono lettori di gius civile: uno alla metà del secolo XV e sostenne con ingegno e con destrezza là nunziatura di Francia sotto Pio II (7); l'altro nel secolo appresso fu fatto cardinale e arcivescovo di Bologna dallo zio Alessandro, diventato papa col nome di Gregorio XV. Il quale arricchì strabocchevolmente e sublimò la sua famiglia nel suo brevissimo pontificato: istituì la congregazione di propaganda fide e ascrisse tra i cardinali il Richelieu. Fece cardinal padrone, secondo l' usanza e come solevasi dire, il proprio nipote Lodovico, il quale, benchè non avesse che 26 anni, afferrò con mano ferma le redini dello stato. A forza di offizii, pensioni e benefizii divenne straricco. Costrusse in Roma la villa che porta il cognome della famiglia di lui e vi fece dipingere dal Guercino la famosa Aurora.

Gregorio XV donò al fratello Orazio i ducati di Fiano e di Zagarolo, lo fece generale di santa Chiesa, lo inviò a prender possesso della Valtellina, sperando di farne un principato per la propria famiglia, quando col trattato di Madrid (1623) fu stabilito che quella provincia fosse consegnata in deposito al papa. Orazio era senatore di Bologna, come lo furono i suoi discendenti.

Niccolò, figlio di lui, divenne mercè il nipotismo uno dei primàrii signori d' Italia. Con tre matrimonii accumulò dominii ed onorificenze. Sposò in prima Isabella Gesualdo, che gli portò in dote il principato di Venosa con quaranta e più castella; poi Polissena Mendoza, che gli recò la sovranità di Piombino e in fine Costanza Pamfili, nipote d'Innocenzo X, ond' ebbe il generalato di santa chiesa e il comando d' una armata navale per soccorrere Candia; ma, essendo un dappoco, non osò cimentarsi. Ottenuta la grazia di Filippo IV, n' ebbe il principato di Salerno e il toson d' oro : fu fatto vicerè prima d' Aragona, poi di Sardegna. Involto negl' intrighi della celebre Olimpia Maldachini, fu spogliato di tutti gli onori dallo zio papa Innocenzo, il quale glieli ridiede al letto di morte.

Il costui figlio Giambattista gli succedette nella sovranità di Piombino. Essendo generale delle galere del regno di Napoli, prese a cozzare col vicerè marchese di Los Velez e fu mandato nella fortezza di Gaeta. Ottenuta la libertà, per mezzo della moglie marchesa di Aytona, andò alla corte di Spagna, vi fu molto onorato e nominato vicerè delle Indie. Morì nel 1699 ultimo maschio della famiglia.

La sorella Ippolita gli subentrò nel principato di Piombino, ma quasi tutto lo stato rimase occupato dai Tedeschi fino alla morte di lei. Fu moglie di Gregorio Boncompagni, duca di Sora, e perciò il principato di Piombino passò nella famiglia Boncompagni anch' essa bolognese, come ho detto.

Le antiche case de' Lodovisi erano nel mercato di mezzo, tra le strade Roma e Venezia (n. 79), e sull'angolo di quest' ultima sorgeva un' alta torre. Le case e la torre passarono in proprietà di Giovanni da Imola, rinomato legista, che negli studii di Bologna, di Ferrara e di Padova ammaestrò nella giurisprudenza un Giovanni d'Anania, un Alessandro Tartagni, un Mariano Socino, un Angelo Gambiglioni e un Domenico, poi cardinale, Capranica. Ma nel 1422 le case del l' esimio maestro perirono e furon causa che la torre perisse, come si ha dal seguente racconto d' un cronista contemporaneo (8).

« Adì 19 del mese d' ottobre, a sera, per mala guardia di alcuna persona che lavorava canepa nella casa e abitazione dell' egregio dottore di leggi e decretali messer Giovanni da Imola, la quale era nel Mercato di mezzo, nella cappella di s. Michele del detto Mercato, rimpetto le case degli eredi di ser Giovanni d' Oretto, di sotto la via confinata sul cantone della via che dal Mercato di mezzo va giù dalle Selle (ora via Altabella), andando in giù a mano sinistra; la qual casa era già stata di Verzuso Ludovisi cambiatore, nella qual casa e nel qual cantone predetto era una torre bellissima, grossa comunalmente ed alta circa ottantacinque piedi comuni alla misura di Bologna; il detto dì ed ora si appiccò il. fuoco nella detta casa, e tra quella notte e il dì seguente arse tutta quella casa con la maggior parte delle cose ch' eranvi dentro e, fra le altre arse tutto lo studio suo, nel quale era, per detto di quelli di casa sua, più di 600 volumi di libri (9). Considerato dal Legato e dalli Signori Difensori del Comune di Bologna lo gran danno ch' essa aveva ricevuto, e la buona intenzione ch' egli aveva disposto di farla rifare (la casa), e di fargli un bellissimo lavoriero; gli fu data licenza ch' esso potesse disfare e far disfare la detta torre, la quale fu cominciata a disfarsi nell' anno 1423, circa lo principio del mese di febbraio e durò a disfarsi sino alla festa di s. Michele di settembre del detto anno, lavorandogli sempre almeno, ogni giorno, quattro persone sul muro con gli picconi ecc. ».

Giovanni da Imola mostrò con tale disfacimento che si può essere un dottissimo giureconsulto, com' egli era, e in pari tempo un ignorante per ciò che concerne la costruzione e la demolizione degli antichi edifizii. Poichè, senza fallo, atterrando la vetusta sua torre n' avrà tratto più maceria e ciottoli che materiali da fabbrica, e forse avrà più speso che guadagnato: essendochè tal sorta di edifizii, per l'ottima qualità del cemento adoperatovi, hanno tale coesione che solo possonsi, e a stento, sbocconcellare. Gran ventura contro la peste degli avidi demolitori. Il legato e i signori difensori del comune, che permisero tale distruzione, avranno avuta la parziale ignoranza di Giovanni da Imola senza averne la scienza giuridica, e meritarono il ludibrio de' contemporanei e de' posteri per aver concorso a privare il paese di un cospicuo e caratteristico monumento.

L' Alidosi (10) notò ch' era stata dei Lodovisi anche una torre « da s. Nicolò degli Albari » — Vedasi Magnani.

A loro appartennero altresì, dal secolo XV alla metà del XVII, la torre Uguzzoni situata in via Mandria e le case contigue, che danno su via Cavaliera. Vi nacque Alessandro, che fu Gregorio XV, e le vendette la sua cognata Lavinia Albergati, duchessa tanto taccagna quanto ricca.

(1) Famig. illustr. d' Italia — Famig. Lodovisi.

(2) Guidicini, Cose not. v. 1, pag. 37, nota.

(3) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 158.

(4) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 534.

(5) Savioli, Ann. v. 5, pag. 69, 265.

(6) Ghirardacci, Hist. 2, pag. 371.

(7) Dolfi, Cronolog., pag. 473. Fantuzzi, Notiz. v. 5, pag. 77, 78. Mazzetti, Repert., pag. 184, 185.

(8) Cronaca Fabbra ms., pag. 176. Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 641 riferito dal Fantuzzi, Notiz. v. 4, pag. 354.

(9) Era una ricchezza tragrande prima dell'introduzione della stampa.

(10) Instrut., pag. 195.