Catalani o di Guido di madonna Ostia

Derivano dai Malavolta che fu il soprannome d' un Ubaldo conte di Bologna (1027). I suoi maggiori, duchi e marchesi di Spoleti e di Camerino, riconobbero per capostipite un altro Ubaldo che viveva nell' 893 e il cui figlio Bonifacio aveva in moglie Gualdrada sorella di Rodolfo re di Borgogna (1). Prima d' esser detti Catalani dal nome d' un di loro, erano detti di Guido di madonna Ostia e altresì d' Ostia, con usanza comune anche ad altre città d' Italia ed alla Spagna, unendo cioè la provenienza materna al patronimico. Al casato di Guido di madonna Ostia fan riscontro quello d' Azzo d' Agnese, quello di Niccolò della signora Dotta (2) e Jacopo della signora Bolnisia (3) e Giovannino d' Enrica (4) e Pier d' Ermengarda (5) ed altri pur bolognesi.

Guido di madonna Ostia, consolo, apparisce primo nell' atto col quale il comune di Bologna nel 1208 accordò ai Firentini di comporre co' Pistoiesi. Molto tempo,dopo (1250) a lui, soprastante pel quartiere di san Procolo, furono consegnati alcuni prigionieri fatti nella celebre giornata di Fossalta (6). Enrico suo figlio, che si disse a un tempo e Catalano e di Guido d'Ostia (7), fu bandito da Bologna nel 1234, allorchè per omicidio venne proscritto Alberto Lambertazzi, benchè i Catalani fossero geremei. Erasi ascritto all' ordine dei Gaudenti quando fu inviato dal comune con Jacopino Desiderii a calmare i tumulti di Cervia, occasionati dalla concessione del sale fatta da' Bolognesi ai mercanti del re Manfredi che non tennero i patti. E riuscì tostamente, alternando la piacevolezza al rigore (8). Pierolino, altro figlio di Guido, era nel 1239 coll' esercito bolognese assediatore di Vignola, che fu rotto da' Modenesi e che lasciò mille morti sul campo: egli vi rimase prigione. Poi nella guerra accanita ed orrenda che fu combattuta per più d' un mese nelle vie di Bologna (1274), dopo aver veduto in fiamme la sua casa, perì con le armi alla mano. Il comune emendò alla vedova il danno materiale (9).

Un de' figli di Guido di madonna Ostia fu Catalano, che salì in grande rinomanza. Dal Villani e da qualcuno dei commentatori di Dante è detto de' Malavolti, in riguardo al ceppo originario. Andò a reggere nove città cominciando da Milano nel 1243 e finendo a Firenze nel 1266 (10). Essendo pretore di Parma nel 1250 uscì col carroccio contro i Cremonesi, i quali avevano assalito il distretto per vendicare la giornata di Vittoria, che loro aveva costato il carroccio e molta gente, a Federico il tesoro ed il serto imperiale. Fu combattuta una battaglia sullo stesso suolo ove fu arsa Vittoria e i Parmigiani, benchè valorosi, furono disfatti e perdettero il carroccio. Tremila prigioni ebbero vituperii e sevizie in Cremona, Catalano a stento potè salvarsi (11).

Nel 1260 fu chiamato a reggere i Piacentini che perciò incorsero nelle censure ecclesiastiche, essendo Catalano d' una città interdetta. Se non che papa Alessandro assolse loro che si protestavano ignari dell' interdetto. Ma dopo due mesi Catalano fu spodestato e il suo figlio Guglielmo ottenne poscia le rappresaglie contro il comune di Piacenza (12). Frattanto, insieme con Gerardo Galluzzi, mise a subbuglio Bologna (1247) venendo a contrasto con un dalla Fratta e con un Maccagnani, i quali tutti trasser seco i proprii consorti. Governò una parte dei fanti bolognesi nella guerra in cui venne fatto prigioniere il re Enzo (1249) (13) e andò a Ravenna al parlamento convocato dal conte della Romagna, per trovar modo a raffrenar le fazioni. Il comune affidò due volte a lui e a Loderingo d'Andalò i pieni poteri (1265, 1267) per la salvezza e riforma dello stato e per conciliare i cittadini nemici (14). Con lo stesso Loderingo andò a regger Firenze nel 1266 e non ripeterò ciò che ho detto parlando del suo compagno. Insieme con lui Dante relegò Catalano, nella bolgia degl' ipocriti e dopo aver descritto costui, e i suoi compagni, lo fa parlare nel modo seguente:

Laggiù trovammo una gente dipinta,

Che giva innanzi assai con lenti passi

Piangendo, e nel sembiante stanca e vinta.

Egli avean cappe con cappucci bassi

Dinanzi agli occhi, fatte della taglia

Che per li monaci in Cologna fassi.

Di fuor dorate son, si ch'egli abbaglia,

Ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,

Che Federico le mettea di paglia.

O in eterno faticoso manto !

Noi ci volgemmo ancor pure a man manca

Con loro insieme, intenti al tristo pianto;

Ma per lo peso quella gente stanca

Venia si pian che noi eravam nuovi

Di compagnia ad ogni muover d'anca.

Perch' io al Duca mio : Fa che tu trovi

Alcun, ch' al fatto o al nome si conosca,

E gli occhi si andando intorno muovi.

Ed un che intese la parola tosca,

Diretro a noi gridò: Tenete i piedi.

Voi che correte si per l' aura fosca:

Forse ch' avrai da me quel che tu chiedi.

Onde 'l Duca si volse, e disse : Aspetta,

E poi secondo il suo passo procedi.

Ristetti, e vidi duo mostrar gran fretta

Dell'animo, col viso, d'esser meco;

Ma tardavali 'l carco e la via stretta.

Quando fur giunti, assai con l'occhio bieco

Mi rimiraron senza far parola:

Poi si volsero in sé e dicean seco:

Costui par vivo all'atto della gola;

E s' ei son morti, per qual privilegio

Vanno scoverti della grave stola?

Poi dissermi: o Tosco,. ch'ai collegio

Degl' ipocriti tristi se' venuto

Dir chi tu se' non avere in dispregio.

Ed io a loro: I'fui nato e cresciuto

Sovra'l bel fiume d'Arno alla gran villa,

E son col corpo ch' io ho sempre avuto.

Ma voi chi siete a cui tanto distilla,

Quant'io veggio, dolor giù per le guance;

E che pena è in voi che si sfavilla?

E l' un rispose a me : Le cappe rance

Son di piombo si grosse, che li pesi

Fan cosi cigolar le lor bilance.

Frati Godenti fummo, e Bolognesi,

Io Catalano e costui Loderingo

Nomati, e da tua terra insieme presi,

Come suol esser tolto un uom solingo

Per conservar sua pace; e fummo tali

Ch' ancor si pare intorno dal Gardingo.

Io cominciai: O frati i vostri mali...

Ma più non dissi; che agli occhi mi corse

Un, crocifisso in terra con tre pali:

Quando mi vide, tutto si distorse

Soffiando nella barba co'sospiri,

E 'l frate Catalan, ch' a ciò s' accorse,

Mi disse: Quel confìtto, che tu miri

Consigliò i Farisei, che convenia

Porre un uom per lo popolo a' martiri.

Attraversato e nudo è per la via

Come tu vedi ed è mestier ch' e' senta

Qualunque passa com' ei pesa pria:

Ed a tal modo il suocero si stenta

In questa fossa e gli altri del concilio,

Che fu per li Giudei mala sementa.

Allor vid'io maravigliar Virgilio

Sopra colui ch'era disteso in croce

Tanto vilmente nell' eterno esilio.

Poscia drizzò al frate cotal voce:

Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci

S' alla man destra giace alcuna foce,

Onde noi ambedue possiamo uscirci

Senza costringer degli angeli neri

Che vegnan d'esto fondo a dipartirci.

Rispose adunque: Più che tu non speri

S' appressa un sasso, che dalla gran cerchia

Si muove, e varca tutti i vallon feri,

Salvo ch' a questo è rotto e nol coperchia:

Montar potrete su per la ruina

Che giace in costa, e nel fondo soperchia.

Lo Duca stette un poco a testa china;

Poi disse: Mal contava la bisogna

Colui che i peccator di là uncina.

E'l frate: l'udii già dire a Bologna

Del diavol vizii assai, tra' quali udì'

Ch' egli è bugiardo, e padre di menzogna.

Appresso, il Duca a gran passi sen gì,

Turbato un poco d'ira nel sembiante:

Ond'io dagl' incarcati mi parti'

Dietro alle poste delle care piante. (15)

Catalano era stato compagno a Loderingo altresì nella fondazione dell' ordine dei Gaudenti e lo fu eziandio nel ritirarsi nell' eremo priorato di Ronzano (16). Al disgusto della vita pubblica s' accompagnavano guai famigliari, imperciocchè il suo figlio Jacopo, canonico della cattedrale e cappellano pontificio, era stato supposto complice insieme con altro canonico nel furto del tesoro della cattedrale e nell' uccisione del sagrista. Spirati tra le fiamme e sotto i tormenti alcuni de' rei palesi, il papa ordinò fossero processati e puniti i due canonici. Ma,' o per turbamento degl' indizii, o per influenza delle potenti famiglie minacciate d' infamia, i due canonici rimasero impuniti e continuarono a godere delle loro dignità (17).

Dopo aver sostenuto l' officio di provinciale dei Gaudenti della Lombardia inferiore ed esser stato definitore del capitolo generale dell'ordine tenuto in Reggio (1268), Catalano fermossi a Ronzano, ove morì e fu sepolto nel 1285 all'età di oltre 75 anni. Appartenne alla classe de' coniugati ed ebbe tre mogli e sei figli (18). Aveva avuto insieme con altri della sua casa settantacinque servi.

Due de' suoi figli, Guglielmo e Bartolommeo, capitanarono milizie, e il primo portò soccorso di dugento militi ai Firentini nel 1280. Ambidue vennero citati, insieme con alcuni loro congiunti, da Enrico imperatore.

Al principio del secolo XV un Marino de' Catalani, ch'era fuoruscito, fu graziato (19). Altri di loro furono di rado anziani dal secolo XV al XVII, nel quale ultimo tutti i Catalani si spensero.

Una torre della costoro famiglia, indicata dall' Alberti (20) e dall' Alidosi (21), detta la torre delle cornacchie (22) sussiste tuttavia in un angolo delle stradelle Pugliole dello Spirito santo, assegnate anticamente, a luogo di bordello. Presso di queste era la via de' Catalani chiusa nel 1523 ed ora proprietà dei Rodriguez.

Lo stesso Alberti (23) favoleggia che fosse ulteriormente elevata da un Catalani per compiacere al Carbonesi suo nipote, che invaghitosi della Virginia Galluzzi voleva contemplarla nei penetrali della sua casa da luogo eminente e sicuro.

I due lati della torre che danno sulle stradelle mostrano l' originaria costruzione dal fondo al sommo, ora quasi adeguato alla casa contigua. Vi sono quindi palesi una delle solite finestre lunghe e strette, arcate a tutto sesto; altre due simili, ma assai più grandi, non che un arco largo, anch'esso semicircolare, d'una quarta finestra. Stanno agli angoli alcuni massi di gesso non continuati, nè posti a scarpa. In ciascuno dei due lati vi è una porta con soglia, modiglioni ed architrave di gesso, sopra il quale gira un arco cieco a pieno centro, la cui fascia di mattoni con listello ornato è più stretta alla base, sì che esternamente la curva è più risentita. Dentro uno di questi archi è dipinto un papa che benedice un monaco e sarà san Pier Celestino, istitutore dei monaci che da lui hanno il nome e che diventarono proprietarii di questa torre vicina al loro sfarzoso convento (fig. 13).

Fig. 13

La torre è larga met. 8,55 per 7,10 e i muri son grossi soltanto da met. 0,85 a met. 0,70, quindi non sono proprii ad essere nè mai possono essere stati elevati a grande altezza. Per ciò non può esser questa una torre dei Catalani che per testimonianza di sincroni scrittori era alta poco meno dell'Asinelli, nè può esser quella che si sa distrutta fino ai fondamenti (24). Ben sarà per contro la stessa ch' è additata dal commentatore Benvenuto da Imola quasi scopo dello sdegno vendicatore del cielo, dicendo dei casamenti di fra Catalano: « nec aliquid apparet de eis nisi turris satis alta quae saepe solet fulminari. » Io non so se più volte, ma certo nel 1280 fu investita dal fulmine che uccise un Candino calzolaio e la moglie (25). So bene che il satis alta si conviene ad una torre che avendo muri sottili non può, come ho detto, essere stata mai molto alta, non che poco meno alta dell' Asinelli.

Quest' altra torre dei Catalani è nominata nell' atto col quale fra Catalano emancipò nel 1208 i proprii figli Jacopino, Guglielmo e Giovanni, assegnando loro alcune terre nel bolognese e nel ferrarese e segnatamente una parte della casa che fu di Guido d' Ostia suo padre. Assegnando ad essi eziandio tre case nella parocchia di s. Maria de'Guidoscalchi, due delle quali confinavano con quella del proprio fratello Pierolino (abbruciate poi nel 1274) e la terza con la chiesa di s. Maria sopraddetta; infine, parte della sua alta torre vicina a Guido Tuccimani (26).

Un altro documento, che sto per riferire, ci fa noto che questa torre era situata nella piazza maggiore verso il convento de' celestini (27). L' annalista Burselli che la vide nel secolo XV la dice « antiquissima et alta sicut turris Asinellorum » (28).

Ma quando la caduta della torre dei Bianchi (1484) incusse generale spavento, il senato ordinò che ad evitare ulteriori sciagure fosse demolita la torre de' Catalani, situata nella piazza maggiore, minacciante rovina, e commise l'esecuzione del decreto al celebre Galeazzo Marescotti ed a Bartolommeo dalla Volta (29), i quali poco appresso la fecero distruggere sino ai fondamenti (30).

Una terza torre dei Catalani era in Volta de' Pollaioli, ove fu poi la Dogana (31) e forse è la stessa, ch' era posseduta dai Nappi nel 1480 (32).

(1) Savioli, Ann. v. 1, pag. 143, 242.

(2) Docum. n. 94.

(3) Savioli, Ann. v. 4, pag, 389.

(4) Molinari, Anziani ecc., pag. 12.

(5) Savioli, Ann. v. 3, pag. 243, genealog.

(6) Savioli, Ann. v. 6, pag. 266.

(7) Gozzadini, Cron. di Ronzano, pag. 180, docum. 57.

(8) Savioli, Ann. v. 5, pag. 107. 358.

(9) Savioli, Ann. v. 1, pag. 150; v. 5, pag. 484, 491.

(10) Savioli, Ann. v. 5, pag. 214, 239, 282, 333, 347, 392.

(11) Savioli, Ann. v. 5, pag. 239.

(12) Savioli, Ann. v. 5, pag. 343, 347, 347.

(13) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 173, 174. Savioli, Ann. v. 5, pag. 204. (il Gozzadini quì indicò erroneamente il 1248 come anno della cattura di Re Enzo).

(14) Savioli, Ann. v. 5, pag. 282, 382, 400.

(15) Inferno, c. 23, v. 58.

(16) Gozzadini, Cron. di Ronzano, pag. 171, documento 28. (Il documento 28 è indicato per sbaglio dal Gozzadini e di riferisce ad altra torre).

(17) Savioli, Ann. v. 5, pag. 369, 370.

(18) Gozzadini, Cron. di Ronzano, pag. 48.

(19) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 250, 567; v. 2, pag. 609.

(20) Hist. lib. 6. deca 1.

(21) Instrut., pag. 27.

(22) Instrut., pag. 27. — Quidam Jacobus accessit ad domum sive ad cameram habitationis Catharinae sclavae positam in postribulo civitatis Bononiae prope turrim la torre delle Cornacchie etc. ( Toselli, Spogl. dell' arch. crim, parte 2, pag. 831).

(23) Hist. lib. 2, deca 2.

(24) De Bursellis H. Annales, col. 904. « Destructa est (egli dice) et paulatim usque ad fondamenta eradicata.

(25) De Griffonibus M. Memor. col. 127.

(26) Docum. n. 26.

(27) Docum. n. 233.

(28) De Bursellis H. Annales, col 904.

(29) Docum. n. 233. Ghirardacci, Hist. v. 3, ms. ann. 1484. Alidosi, Instrut. pag. 192.

(30) De Bursellis H. Annales, col. 904.

(31) Guidicini, Abecedario di notizie stor. ms. nella collezione Gozzadini.

(32) Alidosi, Instrut., pag. 190.