Saliceti o da Saliceto

Si trovano enumerati nel 1117 tra i nobili e cattani: ciò non ostante nel 1228 erano ascritti tra i popolani, geremei (1). In causa delle guerre civili andarono ad abitare a Castelsampietro, ma nel 1299 dovettero tornare a Bologna per intimazione del governo. Furono citati dall' imperatore Enrico, pacificarono con i scacchesi i maltraversi, tra i quali primeggiavano, per liberar Bologna dalla soggezione dei papi (1376) (2), poi trattarono per contro di darla a Giangaleazzo Visconti (1389); ma scoperti, per una lettera d' un Galluzzi intercettata, Marchione fu punito nel capo. Roberto capitanò 100 lance per Bernabò Visconti, Giacomo fu dei tre deputati nel 1308 a studiare i luoghi più opportuni del territorio da munir di fortezze (3). Questa famiglia conta ottanta anziani dal 1282 al 1746.

Tuttavolta la sua rinomanza trae solo da quattro insigni legisti, fioriti nel secolo XIV e nei primi anni del XV.

Riccardo di Pietro è il più antico e non solo emerse nella scienza legale, ma si distinse eziandìo nel maneggio degli affari politici del suo paese. Andò ambasciatore nel 1336 al papa ed a Roberto re di Napoli. E quando i Pepoli mercanteggiavano nascostamente Bologna con i Visconti, simulando di aderire a' Bolognesi che preferivano darsi ai Fiorentini, Riccardo fu dal consiglio inviato a Firenze, per trattare: ma i Fiorentini avevano già subodorato il mercimonio dei Pepoli. Andò poi a Padova a leggere ius canonico, probabilmente allorchè dal Visconti ebbe l'esiglio e la confisca, revocati poscia da Urbano V quand' ottenne Bologna. Succeduto ad Urbano Gregorio XI, gli fu inviato ambasciatore in Avignone il Saliceto, e così gli piacque, che n'ebbe un assegno annuale di 200 fiorini d'oro. Morì nel 1379 a Piacenza, mentre tornava da una missione compiuta a Milano: fu lodato da Baldo ed era di così rara delicatezza, di cotanta e tanto rara onestà, che non faceva mercato delle sue allegazioni, nè voleva riceverne il prezzo se la causa non aveva il suo effetto (4).

Roberto suo figlio, che venne imprigionato nel 1377 come uno de' raspanti che tenevan sossopra la città, fu dottor di legge di molto grido, sì che i Veneziani mandarono oratori a Bologna nel 1388 per ottenerlo. Lo conseguirono infatti, ma a condizione che Roberto, come difensore della patria e della libertà, potesse a suo talento ritornare a Bologna (5).

Bartolommeo di Giacomo apprese la legge dal sopraddetto Riccardo suo zio e insieme con lui lesse nel nostro studio. Toltagli la cattedra nel 1370, con mendicati pretesti, dal cardinale Anglico legato di Urbano IV, lesse in Padova per quattro anni e, dopo esser stato ambasciatore a Gregorio XI fu riammesso all' insegnamento in patria. Andò oratore anche a Bernabò Visconti, a Urbano VI tosto che fu eletto ed a Carlo da Durazzo. Scrisse e diede voto, con altri rinomati giureconsulti, sullo scisma di Urbano VI e, per turbolenze avvenute nel 1380 in Bologna, si ridusse a Ferrara e lesse in quello studio. Ma l' anno seguente riebbe di nuovo la cattedra a Bologna, fu inviato a compor dissidii sorti tra i Manfredi di Faenza, ed a Urbano VI per invocar aiuto contro i Visconti.

Ciò non ostante si lasciò involgere in una congiura in pro de' Visconti, che fu scoperta, e punita con la scure del carnefice, la quale colpì un Marchione Saliceti. Il solo Bartolommeo fu perdonato per la sua grande fama: ma, conoscendo d' esser scaduto nella stima de' concittadini, andossene furtivamente a Ferrara dal marchese e ciò gli valse la confisca e il bando nella testa, poichè era estremo il rigore contro i professori che disertavano lo studio. Lesse colà, poi, dopo un rivolgimento popolare, ricuperò la patria per la terza volta e le sostanze; se non che la fazione de' maltraversi, seguìta da Bartolommeo, avendo soggiaciuto a quella dei Gozzadini, egli dovette esulare di nuovo, e col figlio si ricondusse a Padova. Ma le mutazioni succedevansi a brevi intervalli, e dopo tre anni Bartolommeo tornava stabilmente a Bologna. Insegnò pel corso d' altri sei anni, ebbe a compagno il figlio Giacomo e succedette nel primato a Bartolo e a Baldo. Morto nel 1412 ebbe cospicuo sepolcro in s. Domenico. Alla sua scuola si formarono l' Ancarano, il Zabarella, il Fulgoso e l' Alvaroto (6).

Giacomo, figlio di lui e da lui ammaestrato, cominciò ad insegnar leggi nel nostro studio l' anno 1387; nel susseguente passò all' ateneo di Padova e per le patite vicende non potè tornare a quello di Bologna se non nel 1399, per lasciarlo poco dopo e per tornarvi di nuovo nel 1403. Fu degli anziani più volte, e dei XVI riformatori dello stato popolare allorchè Bologna si sottrasse ai papi nel 1416. Andò ambasciatore a Mantova, al papa Giovanni XXII ed al papa Bonifazio IX che gli assegnò una pensione di 200 fiorini. Morì nel 1418 in grande rinomanza (7).

A questi quattro legisti è da aggiungerne un quinto che fu Giovanni, figlio del sopraddetto Giacomo, il quale tenne la cattedra dal 1423 al 1429 (8).

Il Roberto poc' anzi ricordato aveva le case in via degli Orefici, presso la piazza, menzionate dal Ghirardacci (9) allorchè dice della fabbrica del portico de' banchi, condotta nel 1412. Ma la casa torrita de' Saliceti, che i cronisti indicano quasi di contro alla chiesa poi demolita di s. Sebastiano, sembra essere quella appunto in via Battisasso segnata del n. 632 (10). Poichè ivi è ancora un troncone di torre che sopravanza il tetto e scorgesi dalla strada. Lo notò l' Alberti (11) in questa guisa « torre ove ora abita l' Ebreo di piazza nuova, da san Sebastiano ». Il troncone è alto met. 17 e mezzo, largo met. 8,49 in ogni lato ed i muri hanno la grossezza di m. 1,50.

(1) Guidicini, Cose not. v. 2, pag. 63.

(2) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 46, 568; v. 2, pag. 340. Savioli, Ann. v. 1, pag. 181 ; v. 5, pag. 405.

(3) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 347, 432, 497.

(4) Fautuzzi, Notiz. v. 7, pag. 283.

(5) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 424. Mazzetti, Repert., pag. 278.

(6) Fantuzzi, Notiz. v. 7, pag. 272.

(7) Fantuzzi, Notiz. v. 7, pag. 280.

(8) Mazzetti, Repert., pag. 276, 277, 278.

(9) Hisloria, v. 2, pag. 593.

(10) Guidicini, Cose not. v. 1, pag. 124.

(11) Historia, deca 1, lib. VI.