Cento Trecento, dal I volume delle “Cose Notabili…” di Giuseppe Guidicini, con le correzioni di Luigi Breventani
Cento Trecento è la strada che comincia nel Borgo della Paglia in faccia la strada del Guasto, e termina nel Borgo di S. Marino.
La sua lunghezza è di pertiche 58, 06, e la sua superficie di pertiche 92, 39, 3.
Si racconta che Cento di Filippo Trecenti, morto per la peste del 1383, aveva casa in questa contrada, la quale toglieva la comunicazione col Borgo della Paglia. Tolto questo impedimento, in progresso di tempo la strada prese il nome e cognome del proprietario della casa atterrata. Chi ci ha tramandato il racconto dimenticò di dire in qual anno si aprisse questa comunicazione, della quale se ne è data la storiella che deve ritenersi come favolosa, non trovandosi che Cento sia stato usato come nome da alcun bolognese, e che il cognome Trecento abbia mai esistito in alcuna delle nostre famiglie.
Da una sentenza di Gherardo, Vicario Generale di Schiatta, Vescovo di Bologna, riportata da un rogito di Giovannino notaro, delli 2 maggio 1298, viene ricordato il Borgo delle Cento Trasende, che a buon dritto si giudica essersi poi corrottamente detto Cento Trecento.
Un rogito di Filippo Formaglini delli 24 gennaio 1430 nomina cento Traxende, altro Cento Trasiende. Sabadino degli Arienti, li 25 gennaio 1487, la nomina Cento Trascendi, e Antonio Boccacani, sotto la data delli 29 novembre 1496, la dice "Le Cento Traxende" e del 1605 nelle Cento Trecento. Sull' etimologia del nome di questa 'strada non si è trovato nulla di più positivo.
Cento Trecento a destra entrandovi per il Borgo della Paglia.
NN. 2909, 2908. Casa dello scultore Ventura Furlani, poscia Giacomini.
NN. 2907, 2906. Stabili del pittor paesista Vincenzo Martinelli, ultimo segretario dell' Accademia Clementina. Ultimamente era dello scultore Giacomo De Maria. Fu anche abitato dal pittore Carlo Lodi.
Cento Trecento a sinistra entrandovi per il Borgo della Paglia.
NN. 2870, 2871. Collegio Illirico Ungarico. Paolo Zondi, gran Preposto e Canonico di Zagabria, poi Vescovo di Rosana in Croazia, passando per Bologna nel 1537, per andare a Roma, s'invogliò di stabilirvi un collegio per giovani suoi connazionali, a ciò consigliato dalla celebrità del nostro studio.
Non si conoscono i motivi che ritennero in Roma per molti anni il Zondi, perchè il suo ritorno in Bologna ebbe luogo soltanto nel 1552. Sembra però che avesse cominciato ad eseguire il suo progetto prima di abbandonar Roma, dacchè vien detto che li 19 novembre 1550 Lorenzo Reffrigeri avesse venduto al collegio una sua casa per scudi 487 d'oro.
Nel 1552 presentò gli statuti regolatori dell' istituto protetto dall' Imperatore dei Romani, dal Vescovo di Bologna e dal Capitolo di Zagabria, dal qual Capitolo volle che fossero estratti i Rettori. Gli alunni dovevano esser chierici e di provata nobiltà.
Qnalche volta furono in numero di dodici, o dieci, ma non mai meno di otto. Vestivano l' abito antico dei preti secolari, cioè il talare di stamina nera, e il tabarro dello stesso drappo, ma stretto e abbandonato di dietro alle spalle. Andavano cinti di larga fascia di seta fiorata, dalla cui allacciatura pendevano fiocchi pure di seta nera. Dal capello a tre punte alla sacerdotale uscivano due fiocchi, e finalmente portavano al petto una stella o croce d' oro colle armi del capitolo di Zagabria e del fondatore.
Non si ha altra memoria di acquisti fatti per l'abitazione dei collegiali, se non quella già annunciata, dal Reffrigeri, il cui stabile era in Cento Trecento.
Nel 1691 si volle dare alla fabbrica del collegio una nuova forma con disegno di Gio. Battista, e di Giuseppe Antonio Torri. Trovasi che li 28 giugno di detto anno il Senato accordò suolo pubblico per la medesima, che fu condotta a termine nel 1700, con direzione di Gio. Antonio Conti.
Il primo Rettore dal 1553 al 1558 fu Stefano Leporino.
Giuseppe II Imperator d' Austria decretò li 15 settembre 1781 la soppressione di questo collegio, lo che si eseguì li 29 ottobre susseguente, e li 14 dicembre dell'anno stesso fu chiuso.
Il Rettore, quale plenipotenziario di S. M. I. e R., pubblicò la vendita di tutti i beni consistenti:
1° Nella casa in Cento Trecento, venduta poi alle suore Terziarie Scalze.
2° In un predio a Marano con casa padronale, e di semina corbe 5, acquistato dal marchese Boschi.
3° In un predio a Russo, di semina corbe 11, con qualche comodo di casa padronale.
4° In un predio nel Comune di S. Vitale detto gli Alemanni, di semina corbe 11, con casa da braccente.
5° In un predio in Olmetola, detto il Morazzo, di semina corbe 12, con casa da braccente.
I quali furon comprati da Vincenzo Galli per L. 60000, li 28 ottobre 1781.
Cosi fini questo collegio che godeva molti privilegi, esenzioni ed immunità, e che ad imitazione del Collegio di Spagna, dispensava patenti a vari cittadini bolognesi.
Le suore Terziarie, dette Scalzine, degenti in Strada S. Stefano nel locale dell'antico Catecumeno, comprarono questo collegio li 29 ottobre per L. 20500. Il martedì 23 aprile 1782 le compratrici in numero di 12, e una tredicesima in approvazione, passarono, in varie carrozze, nel nuovo convento, e si apri la chiesa pubblica dedicata ai SS. Giuseppe e Teresa. Non perdurò quivi il loro soggiorno, perchè li 8 settembre 1805, sul far del dì, furono traslocate ed unite al convento delle Scalze di San Gabrielle in Strada S. Stefano, dove poi le une e le altre furon soppresse li 12 luglio 1818. Questo fabbricato servì a vari usi militari, e particolarmente a deposito di coscritti, e in appresso a casa di correzione.
Angelo Venturoli, nativo di Medicina, architetto di professione, morto li 7 marzo 1821 a ore 8 pomeridiane, con suo testamento segreto consegnato al notaro Gio. Paolo Dossani, e pubblicato li 8 marzo dello stesso anno, instiluì un collegio da dirsi Venturoli per un numero di giovani compatibile coi mezzi della sua eredità, i quali dovessero applicarsi agli studi delle belle arti, del disegno, nominando suoi esecutori testamentari il marchese Antonio Amorini nato Bolognini, il conte cav. Luigi Salina, e Carlo Savini, i quali li 8 luglio 1822, mediante l'economo di questa istituzione, acquistarono questo locale per scudi romani 2130, come da rogito del suddetto Dossani. Dopo i necessari risarcimenti ed adattamenti, si aprì il collegio con alunni che furono regolati dal Rettore D. Antonio Maini canonico Decano di S. Petronio.
NN. 2872, 2873. Compagnia della SS. Risurrezione, che cominciò col titolo di compagnia del SS. Sacramento l'anno 1564 nella chiesa della Maddalena di Strada S. Donato. Pare che per alcune differenze insorte dovessero qui traslocarsi in una casa lasciata alla compagnia dal confratello Gio. Battista Avanti. Li 2 settembre vi cominciarono le loro devote radunanze in un privato oratorio, che resero pubblico li 3 settembre 1570, e che l' ufficiarono per l' ultima volta li 2 aprile 1792 per passare a S. Silvestro detto in cantina, in via dei Toschi N. 1225, chiesa rimasta vuota per essersi unito quel titolo parrocchiale a quello di S. Martino dei Santi. La compagnia della Risurrezione fu soppressa li 27 luglio 1798. Questo locale di Cento Trecento fu comprato dal notaro dott. Angelo Felicori, a rogito del dott. Serafino Betti delli 31 dicembre 1800.
N. 2873. Casa che li 27 marzo 1604 era di Marco del fu Sante Santini detto di Zaneti, e confinava colla compagnia della Risurrezione, come da rogito di Cristoforo Guidastri.
N. 2880. Castora di Pietro d' Enrighetto Galluzzi, vedova di Egano Lambertini, lasciò li 26 aprile 1354 una casa per dote di un altare della chiesa di Santa Maria dei Galluzzi.
1430, 24 gennaio. Pasio di Rodolfo Fantuzzi, della parrocchia di S. Donato, vende a Giacomino Barromei Cavallo, ortolano, una casa enfiteutica dell'altare di S. Giacomo nella chiesa di Santa Maria Rotonda de' Galluzzi, posta sotto la Maddalena, nella contrada detta le Cento Trasiende, presso Alberto Grassi, la via pubblica, e posteriormente col Fossato della Mascarella, per L. 60 di bolognini. Rogito Filippo Formagliari.
1496, 2 novembre. Bonifacio d'Antonio Serli compra da Giovanni del fu Alberto da Milano, col consenso del Rettore di Santa Maria Rotonda dei Galluzzi, una casa in Cento Traxende. Confina Galeazzo del fu Gio. Francesco Galluzzi, Bernardo calzolaio, Lorenzo Bolletta, e Ugo Parolari. Per L. 406, 1 d' argento, pari a L. 440. Rogito Antonio Boccacani.
1580, 28 aprile. Catterina Baldi e Lucrezia Zagnoni vendono a Scipione Dattari la casa grande in Cento Trecento, per L. 5060. Rogito Girolamo Caccianemici.
1628, 7 agosto. Testamento del fu Scipione Dattari, architetto del Senato nel secolo XVI, col quale lascia erede usufruttuaria Leonora Dattari unica sua figlia, moglie di Gio. Crescimbeni, ed erede proprietario il primo di lei maschio che nascerà. Rogito Giulio Vitali.
La detta Eleonora passò in seconde nozze con Orazio di Alessandro Vittori, dal qual matrimonio nacque Vittoria, che si maritò ad Antonio di Benedetto, parimenti Vittori, il quale si chiamò poi Vittori Dattari. Terminato questo ramo, passò ad un altro ramo Vittori, che anch'esso si estinse in Maria Elisabetta, maritata nel senatore Giovanni Luigi Marescotti. Questo stabile fu compreso nella dote della contessa Giacinta, sorella di detto senatore Gio. Luigi, maritata nel senatore conte Ovidio Bargellini, che la vendette a Paolo Busi del Comune di S. Donino, suo affittuario.
1673, 9 novembre. Inventario legale dei beni di Alessandro Dattari Vittori, nel quale si cita la casa grande sotto la Maddalena in Cento Trecento, con porta davanti in detta strada ed altra d' uscita nella Mascarella, con due casette annesse, il tutto soggetto al fidecommesso Dattari. Rogito Francesco Ettori.
1680, 8 gennaio. È detta casa grande di Benedetto di Fabio Vittori, sotto la Maddalena, in Cento Trecento, e con uscita nella Mascarella.
N. 2885. Casa, che li 22 febbraio 1582, Giovanni, e Gio. Battista, fratelli Tinarelli, vendettero a Isotta Bolognini, vedova d'Antonio Amorini, per L. 2950. Rogito Giulio Uccelli. Si dà per posta sotto la Maddalena in Cento Trecento. Passò ai Marsili. Nella facciata vi era uno stemma composto di tre gigli, di un gallo che preme due pettini da Gargiolaro, sotto uno svolazzo con l'epigrafe "Flector sed non Frangor Ventis" (*) Nel contorno da una parte vi erano A S, e dall'altra P V. Nella cima aveva l' arma del cardinal Paleotti, e più basso quattro altre armi, le due a destra erano l'Isolani e la Calderini, le altre a sinistra la Fantuzzi e la Grassi, e nel fondo MDLXVI, anno primo del vescovato Paleotti. Pare che appartenesse ad una Accademia.
1719, 14 settembre. Casa in Cento Trecento del conte generale Luigi Ferdinando Marsili (1), ultimamente ridotta ad uso di stamperia, e che nello stato antico fu valutata L. 800. Rogito Agostino Ignazio Pedretti. Ultimamente fu stimata L. 2024, 8. Rogito idem. Qui nel 1724 vi abitava il general Marsili.
1799, 20 febbraio. Antonio Maria Crispino Toni compra dai conti Carlo, Luigi, ed Ippolito Marsili, una casa in Cento Trecento, sotto la Maddalena, per L. 1300. Rogito Zenobio Egidio Teodori.
Aggiunte
1409, 29 dicembre. Marco Pozzi aveva casa sotto Santa Maria Maddalena, in Cento Trecento. Confinava detta strada, Tommaso da Lovoleto, la strada del Fossato, ed altri. Rogito Giacomo Castagnoli.
1610, 15 ottobre. La casa enfiteutica Gelluzzi era di Carlo di Gio. Battista Magni, cessionario di Antonio Baraldi, e del 1647, 23 maggio, era di Alessandro Mangini.
Questa casa enfiteutica, li 17 dicembre 1644 era del marchese Paolo Scintone di Enea Magnani qual erede del capitano Gioseffo di Tommaso Magnani, che l' assegnò in dote ad Andrea Isola per L. 6600. Rogito Antonio Bertolotti.
Li 27 settembre 1525 porzione della suddetta casa enfiteutica era di Maddalena Muli vedova di Gio. Battista Cartari, che la vendette a Gio. Paolo Caramoli. Confina Bastiano Morzari e i Purghi. Rilevasi da una cronaca che in questa contrada abitasse il rinomato Gio. Filoteo Achillini (2).
(*) Breventani: "si rinuncia a qualsiasi tentativo di correggere gli errori nel latino e nelle citazioni di quest'Appendice".
(1) Luigi Ferdinando Marsili
Il generale conte Luigi Ferdinando di Carlo Francesco Marsili, nato li 10 luglio 1658, fu uomo versatissimo in politica, nelle scienze e nelle arti, al quale Bologna è debitrice della fondazione dell' Istituto, e di gran parte del ricco materiale che possiede la rinomata Accademia di Belle Arti detta Clementina, nonchè delle varie dotazioni che lasciò onde far fiorire le sue istituzioni. Nella casa che possedeva in S. Mamolo cominciò egli la fabbrica della Specola Marsiliana nel 1702, e li 2 gennaio 1709 vi tenne la prima adunanza dell'Accademia di Belle Atti, che fu poi traslocata nel palazzo dell'Istituto delle Scienze in Strada S. Donato. Morì egli il primo novembre 1732, d'anni 72, e precisamente nella via Larga di S. Domenico al N. 992. Aveva puranco abitato nella casa grande dei Barbiroli nella Mascarella al N. 1520, nel 1725. Riescirà gradito ai nostri lettori il dar qui un' idea allegorica di un ornamento da farsi al gran quadro rappresentante il ritratto di questo personaggio insigne, posto nell'atrio della Biblioteca della nostra Università, di composizione di Serafino Barozzi, il di cui interessante autografo è posseduto dalla collezione Guidicini, che cosi si esprime:
"Il quadro è posto nella facciata dirimpetto alla porta d' ingresso, in mezzo ad un gran nicchio formato da due pilastri d'ordine Ionico, e sopra detto quadro è continuata la cornice del detto ordine, che fa corona a tutto il vestibolo; il fregio è ornato di un festone di foglie di lauro; nel mezzo circolo sopra la cornice havvi un grandissimo gruppo di Trofei. Al di sotto del quadro sopra un zoccolo continuato si è posta l' Ara dedicata al Genio e alla Virtù, sopra la quale da Minerva vengono riposte le onorate insegne di quest'illustre signore, cioè la spada, lo scudo, una mappa, vari volumi delle opere da lui scritte, e vari istrumenti delle scienze. Dall' altra parte avvi un Genio in attitudine vivace appoggiato con un braccio all'Ara tenendo in mano una corona di lauro, che si dava dagli antichi Romani ai vincitori, come abbiamo da Ielio lib. V, cap. VI Laureae olim fuere triumphantium corona, e più Silio lib. XV dabit ille coronam in premio lovis deponere poenis, coi piedi calpesta l'invidia sotto la figura di un serpente, e con una fiaccola che tiene nell'altra mano abbrucia e distrugge questo detestabile mostro. L' Ara sarà di forma circolare, nella pietra che le fa cimosa sarà scritto il titolo della medesima, ed è:
« Genio et Virtute Custodibus »
nel mezzo di questa saravvi l'Epitafio. I festoni d'olivo e di lauro, ed il Guffo sotto l'iscrizione, serviranno perchè si distingua esser questa l'ara dedicata alla virtù. Si vuole contuttociò splegare che la virtù è sicura, ed inviolabile dagli attacchi dell' invidia.
Varie annotazioni di autorità, che hanno servilo per formare il suddetto progetto.
Abbiamo da Vetruvio nella prefazione del I libro, che C. Muzio confidatosi nella sua grande scienza perfezionò il tempio della virtù ed onore; Cicer. de Nat. Deo Lib. II Vides inquit templum honoris et virtutis a M. Marcello Renovatum ; e più nel Tesaur. Antiqu. Roma, del Graevio tom. III, pag. 158 ove è trovato tutto quello che si richiedeva per questo soggetto. Secondo il sentimento di un celebre autore francese: Le Culle le moin de ' raisonable des Gentils eloit celui qu ils rendirent a la vertù.
Abbiamo poi nominata quest' Ara, Ara della Virtù, e ciò appoggiati a quello che dice Cicerone nella sua lettera ad Attico nel lib. XIII: eaque extructis que sit ad virtutis memoriam elernilatis, Ara virtutis dicitur. E ciò disse appoggiato al senso di altro, che generalmente dice potersi erigere altare e tempio a quella cosa, che più si desiderasse lodata e venerata: Ara aut templum statueretur virtuti reique quam cuperent laudatam.
Per la forma rotonda usata dagli antichl si prova dal seguente passo: quippe aliae quadrangulae, et quadratae aliae oblongae, aliae oblongae, aliae denique rotundae non unquam statuebantur, ut patet ex antiquis numismatis quibus ea diversitas manifeste dignoscitur, Graevio Tom. 6, pag. 259.
Per coronar quest'Ara ci siamo regolati dal seguente passo: Hunc autem fasciculum a Grecis appellari non nulli putaverunt. lovis quidem Ara sculo, aut quercum Appollinis Lauro, Minerva Olea, Veneris Mirto, Erculis Peuplo, Bacchi Hedera, Panu pino, Plutoni et Silvano Cipresso; singulorum denique sacris sibi abdicatis arboribus arae coronabantur — Statius de Coronatis Aris Sylvar. lib. III, Oratius lib. II Op. I Genio privato Arae.
Ad imitazione degli antichi, secondo l'autorità dei due seguenti autori, abbiamo scritto nella pietra che fa cimosa all' ara il titolo della medesima, Ioanes Grutery. Inscrip. antiq. pag. 109 — Ioanes Rap. Douy antq, pag. 8. Minerva — Secondo gli antichi, Dea della Scienza, e figura della Virtù, dal seguente passo si vede come era rappresentata :
At sibi dat Clipeum, dat acutae cuspidis Uastam
Dat Galeam Capiti, defenditur Egide patus
Percussamque sua simulat de Cupide Terram
Edera cum Baccis fetu canentis olivae,
Mirarique Deos: eperis Victoria Finis.
Si veda il Graevio al Tom. V, fog. III dove tratta Deorum simulacra, ecc, e più Les antiquites par Monfaucon.
Genio — Da una quantità di antichi monumenti si prova, che non solo si attribuiva dai Romani il Genio tutelare agli eroi, ma anche alle città, agli eserciti, ecc. Nella medaglia di Nerone si legge : Genio Augusti — in quella di Antonino Pio Genio Senatus — in quella di Costantino Genio Exercitum.
Figuravano per lo più il Genio velato a mezzo il corpo, che teneva un corno d'abbondanza in una mano, nell' altra una tazza, per sacrificare davanti un altare, sopra il quale era del fuoco, Amiano Marcellino ove tratta di Giuliano Imperatore. Inoltre diverse figure de' Geni troviamo nei rispettabili avanzi dell' antichità, come dall' opera di Graevio: nel supplemento alle antichità spiegate dal Padre Montefalcone, nell'opera di P. Bartoli intitolata ad miranda Romanorum, e molti altri.
Trofei — Bellorum exuvia trucis affixa Trofeis
Lorica, et fracta da Casside Buccula eendens
Et Curtum Temone Regum, victaeque Triremus.
Iuven. Sat. X.
Il ramo del Lauro, che fo portare dall' Aquila, che è nel mezzo di questo gruppo di Trofei, simboleggia che la fama dello virtù di uomo illustre s' innalza sino alle stelle.
Vari rami d' Olivo sparsi fra i medesimi Trofei simboleggiano la pace, come abbiamo da Virgilio: Porta l'olivo in man di pace segno. Si veda il Graevio al Tom. IX, pag. 1342, ove tratta de Triumphis spolij Betici, ecc.
Nel formare l' epitafio si osserverà il precetto di Platone, il quale comanda nella sua Republica, che si faccia l' epitafio solamente ai virtuosi, breve, di soli quattro versi eroici; questa legge trovo che fu appresso gli Spartani, e vi alluse, credo, Marziale, ove dice :
Ara duplex primi restatur munera pilli
Pius tamen est titulo quod breviore legis.
(2) Filoteo Achillini
Giacchè accennammo a questo benemerito, vogliamo trarne partito riportando un brano interessantissimo per la nostra storia tolto dal suo Viridario, perchè ricorda le celebrità di quei giorni, e forma parte di un libro prezioso ed introvabile, siccome ne assicura il Brunet nel suo Manuale. Il P. I. Guinguenè al Tom. III, pag. 548 dell' Histoire Letteraire, da lui stampata nel 1811, così ne riferisce in proposito di quell'egregio e distinto letterato:
Gian Filoteo Achillini merite d' ètre oté de la foule non pas qu' il' ait eu moins de defauts que les autres, mais parce qu' il les eut au contraire d' une manière plus décidée, plus prononcèe, et qui lui est plus propre; en sorte que l' on peut croire qu' illes eut moins par imitation que par la pente naturelle de son génie. Il etait d'ailleurs profondement versè dans le latin, et dans le grec, dans la musique, la philosophie, la theologie et les antiquités. Dans ses deux Poemes scientifiques et moraux, l'un intitulè II Viridario en octaves et l' autre il Fedele en terza rima il a semè, si non beacoup de poesie, du moins des preuves nombreuses de ses connaissances etendues et d' une sorte de vigueur de tote qui etait alors moins commune que le brillant et le faux eclat.
Elogio di Felsina
Tratto letteralmente dal testo originale che comincia a Car. LXXXIII retro dell'unica edizione falla in Bologna per Hieronymo di Plato Bolognese nel MDXIII a dì XXIV di decembre
Felsina senza fel Bologna antiqua
Ditta e Bononia, che ogni cosa ha bona
Che con giusta bilancia non obliqua
D' Armi, e Dottrina porta la Corona
In quella non se trova cosa iniqua
Tra poli fama e lindo al Mauro suona
Grande bel sito ricca savia bella
Gentile ardita, e belle donne ha quella
L'estense è luna, Hippolyta la Ursina
La Volta, la Cattanea, la Castella
La Scardua, la Belvisa, Felicina
La Sampetra, la Zana tanto bella
Moranda, Caccialupa Bargelina
La Beroalda, e ciascuna Fiamella
Zambeccara. Manfreda, Guidalotta
Cinque Fantuzze nuna lieta frotta
La Ferra la Griphona, la Magnana
La Lombarda, la Giglia Zanulina
La Bianca che col sguardo impiaga, e sana
Renghiera Buttrigara Bolognina
La Giulia Sala in vista altera, e humana
Ma humana non la scrivo, che e Divina
Parisse elegger non saprebbe como
Fra queste giudicasse laureo pomo
Fra questo bel drapello è la mia Diva
La Diva mia si bella, e tanto altera
Da cui l' ardente fiamma mia deriva
La fiamma, che immortal farme anchor spera.
Con làli del pensier tanto saviva
Che al Cielo Empyreo salza ultima spera
Benchè sia ingrata il foco non ha spento
Di Felsina questo e bello ornamento.
Quanto sia retta ben nei casi adversi
Per prova sua Prudentia se dimostra
Io canterei di questo indarno versi
Gli e noto che Viltade a terra prostra
Li Civil cori mai non fumo persi
Nei campi horrendi de letade nostra
Decorate e de strenui Capitani
Da stare al paragon de gran Romani
De gentitvomini è Bologna adoma
Che son famosi perche son illustri
E ne lor petti Marte se soggiorna
Tal che convien che la lor fama lustri.
Ne làlta Patria mia Bellona se orna
Ogni gran cor incende che se industri
Onde lai tura gioventude allegra
Se e data allarme con la mente integra.
La fama del Mancir non se relinque
Quanto val di persona, e di governo
Ne del Bazzano, chen longe, e propinque
Parti se fatto già di fama eterno
Spinaccio Chiar de que non se allonginque
E Ramazzotto il Capitan superno
Il numer grande la mente confonde
A veder mille tavole rotonde
De Capitani è chiar ma dir non posso
Quanto a questa arte militar conviensi
Li Sacri studij a celebrar son mosso
Che danno fama a Felsina per censi
Alcun non è d' ingegno tanto grosso
Che non impar ne nostri studij immensi
Dui lumi chiari ciascadun divino
Luno il Campeggio, laltro lo Achillino
Di luna legge, e laltra quel Campeggio
Si come e voce e ver porta Corona
Ne gli altri studij lo Achillino veggio
Che Theologia sparge in ogni zona
Lalta philosophia laudar non deggio
Che fama, e de laltre arti il mondo introna
Me glorio godo, e laudo il Creatore
Che a questo unico son fratel minore
Chi legge e intende lopre sue superne
Dove e insudato in la sua gioventude
Gli darà laudi gloriose, e eterne.
Hor pensi pervenendo a senettude
Le locubration calami, e lucerne
Saranno al letto, e al Lettor salute.
Di un lustro a punto il mezzo camin varca
Sel debito fara Ihorrenda Parca
Tanti Dottor ci son tanti Collegii
Che ne seria adornato mezzo il Mondo,
Dui Beroaldi di honorati pregii.
Cugin mi è luno. Il Pio dotto, e facondo
Apollo dona a quisti privilegii
Del verdeggiante lauro almo, e giocondo
Di trè stili uno ha fatto Gioan Garzone
De Livio, di Salustio, e Cicerone
Il Croce il Paleoto il mio Diomede
Lo Argele grave, il tacito Bianchino
Ben fanno orando, e poetando fede
Channo dottrina, e ingegno Pellegrino
Al mio Boccadiferro Apol concede
Che gusti làcqua al fonte caballino
Onde le Muse fanno un dolce choro
Per coronarli di hedera, e di alloro
Li dui Rangoni con verde Ghirlanda
Ci son con le sue argutie dotte, e belle
Questa divina turba, e veneranda
Che alza la fama sua sopra le stelle
Daltre Nationi tre chiede, e domanda
A cui non potria tuor Phebo la Pelle
Il Fusco, il Plautio Antonmaria dire ardo
Tre Greci Paulo il Volta, el Ghisilardo
Debbio tacer la lingua, e stil vulgare
Chal tempo dhoggi in tanta stima ascende ?
Bologna in ciò sei clara fra le dare
Talche la fama in premio gloria rende
Il placido Calvicio singulare
Fa che dintorno sua virtù se estende
Il gratioso stil del Castellano
Molto diletta et ha del corteggiano
Quanto sia grato il giovine Diomede
Nel suo variato stil variati versi
Suo Tyrocinio impresso ne fa fede
Il quale e sparso in populi diversi
II Garisendo mio larte procede
In gravi carmi ponderati, e tersi
Debbio tacer quel gentil Giovenetto
Philippo Fasanin tanto perfetto
Laldrovando e nel numer de patricii
E pur compose il magno torniamento
Patricio e il Grato, e in stranmoti ha artificii
Nel dir scuro il Sassonio ha valimento
Chi vuol del Gammar far qualchi giudicij
In questo nel silvan suo lìe contento
In tal confesso e posto il gentil Casio
Il Zanchino orna il nostro bel gymnasio
Guido Rangone in questi carmi vale
Come e ne gli atti delicati stanno
Non ha leta sua giovenerto equale
Lieto, e quivi insudato in dolce affanno
Hora confermo quel dito morale
Nascono i Poeti, e gli Orator sè fanno
Traiano, il Montarentio il Giglio e vale
Il Caccialupo lha dal naturale
De Musici e dorata questa terra
Che cantano improvisi ogni bel punto
Dassai compositori a cui non erra
Larte, e molti hanno il canto seco aggiunto.
Il Spadaro, il Tovaglia qui si serra
Demophoonte col suo contrapunto
Sebastian Boccaferro, e lo Albergato
De questa e de laltre arti e decorato
Fra gli altri cinque organisti ci sono
Che oguiun di lor stimato e per divino
Chi sente il loro harmonizzante suono
Stupisce, o conterraneo, o peregrino
Rugiero, Cesare, Hannibal Rangono
Il dolce Lodovico el Bolognino
Convien che in alto le sue laudi sorgano
Poi che si excelsi artisti son di lorgano
Sonatori ci son tanto pefetti
Che col lento imbraccio fama i fregia
Lalbergato Alexandro, quel da i letti
Lorenzo, Piermattheo il gentil Tiregia
Il Gambio e con la lyra fra gli eletti
Il chalamo anchor questo privilegia
al gentil poggio giovenetto e Phebo
Un altro cie chen la Chiromuatia
Non trova pare, onde e da farne stima
Ne la Phisionomia, e Geometria
Fra gli altri bal libro suo la palma prima
Pyromantia, Aeromantia, Hydromantia
Et in molte altre chio non scrivo in rhyma
Fù Accoppato e non si sa da cui
Son da tre mesi e Bocles e costui
Architettor fra gli altri, e Geometri
Gioan Beroaldo el facil Machiavello
Fono un altro excellente in questi metri
Dino Arofeno, e quel di cui favello
Non voglio lo Arithmetico se arretri
Gli e Scipio, et e prospetto il suo fratello
Astrologia è il Benazzo il mio Vitale
Il Castagnolo in Cosmographia vale
Fra l' Arti liberali e la Pittura
Sette se voglion dir questa e l'ottava
Che imita bene e supera natura
Talche sdegnata molto se ne grava
Bologna con industria se procura
Di questa onorarse che a virtude e schiava
Se anticamente Roma era la prima
Ne la pittura, hor Felsina ha più stima
La prova nostra ben chel non è ciancia
Che pur Bologna tira questa posta
Tante opre in testimonio fia fatto ln Francia
Et in Sculptura al ver segno se accosta
Coi bollin seco agguaglia ia bilancia
Non lascio (benche e Ferrarese) il Costa
Stato a Bologna e quasi la sua etade
Loprar suo mostra quanto ha magiestade
Non taccio fluido benche morte acerba
Cil tolse quando sua virtù fioriva
Come tempesta che ruina sherba
Tal che villan del seme, e frutto priva.
Ma la seconda vita se riserba
Che Guido la Lucrezia morta aviva
O bello error? Chel Galeazzo finto
Spesso pel ver se honora, et e dipinto
Amico suo fratel con tratti e botte
Tuttol campo empie con le sue anticaglie
Retratte dentro alle romane grotte.
Bizar più che reverso di medaglie
E ben che gioven sia fa cose dotte
Che con gli antiq alcun vuol che se uguaglie.
Un altra laude sua non preterisco
De la prestezza del pennel stupisco
Gioannantonio disegna, e col colore
Adorna vago i suoi disegni tutti
Fatto sì e Cesar di tanto valore
Chal paragone ha suoi lavor condutti.
Nel trar dal ver si vale il Crevalcore
Cho qual Zeusi gli ocei gabba coi frutti
Non preterisco che assimiglia Biasio
Orpheo cantando, e col pennel Pharrasio
Giacomo, Claudio col Bettin qui conio
Il dopio Hercole, e segnon più gentili
E giovenetti che hanno ingegno idonio
a fare liniamenti ben suttili
Lopre infinite son ver testimonio
Figure in faccia, in mezzi occhi in profili
Rilevo ben dolci ombre non tagliate
Ma con misura a punto ben sfumate
Ne la sculptura un eie che ogni altro excelle
Dogni relevo tondo mezzo o basso
Tante opre ha fatte ben fondate e belle
Chal paragon natura hal vigor casso
Perchè impossibile e di giunger quelle.
Antico non e alcun chel varchi un passo
Gioanfrancesco e costui ne se ricorda
Che ten tanta virtude ascosa, e sorda
Antonio Pifar ci ò quale e divino
Col suo disegno, et orafo e perfetto
Il non si dio tacer qui Gavardino
Che di tante arti se orna il giovenetto
Col suo relevo, e col dolce bullino
Che ogniun puo giudicar quel che e l'effetto
Che dirò de Vincenzo che in sculptura
Fa cose da stupirne la Natura?
Li dui Boroni son de rari al mondo
Anchise nel disegno ha giuste norme
Consacro anchor Marcantonio Raimondo
Che imita de gli antiqui le Sante orme
Col disegno e bollin molto e profondo
Come ve veden sue vaghe eree forme
Hamme retratto in rame come io scrivo
Chen dubio di noi pendo quale e vivo
Un altro eie che pur nel Mondo e raro
Intaglia corniole, e calcidoni
Tenuto ogni suo taglio e molto charo
Perche sta con gli antiqui paragoni
Questo e Mattheo ne larte si preclaro.
Anche altri dui ma daltre nationi
De quisti ogni gran prova se puo farne
Lun Gioannantonio l'altro il Tagliacarne
Altri ci son chan spirto pellegrino
In legno cose fanno da stupire
Giacobo e suoi fra tei qual de Agustino
Figure e prospettiva io non so dire
Che parno vive, e vere. Et Arduino
Fra gli excellenti merita venire
In un altra virtù se sa che excelle
Cognosce Iherbe, e proprietà di quelle
Dico il Demophil benche sia da Reggio
Che habitato ha Bologna fin da putto
Col calamo, e la penna excelso il veggio
Che dogni sorte lettra tra construtto
Moderne, antiche, e d' altre e non vaneggio
Testimonio è il Felsipeo popul tutto
La sorella di questo fa sì bene
Che dopia laude e gloria gli conviene
Che dirò de Philippo che col torno
Mirabil cose fa, e lossa intaglia
Tal chen questa arte ogni altro resto i scorno
Ogniun del gran stupor se stesso abbaglia
Il Totilo ha fornelli, e bozze intorno
Non por firmar Mercurio che più vaglia
Ma per far olei, acque et altre cose
Chal gentil cortegian son preciose
De tutte le virtuti e dogni sorte
(Quanto altra terra) ben se orna Bologna
Lascio li Bagni che tran lhom da morte
Che dir sempre ogni cosa non bisogna.
Io taccio quanto sia il contatto forte.
Tanti Signori, e Conti, che menzogna
Seria tenuta a scriver tuttol vero
Narrar dun cento lun per nulla spero
Lascio i superbi templi alti edificij
Lample, e spaziose piazze, lalta torre
Il gran palazzo di degni Patricij
Dove in virtute ciascadun concorre
Lascio la Garisenda fatta a vicii
Chen piedi de cader ciascuno abborre
Taccio la torre che ciascun cantone
Mostra ad un tempo contro ogni ragione
Tante reliquie Sante, e Tabernacoli
Di Proculo, Floriano, e d: Petronio
La testa di Anna, e fanno gran miraculi
Cecilia, Giuliana, e non me insonio
Chel corpo di Domenico ha gli oraculi
La Benda di Maria, e in loco idonio
Maria per man del Vangelista pinta
Molte altre taccio, e nota non ho finta
La bella ancona io taccio in S. Francesco
Che del suttile intaglio ogn' altra varca
Cossi di San Domenico a dir riesco
Quanto sia degna quella famosa Arca
Se Felsina instaurata, e ben di fresco
E di molti anni più che Roma carca.
Ha Filatoi da seta si ingegnosi
Che son per tuttol Mondo assai famosi
Quanti edificij son sul nostro Fiume?
Quante molite, rote, seghe, e charte ?
Quante valchiere, e purghi ? ogniun presume
Ogni di renovarli ingegno et arte.
Quante legna ci vengon dal cacume
De le fredde Alpi da lontana parte ?
Quante tinture habbiam di seta, e lana ?
A scriver tutto la mia penna è vana.
Gratiano in San Francesco giace, il quale
Il Decreto compose e libri tanti
Et Azzo Bolognese in legge tale
Fà che suoi libri i donan degni vanti
Al campanil di San Gervasio cale
Il suo sepulcro, e I' alma in Ciel fra Santi.
Gioan Andrea in San Domenico e sepulto
Con lepitaphio, e dal ver tratto, e sculto
Gaspar, e Gioanne ambi de Calderini
Ci son sepulti, e Bolognesi furno
In legge sono ancor tanto divini
Che illustrarian letade di Saturno
Antonio Butrio e fra tai cittadini
(Come e. ver) fuora in San Michele in lurno.
Dui Rolandini il tempo non invola
Del primo exposito fù Pierdanzola
A San Francesco laltro ha de bei marmi
Una pyramide alta, magna, e bella
Non vuò il Fantuzzo e Liazzar smenticarmi.
Egidio, et Oddofredo qui se appella.
De lultimo qual mostrano suoi carmi
La Pyramide il ditto tempio abbella
Floriano il Lamberti n dui Buttrigari
Dui nobili Rampon di sangue rari
Il Sangeorgio, Gaspar da la Renghera
Dui Saliceti, e più Bartholomeo
Ciascuno in San Domenico se annera
Al Piperata che era Semideo
Li suoi detti assai danno fama altiera.
Non taccio il gran Mattaselan Mattheo
Quel d' Azzoguidi noma ha Macagnano
Questi dui scrisser molto di sua mano
Lorenzo Pino, Gioan de Bonsignori
Gloria si derno, e hanno i dui de Preti
Il Baldoino e fra questi Dottori,
Gioan de Barberl, e Pietro de Bompreti.
Thomaso Formaglia convien se honori
Non sono il Zanettino el Botton spreti
Giuan de gli Albari et Andalo di Andalo
A cui stirpe alta il tempo ha fatto scandalo
Larchidiacono expositor vero
De Pontificia legge col commento
Giace sepulto dentro da San Pietro
Li Silimani dui di valimento
Il Bulgaro el Malombra che un sol gero
Non preterirno senza intendimento
Il Durante non lascio io quivi inchartolo
Ne taccio che acquistò qui scientia Bartolo
In San Domenico e Gioan da Lignano
Astrologo Philosopho, e Giurista
In questo tempio ancho e Pier dancarano
Chel Collegio fe degno in fatti, e vista
E Gioan da Nania si clemente, e humano
Che poverta da suoi ben fù provista
Moglie hebbe, Archidiacon poi fu eletto.
Nei Servi nel Sepulchro bebbe ricetto
Accursio giace in San Francesco in tomba
Contumulato seco il figlio dorme
Chen la Cesarea legge, e chiara tromba
Gioan da Immola e in tal degne torme
La fama del Tartagno anchor rimbomba.
E del Barbazza molti seguon lorme
In San Petronio questo ha sepoltura
San Domenico l' altro aver procura
Francesco Aretin tanto universale
Che fù ne larti e leggi tanto degno
Alcun ci fu chen questo valse, e vate
Chadornaria non che una Terra un Regno.
Micael del Carme Theologo il quale
Philosopho anchor fù di grande ingegno.
Gaspar de lorden de predicatori
Vescovo, e in larti, e leggi hehbe alti honori
Angelo Paulo, et Alexandro anchora
Fur Bolognesi, e pur di lorden detto
Christophoro honesto ha sua fama fuora
Petrarcha lo cognobbe per eletto
Fra quei lo pose, i quali amore accora
Benche lo espositor mal shabbia detto
Petrarcha dice. Honesto Bolognese
Forse il commentator ben non lo intese.
Domenico e Gaspar de Varignana
Gioan Bianchin Nicolo da la Fava
Chi gli è in San Giacomo il sepulchro spiana
Il Montecalvo a morti vita dava.
Scrissero Largelata, e da la Lana.
Mondin mena gran nome, e meritava.
La Nothomia compose, e questo tale
Nel mur sepulto stà di San Vitale
Bavara in medicina hebbe gran stima.
Hyerenymo Manfredo in Medicina
Et in Astrologia più se sublima
Nella Annuntiata anchora se destina
Domenicomaria che stava in cima.
Ma ogni mortal cosa al fin declina
Non già la fama chel non si conviene
Che mai periscan gli hum ini da bene
Ulimamente ritrovo che Cino
Cin da Pistoja anchor tanto famoso
Il corpo ha in San Domenico, el divino
Spirto nel Ciel di Vener fa riposo
Excelso in leggi fu et il destino
Come Petrarcha pone il fe amoroso,
In vita Dante sempre honor gli porse
In morte poi con invettive il morse
Entio fù Rè di Corsica, e Sardegna
Pregion de Bolognesi pur qui giace
Che libertà ci perse con la insegna
Lomperator suo padre il vollea in pace.
Felsina refiuto lofTerta degna
Dun cerchio dor si grande che capace
Fosse a circuir le mura intorno intorno
Li preghi i pregii e minaccie ebbero scorno
Quella dolce discordia della Fede
Che tanta e stata fra Greci, e Latini
Da ciascaduna parte hor se concede
Che Ihostie per miraculi divini
Sacre non arsero, onde chiar si vede
Lassettò in lingue due con sigei bini
Il privilegio è pur nel nostro erario
Perche e degno e fidel depositario
A che dir di Bologna più mi studio ?
Poichio non posso assai dire il dir tronco
Non faccio per vilta questo repudio
Ma perchel nodo cercarei nel gonco
Basta che excelsa e in armi, excelsa in studio.
Ad altro paro il stilo in questo il cionco
Se ben sua gloria qui mal se conclude
Merto perdon, perche longegno ho rude
Se desser Bolognese lieto hol core
Queste le cause son che fan leffetto
Che dolce e di la Patria il dolce amore
E più quando lamante ancho è diletto.
Dunque per fin chel senso narra vigore
Volontario exaltarla son costretto
Che quel che ama virtù laudar la gaude
E più quando fra suoi regna tal laude
Va Viridario
A Cart. CLXXII retro, dice:
Felsina e retta con grave prudentia
Da saggi principali che hanno il scettro
Fra gli altri i gran Patricii han lexcellentia
Che hoggi di guidan quel Felsineo Plettro
Restauran quella in gran magnitìcentia
Per tanto in charti in oro argento, o elettro
Lor nome sculpi tasse, e di lor prole
Tra i poli, e lindia al tramontar del sole
Quanto sia in armi gloriosa, e grande
Quella superba dotta e antiqua terra
La fama velocissima lo spande
E come reparar se fa da guerra
Molto e sagace et ha forze ammirande
Quando adirata le giuste arme afferra
Antiqua e tanta che la vera origine
Gran tempo obscura e stata in gran caligine.