Via di Mezzo di San Martino, dal III volume delle “Cose Notabili…” di Giuseppe Guidicini, con le correzioni di Luigi Breventani

La via di Mezzo di S. Martino comincia nella strada di Galliera, e termina a quella di S. Donato.

La sua lunghezza è di pertiche 168.7. La sua superficie pertiche 242.2.11.

Nel 1256 si pubblicavano i bandi davanti la casa di Andalò Dall'Osso, e nel 1289 davanti quella di Palmirolo, e sopra il ponte di S. Martino dell' Avesa.

Via di mezzo di S. Martino a destra cominciando dalla parte di Galliera.

Si passa il vicolo Quartirolo.

NN. 1825, 1824. Due case l'una del conte Luigi Marsili, l'altra già dell'ospitale di S. Francesco che avevano portico, il quale fu levato nel maggio 1702 a spese dei Mazza, e del dott. Pistorini proprietari delle case in faccia a queste, e cioè dei numeri 1829, e 1828 i quali a loro spese rifabbricarono i prospetti delle suddette impiegandovi L. 1000.

Si passa la via Malcontenti.

N.1771. Casa sulla quale si ha qualche dato potesse appartenere nel 1519 a ser Alessandro Muzzoli mentre in detto anno sotto il 3 aprile il Senato permise al medesimo ed a Marc' Antonio Poggi di rifabbricare le loro facciate sotto San Tommaso del Mercato. I Muzzoli possedettero molte case in questi contorni, come indicammo parlando della via dei Malcontenti, e dei Monari.

Nel 1587 era di Saldino Ansaldini alias Asinelli, ovvero di Tommaso Capo De' Buoi alias Capite Bovis, o Codibò famiglia di speziali, che ha dato Alessandro dottore di leggi morto nel 1560, che alcuni dicono il 10 gennaio 1554, che fu Vicario generale del Cardinale Vescovo di Bologna Giovanni Campeggi, e Alessandro Francesco di Giuseppe morto Vescovo della città di Castello il 30 aprile 1733. Finì questa famigiia nell'Abbate Luigi del cav. Giuseppe Alessandro morto il 2 maggio 1748 del quale furono eredi i Guidalotti di Cartoleria Nuova. Questo stabile passò ad Antonio Sgarzi, indi a monsignor Camillo Ranzani.

N.1769. In questo stabile è compresa una casa di Antonio da Panico deducendosi dal permesso dato al medesimo dal Senato sotto il 29 luglio 1519 di occupar 2 piedi di pubblico suolo per accomodare la sua casa posta sotto S. Tommaso del Mercato presso Priamo Macchiavelli da oriente, e di ser Alessandro Muzzoli da occidente. Ignorasi come passasse ai Venenti a cui apparteneva nel 1563.

1587 20 marzo. Marc' Antonio, e Gio. Battista fratelli Ranuzzi comprarono dal dott. Giovanni Flaminio, e Alessandro del fu Giulio Venenti una casa con orto sotto S. Tommaso del Mercato per L. 16600. Rogito Tommaso Passarotti. Confinava con Giovanni Paolo Pij a oriente colla via pubblica che va verso le case dei Boncompagni a mezzodì (via Monari) con altra strada detta via di Mezzo a settentrione, con Tommaso Capo De' Buoi, e Saldino Ansaldini alias Asinelli a occidente.

1621 24 novembre. Comprò Antonio del fu Sebastiano Locatelli dal conte Marc' Antonio del fu Annibale Ranuzzi una casa sotto S. Tommaso del Mercato nella via di Mezzo per L. 12000. Rogito Giacomo Mondini.

1621 6 dicembre. Pagamento d'Antonio Locatelli al conte Marc' Antonio Ranuzzi di L. 2000 prezzo residuo di una casa nella via di Mezzo comprata per L. 12000. Rogito Giacomo Mondini.

Diverse famiglie sono venute da Locatello villaggio presso Bergamo, che tutte presero il cognome Locatelli. Una venne nel 1507 (Orig. 1597, corretto con il ? dal Breventani) che fu portata da Fabrizio facchino poi pollaiolo che si chiamava Pegorini la cui discendenza fu illustrata da Gio. Antonio di lui figlio filosofo eccellentissimo morto Vescovo di Venosa l'8 settembre 1571, e da Vincenzo del detto Fabrizio dottore di leggi, e governatore di Narni. Nel 1621 erano banchieri, e abitavano nella parrocchia di San Tommaso del Mercato, circostanza che fa credere che i Locatelli proprietari di questa casa, sieno discendenti del suddetto Fabrizio. Fu sicuramente abitata dai Ghisilieri del ramo di Nicolò Giorgio naturale di Francesco del senatore Virgilio terminato in Carl' Antonio di Nicolò Maria morto il 27 marzo 1715, la cui sorella Argia in Fava portò l'eredità, e il cognome Ghisilieri al ramo dei Fava discendenti da Ercole detto Fava cognome addottato dal di lui padre Fabio Lana maritato in una della famiglia Fava. (Vedi Galliera N° 570).

In un rogito di Filippo Giuseppe Benazzi del 22 giugno 1715 si dice che questa casa in via di Mezzo sotto S. Tommaso del Mercato aveva portico con colonne di legno, e comunicazione dalla parte della stalla in via Carbonara valutata L. 12,000. Ritornò ai Locatelli finiti nel marchese Pier Luigi morto nel 1762 che lasciò quattro figlie. Per una disposizione ordinata da un Locatelli nel 1624 fu fatta l'estrazione di un erede di parte del patrimonio Locatelli il 28 agosto 1762, e la sorte favori un Pietramellara che divenne padrone di questo stabile, e che dopo vari anni lo vendette al mansionario di S. Petronio D. Paolo Torri.

N.1768. (Orig. 1767 - questo errore sfuggì al Breventani). Casa di Annibale del fu Priamo Macchiavelli posta sotto la parrocchia di S. Tommaso del Mercato, e quasi rimpetto a detta Chiesa per lui venduta a Galeazzo del fu Martino Pij per L. 3900. Confinava con Lorenzo Benazzi a levante, col venditore di dietro, e con Andrea Folchi. Rogito Pier Antonio Stancari.

1563 12 agosto. Domenico Maria, e Giovanni Paolo fratelli, e figli del fu Galeazzo Pij comprarono dal dott. Annibale del fu Priamo Macchiavelli una casa sotto S. Giacomo, e Filippo dei Piatesi in confine del compratore a tramontana, di Giulio Venenti a ponente, dei Boncompagni a levante, e della strada a mezzodì (via Monari) per L. 4400. Rogito Giovanni Marchetti alias Fasanini.

1611 3 novembre. Casa grande del fu Gio. Paolo Pij sotto S. Tommaso del Mercato in via di Mezzo. Confinava di dietro con la strada, e davanti colla via di Mezzo, a sera con Annibale Ranuzzi, e a mattina con Giuseppe Cavazzoni valutata in divisione L. 17000. Rogito Ercole Francia.

1620 28 marzo. Casa di Vincenzo di Gio. Paolo Pij sotto S. Tommaso del Mercato in via di Mezzo. Confinava a mattina i Cavazzoni, a sera i Ranuzzi, e di dietro la strada dietro le case Boncompagni. Rogito Ercole Francia.

1639 22 gennaio. Comprò Giovanni Francesco, e Girolamo fratelli, e figli del fu Gio. Battista Rossi da Domenico Maria del fu Gio. Paolo Pij una casa sotto S. Tommaso del Mercato, che confinava con vie pubbliche, cioè la via di Mezzo, e dei Monari, i Boncompagni a levante dalla parte della via Monari, i Cavazzoni a levante dalla parte della via di Mezzo, e i Locatelli a settentrione, pagata L. 18000. Rogito Bartolomeo Cattani.

Il suddetto Girolamo di Gio. Battista Rossi fu erede di Giovanni Carlo del fu Alessandro Poggi per testamento a rogito di Bartolomeo Cattanei del 20 ottobre 1637 col quale lo obbliga chiamarsi dei Poggi.

Giovanni Francesco Rossi Poggi fu erede di Ippolito Marsili Allegrini come consta da addizione, e inventario legale fatti da Giulia Fabbri vedova di detto Marsili, e del detto Rossi Poggi a rogito d'Alberto Pilla dei 14 marzo 1701.

1715 23 febbraio. Apertura del testamento di Gio. Francesco Rossi, Poggi, Marsili del fu Girolamo consegnato il 5 del mese stesso col quale instituisce eredi fiduciari quattro amministratori dell'Opera dei Vergognosi allo scopo di assegnare l'annua rendita della sua eredità a suor Anna Rossi monaca nella Santissima Trinità, a suor Chiara Catterina Rossi monaca nel Corpus Domini loro vita naturale durante per due porzioni, e per le altre due a Maria Camilla Rossi Sega sua vita natural durante. Instituisce poi erede il secondogenito dalla contessa Persia Sega moglie del conte Pirro Fava coll' obbligo di assumere il nome, e il cognome del testatore. Rogito Filippo Giuseppe Benazzi.

Nello stesso testamento lasciò all'Opera dei Vergognosi la casa grande con stalla, fienile, e rimessa con altra casa piccola annessa in via di Mezzo, e più due case ruinose nella piazzola di S. Tommaso del Mercato. (Vedi N° 1772 della via di Mezzo di S. Martino).

1716 (Orig. 1616, corretto con il ? dal Breventani) 27 gennaio. Assegnazione, e dimissione degli eredi fiduciari del fu Gio. Francesco Rossi Poggi ai Governatori dell'Opera dei Vergognosi di una casa onorevole nella via di Mezzo, e di due case nella piazzola altra volta cimitero di S. Tommaso del Mercato per legato lasciato a detta Opera. Rogito Filippo Giuseppe Bonazzi.

1758 4 settembre. Dimissione dell' eredità di Gio. Francesco Rossi Poggi Marsili fatta dai di lui eredi fiduciari al conte Francesco Fava, che perciò assunse i nomi, e cognomi di Giovanni Francesco Rossi Poggi Marsili nato conte Francesco Fava; i quali eredi fiduciari furono assolti per la loro amministrazione in seguito d'averne dato conto alla contessa Persia Sega Fava madre del detto conte Francesco erede del fu monsignor Latanzio Sega, ed erede usufruttuaria dell'eredità Rossi Poggi. Rogito Gaspare Sacchetti.

Pervenuto questo stabile all'Opera dei Vergognosi vi stabilì la sua residenza, e i suoi uffici. Quando si parlò della chiesa della Madonna di Galliera si è dato la storia dell'antichissima instituzione stabilita in Bologna di sussidiare i vergognosi, resta ora di dare l'origine dell'attuale benemerita Congregazione che da alcuni secoli governa, e regge il patrimonio dei poveri con sommo suo onore, e gloria della nostra Patria.

Il 25 marzo 1495 il priore dei Domenicani con 10 cittadini uniti, officiati dal padre Inquisitore F. Antonio d'Olanda diedero principio alla grand' Opera detta dei Vergognosi radunandosi nella scuola dei Padri posta sopra la Compagnia della Croce dove prescrissero varie regole per incominciamento di quest'Opera di pubblica beneficenza.

I dieci cittadini furono Agostino, e Orsino Orsi, Nestore Foscarari, Giorgio Guastavillani, Rizzardo Pepoli, Gio. Battista Amorini, Bartolomeo Bombaci, Ajace Grati, Camillo Tartagna, e Floriano Cedropiani che furono ancora incaricati di cercare elemosine. Prosperò talmente questo instituto mercè le cure dei suddetti soggetti che ben presto Ercole di Gaspare Bucchi, o Bocchi dispose della quarta parte della sua eredità a favore dell'Opera dei Vergognosi, come da suo testamento del 4 febbraio 1512. Rogito Battista Bue, e dietro il suo esempio molti altri, che per serie alfabetica di cognome ci piace qui indicare. Sono essi :

Allamandini, Fiorenzi Sacenti, Negri Girolamo.

Bonfioli, Garzoni, Pedrini,

Beccari, Gaggi dott. Angelo, Pigna,

Barbieri, Galli, Dal Pino,

Benazzi, Graziani, Poggi Rossi,

Boschetti, Grati, Rapi,

Benedetti, Linder, Righi Giroldi,

Betti Fiorenzola, Manzoli, Sforza Attendoli,

Cavallina, Mantachetti Ulisse, Dal Sole,

Casarenghi, Manfredi, Venenti,

Donati, Malvezzi Gaggi, Vizzani,

Desiderj, Negri Antonio Maria.

N.1767. Stabile che pretendesi fosse dei Plastelli che diedero il nome al vicino vicolo detto anche Berchia in oggi detto del Fico. Sirena Plastelli fu moglie di Giovanni Malvezzi nel 1420, forse figlia del dott. Floriano di Nicolò giureconsulto e lettor pubblico morto il 4 settembre 1405.

Il 31 luglio 1572 Boncompagno Boncompagni comprò quella porzione che corrispondeva sulla via detta i Piastrelli da Leonora Montecalvi per L. 1000. Rogito Cesare Furlani.

Susseguentemente il 21 maggio 1574 lo stesso Boncompagni comprò da Cesare Bonazzi un grande edificio di tre case assieme contigue poste sotto San Tommaso nella via di Mezzo. Rogito Cesare Furlani.

1588 28 aprile. Comprò Domenico Cavazzoni da Girolamo Boncompagni una casa grande antica sotto S. Tommaso del Mercato. Confinava Andrea Ambrosini a mezzodì, Paolo Pij a occidente, un vicolo a oriente, e la via di Mezzo a settentrione per L. 5750. Rogito Tommaso Passarotti. Passò poi ai Dall'Armi del ramo di Jacopo di Giovanni Senatore, e dicesi per eredità. Fu fabbricata da Giovanni di Marc' Antonio morto il 20 settembre 1714. Sposò nel 1690 Anna Maria di Angelo Betti Fiorenzola, e di Francesca Isabella di Domenico Martinelli uomo ricco di Gaggio di Montagna, la quale fu erede del padre, e della madre; l'ultimo fu Petronio di Giovanni morto nel 1775. L'eredità Fiorenzola passò ad Antonio Pastarigi, e lo stabile fu goduto da Teresa Laurenti vedova Armi finchè visse. L'eredità Cavazzoni passò al conte Rinaldo Rasponi di Ravenna discendente da una Cavazzoni i cui benefici valutati L. 2450 furono da lui pagati all'erede Dall'Armi. Nel 1778 fu acquistato dall' Opera dei Vergognosi per L. 16,000.

Si passa il vicolo del Fico.

N1766. Casa che fu del Pasi. Sotto il 7 novembre 1600 Curzio del fu Francesco Pannolini vendette due case contigue poste sotto S. Tommaso del Mercato nell' angolo della via di Mezzo, e di quella dei Pillastri agli eredi di Maria Bartolomeo Badiloni in confine di dette strade e dei Pasi per L. 3500. Rogito Achille Canonici. Appartenne ai Ruini negozianti, de' quali fu l'ultimo Bartolomeo morto il 20 novembre 1702 che lasciò erede Jacopo Tacci, o Tazzi pistoiese detto il Tabaccaro, marito d'Ippolita di lui figliuola morta il 18 giugno 1724. Il Tazzi fabbricò questa casa circa il 1692 trovandosi che il 1° aprile di detto anno il Senato gli concedette di sostituire colonne di pietra a quelle di legno nella via di S. Tommaso del Mercato. Maddalena del suddetto Jacopo Taggi unica ed erede portò la sua ricca eredità a Baldassarre di Gregorio Biancani di lei marito. Giacomo di Gregorio Biancani la cedette ai Tomba, e questi nel 1774 al merciaio Gioseffo Luigi Sassi, ed ora spetta alla parrocchia di S. Benedetto.

N.1765. Casa di Girolamo, e fratelli Pasi sotto S. Tommaso del Mercato detta la grande. Confinava due strade, Ursino Pasi, i Grassi, Gio. Boncompagni, Virgilio Pasi, e Girolamo Castellani. Rogito Andrea di Giacomo Pietramellara del 18 giugno 1502.

1560 21 giugno. Questo stabile era di Gandolfo Bue, e da lui venduta a Giulio Cesare Mengozzi. Si descrive esser casa con due corti sotto S. Martino Maggiore nella via di Mezzo. Confinava detta contrada, altra via da sera, Camillo Magnani a mezzogiorno, Francesco Rigosa, e il compratore a mattina, la qual casa spettava a detto Bue parte per eredità di Tommaso di lui fratello, e parte per compra da lui fatta da Galeazzo Bucchi circa il 1548. Rogito Cesare Gerardi. Il Mengozzi la pagò L. 3500. Rogito Gio. Battista Rinieri.

1672 6 ottobre. Francesco Mingozzi comprò da Lodovico e Giovanni Pasi una casa con orto e portico davanti, e di dietro sotto S. Tommaso del Mercato in via di Mezzo. Confinava i Grassi, e il vicolo pubblico, e mediante questo Bartolomeo Ruina, altri beni Pasi mediante casa ad uso di forno, e di dietro coi beni Bucchi, per L. 9500. Rogito. Cesare Villa.

1712 30 maggio. Filippo Carlo, e fratelli Mingozzi vendettero al dott. Paolo Piella per L. 7250. Rogito Domenico Boari una casa sotto S. Tommaso del Mercato. Confinava a settentrione colla via di Mezzo dei Grassi, a oriente colla via dov'è la casa dei Venenti (via Albiroli) e coi beni d'Achille Grassi, a mezzodì col palazzo Bucchi, oggi Piella, e a ponente con Giacomo Tazzi successore Ruini, e colle suore di Santa Catterina.

Nel 1780 i Piella la vendettero all' Abbate Clò.

Si passa la via Albiroli.

N.1764. Via Albiroli, N.1683.

N.1763. Casa che il 27 febbraio 1506 apparteneva all'eredità di Coriolano Ghisilieri. Si dice posta sotto S. Tommaso del Mercato in confine di sotto, e a sera, di due strade, e degli eredi di Giovanni Venenti. Rogito Francesco Barbadori. Il 28 aprile 1584 era dei Grassi. Rogito Tommaso Passarotti.

N.1762. Casa dei Venenti, la quale aveva anche comunicazione colla via Albiroli al N° 1680 e con alcune adiacenze nella via Monari N° 1679 (orig. 1689, Nota del Breventani: questo numero esisteva nelle case a nord di via Monari - Goito -, tra le vie Albiroli e Cavaliera). Qui vi erano le case dei Piatesi una delle quali posta sotto S. Tommaso del Mercato.

Il 5 febbraio 1458 Pietro del fu Gaspare Boncompagni la vendette a Bartolomeo Piatesi per L. 280. Rogito Gaspare Gambalunga, che confinava col compratore, con Ugolino del fu Gaspare Leazari e con Francesco Venenti.

1532 4 luglio. Giulio del fu Francesco Venenti comprò da Francesco del fu Alessandro Piatesi due case contigue, una grande, e l'altra piccola, poste sotto S. Tommaso del Mercato con due porte, e due stalle per L. 5350. Confinavano due strade (via di Mezzo, e Albiroli) gli eredi di Lodovico Albiroli alias Dall' Abaco, il compratore, e Bartolomeo Giovanni, e fratelli De' Buoi.

Pietro Antonio di Totila Venenti ultimo della sua famiglia antica, e nobile morì il 13 dicembre 1735 dopo aver fatto un censo vitalizio di vari beni liberi con Antonio Piletti, lasciando usufruttuaria la moglie Teresa Poli Mantovana figlia naturale di Ferdinando Carlo ultimo Duca di Mantova, e proprietaria l'Opera dei Vergognosi come dal relativo testamento consegnato il 13 settembre 1710 al notaro Gio. Battista Antonio Monti, ed aperto 1' 8 dicembre 1739 a rogito di Francesco Maria Monti.

Gli stabili urbani dello stato Venenti secondo un rogito di Gaspare Sacchetti del 13 febbraio 1770 erano i seguenti:

Casa nobile nella via Albiroli N° 1680. Confinava la strada, il marchese De' Buoi, e i beni di Teresa Poli Venenti usufruttuaria, e la prossima casa L. 9500;

Casa nella via di Mezzo compresa quella detta del Teatro N° 1762. Confinava la suddetta, i Grassi, e i Rizzardi L. 6200;

Due case annesse nella via Albiroli, già Venenti, poi della vedova Poli ai numeri 1681, e 1682. Confinavano colla casa grande, coi Grassi, e colla casa suddetta che comprende quella del Teatro L. 5500.

N.1761. Casa che nel 1458 sembra possa esser stata di Ugolino del fu Jacopo Leazari, e che il 29 ottobre 1513 era di Gregorio di Evangelista Sassoni, il quale nel predetto giorno l'affittò a Properzia di Girolamo Rossi per annue L. 30 posta sotto S. Martino dell' Avesa in confine dei Venenti, dei Vagini, e dei De' Buoi. Rogito Ascanio Dalla Nave.

Properzia fu celebre scultrice in marmo, pittrice, e intagliatrice in rame. alcune sue sculture in figure di marmo veggonsi nelle stanze dei Fabbricieri di S. Petronio, ed altre di ornato contornano la cappella maggiore della Beata Vergine del Baraccano. Qualcuno aggiunge che si dilettò di poesia, e di musica, e che fu avvenente. La nobile famiglia Grassi conserva rare sue opere d'intaglio sculte in noccioli di pesca. Mastro Amico si oppose perchè operasse nei bassorilievi della facciata di S. Petronio. Fu rapita dalla morte in freschissima età il 22 febbraio 1530, e cioè due giorni prima della coronazione di Carlo V. Fu sepolta nella chiesa dell'Ospitale di Santa Maria della Morte. Clemente VII la tenne in gran conto e chiese di lei trovandosi in Bologna. Gli eredi di Carlo Bianconi posseggono il suo busto in terra cotta di mano del celebre Alfonso Lombardi. Non si hanno di lei che queste poche notizie, che sono più estese di quelle che l'Orlandi, il Masini, ed altri abbiano lasciato sul conto di questa celebre donna.

1534 19 giugno. Comprò D. Girolamo di Dulcino Dulcini da Lodovico, e Francesco d'Antonio Lodovisi, e da Matteo di Giacomo Tencarari, una casa sotto S. Martino per L. 640 in confine dei Venenti, e dei De' Buoi. Rogito Pietro Zanettini, e Lodovico Cesarei. Appartenne poi ai fratelli Rizzardi, ed Antonio la vendette il 23 gennaio 1804 al marchese Tommaso De' Buoi. Era dessa enfiteutica del collegio di Spagna.

N.1760. Casa che nel 1513 era dei Vagini poi dei Negri, famiglia, nobile estinta in Antonio del fu Dott. Antonio Maria Negri. Irritato il detto Antonio contro Filippo Sampieri, e Massimo Caprara, che furon causa, che il di lui padre testasse a favore dell' Opera dei Vergognosi risolse ammazzarli, al qual effetto raccolse degli sgherri, che lo compromisero in vari delitti per cui fu obbligato a darsi latitante e scorrere la provincia commettendo assassinii, uccisioni, ed ogni sorte di misfatti. Scopertosi esser egli il capo degli assassini detti di Castel de'Britti, cadde poi nelle mani della giustizia, che condannollo alla forca. L'Opera dei Vergognosi offrì 5000 scudi per salvarlo, e scudi 1000 per la commutazione della forca nel taglio della testa, ma il legato Santacroce fu inflessibile. In confortaria fece il suo testamento a rogito di Girolamo Maiani lasciando scudi 50 annui ad un suo amico finchè viveva, e il libero ammontante a circa scudi 300 di rendita ad Achille del dottor Francesco di Romeo Bocchi, che aveva in moglie Lucrezia Mattarelli sua zia. Fu giustiziato il 29 luglio 1634, e sepolto vestito da gentiluomo nella capella fatta da suo padre nella chiesa dell'Annunziata.

Questa casa fu comprata dai confinanti de Buoi che anche oggidì la posseggono.

Si passa la via Cavaliera.

N.1607. Case dei Buratti che sono perfettamente isolate, e che in addietro erano di maggior estensione.

L'11 luglio 1466 Zanesio del fu Giovanni dalla Rocca comprò da Bartolomeo del fu Antonio Pozzi e da Maria del fu Antonio Marchesi Jugali una casa in via di mezzo sotto S. Martino, per L. 70 rogito Tommaso da Fagnano.

1466 16 luglio. Il detto Zanesio acquistò altra casa annessa alla predetta da Siviero da Dugliolo per L. 90. Rogito Tommaso da Fagnano. Confinava colla via di Mezzo, colla Piazzola, e con Tommaso Bazaleri dagli altri due lati.

1553 20 novembre Giovanni Francesco di Bartolomeo Zanesi vendette tutti gli edifizi di sua spettanza posti sotto S. Martino dell' Avesa distinti in tre case nella via di mezzo ad Agostino di Giovanni Battista Lanci per L. 5000. Rogito Ermete Cassani con patto di francare, il quale sembra che passasse ai Gabrielli.

Il 24 novembre 1559 Sebastiano Gabrielli possedeva tre case da S. Martino. La prima era detta la grande, aveva due cortili, era posta nella via di Mezzo e confinava con altre due case di questa ragione affittate l' una a Vincenzo Canonici, e l' altra a certo Tagliapietre, con la Piazzola di S. Martino, e con Paolo Emilio Fantuzzi.

La seconda era nella detta Piazzola e confinava colla prima da due lati, e con il suddetto Emilio Fantuzzi.

La terza era nella via di Mezzo, e confinava col vicolo protendente verso le Moline, col locatore, e col detto Fantuzzi. Rogito Giovanni Giorgio Agocchia.

Altri stabili eran compresi in quest' isola appartenenti a Giovanni Francesco di Bartolomeo Zanesi il quale il 20 novembre 1553. Rogito Ermete Caltani (Cassani o Cartari - Breventani), li vendette ad Agostino di Giovanni Battista Lanzi per L. 5000, e diconsi posti sotto S. Martino dell' Avesa nella via di Mezzo, e distinti in tre case.

1562 5 ottobre Agesilao di Bartolomeo Zanesi ricuperò dal Lanzi le sue case come da rogito di Carlo Garelli, e di Alessandro Fondazza, confinavano il notaio Giovanni Battista Ferri.

1581 23 dicembre. Giustina Beltrami madre e tutrice di Bartolomeo di Agesilao Zanesi vendette la casa nella Piazza S. Martino a Orazio Guidotti per scudi 1000 d' oro da L. 4, 3 l' uno. Confinava la Piazzola di S. Martino, la via di Mezzo, altri beni Zanesi, e i quinti.

In seguito le case già dei Zanesi appartenevano al Procuratore Antonio Bertalotti, sulle quali vi fece una bella fabbrica nel secolo XVII. Per la di lui morte fu erede per testamento la di lui moglie, sorella del famoso medico Malpighi, la quale lasciò la sua eredità ai Malpighi e ai Fabbri, e ai Bernardi figli di due sue sorelle. I Fabbri detti Dalle Spomiglie ebbero il casamento grande, e i Bernardi la casa piccola in confine di questa e delle rimesse De' Buoi.

Il Fabbri vendette la stalla, e la rimessa ai De' Buoi, e il casamento ad Antonio di Benedetto Buratti che portò da Venezia la sua negozazione di droghe. Nel 1764 gli eredi Bernardi vendettero allo stesso Buratti la loro casa presso le rimesse De' Buoi dal lato della porta laterale della Chiesa di S. Martino. Il compratore delle due case ne fece una sola.

Fin qui sulle case dei Zanesi. Resta a dirsi che nell' isola dalla parte di levante vi era uno stabile, che il 24 novembre 1562 Vincenzo Fantoni vendette a Bartolomeo Magini per L. 800. Rogito Cesare Gerardi, e si dice trovarsi in confine della piazzetta di S. Martino davanti, dei Fantuzzi di sopra, di Agesilao Zanesio, e della casa grande di detto Zanesio.

Il 27 giugno 1579 questa casa era di Giovanni Alboni, e si dà per confinare colla via pubblica a settentrione, colla piazzetta a oriente con Paolo Emilio Fantuzzi, di dietro a mezzodì, coi quinti a occidente, e presso una stalla di Agesilao Zanesi. Rogito Tommaso Passarotti. I Buratti coll' acquisto della stalla De' Buoi si resero proprietari di tutta l' isola.

Si passa la Piazzola di S. Martino.

N.1473. Nell'anno 1472 Tadeo d'Agostino strazzarolo fabbricò il portico davanti alla sua casa in fondo della Piazza di S. Martino voltando verso i Banzi.

1599 20 dicembre. Due case di Girolamo d' Adorno Fava con corti, stalla ecc. sotto S. Martino dell' Avesa, confinavano la piazza di S. Martino, la via di Mezzo, e la casa grande di Vincenzo Leoni. Appartenevano al Fava per patto di francare. Rogito Ercole Fontana, e Giulio Vitali.

1599 20 dicembre. Girolamo di Vincenzo Leoni comprò da Giovanni Battista Calvi due case contigue nella via di mezzo sotto S. Martino, che hanno prospetto nella Piazzetta di detto Santo, per L. 18000. Rogito Marc' Antonio Rigosa.

1601 7 febbraio. Il suddetto Girolamo Leoni vendette la casa sull'angolo della piazza di S. Martino a Giovanni Martini per L. 10656.2.4. Rogito Marc' Antonio Rigosa, e gli rimase l'altra annessa al palazzo Leoni.

Questi Martini sono diversi dagli antichi. Essi erano artigiani anche nel 1605. Giovanni di Carlo morì in Venezia nel predetto anno lasciando provvista Beatrice di lui moglie, poi instituendo erede Nicolò dichiarava — Sia o non sia mio figlio — e più avanti aggiunge — benchè questo putto non sia battezzato sotto il mio nome, e nemmeno sia nominata la madre tutto è causato per degni rispetti, che non si è potuto fare di meno, ma dico che detto Nicolò è mio figlio. — Nicolò Giuseppe di Sebastiano il cui bisavo era stato orefice morì ultimo dei Martini l'8 settembre 1750. Fu erede Tommaso Rinieri Mantachetti delle Lamme in causa di Claudia di Nicolò Martini moglie di Sebastiano Roncò,. la cui figlia Violante sposò il suddetto Tommaso Rinieri Mantachetti nel quale s' estinse la sua famiglia il 18 aprile 1784 giorno della sua morte. Il fedecommesso Martini calcolato L. 75000 fu diviso fra gli ospitali di S. Orsola, e della Trinità, e fra le monache del Corpus Domini, e di Santa Catterina di strada Maggiore. Il totale libero dell' eredità Martini era valutato L. 56000 del quale se pure ne era rimasto, ne fu erede l'ospitale di S. Francesco come successore Rinieri Mantachetti. Questo stabile fu comprato dal dott. medico, e dal priore della Maddalena di strada S. Donato fratelli Mandini.

N.1474. 1599 20 dicembre. Leoni Girolamo di Vincenzo comprò da Giovanni Battista Calvi due case contigue nella via di Mezzo sotto S. Martino, che hanno prospetto nella piazzetta di S. Martino, per L. 18000. Rogito Marc' Antonio Rigosa. Una di queste fu venduta ai Martini, e l'altra restò ai Leoni.

N.1475. Palazzo dei Leoni, detti anche Nordoli, famiglia che dicesi venuta di Francia, alla quale gli antichi Leoni permisero di adottare le loro armi. Furono mercanti e sembra che avessero qui abitazione fino dal 1490, nel loro archivio però si trova acquistassero nella via di Mezzo, soltanto circa 60 anni dopo.

Enrico di Lando di Giovanni di Guglielmo si disse Leoni alias Nordoli, e fu padre di Nicolò vivente nel 1462. È però molto probabile che si chiamassero Nordelli, e fossero Imolesi (Vedi Torleone).

Secondo l' Oretti eran quivi anticamente le case della sua famiglia, che diedero il nome alla vicina strada Oretta, in oggi Luretta, ma ciò senza prove.

1545 28 maggio. Lanzi Gio. Battista, e Agostino padre e figli comprarono da Antonio Ansaldini una casa sotto S. Martino Maggiore nella via di Mezzo per L. 5100. Rogito Ermete dal Buono, e Francesco Castagnoli.

1549 7 febbraio. Camillo del fu Floriano Leoni comprò da Giovanni Battista Lanzi una casa in via di Mezzo, sotto S. Martino, ed altra ad uso di stalla sotto S. Simone, e Giuda, nella piazzetta di S. Martino dell' Avesa per L. 5500. Rogito Bartolomeo Algardi, e Alberto Budriuli.

I detti stabili erano stati venduti da Antonio Ansaldini a Gio. Battista, e ad Agostino padre, e figlio Lanzi per L. 5100 il 6 maggio 1546. Rogito Ermete Dal Buono, e Francesco Castagnoli.

1563 27 ottobre. Vincenzo del fu Girolamo Leoni comprò da Emilio Fantuzzi una casa sotto S. Martino nella piazzetta dei Fantuzzi per L. 1850. Rogito Ippolito Peppi.

1582 29 dicembre. Vincenzo del fu Girolamo Leoni comprò da Emilio Fantuzzi più case con stalla sotto S. Martino di faccia alla piazzetta di S. Martino per L. 6500. Rogito Ippolito Peppi. Sembra vi fosse patto di francare.

1583 26 settembre. Leoni Vincenzo comprò da Gio. Antonio Prati, e da Ursolina Dal Muto Jugali una casa sotto S. Martino presso la piazzola Fantuzzi per L. 3000. Rogito Grazioso Marchetti.

Vincenzo di Girolamo suddetto nel 1583 abbellì questo palazzo, e nel 1593 fece l'arco, e la facciata sulla piazza dei Fantuzzi al N° 1472.

Nel 1596 15 gennaio a rogito di Galeazzo Bucchi, e di Marc' Antonio Rigosa le case di Vincenzo del fu Girolamo Leoni erano:

Casa grande da lui abitata nella via di Mezzo sotto S. Martino con ingresso anche nella piazzola di S. Martino;

Tre case unite, ed una stalla con rimessa in confine di detta piazzola, e della strada detta Berlina;

Un'altra casa sotto detta parrocchia in confine della casa grande che sarà il N° 1474.

Il palazzo Leoni nel 1600 dicesi confinasse cogli eredi di Dulcino Dulcini, e con Andrea De' Buoi (probabilmente di dietro).

Vincenzo di Girolamo morto il 23 ottobre 1709 fu l'ultimo dei Leoni, la cui eredità passò al conte Pietro Paolo del conte Ercole Malvezzi Locatelli come marito di Maria Catterina Leoni sorella del defunto. Questo palazzo fu poi venduto dal conte Vincenzo di Camillo Malvezzi al rinomato pittore, e ristauratore di quadri Giuseppe del fu Angelo Sedazzi.

Si passa il vicolo Uretta, o Luretta.

N.2741. Casa dei Mattasillani, poi Danzi che la rimodernarono. Il 26 febbraio 1734 il Senato permise che l' avv. Giacomo Danzi sostituisse colonne di pietra a quelle di legno nel portico della sua casa in via di Mezzo. Passò poi al marchese Zambeccari, indi a Ubaldo Busi.

N.2738. Casa dei Castelbarchi, mercanti da seta che qui abitavano nel 1651, terminati in Antonio del quale fu erede il notaro Coli di lui nipote ex-sorore. In qualche atto sono detti Castelimbarchi.

N.2737. Stabile che il 9 dicembre 1576 come da rogito Nane Sassi era dei Salaroli. Confinava di dietro con la via Valdonica, con Costanzo Macchiavelli da un lato, e con Anchise Campana dall'altro. Passò per compra ai Palmieri. Nel 1663 fu acquistata da Ercole Montecalvi, e estinti i suoi discendenti fu ereditata dai Belvisi del ramo di Giulio. 2736. Casa che sembra la stessa assegnata il 12 gennaio 1552 da Annibale Bargellini a Vincenzo Fantoni valutata scudi 900 d'oro, la quale era sotto San Martino dell' Avesa. Confinava la via pubblica da due lati, e Girolamo Fava da gli altri due.

Il 25 novembre 1562 Bartolomeo Masini la comprò dal suddetto Fantoni per L. 5000, ed era fondo dotale di Francesca Bargellini moglie del detto Fantoni. Rogito Galeazzo Bovi.

Il 6 maggio 1662 era del dott. Carlo Tassoni da lui affittata per L. 125. Rogito Carlo Vanotti. Confinava coi Bondioli, e coi Palmieri. Nel 1663 come da rogito Antonio Bartolotti del 30 giugno confinava coi Bondioli, e con Ercole Montecalvi. Fu poi di Gaetano, e Carl' Antonio fratelli Zagoni, i quali la vendettero l'il aprile 1725 ad Elisabetta Rigaud, e dott. Lolli Jugali per L. 3000. Confinava il marchese Banzi successore Bondioli, e i Belvisi. Rogito Nicola Antonio Colli, poi appartenne ai De' Buoi, indi a Giuseppe, e fratelli Canali argentieri, morti i quali passò a D. Marzio Belvisi che il 31 gennaio 1803 la vendette ad Angelo del dott. Antonio Costerbosa Benini.

N.2735. Casa piccola dei Monterenzoli posta sotto S. Martino in via di Mezzo in confine della casa grande venduta dagli eredi del fu Giovanni Monterenzoli a Cesare, e fratelli Fava verso il 1497. I Fava la possedevano ancora nel 1546 come al N° 2734.

Un rogito di Nicolò Calvi del 14 ottobre 1639 ci apprende che Gaspare di Amato Benedetti vendette a Bartolomeo, e fratelli, e figli di Giovanni Giacomo Pelloni una casa sotto S. Martino nella via di Mezzo per L. 7500 in confine dei Banzi. Un rogito del 4 aprile 1654 di Mario Dalla Noce ci dice che Bartolomeo, e figli di Giovanni Giacomo Pelloni diedero in permuta questa casa a Giovanni Francesco di Domenico Bonomi, e a Giuseppe, e Giacomo Antonio d'Alberto Budrioli (Vedi via Cavaliera palazzo Tubertini, poi Cappi).

1714 (Orig. 1614, corretto con il ? dal Breventani) 4 aprile. Il canonico Gio. Giuseppe Pannollini, e i fratelli Budrioli la vendettero al dott. Agostino, e fratelli Bondioli per L. 900. Rogito Martino Diolaiti.

Carlo del fu Marco Bondioli ultimo di sua famiglia proveniente dalle montagne del Modenese testò a favore di Filippo Carlo Banzi suo figlio adottivo con obbligo di assumere il di lui cognome, e di inquartare l'arma Bondioli colla Banzi come da rogito di Giuseppe Livizzani del 5 ottobre 1715. Morì il testatore il 7 gennaio 1717. I Banzi vendettero questa casa a Lorenzo Corneti.

N.2734. Casa posta sotto Santa Cecilia nella via di Mezzo di Giovanni seniore Monterenzoli, che testò il 17 aprile 1403.

1407 9 luglio. Sibilla di Testa Duglioli vedova di Giovanni Monterenzoli tutrice dei figli comprò da Luca di Giacomo Pannollini una casa sotto S. Donato in via Valdonica che confinava coi Zaccagnini, e coi Grugnolini. Rogito Guido Paganelli. Continuava ad essere dei Monterenzoli il 23 marzo 1503 mentre vivevano Giovanni, e Antonio di Filippo ed allora confinava con la via di Mezzo a settentrione, con la via Valdonica a mezzodì, e cioè di dietro, a levante coi Pannollini, e a ponente coi Cattanei. Rogito Battista Beroaldi. Gli eredi di detto Giovanni seniore Monterenzoli la vendettero a Cesare di Guglielmo Fava marito di Jacopa del suddetto Giovanni, il quale l'abitava colla sua famiglia. Confinava coi Pannollini, coi Sacchi, e coi Cattanei.

Il 1° marzo 1524 era di Galeazzo da Siena, il quale nel 1529 a rogito di Lodovico Fasanini la vendette al famoso dott. Carlo di Corradino Ruini da Reggio autore della famiglia senatoria di questo cognome, fatto cittadino nel 1515, maestro di Francesco Guicciardini, e di Gregorio XIII. Morì esso il 3 aprile 1530, e fu sepolto in S. Giovanni in Monte. Il giorno susseguente alla di lui morte cadde un fulmine sul letto dove era stato ammalato.

Passò dai Ruini al conte Ulisse Manzoli, i cui eredi e fratelli Giorgio, e Camillo la vendettero il 18 febbraio 1546 a Lorenzo del fu Petronio Banzi. Un rogito di Pier Antonio Stancari così la descrive: Una casa grande in via di Mezzo sotto Santa Cecilia rispetto alla parte anteriore, e sotto S. Donato la posteriore. Confinava la via pubblica di sopra, e di sotto, i Bombaci da mattina, Bartolomeo di Cesare Fava, e i Latini da sera per L. 13000. Più una casa piccola con stalla sotto S. Donato per L. 900. Rogito Pier Antonio Stancari.

1549 18 gennaio. Il cav. Lorenzo del fu Petronio Banzi comprò da Bartolomeo, e da altri dei Pannollini una casa ad uso di stallatico in via Valdonica sotto S. Donato per L. 1200. Confinava detta strada, il compratore, i venditori, e Bartolomeo Fava mediante chiavica. Rogito Nicolò Dall'Armi, e Paolo Dosio.

1560 29 maggio. Il suddetto comprò da Floriano Macchiavelli una casa nella via di Mezzo sotto S. Martino per L. 1160 in confine del compratore, della via pubblica, e di Filippo Franchini. Rogito Alessandro Chiocca. La qual casa doveva essere ove in oggi vi è il primo cortile Banzi in confine dei Magnani.

Il 6 marzo 1518 fu concessa l'esenzione dei materiali necessari alla fabbrica di Lorenzo del fu Petronio Banzi (1) sotto Santa Cecilia. È evidente lo sbaglio di data che non può essere che 1548.

NN. 2732, e 2731. Stalle Magnani, e già case dei Bombaci, o Dalla Bombace, famiglia che appartenne al partito Geremeo.

Nel 1445 molti Bombaci seguaci dei Canetoli, e del Duca di Milano furono cacciati da Bologna, quindi fuorusciti, alcuni de' quali si domiciliarono stabilmente in Reggio. In Venezia vi fu una fa miglia di questo cognome orionda di Bologna ascritta a quella nobiltà, della quale Giovanni fu coadiutore di Enrico Contarini Vescovo di Castello nel 1100.

1429 21 giugno. Barnaba di Giacomo Bombace comprò da Bartolomeo del fu Matteo Preti una casa sotto S. Donato. Confinava Pasio Fantuzzi, e la via di S. Donato. (Pasio Fantuzzi possedeva case, dove in oggi vi è il palazzo Magnani).

1447 27 marzo. Casa grande dei Bombaci in via di Mezzo sotto Santa Cecilia. Confinava la via pubblica, Giovanni Monterenzoli, la via Valdonica, Giacomo Pannollini, e Antonio Fuzzi, valutata L. 600.

Casa con camino, e abitazione grande a pian terreno dalla parte inferiore, il tutto annesso all'orto dell'altra suddetta casa, più il terreno, che è dopo detto camino sino al muro della cucina di detta prima casa sotto S. Donato nella via di S. Donato. Confinava la via pubblica, il detto Antonio Fuzzi, e gli eredi di Pasio Fantuzzi.

1524 1° marzo. La casa dei Bombaci confinava Baldassarre dal Fieno, Galeazzo da Siena (vedi la casa dei Banzi) e i Magnani (successori Fantuzzi). Lo stabile dei Dal Fieno pare compreso nelle case dei Malvezzi.

1528. La suddetta casa in via di Mezzo confinava con Matteo Malvezzi, coi Magnani, con Carlo Ruini (vedi Banzi) e l'altra casa di questa ragione.

1562 29 agosto. Licenza dei Quaranta a Bernardo, e Giovanni Bombace di chiudere il portico in via di Mezzo, e di costruire un muro all'altezza delle case dei Malvezzi dalla parte d'oriente, e dei Banzi da quella d'occidente.

1564 6 giugno. Comprò Lorenzo di Lodovico Magnani da Giovanni Bombace una casa nella via di Mezzo presso Carlo, e Emilio Malvezzi, presso Bernardo Bombace per L. 4400. Rogito Angolo Picinardi, ed Ermete Cartari. Non ostante questa vendita restò un'altra casa ai Bombaci.

1598 21 aprile. La casa di Bernardo Bombace in via di Mezzo confinava con Lorenzo Magnani, gli eredi di Alberto Banzi, e Curzio Pannolini.

Terminò questo ramo Bombaci in Lorenzo di Bernardo premorto al padre che morì il 24 dicembre 1597, che lasciò una sola figlia ed erede, Ersilia maritata nel 1609 in Ottaviano di Scipione Zambeccari.

1620 23 aprile. Ottaviano di Scipione Zambeccari anche a nome di Ersilia del fu Lorenzo Bombace sua moglie vendette la casa in via di Mezzo per L. 14000 al Collegio Pannolini. Confinava Lodovico Magnani, i compratori, e i Banzi. Rogito Giulio Belvisi.

1670 22 dicembre. Il senatore Enea del fu Vincenzo Magnani comprò dal Collegio Pannolini una casa in via di Mezzo sotto Santa Cecilia per L. 14000. Confinava i venditori, il compratore, e i Banzi. Rogito Domenico Maria Boari, e Gio. Antonio Zanetti. Il compratore vi fece fabbricare una stalla per 24 cavalli, rimessa per nove carrozze, abitazioni, ecc.

N.2730. Fianco del palazzo Malvezzi Campeggi. L'8 aprile 1549 fu concesso a Floriano, e fratelli, e figli d'Aurelio Malvezzi, che per la direzione del muro nella via detta la via di Mezzo si possa distruggere il portico antico e condur detto muro fino alla casa dei Bombaci, e prendere di pubblico suolo piedi 4 da detto lato per la lunghezza di piedi 60.

Via di Mezzo di S. Martino a sinistra entrandovi per Galliera, e terminando a strada S. Donato.

N.1830. L'antica porta murata che si trova prima di arrivare al vicolo Quartirolo dicesi che appartenesse ad una casa degli Angeli, altri dicono Dalle Corregge, che fu poi unita alla casa del dott. Carlani in Galliera.

Si passa il vicolo Quartirolo.

N.1829. Casa nobile già Allamandini che diconsi derivare da una donna detta Allamandina, che accumulò molte ricchezze. I Simj dell' Avesa furono incorporati negli Allamandini in causa che Ercole d' Allamandino rettore di S. Giorgio in Poggiale, e canonico di S. Pietro lasciò erede Fabio di Luca Simj dell' Avesa, e d'Ippolita sua sorella coll'obbligo di assumere arme, e cognome Allamandini.

1585 17 ottobre. Testamento di Giovanni Girolamo di Luca Allamandini col quale lasciò a Fabio primogenito di Girolamo suo nipote una casa grande, sotto Santa Maria Maggiore. Confinava i Bargellini, i Caccialupi. Rogito Tommaso Passarotti. A sinistra del pian terreno vi era una lapide sopra un uscio, che diceva: Hic saepe pernoctavit Sanctus Camillus de Lellis. La Camera è ridotta a cappella, e vi si conservava il ritratto del Santo che dicesi dipinto mentre esso pranzava. Gli Allamandini si dissero Caccialupi perchè Giovanni di Stefano fu fatto erede da Carl' Antonio Malvezzi suo zio materno ultimo dei Malvezzi Caccialupi. S' estinsero gli Allamandini in Carl' Antonio di Floriano detto Caccialupi morto il 29 novembre 1729 la cui eredità passò ai Bolognetti in causa di Veronica di Floriano in Paolo Bolognetti.

Questo stabile fu acquistato dai Mazza di S. Pietro in Casale che lo rimodernarono nel 1701, e che l'avv. Melchiorre Mazza d'Alfonso nel 1760 lo vendette al mercante Francesco Gnudi, il quale lo cedette ai creditori, e questi il 19 giugno 1769 lo vendettero a Gio. Antonio Salina fornaro della Mensa per L. 25000. Rogito Lorenzo Gamberini.

N.1828. Trovasi in un rogito di Gio. Battista Piccinardi del 3 dicembre 1649, che il dott. Pietro, e Alberto fratelli Bargellini vendettero a Silvestro Guidozzi una casa grande con corte, orto, in via di Mezzo per L.13300, in confine a levante, e a settentrione dei fratelli Sangiorgi, a mezzodì della strada, a ponente gli eredi Allamandini, e il vicolo Quartirolo.

Nel 1715 era del dott. Pistorini, poi del dott Medico Benedetto del dott. Filippo Antonio Donelli, indi dei Salina, poi del dott. Giacomo Maria Alessandrini Vizzani qual marito di Maria di Giovanni Antonio Salina.

N.1827. Casa dell'antica famiglia Sangiorgi probabilmente derivante dal Castello di S. Giorgio del nostro territorio. Guglielmo ebbe un legato di L. 1000 dal Re Enzo.

Il 12 agosto 1592 Gio. Antonio Sangiorgi ottenne dal Senato di poter chiudere il portico largo pertiche 8 nella sua casa vicina ad un vicolo. Vincenzo di Pietro Maria morto il 3 gennaio 1691 adottò in figlio Antonio di Marco Tullio Simonini da S. Giovanni in Persiceto con obbligo di assumere il nome, cognome, ed armi del testatore, come da rogito Antonio Bortolotti del 3 dicembre 1675. Questo innesto terminò in Vincenzo Gio. Antonio morto nel 1818 lasciando una sola figlia Maria Anna vedova del senatore Carlo di Costanzo Zambeccari. Questa casa circa il 1700 fu valutata L. 32000. Al principio del secolo XIX fu comprata dall'ingegnere Gaetano Landi, e da lui venduta al negoziante Antonio Maria Costetti.

Si passa il Campo dei Fiori.

N.1826. Casa in faccia alla via dei Malcontenti. Il 17 dicembre 1501 si trova che questa casa era dei Bonasoni famiglia orionda di S. Giovanni in Persiceto resa ricca e cospicua da Giovanni celebre giureconsulto morto l'11 marzo 1529. Se questa famiglia non è estinta è però decaduta a modo che un superstite Filippo nel 1773 era garzone di caffè, e sussidiato dall'Opera dei Vergognosi.

Sembra che i Bonasoni abbiano fatto diversi patti di francare questo stabile, poichè un rogito di Giovanni Balli del 19 settembre 1650, ed un altro di Alessandro Andrei del 7 maggio 1659 lo dicono di proprietà di Giulio, di Giovanni Antonio, Vincenzo e Raimondo fratelli e figli del fu Angelo Prati, e confinare da due lati con strade, i Viola, e Paolo Gandolfi dagli altri, stimata da Giacomo Cassani L. 8125.6 a cui andava unita una stalla nel vicolo dei Sangiorgi in confine di Elisabetta Lamandini valutata L. 790.

Un rogito di Gio. Battista Borgognini del 3 agosto 1665 la qualifica come appartenente al dott. Alessandro Pellicani, il cui figlio avv. Gio. Battista detto Pellicani Sanuti aveva sposato nel 1662 Teresa di Gio. Angelo Prati ultima di sua famiglia. Fu di lui erede Camillo suo fratello marito di Emilia Asinelli, cognome adottato dal di lui figlio Giuseppe Gaetano ultimo dei Pellicani, che mancato senza successione lasciò erede la sorella Camilla moglie di Marc' Antonio di Alessandro Senesi detto Beccadelli morto all'improvviso il 26 gennaio 1763. Fu comprato questo stabile da Giuseppe Tomba per L. 26000, che lo vendette a Giacomo di Gregorio Biancani ricevendo L. 16000, e la casa già Tazzi in via di Mezzo N° 1166.

L'Emilia Asinelli diede in dote, e in eredità al marito L. 10000 da esso ricevute il7 aprile 1677. Rogito Gio. Antonio Roffeni.

In causa del suddetto cognome aggiunto al suo da Giuseppe Gaetano Sanuti molti credono che questo stabile abbia appartenuto agli Asinelli, ma è errore come si è già dimostrato.

La famiglia Pellicani Sanuti, fu distintissima per nobiltà e per uomini illustri dati alla Patria.

Questa casa fu comprata dai Biancani Tazzi, e risarcita con gran spesa dal professore d'antichità Giacomo Biancani, che vi fece anche la facciata, al quale per questo effetto fu concesso pubblico suolo il 27 febbraio 1776. I di lui eredi la vendettero ad Antonio Vaccari di S. Pietro in Casale, e dopo di lui toccò in divisione all' avv. Ippolito Benelli.

Si passa la via Malcontenti.

N.1773. Antico cimitero della parrocchia di S. Tommaso del Mercato, e casa del rettore del benefizio di S. Michele Arcangelo, e di tutti gli Angioli in San Tommaso predetto le quali case il 1° dicembre 1638 furono locate in enfiteusi a Floriano del fu Stefano Allamandini per l'annuo canone di scudi 8 d'oro, e di un paio di capponi. Rogito Achille Canonici. Confinavano i Lamberti, i Cattanei, e il Cimitero suddetto.

1704 11 settembre. Comprò Gio. Francesco Rossi Poggi da Girolamo, e Carl' Antonio fratelli Allamandini due casette sotto San Tommaso del Mercato, ed enfiteutiche per L. 2000. Confinavano il cimitero, i Cristiani, successori Lamberti, e i Grassi successori Cattanei di dietro. Rogito Gio. Francesco Galli.

1704 22 dicembre. Locazione enfiteutica per 29 anni concessa dal rettore, e dagli uffiziali della parrocchia di S. Tommaso del Mercato a Gio. Francesco Rossi del fu Girolamo Poggi del cimitero di detta parrocchia lungo di dietro piedi 45, e di superficie piedi quadrati 13, e piedi 64. Confinava la via di Mezzo, l'Abbate Cristiani, una corticella di detta parrocchia, e gli Allamandini per annuo canone di L. 3, e per Laudemio L. 108.6.8 per la prima volta, e poi L. 200 in appresso, con obbligo di far scavare detto cimitero fino al piano della strada, di estrarre le ossa, e di ridurlo ad uso di piazzetta, di non farvi fabbricare per non togliere il lume alla Chiesa, alla casa del parroco, e al vicinato. La parrocchia assunse di erogare le L. 200 nel fare due sepolture fuori della Chiesa. Rogito Vincenzo Cevolani.

Il 16 settembre 1705 il predetto cimitero era ridotto a Piazzola contornata da fittoni, controfittoni, e seliciata con sassi. Il 29 agosto 1733. Decreto del vicario, che si possa fare un muro alto piedi 7 presso la via di Mezzo che chiuda il già cimitero della chiesa di San Tommaso del Mercato; così in quell'anno l'Opera dei Vergognosi, erede Rossi Poggi, esegui il citato decreto, e fabbricò i granari sul suolo delle casette summenzionate enfiteotiche di diretto dominio del Benefizio di S. Michele Arcangelo, e di tutti gli Angioli in S. Tommaso del Mercato.

N.1774. Casa d'Alessandro di Girolamo Bucchi da lui venduta il 26 giugno 1566 al dott. Camillo di Gherardo Franchini da Montagnano stato di Modena. L' instrumento d'Alessandro Stiatici la dice casa con due corti, e stalla, posta sotto S. Tommaso del Mercato. Confinava la via di Mezzo ed altra strada, il Cimitero di S. Tommaso, una stalla, e casa di Gasparo Cattanei pagata L. 7000.

Il 22 novembre dello stesso anno fu comprata da Battista di Alessandro Banzi per lo stesso prezzo. Rogito Leone Masini, e Angelo Ruggeri.

Del 1638 era dei Lamberti, del 1704 dei Cristiani, famiglia che nel 1549 si dice che Nicolò era Massalarius, forse formeggiaro. L'ultimo dei Cristiani, fu il padre Abbate Francesco canonico Renano uomo letteratissimo morto il 13 febbraio 1702 per una caduta da cavallo fatta nella sua campagna di Bazzano. Fu di lui erede la religione, che la vendettero ai Bacilieri oriondi da Cento, mugnai, ed affittuari al Bentivoglio, o Ponte Poledrano, che la ristaurarono, e non degli antichi Baccilieri, o De Bazalleriis, dei quali si avrà occasione di parlarne all'articolo - Via dei Giudei -. Appartenne poi al Marchese Tommaso del senatore Bartolomeo De Buoi.

Si passa la via dei Cattanei.

N.1775. Casa del fu Virgilio Pannolini di Camillo che testò il 19 agosto 1559 a favore di Jacopo, d' Alberto, di Pace Mascari Budrioli. Alberto, amministratore di detta eredità per il figlio, la vendette il 14 febbraio 1662 con altra piccola casa annessa ad Ermes di Gio. Agostino Cartari per L. 9150, la cui sorella Angelica maritata in Giacomo Cucchi fu causa che l'eredità di sua famiglia passasse ai Cucchi che si dissero Cucchi Cartari, i quali terminarono nel dottor Medico Gio. Agostino morto il 22 marzo 1674, il quale col suo testamento del 13 febbraio anno stesso a rogito di Giuseppe Lodi lasciò eredi usufruttuari Giuseppe e Gaspare Magnani figli di Francesco, di Gasparo, e di Lodovica Cucchi suoi nipoti, ed erede la casa dei Catecumeni. Gli eredi si dissero poi Magnani Cucchi Cartari.

Questa casa sotto la data del 14 novembre 1559 viene cosi descritta: Casa del fu Virgilio Pannolini in via di Mezzo sotto S. Tommaso del Mercato. Confinava la via pubblica da tre lati, Gio. Battista Benazzi, gli eredi di Cesare Zani, e l'infrascritta casa, che è nella via del Torresotto del Mercato, in confine del detto Benazzi, della detta casa grande, e della di lei stalla. Rogito Giovanni Battista Cevenini.

Il 5 giugno 1794 il Collegio Seminario la vendette al dott. Giuseppe Atti per L. 17200. Rogito Luigi Aldini, nel quale si annunzia per casa con stalla in via di Mezzo sotto S. Tommaso del Mercato. Confinava a levante con casa di diversi proprietari, e con un vicolo detto Giardino, a mezzodì la via di Mezzo, a ponente il vicolo Cattani, e a tramontana Amadio Suppini, il seminario, e il Catecumeno. Il compratore l'ornò di facciata nel 1817.

N.1776. Casa dei Benazzi, o Benacci famiglia nobile, e antica che coprì onorevoli impieghi della città fino al secolo XIII. Una eredità Benacci nel 1635 per la morte di Gio. Francesco di Paolo sindaco del reggimento passò a Lodovico di Gio. Pietro Borgolocchi alias Torroni figlio di Elena sorella di detto Gio. Francesco. Nel 1715 continuavano i Benazzi a goderne una porzione; in oggi spetta ai successori del dott. Pietro Aldrovandi, e di D. Cesare Vizzani. In un uscio a sinistra della loggia vi si vedeva l' arma dei Cartari, e sembra che la sua antica porta corrispondesse nella via del Torresotto, ora detta del Giardino.

Si passa la via del Giardino.

N.1778. Palazzo antichissimo della Senatoria famiglia Grassi (2) che per uomini illustri viene annoverata fra le celebratissime di Bologna. Il Dolfi favoleggia sulla sua origine, e sulle sue armi, ma essa non abbisogna di ciò per farsi creder chiara, e rispettabilissima. Non deriva essa dai Clarissimi alias Grassi del Cardinale Ildebrando, dei quali si parlerà nella via Ponte di Ferro, ma viene da Montecalvo, e da un Matteo, che nel 1280 era merciaio, commercio esercitato ancora da alcuni suoi discendenti, la di cui ultima è maritata al sig. Marchese Luca Marsigli.

Grasso di Giacomo Grassi sive de pater nostri era della cappella di Santa Maria del Tempio come da un rogito di Canonico di Pietro Canonici del 1371.

Non si ha memoria della fondazione di questo palazzo, ma la sua costruzione, e l'ampia sua fronte nella strada lo resero uno dei più cospicui di quei dì. Non mancano però notizie sulle ampliazioni ottenute per compre fatte dai Grassi nel 1466 1469, e 1565 dai Canonici, e ad intervalli anche da altri, per cui in oggi è perfettamente isolato dalle vie del Giardino, dell' Androna delle Ocche, di quella dei Grassi, e dalla via di Mezzo di S. Martino.

1466 19 maggio. Graziano e fratelli Grassi comprarono da Alessio Canonici una casa sotto S. Tommaso del Mercato in confine di Girolamo di Antonio Canonici, notaio, da due lati, e dagli altri due dai compratori, pagata L. 400. Rogito Nicolò Beroaldi.

1469 6 aprile. I suddetti comprarono da Lodovico Canonici alcune casette sotto la parrocchia di S. Tommaso per L. 1631, rogito Nicolò Beroaldi, e cioè una in via Ossara o Ossata, ora Androna delle Ocche verso la casa di Antonio De Lo Abbà, che confinava con Girolamo d'Antonio Canonici notaro, coi Grassi da due lati, e da altrettanti colla strada; una presso la suddetta e in confine della medesima da due lati; finalmente altra contigua alla predescritta.

1472 26 giugno. Graziano Grassi comprò da Giovanni Gengini una casa sotto S. Tommaso del Mercato in via Androna delle Ocche per L. 308. Rogito Gio. Battista Cedropiani. Confinava la via davanti, e di dietro, Andrea Canonici da due lati, e gli eredi di Giovanni Pasqualini dal lato inferiore.

1565 13 marzo. Il conte Antonio Grassi comprò da Gio. Battista e fratelli Canonici due case sotto S. Tommaso del Mercato l'una in via Porta Govesa (via del Giardino) l'altra nella via di Mezzo per L. 6700. Rogito Giovanni Pulzoni. La casa grande confinava col compratore, e cosi l'altra in via di Mezzo N° 1777.

1522 21 maggio. Il Senato concesse al cav. Agamenone Grassi una viazzola a sinistra della sua casa grande dove abitava, la quale con alcuni suoi stabili, che la confinavano formava un' isola intera di tutta sua proprietà. La detta viazzola andava dritto al Mercato contro i Canonici e chiamavasi Androna delle Ocche. Tale concessione fu fatta per cacciare a terra varie casette, e inchiudere il suolo di quella, e del viazzolo alla casa grande, ampliandole a maggior ornamento della città, e facendovi il portico.

1739 5 gennaio. Si permise al senatore Paris, e a Camillo Grassi di chiudere due portici uno nel vicolo del Giardino lungo piedi 48 largo piedi 7, l'altro nell' Androna delle Ocche lungo piedi 61 e oncie 9, largo piedi 4 e oncie 9.

N.1779. Il vicolo che dalla via di Mezzo passa all' Androna delle Ocche, che si diceva Androna dei Grassi fu chiuso con portoni alle due testate mediante licenza ottenuta dal marchese Achille Grassi il 9 gennaio 1711.

NN. 1780, e 1781. Casa dei Grassi del primo ramo senatorio terminato in Alberto del senatore Giovanni Gasparo detto anche dei Pallotta per l' eredità del Cardinale Pallotta morto di vaiuolo il 9 marzo 1724. Fu assegnata in restituzione di dote ad Anna del senatore Tommaso Campeggi vedova del predetto Alberto, ed estinti i Campeggi passò ai Malvezzi. Il 9 dicembre 1800 il conte Camillo del senatore Vincenzo Grassi la comprò dal marchese Giacomo, e Floriano fratelli Malvezzi Campeggi per L. 13500. Rogito Zenobio Egidio Teodosio, indi il 2 maggio 1810 fu acquistata dal chirurgo Pietro Costa per L. 8275. 83 italiane. Rogito Angelo Michele Felicori, il qual Costa nel 1819 ripulì la facciata che guarda la chiesa di S. Martino.

Si passa la via Case Nuove di S. Martino.

Una memoria che trovasi nell'Archivio dei frati di S. Martino sotto la data del 1° aprile 1489 ricorda una casa posta nella via di Mezzo già ad uso di ospitale detto di S. Martino forse dov'è ora la piazzetta, o sagrato della Chiesa.

Si passa la via larga di S. Martino.

N.2742. Casa che Filippo di mastro Antonio di Giacomo Grassi alias Calcina strazzarolo della parrocchia di S. Lorenzo dei Guerrini diede il 7 maggio 1481 in affìtto, francandola a Gio. Battista del dott. Lorenzo Refrigeri il quale il 17 giugno 1488 la ricuperò per L. 500. La detta casa dicesi essere presso la via pubblica da due lati (via di Mezzo e via larga di S. Martino) presso Benedetto Ercolani mercante di ferro di dietro, e presso Giacomo Bombasaro. Gio. Battista Refrigeri fu uomo di gran conto. Prese parte nella congiura dei Malvezzi contro i Bentivogli, per cui questa casa fu saccheggiata nel mese di novembre 1488. Il Ghirardacci raccontando questi fatti la dice posta da S. Martino, ed un rogito dei notari Bailardi, e Borgognini dell' 8 giugno 1515 aggiunge che la casa di Tiresio Foscarari che è il vicino N° 2743 confinava cogli eredi, e successori di Gio. Battista Refrigeri.

I Refrigeri detti ancora De Frigeri nel 1461 erano oriondi della Pieve ed ebbero origine da un medico, che fu forse il dott. (orig. dott il, errore di cui il Breventani non si accorse) Lorenzo padre di Gio Battista. S'ignora come sia estinta questa famiglia.

L'11 settembre 1519 questo stabile era di Bernardino del fu Pietro Molcardini (Moscardini o Mongardini. Breventani), che lo vendette per L. 2800. Rogito Gio. Battista Bue ad Agostino del fu Tiresio Foscarari. Confinava la via da due lati, Agostino Foscarari, e gli eredi di Elisabetta Legnani.

Nel 1558 28 ottobre la casa di Tiresio Foscarari juniore posta sotto S. Martino confinava con Bartolomeo Bolognini, la via di Mezzo, altra via pubblica, Girolamo, e Giacomo Foscarari. Rogito Antonio Berti.

Il 24 febbraio 1562 Girolamo del fu Floriano Leoni la comprò per L. 4700 da Giulio del fu Tiresio Foscarari. Rogito Alberto Budrioli, Luciano Vizzani, ed Ippolito Peppi. Confinava allora coi Foscarari, e coi Bolognini. L'erede Leoni, conte Giuseppe Malvezzi, la vendette il 16 agosto 1745 per L. 7000 a Francesco Sauveterre ballerino francese (cognome italianizzato in Salvaterra) come da rogito Paolo Francesco Fabbri. Il compratore la risarci, e levò il terrazzo che era annesso al vicino N° 2743. Il Salvaterra la vitaliziò nel 1762 al principe di Calubrano napoletano per L. 2000 pagate all'atto del contratto, e per annue L. 900.

Nel 1774 fu comprata da Antonio di Gaetano Cavaluzzi per L. 10,000, indi passò a Gioacchino Biagi, e da questi a Luigi Naldi.

NN. 2743, e 2744. Stabile composto di varie case, una delle quali fu di Giacomo Bombasaro.

1515 8 giugno. Agostino del fu Tiresio Foscarari comprò da Evangelista del fu Benedetto, da Antonio Maria del fu Giulio Ercolani, e da Giulia del fu Alessandso Zambeccari madre del detto Antonio Maria, parte di una casa sotto S. Martino dell' Avesa per L. 1700, e per metà del residuo della stessa casa valutata L. 1500 con altra parimenti posta nella via di Mezzo. La casa venduta al Foscarari confinava gli eredi, e successori di Gio. Battista Refrigeri, e quelli di Margherita da Lignano. La casa data in permuta all'Ercolani confinava la via di Mezzo di sotto, i Placentini, e Giovanni Della Lana. Rogito Priamo Bailardi, ed Ercole Borgognini.

Il 30 aprile 1516 la casa dei Foscarari in via di Mezzo sotto S. Martino, confinava con Pietro Busighieri, valutata ducati 1000 d'oro. Rogito Gio. Pini.

1548 21 giugno. Comprò Girolamo, e Giacomo Agostino fratelli Foscarari da Nicolò del fu Antonio Pij una casa sotto S. Martino dell' Avesa nella via di Mezzo per L. 270 in confine dei compratori da due lati, e di Francesca vedova d'Agnolo da Parma. Rogito Giacomo Micheli, o Machelli.

1557 25 novembre. Girolamo Poggi comprò da Antonio Battaglia una casa sotto S. Martino nella via di Mezzo in confine dei Foscarari da due lati, e dei Manzoli, per L. 550. Rogito Leone Mastri, e Angelo Ruggeri.

1558 1° febbraio. Girolamo, e Giacomo fratelli Foscarari comprarono da Girolamo Poggi la metà di una casa verso occidente posta sotto S. Martino per L. 1580. Rogito Cesare Gerardi. Confinava la strada a mezzodì, i Foscarari a sera, gli eredi di Ventura Bolognini a settentrione, e quelli di Cesare Bongianaini a mattina.

Un altro rogito di Leone Mastri del 26 febbraio 1558 dice che i predetti fratelli Foscarari comprarono la suddetta casa già Battaglia poi Poggi per L. 550.

Sembra che verso il 1578 passasse questo stabile ai Dolcini famiglia discendente da Dolcino di Benedetto che fioriva nel 1400, e mancata in un Dolcino di Vincenzo morto nel 1647. Nel suo testamento fatto nel 1647 dispose della sua eredità perchè colle rendite fosse supplito allo spallo che d'ordinario s'incontrava dagli Anziani oltre l'emolumento bimestrale assegnato a questo magistrato dal reggimento. Ebbero i Dolcini un Ridolfo che fu Vescovo di Squillace, e sembra che fabbricassero in questo stabile perchè nei capitelli delle colonne del cortile trovavansi incise le loro armi. Camilla del suddetto ultimo dei Dolcini fu moglie di Ottavio Ringhieri, ed è probabile che per questo motivo i Ringhieri divenissero padroni di questa casa. La detta Camilla morì nel 1695.

Fu ceduta dal conte Angelo Ringhieri al sartore Tommaso Becchelli che il 27 gennaio 1769 la vendette per L 12,000 al dott. curiale Nicola Minelli detto Zucchini perchè erede di Guidascanio Zucchini. Rogito Marco Pio Diolaiti, dal quale fu ristaurata, e che lasciò due figlie una maritata nel dott. Piedivilla l'altra nel dott. Simoni di Medicina a cui toccò in divisione, e che fu poi da lei venduta nel 1795 ai Buratti negozianti di Bologna compresavi ancora la cappella Ringhieri in S. Martino dedicata a Santa Maria Maddalena. Fu poi acquistata dal negoziante triestino Vita Levi.

NN. 2745, e 2746. Stalle, e rimesse dei Malvezzi Campeggi fabbricate in parte sugli stabili di Cesare Bonzanini, e dei Sassoni.

Il Senato permise il 26 giugno 1557 a Giovanni Sassoni, agli eredi di Bartolomeo Vassellini, a Cristoforo Busca, e a Domenico Spenditori possessori di stabili tutti prossimi l'uno all'altro posti in via di Mezzo fra le case dei Foscarari (numeri 2743, e 2774) e degli eredi di Simone Allegri (N° 2749) di dirizzare il muro delle loro case per piedi 76, occupando suolo pubblico.

Misurando piedi 76 dal confine della casa N° 2749 Allegri, e progredendo verso la Chiesa di S. Martino per incontrare le case già Foscarari numeri 2743, e 2744 si trova che dentro queste ultime sono compresi piedi 12, e oncie 2 dei detti piedi 76 per cui convien dire che le case che furono dei Bonzanini nel 1526 fossero dei Sassoni nel 1557.

N.2747. Fiorapace di Baldassarre di Onofrio Sampieri fu moglie in primi voti di Baccio Vassellini venuto da Pistoia, e in secondi voti di Giovanni Budrioli. Possedeva essa due case aderenti l'una all'altra in via di Mezzo. Nel suo testamento fatto il 4 febbraio 1588, rogito Giulio Cesare Sturoli, lasciò una di dette case in usufrutto al Budrioli, e quella segnatamente da lei abitata. La proprietà poi di amendue la lasciò a Maddalena Vassellini sua figlia vedova di Gio. Battista Salaroli. Nel citato rogito si dice che la casa lasciata in usufrutto al Budrioli era posta sotto S. Martino in via di Mezzo, che aveva quattro cortili, e che confinava cogli eredi di Carlo Malvezzi, con altra casa della testatrice, cogli eredi di Gio. Battista Panaria di dietro, colla via dei Facchini presso gli eredi di Antonio dei Vernizzi, e verso detta via colla casa abitata da certo cocchiere, e da Pompilia di lui moglie.

1600 28 novembre. Giulio Camillo Salaroli erede di Maddalena Vassellini vendette a Gio. Battista Poeta una casa nella via di Mezzo per L. 2400. Rogito Lando Carrati, la quale confinava con Protesilao Malvezzi, col compratore (forse possessore della casa non usufruttuata da Fiorapace) e colla via dei Facchini di dietro. Il detto Gio. Battista Poeta il 19 dicembre 1600 cedette i detti stabili a Oliviero Viggiani per L. 3600. Rogito Antonio Malisardi.

Nel 1715 appartenevano a Stefano Piastra, passarono poi al dott. degli Antoni, ed ultimamente a Gaetano Pignoni.

N.2748. Casa che nel 1588 era di Fiorapace Sampieri Budrioli, poi di Maddalena Vassellini sua figlia, passata al Salaroli erede, venduta al Poeti, indi ad Agostino Filippini.

Nel 1715 era di Clemente Sassi, ed ultimamente di Eleonora Rusconi.

N.2749. Casa degli eredi di Simone Allegri, alias Pistoja come dagli atti del Senato del 26 giugno 1557 sopracitati. Un rogito di Lorenzo Gargiaria del 6 giugno 1719 la descrive per grande in via di Mezzo con piccola casa attigua corrispondente al vicolo dei Rizzoli alias dei Facchini, già di ragione della fu Elena Ranuzzi Allegri, e ora indivisa fra le suore di Sant' Elena, e la compagnia del Santissimo nella chiesa di S. Martino.

N.2750. Casa con portico di legno riputata per una di quelle abitate anticamente dalla famiglia Salicetti.

Il 12 aprile 1532 Taliano del fu Francesco Pij da Carpi vendette a Giovanni Antonio del fu Baldassarre Bettini alias Fabretti questa casa con stalla, orto ecc. posta sotto S. Martino dell' Avesa nella via di Mezzo, che confinava colla via pubblica da tre lati, e cioè a levante, e mezzodì col vicolo Facchini, e a ponente colla via di Mezzo, con Simone Pistori, Domenico Varignana, e una chiavica a settentrione, per L. 4900. Rogito Giacomo Carlini.

1590 8 febbraio. Alessandra Albergati moglie di Gio. Antonio Fabretti aggiunse a questo stabile la casa vendutagli per L. 1000 da Eleonora Azzolini, e da Domenico Padovani probabilmente successori dei sumenzionati Pintori, e Varignana.

Nel 1608 21 luglio apparteneva a Diomede, e Francesco Maria fratelli, ed eredi di Gio. Antonio juniore Fabretti. Rogito Bartolomeo Pozzi.

Questa famiglia si diceva dei Fabbri alias Bonavolta, poi Frabetti, o Fabretti, e finirono in Francesco di Gio. Antonio morto ab intestato il 12 ottobre 1649 che lasciò tre figlie Laura Francesca, e Maria Alessandra suore in S. Lodovico, e Maria Ermenegilda suora in S. Vitale.

Le due sorelle monache in S. Lodovico avevano fatto rinunzia. Il canonico Gio. Giuseppe, e Giacomo Antonio Budrioli figli di Diamante sorella del predetto Francesco .avevan dimesso i loro diritti all'eredità onde le monache di S. Vitale pretesero il conseguimento di tutto l' Asse stantechè suor Ermenegilda aveva conservato intatti i suoi diritti. Dopo lunga lite seguì transazione il 13 settembre 1660 a rogito di Francesco Bignardi, e di Mario Dalla Noce, colla quale cinque oncie di detta eredità passarono alle suore di S. Lodovico, colla dichiarazione che questa casa sotto S. Martino dovesse esser compresa nella porzione delle suore di S. Vitale in prezzo di L. 13000, che ne presero possesso il 18 agosto 1661.

1662 28 febbraio. Locazione enfiteutica a 29 anni concessa dalle suore di S. Vitale al canonico Gio. Gioseffo, e Giacomo Antonio del fu Alberto Budrioli fino alla terza generazione di una casa in via di Mezzo sotto S. Martino. Confinava un vicolo da due lati, i Pasi e Francesco Agnoli per L. 100, e L. 600 di caposoldo. Rogito Mario Dalla Noce.

I Budrioli anticamente si dissero Mascari, come Pace di Bertuccio nel 1440. Un Budriolo di Ugolino vivente nel 1456 diede il nuovo cognome alla famiglia quantunque si trovi che Alberto di Jacopo nel 1541 continuava a dirsi dei Mascari.

I Budrioli furono eredi di Virgilio Pannolini, e dei Virgigli nel secolo XVI. L'eredità Pannolini era in parte libera, e questa servi a rimpiazzare il fedecomesso distratto da quella dei Virgigli, i quali così si dissero perchè nel 1314 uno dei loro antenati fu chiamato da Carpi in Bologna a leggere poesia, e a spiegare Virgilio. Gio. Francesco Virgigli nipote di Nicolò Vescovo di Marsico instituì il fedecomesso a favore di Obice Alberto Budrioli nipote ex-sorore attribuendogli la facoltà di nominare il successore, e così in perpetuo ma coll'obbligo al nominato di usare dello stemma, e cognome Virgigli.

Alberto di Giacomo Budrioli ultimo di sua famiglia nominò il 14 giugno 1746 in suo successore il senatore marchese Carlo Grassi, il quale ottenne dal Papa, che dopo la di lui morte potesse la vedova Grassi godere sua vita natural durante del fedecomesso Virgigli, ma morto egli improvvisamente senza aver nominato il successore, e devoluta la nomina al Papa Pio VI questi investì Carlo fratello del Cardinale Arcivescovo Giovanetti del fedecomesso Virgigli dopo però che fosse morta la vedova Grassi.

Il 7 ottobre 1778 a rogito di Lorenzo Gamberini il cav. Gio. Battista Grassi consegnò l'eredità Virgigli al Giovanetti.

In seguito alla morte dell'ultimo Budrioli cessò la locazione enfiteutica della suddetta casa. Un rogito del 1679 dà i suoi confini a mezzodì colla via di Mezzo, a levante col vicolo dei Facchini, a settentrione mediante stalla con altro vicolo detto dei Matti, e a ponente con casa delle suore di Sant' Elena, e della piazza di S. Martino. Le suore di S. Vitale la vendettero a Gio. Battista Bonazzi affittuario dal quale fu risarcita nel 1772. Fu poi comprata dal dottor Giacomo Panzarasa che ottenne di demolire l'antico portico di legno che era sulla via di Mezzo.

Nella sala evvi un fregio, che rappresenta la cavalcata fatta in Bologna nel 1530 per la incoronazione dell'imperatore Carlo V, che differisce di molto da quanto ne accennano il Bruciasorci e Hongherberg colle loro stampe.

Si passa il vicolo dei Facchini.

N.1751. Casa che fu del cav. Antonio Bregoli posta sotto Santa Cecilia in via di Mezzo venduta nel 1549 per scudi 600 d'oro ad Orsino Orsi. Rogito Giovanni Spontoni, e Guglielmo Dondini. Confinava Floriano Banzi, e un vicolo di dietro. Nel 1626 era poi dei Pasi del ramo di Gio. Andrea di Girolamo che vi abitava nel 1589, e che fu poi erede di quello in strada Castiglione. Alcuni vogliono che questo cognome Pasi, e veramente Paci sia originato dalla destrezza degli antichi Pasi nel ottenere le paci fra i cittadini nei tempi delle fazioni. Altri pretendono che venghino dai Pasi di Faenza, ma senza prove. Gio. di Girolamo nel 1511 era mercante. Nel 1626 confinava con Innocenzo Ringhiera, e con Francesco Maria Fabretti mediante strada. Terminato questo ramo Pasi passò a quello di strada Castiglione che si estinse in Luigi il 17 luglio 1782 che lasciò erede il conte Antonio Ratta colla sostituzione a favore dei Pietramellara. Il Ratta rinunziò al Pietramellara l'eredità Pasi per annue L. 12,000 vita sua naturai durante. Il Pietramellara la vendette al dott. causidico Giovanni Battista Ferrattini.

N.2752. Stabile che il 2 marzo 1543 Floriano del fu Petronio Banzi comprò dal Monte di Pietà erede benefiziato di Girolamo del fu Antonio Bombace, il quale era nella via di Mezzo di S. Martino sotto Santa Cecilia in confine dei Verardini, dei Bregoli, e di un vicolo di dietro, pagato L. 5000. Rogito Antonio Stancari, e Angelo Picinardi.

Il 29 aprile 1649 era dei Ringhiera, che Ottavia vendette ad Ippolita, e sorelle Campana per L. 8000. Rogito Lelio Roffeni.

1680 27 agosto. Casa del dott. Giuseppe di Remigio Iapelli marito di Vittoria Campana erede, qualificata per nobile, posta sotto Santa Cecilia nella via di Mezzo. Confinava i Pasi, e i Verardini.

1689 27 ottobre. Giuseppe Martelli comprò alla subasta, a pregiudizio di Camilla Campana, e di Giuseppe, e Giuditta Iapelli una casa sotto Santa Cecilia per L. 9110. Rogito Gio. Maria Pedini.

1701 13 maggio. Paolo Scipione del fu Antonio Pelloni vendette a Vincenzo del fu Pietro Rognoni una casa sotto Santa Cecilia nella via di Mezzo in confine dei Pasi, dei Verardini, e di un vicolo per L. 5800. Rogito Gio. Battista Coralli. Domenico Maria del fu Vincenzo Rognoni testò il 22 gennaio 1738 a rogito di Angelo Antonio Livizzani lasciando un ricco legato alla Congregazione della Carità in Sant' Isaia, e segnatamente la casa nella via dei Malcontenti N° 1794, instituendo in eguali porzioni il dott. Giuseppe d'Ippolito Pozzi, e Francesco Coralli di lui nipoti di sorelle. Questa casa toccò in divisione al dott. Pozzi in prezzo di L. 14000, che l'abitò, e che il di lui figlio dott. Vincenzo Pozzi vendette a Lodovico Benelli perito per L. 12000 come da scrittura privata del 24 febbraio 1772. Appartenne poi all'avv. Jussi.

N.2753. Casa dei Verardini Prendiparte, già detti Zopetti che l'abitavano prima del 1400. Nel 1782 fu fatta la facciata. Orazio juniore Verardini la vendette non dopo molto al bandieraio Volta. Aveva giardino di là della via dei Facchini.

N.2754. Casa che fu posseduta da Sebastiano Agocchia, o Dalle Agocchie, e nel 1524 da Vincenzo Ghislardi. Nel 1563 fu venduta da Francesco Primadizzi a Girolamo del fu Antonio Fuccari d' Augusta , che la donò a Dorotea detta Laura di Pietro Cavazza il 2 ottobre 1564. Rogito Virgilio Crescimbeni, e Floriano Moratti. Si annunzia per essere nella via di Mezzo sotto Santa Cecilia in confine dei Verardini a sera, di un vicolo morto di dietro, e di Laura Bentivogli. La Cavazza vedova di Ottomar Buxor mercante tedesco la vendette a Ghinolfo Bianchi il 28 febbraio 1581.

Il 30 aprile 1583 il detto Ghinolfo pagò alla predetta vedova L. 10,200 in conto di scudi 3000 d'oro prezzo di detta casa. Rogito Antonio Malisardi. Era posta sotto Santa Cecilia in via di Mezzo. Confinava Giacomo, e Andrea fratelli Verardini, il conte Andalò Bentivogli, e i Pietramellara di dietro. Passò poi ai Pietramellara per testamento di Vincenzo di Ghinolfo Bianchi fatto il 9 novembre 1598. Rogito Ottavio dal Bello, col quale instituì erede Gio. Battista di Gio. Antonio del fu Lorenzo Pietramellara, e d'Ippolita Bianchi di lui figliuola. Fu acquistata dal perito Giovanni Brunetti, ed ora è de' suoi eredi.

N.2755. Casa dei Crescimbeni della Pieve fino dal 1425, che era abitata da Pietro Crescimbeni compagno del Vicario d' Argile dove fu fatto prigioniero dai pontificii nel 1428. Fra le case abbruciate per la morte d'Annibale Bentivogli vi fu questa dei Crescimbeni.

1520 8 novembre. Assoluzione fatta da Girolamo, e Gabrielle fratelli, e figli del fu dott. Andrea Crescimbeni a Galeazzo di Latanzio Serpa del prezzo di una casa sotto Santa Cecilia nella via di Mezzo. Confinava gli eredi di Sebastiano Agocchi, Stefano Ghislardi successore Agocchi, Giacomo Boatieri in luogo d'Antonio Castellani, e la via vicinale.

Item un orto, o guasto con stalla in detta parrocchia. Confinava i Malvezzi, Verardino De Brunetti, o De Verardini, un certo canale, o fossa, i quali stabili detto Galeazzo li comprò a rogito di Galeazzo Accarisi il 28 agosto 1511. Rogito Giulio Marani.

I Crescimbeni si estinsero in Paolo Alberto di Leonardo detto il juniore nel 1649 che lasciò il fedecomesso a Bianca di Gio. Girolamo Crescimbeni sua cugina, e moglie di Rinaldo Mattugliani.

I Serpa già detti del Podestà erano oriondi da Imola, professarono l'arte di speziali, e dall'insegna del serpe adottarono il nuovo loro cognome. Si divisero in due rami, di uno furono eredi i Calderini, dell'altro si sa che terminò in Barbara di Paolo Emilio moglie di Gaspare Frisari di Modena nel 1616.

1524 30 luglio. Latanzio, e Carl' Antonio fratelli Serpa vendettero a Ginevra Poggi vedova di Gandolfo Gandolfi una casa con orto, e stalla sotto Santa Cecilia nella via di Mezzo per L. 4200. Rogito Florio Dall'Armi ed Ulisse Musotti. Confinava nella via di Mezzo con Giacomo Botteri, e con Vincenzo Ghiselardi. L'orto e la stalla confinavano con Ercole Verardini, con Alessandro, e fratelli Malvezzi, e col canale proveniente dalla via dei Pellacani. Passò poi a un ramo Barbieri del quale furon eredi i marchesi Malvezzi che al tempo di Clemente XI vi tennero l' ufficio della Tesoreria.

N.2756. Casa che fa parte del palazzo Malvezzi Locatelli la quale fu già dei Castelli, entro la quale trovansi i resti di una torre forse appartenuta a questa famiglia. Del 1520 era dei Boatteri, o Boatieri oriondi fiorentini, e di partito Geremeo. Paolo Boatieri la vendette assieme ad altra casa nel Fossato dei Pellacani, o via dei Facchini per L. 7000 ad Annibale Fava. Rogito Bertolo Algardi del 20 novembre 1549. È detto esser casa con tre corti nella via di Mezzo sotto Santa Cecilia in confine di Giunipera Poggi, degli eredi di Viano Barberi, di Liborio Malvezzi, di Alfonso Malvezzi, e del Fossato dei Pellacani, nella qual strada vi era altra casa con orto, e stalla compresa in questo contratto confinante con Alessandro Cartari da due lati, e con Girolamo Verardini.

1569 25 giugno. Casa dell'eredità di Annibale Fava nella via di Mezzo, sotto Santa Cecilia. Confinava la via di Mezzo, gli eredi di Alfonso Malvezzi, Madonna Ginevra Manzoli, con stalla in contrada detta il Fosso presso Stefano Verardini erede di Alessandro Cartari, e presso la via pubblica, più due case in strada S. Donato contigue alla casa grande.

I Fava la vendettero a Gregorio di Ercole di Alfonso Malvezzi che testò il 24 dicembre 1635 a rogito di Costanzo Ugolino Mattioli nominando in suo erede il conte Ercole del conte Francesco Malvezzi, e di Maria Pierizzi. Questa casa nel 1635 era affittata a Lorenzo Maria Ferravanti. Il suddetto Gregorio dice nel suo testamento che la casa da lui abitata fu venduta da suo padre al cav. Bartolomeo Gessi poi ricomprata dal testatore, nella qual casa fabbricò una stanza per legna, fece le cantine, la cucina, il salvarobba, un sotterraneo per andare alla stalla, ed agli annessi fatti in vicinanza dei beni del conte Francesco Malvezzi, dei Verardini e della via dei Castagnoli non che un orto venduto dal fu Agostino Poggi, ed il suolo della stalla da Ippolito Malvezzi. Aggiunge aver acquistato cominciando da detta sua abitazione andando verso la via di Mezzo, e voltando la casa che era dei Fava, e di aver speso in fabbriche in Bologna, e alla Selva scudi 10,000. Il Malvasia T. 1 C. 123 dice che la casa antica con torre, e con colonne di legno che fa angolo colla via di Mezzo fu dei Fava, del 1628 dei Cappellini poi dei Malvezzi.

(1) Il Rinieri dice che Bertello Bacili venne dalla Germania per causa di mercatura, e si stabilì in Bologna circa l'anno 1200. Ebbe molti figli fra i quali un Guglielmo che fu il primo a chiamarsi dei Banzi. Che Santa Giuliana fosse di questa famiglia, siccome da alcuni vorrebbesi far credere non è certo. La cappella in S. Stefano ore fu sepolta era dei Lianori comprata poi dai Banzi, ma le cronache manoscritte di S. Stefano non la chiamano che puramente Giuliana e nulla più.

Questa nobile famiglia discende forse da un Gandolfino di Soriano chiamato Banzio che ebbe in moglie certa Gualdrada e fu padre d'altro Soriano, che nel 1255 vendette dei beni nel comune d'Argelato ai Guastavillani. Furon i Banzi marchesi d'Aquaria luogo posto nella montagna del modenese, ed avevano le caso loro nella via di Mezzo di S. Martino, i beni a Ceretolo con palazzo che gli erano pervenuti dai Felicini prima Boschetti. Avevano pure beni a S. Martino in Argine, e a Bagnarola. Furono eredi dell'altro ramo Banzi che abitava in strada Maggiore e per questo possedevano una casa in strada Maggiore ed un palazzo con beni alla Gajana. Ebbero inoltre l'eredità Bondioli dalla quale gli pervenne la casa contigua al loro palazzo in via larga di S. Martino, i beni d' Aquaria nel modenese, il palazzo e beni Crespellano. Questa fu la primagenitura. Ebbero l'eredità del conte Arrigo Orsi che gli portò il palazzo del testatore in strada S. Vitale, e diversi beni alla Gajana. Alcuni Banzi abitavano sotto la parrocchia di S. Vitale ed avevavo una casa nella via che da strada San Vitale passa a strada Maggiore attigua alle case Sampieri sotto San Michele dei Leprosetti.

Le famiglie che abitavano in strada Maggiore e Borgo Nuovo oggi sono estinte.

(2) Non sarebbe questo il posto da assegnarsi a sì importante documento, uno de' più preziosi contenuti in questa nostra pubblicazione, e ciò perché Ildebrando Grassi non apparteneva alla suddetta famiglia, ma lo facciamo soltanto per difetto di spazio che non avremmo, quando parleremo della Via Ponte di Ferro o Chiesa di S. Gio. in Monte.

La famiglia Grassi fu mai sempre patrizia sino dai primi tempi siccome rilevasi da molti monumenti pubblici, e privati.

Alberto Grassi fu ambasciatore con Ugo Ansaldi presso Enrico Imperatore nel 1116 per placarlo, e gli si presentarono a Governolo sul Mantovano.

Nel 1118 il medesimo Alberto Grassi con Alberico suo fratello, ed altri della famiglia Clarissimi, sebbene di diversi cognomi ma che si ritiene fossero della stessa famiglia, donarono ai canonici di S. Vittore un vecchio monastero detto di S. Gio. in Monte colla Chiesa anticamente fabbricata, e terreno annesso, che era padronato comune dei Grassi, e Clarissimi.

Gerardo Grassi figlio d' Alberto fu da giovane fatto canonico della Chiesa Bolognese, e sotto i Vescovi Vittore ed Enrico diede saggio di probità e dottrina. Nel 1145 fu fatto Vescovo di Bologna in luogo d'Enrico, e resse il Vescovato 20 anni con molta lode.

Fra gli atti da lui compiuti si fu quello di affidare a Beatrice ed Azzolina, romitesse del Monte della Guardia nel 1160, la custodia dell'immagine della Beata Vergine che Theoclys eremita Greco portò a Bologna da Costantinopoli, e su cui era una iscrizione, che l'assicura dipinta da S. Luca Evangelista.

Ildebrando Grassi nacque da questa famiglia fatto poi Cardinale da Eugenio III. Che si chiamasse dei Grassi o Crassi di cognome si prova da uno scritto pubblicato mentre esso viveva, e ciò è indubitato, ma del padre suo nulla si sa di certo. Qualche congettura vi è che fosse figlio d'Alberico Grassi fratello del suddetto Alberto, e perciò cugino di Gerardo Vescovo. Che non fosse certamente figlio d'Alberto Grassi si rende manifesto da una carta scritta nel 1133, la quale porta che Gerardo allora canonico di Bologna, Marchesello, e Alberto juniore figli di Alberto Grassi poco prima morto, in suffragio dell' anima del padre donarono ai Canonici di S. Vittore, e di S. Giovanni in Monte uno spazioso terreno non fabbricato presso la via di Castiglione in confine del torrente Avesa, e del Clivo che ascende a S. Gio. in Monte. Se Ildebrando fosse stato figlio d'Alberto sarebbe senza dubbio stato nominato in questa carta fra i figli d'Alberto.

Quando Ildebrando era ancora giovinetto, Irnerio, e i suoi discepoli insegnavano le leggi in Bologna, e Graziano aveva cominciato in Bologna la compilazione dei decreti; si coltivavano gli studi di teologia, e delle arti liberali, onde pare probabile che Ildebrando si esercitasse in questi avendo dato prove di essere in queste facoltà versato. Ildebrando si fece canonico regolare di Santa Maria di Reno. Questa Congregazione nel 1136 assunse la regola di Sant' Agostino, si fece le sue costituzioni approvate prima da Gualtieri Arcivescovo di Ravenna, poi da Enrico Vescovo di Bologna, poi da Innocenzo II Papa. Da Santa Maria di Reno fuori di Bologna, vennero ad abitare a S. Salvatore dentro Bologna, perciò furono detti Canonici di Santa Maria di Reno, e di S. Salvatore. Questi Canonici Renani, siccome quelli di S. Vittore, ossia di S. Gio. in Monte facevano i tre voti religiosi, a differenza di quelli della Cattedrale, che vivevano bensì uniti di mensa, e d'abitazione, ma non erano astretti che ad un solo. Che Ildebrando fosse canonico Renano assolutamente vien provato da un Necrologium ossia Kalendarium parentale di S. Salvatore scritto d' antichissima mano, la cui autenticità, e fede non può mettersi in dubbio, ma è incerto l'anno in cui si desse a questa regola. Nel 1148 cioè 12 anni dopo l'approvazione di quest' ordine di Innocenzo II fu Ildebrando da Gregorio III fatto amministratore della Chiesa di Modena, allora non solo senza Voscovo, ma spogliata ben anco della dignità Vescovile.

Questa pena fa imposta alla città di Modena da Eugenio III per la seguente cagione. Anselmo Duca del Friuli fondò il monastero di Nonantola, dotato d'ampie possessioni dai Re Longobardi, dagli Imperatori Franchi, Germani, poi dai Re, o gran Signori Italiani. Fu inoltre concessa agli Abati la giurisdizione sopra il terreno man mano aumentatosi presso il monastero, e sopra un tratto di paese, che di paludoso che era, fu asciutto, e reso produttivo mercè l'industria dei monaci. I Papi inoltre esentarono il monastero dalla giurisdizione del Vescovo di Modena, concessero all'Abate la facoltà di ricevere il Sacro Crisma, e l' Olio Santo da quel Vescovo, come più gli piacesse. Sul principio del secolo XII i Modenesi, che male soffrivano questa smembrazione del loro potere temporale, e spirituale, cominciarono a molestare i Nonantolani, a promuover liti, invadere i confini, far scorrerie, e tramare l'occupazione di Nonantola (orig. occupazione Nonantola. Errore di cui il Breventani non si accorse). I Nonantolani per conservarsi nella dipendenza dell'Abate, e nel diritto di crearsi i proprii magistrati, che per loro era una specie di libertà, ricorsero ai Bolognesi. Ildebrando Abate di Nonantola, e i Nonantolani spedirono inviati a Bologna nel 1131, e fecero alleanza con patto che i Nonantolani aderissero al popolo Bolognese come se fossaro parte di esso e difendessero i Bolognesi contro chiunque, toltone l'Imperatore, e pagassero un annuo tributo ai Bolognesi di 4 denari Lucchesi per casa ed ove nascesse controversia fra i Bolognesi, o i Nonantolani fossero arbitri i Consoli di Bologna. I Bolognesi difenderebbero i Nonantolani contro chiunque, toltone l'Imperatore e il loro Abate legittimo signore suo, poscia i monaci Azzo e Andrea, inviati dell'Abate, promisero che l'Abate non riceverebbe l'Olio Santo e il Sacro Crisma che dal Vescovo di Bologna. Malvolentieri soffrirono i Modenesi simile convenzione, nemici dei Bolognesi da gran tempo per differenza di confini, ma forse temendo i di loro militari apparecchi nel 1135 si limitarono a fare un trattato mercè il quale giurarono di non più molestare l'Abate, nè il popolo di Nonantola nella giurisdizione, e nei diritti del monastero. Ma perchè questo trattato fu fatto sotto l' incubo del timore e della forza, si rinnovarono gli odi, e per far diversione ai Bolognesi affinchè soccorrere non potessero i Nonantolani nel 1142 invasero il Bolognese. Loro si fece incontro nella Valle di Lavino, Torello Console di Bologna, o li sconfisse. Dopo questo fatto le storie non ci dicono quel che ne successe per 5 anni, ma soltanto nel 1148 i Modenesi aver posto l'assedio a Nonantola. Eugenio III prese a cuore la difesa di quella Badìa, spedì monitori ai Modenesi, e ciò non giovando, esortò i Bolognesi, mediante Gerardo Grassi loro Vescovo, ad assumer la difesa dei Nonantolani, conforme esigeva l'alleanza, inibendo ai Reggiani, e Parmigiani dare aiuto ai Modenesi. Nonantola si difese, .e non cadde in mano ai Modenesi. Eugenio III intanto era giunto di Francia a Brescia, ove celebrò un Concilio di Cardinali e Vescovi, nel quale dopo essersi querelato dell'inobbediente contumacia dei Modenesi, o di Ribaldo Vescovo di Modena, che aveva invitato il popolo contro l'Abate di Nonantola con severo decreto depose Ribaldo dal Vescovato, o spogliò Modena della dignità Vescovile.

Queste cose certamente accadettero nel 1148, e non già nel 1146 come scrivono Sigonio, Ughelli, Muratori, e quasi tatti gli altri. Benchè nelle lettere che sopra questo fatto scrisse Eugenio III a Gerardo Vescovo di Bologna, e che Sigonio vide trascritte nel registro maggiore di Bologna non vi sia data di tempo, ma solo notato il giorno IX Kal Septembris, pure perchè sono date in Brescia, devesi arguire l' anno 1148, essendo certo che Eugenio III in tutto il tempo del suo papato non fu mai in Brescia, che nel 1148. Di più le lettere scritte sopra questo fatto da Eugenio III a Placido Abate di S. Pietro di Modena pubblicato dal Muratori, e che parlano di questo fatto come di cosa allora allora accaduta, notano la data dell'anno IV d'Eugenio III, e l'indizione XI con induzioni che combinano col 1148, onde è meraviglia che un uomo di noto sapere come Muratori abbia potuto cadere in simile inganno. Inoltre si trovano atti di Ribaldo Vescovo di Modena del 1148, per cui se Ribaldo fosso stato deposto nel 1146 bisognerebbe dire che nel 1148 fosse stato restituito: invece gli è certo che Ribaldo non fu mal restituito al Vescovato, o che la dignità Vescovile non fu restituita a Modena che 8 anni dopo da Adriano IV, e finalmente che gli atti di Ribaldo nel 1148 precedono di più mesi la sua deposizione. Eugenio III nella sua lettera a Placido Abate di S. Pietro di Modena, dice aver divisa la diocesi di Modena, e distribuitala ai Vescovi vicini, e riservato alla soggezione della Santa Sede la detta Badìa di S. Pietro. Ma come disponesse della Cattedrale, di S. Geminiano, e del Governo Ecclesiastico della città di Modena non lo dice in dette lettere, ne si può dedurre da verun altro documento, ma solo che la riservasse alla Santa Sede, perchè sappiamo che vi fu per rettore, ed amministratore Ildebrando Grassi Canonico di Santa Maria di Reno, probabilmente per raccomandazione di Gerardo Grassi Vescovo di Bologna suo parente.

Essendo quest'incombenza simile all'officio di Vescovo, non è meraviglia se Sigonio, Vedriani, Ughelli, Silingardi, ed altri molti scrittori Modenesi, annoverino Ildebrando fra i Vescovi di Modena, come successore di Ribaldo; ma per verità non governò questa Chiesa, che come una parrocchia soggetta al Papa, senza avere l'ordine Vescovile.

Forse non credette Eugenio III poter sradicare le discordie dei Modenesi, e loro Vescovi col- l' Abate di Nonantola, se non estinguendo quel Vescovato, ma siccome era uomo di santissima vita a poco a poco placandosi colla città di Modena pensò, come potesse render qualche onore a detta città senza restituirgli il Vescovato. Onde tenendo in gran conto la virtù, e prudenza d' Ildebrando, in una promozione che fece nel 1150 lo creò Cardinale, volendo però che proseguisse nel Rettorato della Chiesa di Modena. Lo creò adunque Cardinale di San Eustacchio nel 1150 come dice Panvinio, ed il Sigonio, mentre quelli che lo dicono creato nel 1153 sono caduti in un manifesto errore. Dopo la sua creazione proseguì Ildebrando per sei anni in Modena a coprire l'ufficio di rettore di quella Chiesa, e nella dignità di Legato Apostolico in quelle parti, non andando alla Corte Pontifìcia se non per breve tempo e per conferire qualche negozio col Papa.

Egli è certo che nel 1152 si trovò presente alla sottoscrizione di certe lettere fatte da Eugenio III, in cui conferma certi privilegi all'Ordine Cisterciense, ne si trova mentovato più per alcuni anni dopo nello sottoscrizioni d'altre lettere, e atti Pontifici. Il Muratori dice aver vedute lettere nel 1150, nelle quali Hildebrandus Cardinalis, Rector, et Procurator, Ecclesiae Mutinensis ìnscribitur. Ma se ciò ha veduto, come poi dir poteva, che molto prima del 1150 era stato rivocato il decreto d'Eugenio, e restituita la dignità Vescovile a Modena in occasione di non si sa qual scisma. Dagli atti prodotti dallo stesso Muratori si comprende che Ildebrando governò la Chiesa di Modena con giurisdizione Vescovile, benchè non fosse Vescovo, ma questi atti bisogna infallibilmente riferirli a quell'epoca.

Alcuni laici occuparono Adianum Castrum nel Frignano (sembrerebbe Castel d'Ajano) per antico diritto soggetto al monastero di S. Pietro di Modena, sopra di che si litigò lungo tempo innanzi a Dodone, e Ribaldo Vescovi di Modena, e innanzi al Sinodo di detta città, e a Richensa moglie di Lotario Imperatore, ma sempre con esito dubbioso. Alcuni anni dopo Placido Abate di S. Pietro di Modona, presentò sopra ciò memoriale al Cardinale Ildebrando, ed al consesso del clero di Modena, come si faceva ai tempi dei Vescovi; quindi si argomenta sicuramente, che sebbene nel memoriale egli intitoli Ildebrando Legato Apostolico, non però ricorso a lui come Legato, ma come giudice, che invece del Vescovo governava la Chiesa di Modena. Non abbiamo memoria sull'esito di questa lite, si arguisce però che pronunciasse sentenza giusta, e prudente, siccome fece in altri circostanze.

Guiberto Abate del monastero di S. Stefano di Bologna, e Ildebrando monaco di detto monastero, e Rettore dell'ospitale di S. Stefano della Quaderna litigavano; Guiberto pretendeva che detto ospitale fosse soggetto fino da antico tempo alla sua Badia, e Ildebrando pretendeva esserne libero e indipendente amministratore. Dopo lunga lite nel 1154 Papa Anastasio IV delegò questa causa al Cardinale Ildebrando, che venne a Bologna, ed alloggiò in S. Salvatore presso i suoi Canonici, ascoltò le parti, poi chiamò per assessori, e consiglieri i quattro celebri giureconsulti Martino Gosia, Bulgaro, Ugo Alberici, e Jacopo, quelli stessi che quattr' anni dopo l' Imperatore Federico I chiamò a se nella Dieta della Roncaglia, che decisero a favore dell' Abate. Ciò dimostra la sua riserbatezza nel sentenziare.

Nel 1156 per opera del Cardinale Ildebrando fu fatta la pace fra i Bolognesi, e Modenesi, e posto fine alla controversia di Nonantola, e così dopo 25 anni nel mese di settembre, si fece alleanza fra le due città, nella quale si pattuì che restassero gli stessi confini dal giogo degli Appennini sino al Pò, come erano anticamente e che se i Nonantolani volossoro eseguire quello che avevano promesso ai Bolognesi, non dovessero i Modenesi impedirlo; più che i Modenesi non impedissero ai Bolognesi se interpellar volessero i Nonantolani a mantenere le condizioni ed infine che i Bolognesi non costringessero i Nonantolani a dar loro aiuto contro i Modenesi. Cosi accomodate le cose di Nonantola, e provveduto alla sua libertà, fu restituita la dignità Vescovile a Modena da Adriano IV, e sulla fine del 1156 con liberi suffragi del clero fu eletto Enrico canonico di detta Chiesa, e dopo tre mesi con sacrato da Anselmo Arcivescovo di Ravenna. Così dopo otto anni avendo Ildebrando rinunciata questa amministrazione passò a Roma nel 1156, ove ai XIII Kal. Ianuar 1156, si vede sottoscritto in alcuno lettore di Adriano IV col titolo di Diacono di S. Eusebio. Pochi giorni dopo nella promozione di altri Cardinali gli mutò il titolo in quello di Prete. de' SS. Apostoli. Con questo nuovo titolo ai IV Id. Ianuar 1157 si vede sottoscritto in alcuni atti di Adriano IV, ed in altri dopo, nè finchè visse Adriano IV parti più ab ejus latere.

Morto Adriano IV insorse lo scisma, che per 20 anni lacerò la Chiesa, e fu legittimamente creato Papa Rolando da Siena detto Alessandro III; ma una piccola fazione di Cardinali creò certo Ottaviano, e lo chiamò Vittore ma illegittimamente. Quindi nacque sedizione in Roma fra i partigiani, ed Alessandro III si ritirò a Ninpham luogo 13 miglia lontano da Roma, ed ivi alli XI Kal. octob. 1159 fu consacrato. Scrisse lettere a Gerardo Grassi Vescovo di Bologna, ai Canonici di Bologna, ai Dottori, e Maestri dello Studio, al cui numero aveva appartenuto, dandogli parte della sua elezione, ed esortandoli a difenderlo contro Vittore.

Trovavasi allora in Italia con esercito l'Imperatore Federico per sottomettere le città ribelli al l'Impero, e specialmente Milano che l'anno innanzi s'era alleata con altre città, a motivo di convenzioni conchiuse colla dieta della Roncaglia contro la libertà delle città italiane. Federico pretendeva a lui spettare la Lombardia per diritto del regno Longobardico e d'Italia che era unito al regno Germanico. Sospettò che Alessandro III potesse essere contrario alle sue mire secondo le quali andava a pericolare la libertà d' Italia, e della chiesa romana, per averlo conosciuto uomo fermo e risoluto mercè i rapporti seco lui avuti due anni prima, quando da Adriano IV gli fu spedito legato a Besancon, e perciò secretamente favorì l'elezione di Vittore suo dipendente, proteggendolo senza riserbo. Quindi nel 1160 attestando essere sua incombenza il comporre le discordie della Chiesa convocò un Concilio a Pavia, chiamandovi ambedue i Papi per esaminare la loro elezione Alessandro III ricusò intervenirvi, negando riconoscere autorità nell'Imperatore di convocare un Concilio, e perchè nelle lettere di convocazione dava il titolo di Papa a Vittore, e non a lui. L'esito fu che sopra false relazioni di testimoni e di atti circa l' elezione, il Conciliabolo approvò Vittore, e rigettò Alessandro III il qual secondo temendo essere oppresso dalla forza di Federico, per estirpar lo scisma deputò suo legato il Cardinale Ildebrando che era sempre stato suo aderente, e che riputò più idoneo a tal officio. Non si può sapere dagli scrittori quando intraprendesse, e durasse questa Legazione, ma pare indubitato che cominciasse fino dal principio dello scisma, perchè alli VIII id. novembris 1159 stando Alessandro III a Ninpham il Cardinale Ildebrando si sottoscrisse nella lettera in cui questo Papa confermava i privilegi del monastero di Monte Cassino, ma però per 10 anni non si vede più sottoscritto nelle lettere di Alessandro III date in Italia, e in Francia. Credesi ancora che non potesse mai con atti pubblici esercitare la sua Legazione, stante la potenza di Federico, ma solo con segreti trattati, de' quali non resta autentico documento, perchè anche Emanuele Commeno Imperatore Greco, che voleva ritrarre qualche vantaggio dallo turbolenze d'Italia, non per pubblici ambasciatori promosse i suoi maneggi nelle città Italiane, ma per soli emissari secreti, uno de' quali fu in Bologna nel 1160, ed ebbe segreti colloqui con Gerardo Grassi Vescovo di Bologna, quale allora secondo l'uso di quei tempi aveva parte nell'amministrazione della Repubblica.

Si deduce da molti argomenti, che i Bolognesi, dopo la dieta della Roncaglia erano stati in qualche dipendenza di Federico ma che circa questi tempi si alienassero da lui in modo, che non potè mai da loro ottenere che aderissero a Vittore. Irritato Vittore, e preso coraggio dalla prospera spedizione di Federico contro i Milanesi noi 1161 radunò un Conciliabolo a Lodi coll' autorità di Federico, e depose i Vescovi fautori di Alessandro III fra i quali vi fu Gerardo Grassi Vescovo di Bologna. Questi fatti sono diversamente narrati dal Sigonio, e confermati dai nostri scrittori, quali dicono che nel 1161 Gerardo spontaneamente rinunciò il Vescovato, e in suo luogo eletto il Cardinale Ildebrando Grassi, che poco dopo cedendo il Vescovato, fosse in sua vece eletto Vescovo Giovanni, e che il Cardinale Ildebrando ritenne il Vescovato sino alla sua morte. Ma tutto ciò è falso.

Non niegherò che in quei torbidi tempi, ne' quali i Vescovi parziali d' Alessandro III erano cacciati dalle loro sedi per la violenza dell' Imperatore, il Cardinale Ildebrando come Legato Apostolico in loro assenza non s' inframettesse nel governo dei Vescovati di Modena, e di Bologna tratto tratto, e in alcuni affari per provvedere ai bisogni, e sostenervi le parti del legittimo Papa, ma che fosse Vescovo di Modena, e di Bologna, nè il Sigonio, nè altri possono provarlo con verun documento, anzi ristansi, non potendosi dubitare che allora fosse Vescovo di Modena Enrico, e che lo fosse fino al 1173, anno in cui fu fatto Vescovo di Modena Ugone negli ultimi anni della vita del Cardinale Ildebrando; nè fra i Vescovi di Bologna, che furono poi, si trova como potersi collocare il Cardinale Ildebrando.

Nel Conciliabolo di Lodi fu deposto dal Vescovato di Bjlogna Gerardo Grassi. Non potè però avere effetto questa sentenza, perchè in Bologna allora non prevaleva l'autorità di Federico. Nel 1162 vedendo Alessandro III di non essere sicuro in Italia per la debolezza delle sue forze, e di quelle de' suoi aderenti, si ricoverò in Francia mentre i Milanesi dall' armi o dalla fame rendevansi a Federico, che distrasse la loro città, ed i Bolognesi, seguendo l'esempio di Brescia e di Piacenza aprirono le porte a Federico, che accordò loro la pace con patto che abbattessero le mura della città, che dividessero l' angusto antico recinto dai borghi, pagassero una grossa somma di contanti, e deposti gli antichi magistrati ricevessero un Podestà a sua scelta. Il Podestà che loro diede l' Imperatore Federico fu Bosone Tedesco, uomo di pessima fama.

Passò poi l'Imperatore Federico in Borgogna per abboccarsi con Lodovico Re di Francia, e spedì poco dopo in Italia il luogotenente Rinaldo Arcivescovo di Colonia, e Arcicancelliere dell' Impero in Italia. Questi cominciò a far eseguire i decreti del Conciliabolo di Lodi, o in conseguenza scacciò dalle loro Sedi i Vescovi fautori di Alessandro III, e ne sostituì altri seguaci di Vittore. Fra gli espulsi vi fu senza dubbio Gerardo Vescovo di Bologna che fu surrogato da Samuele canonico, e diacono di Bologna per autorità di Vittore.

Nè si può credere che allora accadesse in Bologna, quant'era accaduto ottant'anni prima per lo scisma di Enrico Imperatore, cioè, che ambedue i Vescovi delle due fazioni proseguissero a risiedere in Bologna, tenendo ciascuno il governo di quella parte di città, di borghi, e della diocesi, che rispettivamente a ciascuno obbediva, perchè allora fu tale la potenza di Federico in Bologna, che la parte contraria a lui, non poteva in verun modo opporre resistenza.

Si congettura ancora che, durante i due anni che Bologna fu in potere di Federico, il Vescovo Gerardo Grassi stasse presso i canonici di S. Vittore a lui devoti per benefici ricevuti, e per vincolo fraterno di religione.

Certamente nel 1164 XVII Kal. Ini. stando privatamente in S. Vittore, e solo ritenendo il titolo di Vescovo si vedo sottoscritto come testimonio nel testamento di un Alberto da Monzone. Essendo poi tornato Federico con poche forze in Italia, cominciarono molte città di Lombardia a sprezzarlo; i Padovani e i Veronesi furono i primi a ribellarsi, ed i Bolognesi stanchi della tirannìa di Bosone, prima del mese di luglio 1160 ? lo cacciarono, e lo uccisero, eleggendo cinque Consoli, e ponendosi in libertà. Federico non avendo forze per opporsi a tanto sollevazioni, ripassò in Germania per radunare nuove forze. Non vi ha dubbio alcuno sull'abolizione effettuata dai Bolognesi allora di tutti gli atti fatti da Federico, e che cacciato Samuele, non riponessero nella sua Sede il legittimo Vescovo Gerardo.

Nel 1165, concordano, e convengono tutti i nostri annalisti, che nel mese di agosto morisse il Vescovo Gerardo Grassi, e vi fosse sostituito il Vescovo Giovanni, sul di cui conto non vi è alcuna ragione che ci costringa a credere fosse Vescovo di Bologna quattro anni prima come alcuni hanno riferito fra i nostri storici. Nell'elogio di Gerardo Grassi inserto nel Necrologio di S. Vittore, ora serbato nell'archivio di San Giovanni in Monte, si legge: 1165, Gerardus beatae memoriae episcopus, et frater noster migravit ad Dominum. Gemma sacerdotum, et decus ecclesiae, vivat, et oh vivat Christo nunquam moriturus. Ad sortem summi capitis flos ipse futurus.

Decaduta in questi tempi la potestà di Federico in Italia tornò di Francia Alessandro III, benchè durasse lo scisma perchè sebbene morto Vittore, due Cardinali del suo partito gli sostituirono Guido da Crema detto Pasquale. L'Imperatore Federico per difendere questo nuovo Antipapa, e per ricuperare le città d'Italia fece nuova spedizione nel 1166, che sul principio ebbe sorte propizia ricuperando molte città. Sui primi del 1167 entrò nel territorio Bolognese, solamente ne saccheggiò una parte per vendicare la morte di Bosone, progredì fino a Roma da dove Alessandro III fuggì recandosi a Benevento, e pose Pasquale sulla Sede pontificia. Ma per la peste scoppiata nel suo esercito ne dovette indebolire di forze, e retrocedere in Lombardia, le cui città contro lui cospirando armarono un esercito di ventimila nomini, e lo costrinsero a tornar fugittivo in Borgogna, e di là in Germania, avendogli inoltre nel passaggio i popoli di Susa, tolti di mano gli ostaggi delle città italiane, ove Alessandro III avevalo già da più anni scomunicato, e dichiarato deposto dall'Impero, ma egli essendo d'animo intrepido si dié a preparare nuove forze per scendere in Italia. Le città di Lombardia, cioè Milano, Piacenza, Parma, Brescia, Bergamo, Verona, Padova, Bologna, Mantova, Reggio, Modena, Faenza, Ferrara, ed altre non ricusavano riconoscere la sovranità dell'Impero, ma volevano vivere coi propri Magistrati, e con le proprie leggi, nè volevano più dure condizioni di quelle che avevano subite ai tempi di Enrico IV, e di Lotario Corrado Imperatore.

Federico però le voleva soggette, come lo furono sotto i primi Re, ed Imperatori sino ad Enrico III. In queste circostanze le suddette città fecero giurata alleanza per loro difesa, assistendo ai loro congressi, e trattati il Cardinale Ildebrando legato d'Alessandro III che incoraggiò e favorì questa Lega, ben conoscendo che se Federico avesse prevalso in Italia, avrebbe del pari prevalso lo scisma, e perduta la libertà della Chiesa. Così allora più che mai l'Italia fu divisa in due partiti o fazioni, le quali erano già cominciate sotto Enrico III, dette l'una della Chiesa, l'altra del l'Impero, quali fazioni nel successivo secolo furono poi dette dei Guelfi, e dei Ghibellini con eccidio che sgominò l'Italia.

Vennero più volte alle mani negli anni seguenti le città alleate con Federico stesso, e co' suoi capitani con svariata fortuna, della quale non narreremo se non le poche fasi in cui fu interessato il Cardinale Ildebrando, benchè di tanta legazione pochi documenti ci restino. Ma perchè in questi tempi fu anche legato in Lombardia Galdino Cardinale fatto Arcivescovo di Milano, città riedificata dai Milanesi, che poi dopo morte fu annoverato fra i Santi, sembra potersi congetturare, che fra essi fossero divisi gli uffici della legazione in modo che Galdino l'esercitasse nella regione Transpadana, e Ildebrando nella Cispadana, e nell'Emilia.

Pare che il Cardinale Ildebrando fosse non lontano da Modena nel 1168, quando contendendo Enrico Vescovo di Modena, od Alberto Abate di Nonantola non già sui diritti dell'Abbadia, ma pel dominio di certa selva, ed avendo Enrico Vescovo appellato al Papa, questi mediante Ottone Cardinale di S. Nicolò confermasse la sentenza d'Ildebrando. Poco dopo il Cardinale Ildebrando passò alla Corte Pontificia, che allora era in Benevento, e si trovò presente all'atto celebrato postridie Kal. Jannuarj 1169, quando gl'inviati della città d'Alessandria in Lombardia allora edificata dalle città di Lombardia alleate promisero fedeltà ad Alessandro III.

Tornato nell'Emilia fu giudice d'una controversia fra due Abati nel Reggiano, Marolensis, et Canusinus, circa certo fondo presso Bibianello nel Reggiano del patrimonio della contessa Matilde che si chiamava: Terra Sortis de Fano. Matilde contessa, figlia del Duca Bonifacio, oltre il dominio di molte città in Toscana, e in altre parti d'Italia, l'aveva ancora sparso in vari luoghi, castella, ed ampie possessioni, specialmente noi territori di Mantova, Parma, Reggio, Modena, Ferrara, e Bologna per diritto dicevasi di Allodio, de' quali poteva disporre per atti inter vivos, e per ultima volontà. E però, ancora vivente con replicati atti ne fece donazione alla Chiesa Romana, riservandosene il godimento finchè viveva. Ma dopo la di lei morte insorsero per questa do nazione gravi controversie fra il Papa, e l'Imperatore, il quale non si sa per qual ragione pretendesse a quest'ampio patrimonio.

In questo tempo possedeva dette terre Guelfo Duca di Baviera, zio materno dell'Imperatore Federico, con diritto feudale non solo ottenuto dal detto Imperatore, ma ancora dal Papa. Che Guelfone riconoscesse queste terre in feudo anche dal Papa, si vede manifestamente dagli atti di questa controversia agitata dinanzi il Cardinale Ildebrando, benchè non si sappia, quando gliene fosse data investitura. Sul finire del 1160 il Duca Guelfo, che stava in Germania diede il patrimonio di Matilde in amministrazione a Guelfone suo figlio, che stava in Italia. Questi diede por una somma di danaro la mentovata Terra Sortis de Fano all'Abate Marolense. Poco dopo mori Guelfone, ossia Guelfo il figlio, e tornò l'amministrazione a Guelfo, o Guelfone il padre, che senza curare la cessione suddetta fatta dal figlio, diede detta terra all'Abate Canusino alle stesse condizioni. Nacque perciò controversia fra i due Abati sopra la poziorità di diritto, e fu portata innanzi Alessandro III, il quale annullò amendue le alienazioni fatte dai due Guelfoni suoi feudatari perché loro non era lecito di alienare senza il beneplacito del supremo padrone. E come cosa fatta ex-integro concesse detta terra all'Abate Marolense per un annua tenue pensione. L'Abate Canusino pretese che al Papa non fosse stata esposta la questiono qual convenivasi, provocò ed ottenne la revisione della causa, che fu commessa al Cardinale legato Ildebrando allora in Bologna nel monastero di S. Salvatore, che intese le parti in detto monastero, e fatti venire da Reggio a Bologna i testimoni, i difensori, fra i quali quelli da Baisio, o Baese, riconfermò la sentenza del Papa.

Nell'anno 1170 trovavasi il Cardinale Ildebrando a Veroli col Papa, e seco pure nel 1171 a Tuscolo, come lo attestano le sue sottoscrizioni, che si leggono nelle lettere del Papa. In Veroli nell'anno 1170 si tenne colloquio sopra le proposizioni di pace, che fece fare Federico mediante Eberardo Vescovo di Bamberga. Sembrava che Federico non agisse in buona fede, volendo trattare separatamente col Papa, escludendo le città alleate, e che anzi piuttosto con questi trattati volesse rendere il Papa sospetto alle dette città, perciò il Papa non volle assentire pei Congressi qualora non fossero chiamati, e intervenuti gì' inviati di dette città. Ma perchè Federico in questi Congressi mostrò molta varietà, e incostanza, furono rigettate le condizioni, ed Eberardo tornò in Germania senza aver nulla conchiuso.

Ildebrando spedite le facende, che era andato a trattare col Papa, tornò nell'Emilia, e già essendo per scendere in Italia Cristiano Arcivescovo di Magonza con grosso esercito, fu mestieri che Ildebrando attendesse a mantener ferme nella Lega le città alleate, e provvedere alla difesa delle più esposte, poi specialmente a comporre le inimicizie insorte fra le stesse città alleate.

Erano già state, come si è detto, pochi anni prima inimicizie fra i Bolognesi, e i Modenesi per Nonantola, nè il trattato già fatto per la mediazione d'Ildebrando, aveva prodotto intera tranquillità. Mal volentieri avevano i Bolognesi accordato ai Modenesi il diritto di poter costringere i Nonantolani a mantenere i patti loro promessi, perchè questi toglievan loro ogni speranza d' impadronirsi di detta terra. Si congettura che nel 1172 vi fosse qualche movimento per concordia trovandosi che il magistrato di Bologna ordinò che fosse fatto un pubblico autentico transunto del trattato d'alleanza firmato 16 anni prima coi Nonantolani. Temette però Ildebrando, che questo diffido potesse mettere sossopra la Loga, e renderla più debole a resistere a Federico, però con lettera esortò i Bolognesi ad assolvere dal patto i Nonantolani. Negli stessi termini scrisse Alessandro III ai Bolognesi, e a Giovanni Vescovo di Bologna in data del 1179. Sigonio riferisce il ristretto di queste lettere, che non si sa daddove attinte. Che queste portassero effetto si comprende dalla concordia serbatasi fra queste due città per molti anni dopo, e più dell'alleanza fra esse stabilita nel 1179 dopo la morte del Cardinale Ildebrando, nella quale fu pattuito che i Modenesi dovessero dare aiuto ai Bolognesi, quando avessero guerra dentro il loro territorio, e specialmente se assediassero Monteveglio. (Monteveglio era una forte Rocca, o Castello nei confini del Bolognese, che ai Bolognesi non obbediva, ma sebbene a Federico). Che i Bolognesi non s'intromettessero caso che i Modenesi volessero ricuperare il dominio di Nonantola, nè dassero aiuto ai Nonantolani contro i Modenesi, e se qualche privato Bolognese a ciò controvenisse fosse esigliato dalla città. Cosa accadesse non si rileva con certezza dalle storie. Certamente i Nonantolani o di buon o di mal grado, si sottomisero ai Modenesi cedendo gli Abati il loro diritto , che difendere non potevano per una somma di denaro, come scrive il Muratori. Cosi dopo lunghi contrasti Nonantola venne in potere di Modena.

Neil' anno 1173 VI Kal. Oct. vi fu gran Congresso in Modena e fra gì' inviati delle città alleate intervenne por i Bolognesi Ospinello Carbonesi. Fu ivi confirmata la Lega contro Federico con nuovo giuramento, con promessa di non ricevere sue lettere, nè inviati, e di non firmar seco la pace, o trattato senza consenso degli altri alleati sotto gravi penalità. Furono presenti a questo Congresso, e ne confirmarono gli atti due Cardinali, Ildebrando Cardinale legato in Lombardia, e Tordino P. Cardinale di S. Vitale legato nella regione Transalpina di là allora tornato, ed inoltre Albricone Vescovo di Reggio falsamente dal Sigonio, e da altri creduto Cardinale.

Ferveva allora in Ravenna una celebre questione intorno al luogo, ove fosse sepolto S. Appolinare fondatore di quella Chiesa, e primo predicatore del Vangelo nell'Emilia, e nei paesi vicini. All'opinione che il corpo di detto Santo fosse sepolto nella chiesa di Classe, si opponevano i monaci di S. Appoliuare in Coelo Aureo, ricantando un'antica favola che Giovanni VIII Arcivescovo di Ravenna nel secolo IX temendo certi ladroni per essere la chiesa di Classe lontana da Ravenna facesse trasportare dentro Ravenna il corpo di detto Santo con altre reliquie, e lo collocasse nella chiesa di S. Martino, che fu poi detta di S. Appolinare. I monaci Camaldolesi di Classe ciò negavano, e dicevano che il corpo di S. Appolinare, e quelli d'altri Santi rimasero in Classe, sebbene in luogo occulto, e lo provavano con molti argomenti. Ciò nonostante Gerardo Arcivescovo di Ravenna favoriva l' opinione dei monaci di S. Martino. Ricorsero i monaci di Classe ad Alessandro III che ordinò al Cardinale Ildebrando di portarsi a Ravenna per comporre tale divergenza. Egli vi andò accompagnato dal Cardinale Teodino, spiegò le Commissioni Apostoliche, convocò nella Chiesa di Classe buon numero di Vescovi, Abati, il Clero ed il popolo. Due monaci solamente possedevano il segreto con giuramento di non violarlo, se non con autorità Apostolica interrogati. Questi essendo colla detta autorità assoluti dal giuramento dichiararono essere le sante reliquie sotto l'aitar maggiore. Ivi per due giorni cavata la terra furono trovati in due Conditorj , in uno essendo un corpo di meravigliose fragranze con lamino d' argento sul capo su cui era scritto esser quello il corpo di S. Appolinare. Di là fu levato da Giovanni eremita Camaldolese uomo di pietà insigne, e posto nelle mani del Cardinale Ildebrando, che lo sospese in alto a vista di tutto il popolo, poi asceso sul Tribunale pronunciò esser quello il corpo di S. Appolinare, fulminando scomunica contro chi asserisse altrimenti, decretando che la festa di questa invenzione si celebrasse ogni anno in detto giorno che fu ai V Kal. Novem. 1173.

Queste memorie furono scritte da Rodolfo monaco Camaldolese già priore, poi Vescovo d'Ancona, scrittore di quei di secondo ne crede il Muratori, perchè asserisce tali essere le parole inserte nel sermone che detto Rodolfo in congratulazione di quest'evento pronunciò, senza però si sappia ove lo fosse. Ma qualunque sia stato l' autore di detto scritto, da esso abbiamo irrefragabile testimonianza, che il Cardinale legato Ildebrando, era di cognome Grassi o Crassus. Ecco le sue parole: Sed ne forte contingeret id neglectum iri scripsit (D. Papa Alexander) Domno Ildebrando Cardinali, legationis officio in iisdem partibus fungenti, qui cognominatur Crassus, non tam pro pinguedine corporis, quam pro ubertate honestatis, et sapientiae, ut episcoporum, Abatum, aliorunque fidelium convocata multitudine colamniantium compesceret ausus. Può essere, che il primo di questa famiglia detto Crassus o Grasso dall'obesità del corpo ricevendo il cognome, lo, tramandasse ai posteri, ma Rodolfo alludendo al cognome della famiglia, volle riferirlo alla pinguedine del corpo, ed all'abbondanza delle virtù dell'anima sua.

La Chiesa mentre era occupata a rendere onore alle ossa di S. Appolinare, era ancora intenta al culto di un martire recente, cioè S. Tommaso arcivescovo di Cantauria, che per difesa dell'Immunità ecclesiastica fu ucciso in Inghilterra da alcuni malvagi per far la corte al Re Enrico. Perciò Alessandro III spedì due Cardinali legati in Normandia dov'era per condursi il Re Enrico, che furono il suddetto Cardinale Teodino, e Alberto Cardinale Prete di S. Lorenzo per indurre quel Re all'espiazione del delitto. E mosso da miracoli accaduti al suo sepolcro, dopo due anni e due mesi dal dì della sua morte, nel giorno IX KaL Martias 1173 in Anagni alla presenza di tutti i Cardinali, che erano in Curia, lo dichiarò martire e lo collocò nel numero dei Santi, ordinando in tutta la Chiesa la festa nel giorno V Kal Januari in cui fu martirizzato.

Appena ciò seguito il Cardinale Ildebrando pensò a propagare il culto di questo Santo in Bologna sua patria, forse ancora perchè come si ha dalla cronaca Bromptoniana detto S. Tommaso mentre era chierico della chiesa di Cantauria d'ordine di Teobaldo arcivescovo di detta Chiesa si portò allo studio in Bologna, e per un anno vi studiò legge civile. Il Cardinale Ildebrando dunque a proprie spese innalzò un altare a detto Santo nella chiesa di S. Salvatore in Bologna, ma non se ne conosce l'anno, che però fu certamente dentro i cinque dopo la detta canonizzazione di Alessandro III, perchè più oltre non visse il Cardinale Ildebrando. Dopo la di lui morte gli scuolari studenti in Bologna di Nazione Inglese, che allora erano molti, presero quest' altare sotto la loro protezione, e nel 1203 lo dilatarono in forma di cappella in modo che sembrava una chiesetta unita alla Chiesa maggiore, e vi fecero l'altare adattato a questa cappella, che Innocenzo III ordinò fosse consacrato da due Vescovi di Bologna, e di Modena. Ma Gerardo Ariosti Voscovo di Bologna fu renitente a fare questa consacrazione, forse perchè egli aveva dedicato a questo santo un altro altare in Paradiso - seu porticu - di S. Giovanni in Monte fabbricato da Jacopo da Bertinoro medico, assai frequentato dal popolo. Venutone a conoscenza Innocenzo III, con nuove lettere ordinò, che se Gerardo Ariosti Vescovo di Bologna perseverasse in tale renitenza, il solo Vescovo di Modena Egidio Garzoni Bolognese, venisse a Bologna, e consacrasse l'altare. Nacque così controversia fra i canonici Renani, e gli scuolari Inglesi sopra il possesso di questa cappella, e della sacra sua suppelletile. Nel 1234 Tommaso priore di Santa Maria di Reno che fu poi Vescovo d'Imola ed il preposto (orig. proposito. Errore di cui il Breventani non si accorse) degli scuolari inglesi convennero che due fossero lo chiavi della cappella, una restasse in mano del priore, l'altra del preposto, e suoi successori in perpetuo.

Nel 1305 si rimise in piedi la lite, e fu dalle parti eletto arbitro Baldredo Biset Scozzese vicario di Uberto Vescovo di Bologna, e fu convenuta previe certe condizioni, ma essendo diminuito il numero degli scuolari inglesi, tutto il gius fu devoluto ai canonici, perchè nel 1353 Riniero Ghisilieri priore di Santa Maria di Reno volendo ornare detta cappella, concordò solo, senza intervento degli scuolari, il prezzo della pittura, con Vitale De Equis celebre pittore di quel tempo nella somma di scudi 60 d'oro. Sembra che detta cappella così restasse sino al principio del secolo XVII, nella qual epoca fu magnificamente rifabbricata la chiesa di S. Salvatore.

Ma proseguiamo le gesta del Cardinale Ildebrando, riferiteci da Romualdo Arcivescovo di Salerno, delegato di Guglielmo Re di Sicilia.

Essendo nel 1174 (orig. 1184. Errore di cui il Breventani non si accorse: dovrebbe essere il 1174) venuto l'Imperatore Federico in Italia con grande esercito ebbe a subire alternata fortuna nell'armi per due anni, ma poi vinto in grande battaglia a Marignano dai Milanesi, e dalle città alleate, ebbe seriamente a pensare pacificarsi col Papa, sperando dopo esserselo fatto amico di soggiogare facilmente le città di Lombardia; non disprezzò le sue proposizioni Alessandro IIL e determinò, che si facesse un congresso a Bologna fra esso, e l'Imperatore.

Sui primi del 1177 partì il Papa d'Anagni sul principio dell'anno, si portò a Benevento, ed indi ad un porto dell'Adriatico detto Apenestensis, seu Vestensis portus con alcuni Cardinali, fra quali il Cardinale Ugo Bolognese nomo chiarissimo, da esso alcuni anni prima creato Cardinale di S. Eustacchio. Della famiglia del quale benchè non abbiamo date certe non possiamo però consentire col Ciacconio e coll' Ughelli, che lo fanno fiorentino, e della famiglia Ricasoli senza l' appoggio d' alcun idoneo documento. Senza dubbio ad essi deve prevalore la sentenza di Romualdo Arcivescovo di Salerno, il quale non una ma più e più volte lo chiama Ugo Bolognese. Da quel porto essendosi molti Cardinali inviati per terra in Lombardia, navigò Alessandro III fino a Zara in Dalmazia, poi giunse a Venezia. Ivi giunsero ambasciatori di Federico, pregando il Papa a stabilire altro luogo per il Congresso perchè molti de' baroni della sua corte non si tenevano sicuri in Bologna, e specialmente Cristiano Arcivescovo di Magonza, che quando negli anni passati, comandò l'esercito di Federico in Italia, aveva crudelmente devastate le campagne del Bolognese. Non voleva il Papa assentire essondo giunto fino a Ferrara, ma ivi vinto dalle preghiere delle città Lombarde, condiscese a tenere il Congresso in Venezia. Mandò dunque due Cardinali cioè Ugo Bolognese Cardinale di S. Eustacchio, e Riniero Cardinale di S. Giorgio in Velabro a Venezia, per chiedere di poter ivi fare il Congresso, e chiedere salvacondotto a tutti gli intervenuti. Quali cose ottenute ritornò Alessandro III a Venezia, e vi entrò ai V Kal. Junii 1177. Colà prima dell'arrivo di Federico molto si disputò sulle condizioni di pace fra gli inviati. Era più facile l' accomodo fra il Papa, e l'Imperatore, che fra le città alleate, e l' Imperatore, perchè queste volevano ritenere la loro libertà, o non consentivano sott' altre condizioni, che quelle che scemavano la potestà, e autorità dell'Imperiale. Fu adottato di far la pace fra il Papa, o l'Imperatore, e una tregua di sei anni fra le città, e l' Imperatore.

Cosi essendo accordato l' Imperatore si portò a Venezia, abiurò lo scisma, prestò obbedienza ad Alessandro III, promise di non dar aiuto a Calisto Antipapa, che già da dieci anni era succeduto a Pasquale defunto, e cosi fu assolto dalla scomunica nel giorno di S. Jacopo dallo stesso Alessandro III nella basilica di S. Marco, e restituito ai primitivi titoli, ed onori. Pochi giorni dopo rattificò la tregua dei 6 anni colle città Lombarde già stabilita da suoi ambasciatori, e confirmò le condizioni dell'accordo col Papa.

Egli è certo, che in tutto ciò prese parte il Cardinale Ildebrando, esistendo una, o due sottoscrizioni sue alle lettere di Alessandro III spedite in Venezia, per cui è a creder che molto si adoprasse per ridurre le città Lombarde, e specialmente Bologna sua patria, ad acconsentire previe condizioni oneste essendovi stato tanti anni legato per identici interessi. Partì prima l'Imperatore da Venezia, poi nel mese d'ottobre Alessandro III imbarcandosi per l'Adriatico, sbarcò a Siponto indi per Benevento tornò ad Anagni, ove era solito risiedere.

In questo stesso anno 1177 morì in Benevento il Cardinale Ugo Bolognese, che molto si era adoprato, ed utilmente nel trattato di questa pace, e Romualdo Salernitano rimpiange la sua morte siccome una calamità che rattristò la Chiesa dopo la conclusione di questa pace. Restava a maneggiarsi una stabile pace fra l'Imperatore, e le città di Lombardia, affinchè non passasse il tempo della tregua, senza che fosso conchiusa , o così evitare la guerra. Ciò prese a cuore Alessandro III, anche por non accreditare le calunnie di quelli che dicevano che nel Congresso di Venezia non avesse pensato che alle cose sue, sacrificando gli alleati, che con tante spese, e pericoli l' avevano aiutato. A questo fine prorogò la legazione al Cardinale Ildebrando nome conosciuto da lui per prudente e di provata esperienza nei negozi ed attissimo in questo grande affare. Ma mentre il Cardinale Ildebrando aveva cominciato ad applicarsi a sì scabrosa impresa, girando per le città di Lombardia a fine di disporle, per le applicazioni, e fatiche si ammalò in Vicenza, e morì ai VI Id. Novem. 1177, nel postridie del detto giorno e nella basilica di Santa Maria Primaria in Vicenza fu sepolto.

Quanto grande uomo egli fosse lo dimostrano quanto su di lui fu narrato e la scelta, che di lui fecero a trattare difficilissimi negozi i Papi Eugenio, Anastasio, Adriano, e Alessandro per trent'anni. I suoi beni pervennero ai canonici Renani della sua Congregazione, ma non si sa se per testamento, o se per successione religiosa, fra quali alcuni poderi, e vigne, gli arredi della sua cappella, e alcuni vasi d'argento, e 200 bizantini in contanti. Perciò i canonici stabilirono celebrargli un annuo anniversario, com'è notato nel Necrologio, che così si esprime:

Novemb. VI Idus. D. Ildebrandus Cardinalis, et canonicus Santcae Mariae de Rheno dequo habuimus ducentos bizantinos cum cappella ejus, cum quibusdam vasis argenteis deputatis tam ad divinum opus, quam ad humanum cum vineis etiam, et terris, quas nam pro anima ejus . habemus, et possidemus pro quo canonici Sanctae Mariae de Rheno tam presentes quam futuri dev.me, ac districte orare debent. - V Idus A. D. MC septuagesimo octavo. D. Ildebrandus sopultus est Vicentiae in Ecclesia Majori.