Ubaldini

Di tal casato fu una famiglia bolognese antica, geremea, d' origine popolana e un' altra di Mugello, ghibellina, potente fin dal principio del secolo XI, detta per titoli feudali della Pila, di Senne, di Feliccione, di Monteaccianico, e che nel secolo seguente aveva uno stato di ventun castelli parte in Mugello, parte sul bolognese, ai quali aggiunse nel 1270 il condominio di Montemaggiore, di Vedreto, di Guardafossa e di Stifonte, venduto ad essa dai Prendiparte, per i quali possessi, e pel domicilio in Bologna, anche c testi Ubaldini ebbero qui i diritti civici (1). Nel corso di pochi anni furono di costoro tre vescovi e tre altri dignitari della chiesa bolognese, uno de' quali è il Ruggieri che, divenuto arcivescovo di Pisa, si fece traditore e de' Pisani e del conte Ugolino, cui fu dato in fiero pasto dal vendicatore poeta (2).

Di costoro furono altresì il goloso Ubaldino della Pila, che Dante vide per farne a vóto usar li denti (3) e il cardinale posto da Dante fra gl'increduli, sicchè poche famiglie possono rivaleggiare con questa pel numero de' suoi relegati dal divino in luogo di pene. Gli Ubaldini furono altresì dei capiparte ghibellini, che, dopo lo strazio e il grande scempio di Monteaperti, volevano tor via Firenze (4). Ma io non dirò degli Ubaldini di Mugello, se non tanto quanto s' in treccia con gli avvenimenti di Bologna.

Ottaviano, fratello d' Ubaldino il goloso, dopo essere stato canonico e arcidiacono della chiesa di Bologna, ne fu eletto vescovo circa il 1236; ma non consacrato, perchè troppo era giovine, la resse come arcidiacono amministratore. E poichè il comune, ad infrenare le discordie cittadine, costringeva le principali famiglie ad un compromesso, diedero esse arbitrio all' eletto Ottaviano ed al pretore, i quali proferirono il lodo sotto comminazione di bando perpetuo e di confisca (5). Ottaviano era un giovine animoso, intraprendente e non smentiva il suo sangue ghibellino; sicchè Innocenzo IV, a cattivarsi l' animo di lui e de' suoi potenti congiunti, lo creò cardinale, e legato della Romagna, invasa da Federico II. Ma Ottaviano, benchè rendesse incontestabili servigi alla sede pontificia, mantenne, e non solo nel fondo dell' anima, l' avito ghibellinismo.

Nel 1247, raccolto un esercito di Lombardi, di Liguri, di 1,400 Bolognesi e di profughi Romagnoli, ricuperò Bersello, tenne testa agl'imperiali che assediavano e stremavano Parma e diede campo a provvederla di vettovaglie e di difensori (6). La Lunigiana e la Garfagnana poterono allora sottrarsi dalla soggezione di Federico. Venne poscia Ottaviano a Bologna, accompagnato da vescovi e da baroni; e, ammesso nel consiglio, chiese che i Bolognesi aggiungessero forze sufficienti alla lega per compiere l' impresa. Ottenuto un esercito poderoso, col carroccio capitanato dal pretore, trasse in Romagna e la costrinse con le armi e con le minacce a giurar fedeltà alla chiesa ed alla lega di Bologna. Andò sopra Nonantola per assediarla, e l'ebbe a patti (7).

Nel 1249 il cardinale Ottaviano replicò le istanze al comune di Bologna per rinvigorire la guerra, da che si erano assottigliate le truppe di Enzo re di Sardegna, vicario in Lombardia per l'imperatore suo padre. I Bolognesi conobbero l' opportunità del momento, misero in arme 1,700 cavalieri, tre intere tribù della città e 2,000 uomini della quarta, cui si aggiunsero 5,000 soldati dell'Estense. Preceduti dal carroccio di Bologna, capitanavano il pretore Ugoni e il cardinale Ottaviano. Enzo re conduceva 15,000 armati. All'albeggiare del 26 maggio cominciò la battaglia a Fossalta, presso Modena, e non finì che a notte inoltrata. I Bolognesi ruppero e inseguirono il nemico, fecer prigione il re Enzo, 200 tra baroni cavalieri ed una moltitudine di fanti (8). Chiesero pace ai Bolognesi i Modenesi fiaccati e il cardinale Ottaviano li sciolse dall' interdetto. A quel tempo egli compose i Maccagnani ed i Samaritani, che avevano compromesso in lui delle loro private discordie (9).

Ottaviano non trovò altrettanto pieghevoli i Bolognesi, allorchè per ordine di papa Innocenzo, il quale fermatosi a Bologna se n' era mostrato scontento, li richiese di dimettere Medicina e Argelata che diceva spettare alla chiesa, siccome patrimonio matildico. Chè le ammonizioni e le minacce di scomunica non valsero se non se a far confermare il decreto, che assoggettava quelle terre al comune, in perpetuo (10).

Ciò non ostante, dopo aver convocato in Brescia un parlamento che rinnovò l'antico patto lombardo (1252), Ottaviano implorò ed ottenne da' Bolognesi nuovi sussidii per protegger Parma dallo sforzo de' Cremonesi e da fuorusciti, duce Uberto Pallavicino. Non ricomparve poscia in Bologna se non nel 1261, per sciorla dall'interdetto a cui Innocenzo avevala sottoposta per i Romani presi qui in ostaggio, allorchè Castellano d' Andalò senatore di Roma era stato imprigionato (11).

Ottaviano, inviato in Puglia con buon nerbo di truppe da Alessandro IV per tener in freno Manfredi, venne seco lui ad accordi, cui Alessandro ricusò di sanzionare. Andò legato in Francia a definire contestazioni ecclesiastiche e fu de' sei cardinali arbitri nel conclave per l'elezione di Gregorio X: morì nel 1273 (12).

Ma benchè molto operasse in pro dei papi e de' guelfi, fu tacciato d' aver favorito i ghibellini e d' èssersi mescolato con loro nella congiura che li rese arbitri di Firenze. Stette perciò in procinto di perdere la porpora e buon per lui che frattanto Innocenzo IV venne a morire. E in vero pare che Ottaviano meritasse quella taccia, giacchè gli antichi scrittori narrano concordemente aver egli detto che « se anima aveva, egli l' aveva perduta per i ghibellini ». Così si mostrò infetto eziandìo d' incredulità epicurea, di guisa che Dante entrato nella città di Dite ove sono puniti:

« Con Epicuro tutti i suoi seguaci

Che l' anima col corpo morta fanno »

sentì dirsi da Farinata degli Uberti:

« Qua entro è lo secondo Federico

E 'l cardinale e degli altri mi taccio » (13).

Farinata non disse più che cardinale, poichè così era chiamato Ottaviano per antonomasia, siccome tra gli altri affermano i comentatori Benvenuto Rambaldi e il Landino, aggiungendo « ed ogni volta. che si diceva il cardinale dice o fa, si intendeva di lui ».

Mentre il cardinale guerreggiava, il suo nipote pur di nome Ottaviano era assunto al vescovato di Bologna, e nel 1272 vi racconciliava alcune famiglie. Traeva dal carcere al sepolcro il re Enzo, quasi a compir l' opera del proprio zio cardinale contro lo Svevo.

Ma la fazione geremea, prevalendo nel 1274, pronunziò condanne sugli Ubaldini di parte contraria, le quali compresero i tre fratelli Ottaviano vescovo con le sue terre, Ruggieri arcidiacono, e Schiatta che poi fu arcidiacono e vescovo (14).

Quest' Ottaviano e tutta la sua famiglia abbandonarono allora Bologna, tornandovi due anni dopo, da poi che furono revocati i processi. Ruggieri arcidiacono e Schiatta canonico erano partiti l' anno prima, forse prevedendo imminente una catastrofe (15). Ruggieri, ch' è il traditore roso dal conte Ugolino, arrogandosi diritti come arcidiacono di Bologna aveva preso a cozzare nel 1270 con i maestri e co' scolari dello studio, i quali invasero l'episcopio maltrattandone i famigliari, turbaron gli uffici divini, insultarono il vescovo e il clero ed impedirono che l' arcidiacono esercitasse la pretesa giurisdizione (16). L' anno dopo i ghibellini di Ravenna elessero arcivescovo Ruggieri, mentre i guelfi eleggevano un Fieschi.

Dalle dissensioni per poco non si passò alle armi e il papa escluse ambidue gli eletti. Ruggieri ebbe poi l' arcivescovato di Pisa nel 1278 e Schiatta suo fratello ebbe quello di Bologna negli ultimi anni del secolo, dopo essere stato canonico di Aquileia e di Liegi (17).

Gli Ubaldini potenti nei loro dominii del Mugello, ma non abbastanza da resistere sempre ai Fiorentini che volevano annichilarli, ora alleati ora nemici de' Bolognesi, non prendevano altra norma nel fare se non ciò che a sè stéssi talentava. Dopo essere stati sconfitti nel 1251 presso il loro Monteaccianico, da' Fiorentini (18), resistettero ad essi nel 1262 soccorsi da' Bolognesi, i quali infastiditi alla loro volta nei transiti e nei commerci che facevano per l' Appennino, vollero liberarsi dal castello di Cavreno, che, situato su i gioghi al confine toscano, dominava la strada. Fecero per ciò un trattato con gli Ubaldini nel 1294, col quale costoro cedettero per 16,000 lire il suddetto castello (19) che tosto fu demolito, e giurarono fedeltà e devozione al comune di Bologna, il quale obbligossi a considerarli propri cittadini di parte ge remea e ad assolverli da ogni condanna e confisca anteriore. Li aveva esiliati nel 1284 (20).

Ma la devozione e la fedeltà degli Ubaldini dovette durar poco, s' è vero, come narra il Ghirardacci (21), ch' essi ebbero bisogno dell' intercessione de' Fiorentini nel 1305 per essere accettati come amici e sudditi dal comune di Bologna, e per riavere le loro terre. Non che la mutabilità e la malvagità degli Ubaldini poss' essere messa in dubbio, ma è a dubitare assai che s' interponessero in loro pro i Fiorentini, i quali mal sopportandone là potenza e la oltracotanza, loro toglievano e distruggevano in quel tempo un po' per forza un po' per accordi il castello fortissimo di Monteaccianico nel Mugello, costrutto regalmente dal cardinale Ottaviano (22). Di qual sorta fosse la devozione e la fedeltà di cotesti Ubaldini bene appare dal fatto seguente, accaduto nello stesso anno 1305.

Andava ambasciatore de' Bolognesi in Toscana ed a Roma, Nicola Bonvicini, ma giunto al borgo di Cornacchiaia in Val di Santerno fu preso dagli Ubaldini che s' erano rannicchiati nel vicino castello di Castro dopo perduto Monteaccianico (23). Filzone che n'era il signore, e che poc'anzi era stato perdonato da' Bolognesi, consegnò a' propri figli, Tano e Francesco, l' ambasciatore distenuto, i quali gl' involarono le lettere del comune di Bologna ed inviaronle in Romagna al legato Napoleone Orsini e a' fuorusciti lambertazzi da lui favoreggiati. Poscia fecero torturare l' ambasciatore per fargli rivelare la sua missione, e com' egli seppe resistere, gli stremarono il cibo e la bevanda, lo accecarono, gli mozzaron le mani ed il naso, rilasciandolo più morto che vivo dopo settantatrè giorni di strazi, ma sempre invitto. Il comune di Bologna rimeritò per quanto poteva l'eroismo di questo secondo Attilio Regolo e gli assegnò tutti i beni mobili ed immobili posseduti da Tano Ubaldini nel bolognese (24).

Ma Bolognesi e Fiorentini ebbero a soffrire ancora della sleale malvagità di quei masnadieri, onde i Fiorentini nel 1349, secondo narra Matteo Villani (25) « vedendo che la latrocinia superbia degli Ubaldini non si gastigava per una battitura, feciono decreto che ogn' anno si dovesse tornare sopra di loro, tanto che fossero privati delle loro alpigiane spelonche ».

Gli altri Ubaldini indigeni bolognesi poco lasciarono da dir di sè. Contano due crociati, alcuni anziani dal 1248 al 1319 e un Albizzo, che, capitanando due tribù di Bologna, insieme co' viscontiani assediò Modena e ne devastò il territorio nel 1354. Cospirarono due anni appresso contro l'Oleggio, il quale, quasi cambiando indole, ricordevole di beneficii ricevuti fu clemente con loro e solo gli espulse da Bologna. Congiurarono eziandìo per il papa sotto la guida di Giacomo Isolani nel 1412 (26). Probabilmente si estinsero in Giambattista frate agostiniano, a mezzo il secolo XVII.

Un atto del 1290 fa conoscere che gli Ubaldini di Mugello avevano case nella parocchia di s. Giacomo de' Carbonesi all' angolo dei Vignacci, presso gli Andalò, i Carbonesi e i Bonfantini; cioè in s. Mammolo vicino al vicolo incorporato nel palazzo Pizzardi, sulla cui area erano allora case de' Carbonesi. Quelle degli Andalò sorgevano al di là di via Libri, ora Farini. Le sopraddette case degli Ubaldini erano a quel tempo di due sorelle: cioè di Druda figlia del già Albizzo di Monteaccianico, maritata in Bonifacio Galluzzi, e di Adola contessa di Mangone, quindi moglie di un Alberti. Ma non risulta che queste case fossero torrite.

Un altro atto, rogato nel medesimo giorno, attesta che la suddetta Druda Ubaldini in Galluzzi vendeva a un Guido di Galisano metà d' una casa e della contigua torre, o casa-torre de' Galluzzi, posta nella corte omonima e tuttora sussistente (27).

Gli Ubaldini della Pila avevano la propria casa torrita in via Maggiore, ora n. 262 (28), che conserva tuttavia una grandiosa e larghissima porta a sesto acuto. Con la casa la torre passò ai Musotti ed è notata dall' Alberti (29) e dall' Alidosi (30).

(1) Savioli, Ann. v. 5, pag. 163, 164.

(2) Inferno, c. 33, v. 14.

(3) Purgatorio, e. 24, v. 28.

(4) Inferno, c. 10, v. 92. Villani Gio., Cron. lib. 6, cap. 81. Savioli, Ann. v. 5, pag. 340.

(5) Savioli, Ann. v. 5, pag. 182.

(6) Savioli, Ann. v. 5, pag. 203.

(7) Savioli, Ann. v. 5, pag. 210, 211, 213. Sismondi, Hist. des rép. chap. 17.

(8) Hist. miscell, col. 264. De Grijfonibus M. col. 113. Muratori, Ann. v. 11, pag. 230. Sismondi, Htst. des. rép. chap. 17.

(9) Savioli, Ann. v. 5, pag. 226, 229.

(10) Savioli, Ann. v. 5, pag. 246.

(11) Savioli, Ann. v. 5, pag. 255, 348.

(12) Sigonius, Histor. bonon. col. 438 e segg. Muratori, Ann. v. 11, pag. 278, 280, 341. Moroni, Dizion. di erudiz. eccles. v. 81, pag. 490.

(13) Inferno, e. 10, v. 119.

(14) Savioli, Ann. v. 5, pag. 460, 486.

(15) Savioli, Ann. v. 4, pag. 474. Guidicini, Cose not. v. 4, pag. 132.

(16) Savioli, Ann. v. 5, pag. 433.

(17) Sigonius, Histor. bonon. col. 443. Savioli, Ann. v. 5, pag. 447. 448. Guidicini, Cose not. v. 4, pag. 132.

(18) Villani Gio. Cron. cap. 46.

(19) Lib. 87 memorial. Iohannis Bencevennis, fol. 98: Il trattato venne fatto da Ugolino del già Albizzo (Ubaldini) di Monteaccianico e da Lippo di Enrico (Ubaldini) priore di s. Clemente di Signano, come procuratori dei seguenti Ubaldini: Ugolino di Filiccione del già Ubaldino della Pila; Tano del già Azzo del fu Ubaldino suddetto della Pila; Giovanni del già Ugolino di Senne e Beatrice vedova di Ugolino di Senne, tutori; Ugolino di Filiccione e Giovanni del già Ugolino di Senne tutori di Francesco e di Ottaviano figli che furono del suddetto Ugolino di Senne ; Cella, vedova di Cavrenello del già Ubaldino della Pila, tutrice d' Ugolino e d' Ubaldino, figli che furono dell' anzidetto Cavrenello.

(20) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 313. Guidicini, Cose not. v. 3, pag. 61.

(21) Historia., v. 1, pag. 491.

(22) Villani Gio. Cron. cap. 86.

(23) Lungo qu'e' luoghi scorreva l'antica strada mulattiera che varcando l'Appennino entrava in Mugello; fu solo nel 1361 che la signoria di Firenze fece aprir la strada pel giogo di Scarperla, che poi diventò postale.

(24) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 494.

(25) Cronaca, lib. 1, cap. 25.

(26) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 219, 229, 591.

(27) Docum. n. 179.

(28) Guidicini, Cose not. v. 3, pag. 61.

(29) Histor. deca 1, lib. 6.

(30) Instrut., pag. 190.