Altabella, dal I volume delle "Cose Notabili..." di Giuseppe Guidicini, con le correzioni di Luigi Breventani

La via Altabella percorre dalla via Cavaliera al marciapiede della chiesa di s. Pietro e termina nella Piazza di s. Pietro. L'antica sua denominazione fu via delle Selle, poi via dei Lioni, indi Altabella. Non si conosce l'etimologia sicura del primo nome, ma del secondo e del terzo se ne parlerà in appresso. Nel 1289 si pubblicavano li Bandi davanti la porta del Vescovato, dal lato di sopra.

Ai giorni del Fabro cronista , la strada si diceva ancora delle Selle , e la casa ai numeri 1634 e 1635 era conosciuta per Altabella; sembra adunque che da questa sia derivato il nuovo nome di Altabella , dato di poi alla contrada e non dalla torre Azzoguidi , (poi Ramponi e Muzzarelli, ora Guarmani) come pretende il Salaroli, e come si dice volgarmente.

Altabella, entrandovi a destra per via Cavaliera.

N. 1637. Stabile con bottega da speziale, che Gio. Angelelli diede in permuta ed a conto del palazzo Zambeccari nella piazza Calderini agli eredi di Filippo Lucchini li 23 dicembre 1608, come da rogito Ercole Fontana.

A quei giorni aveva botteghe da barbiere e forno; ma questo li 23 dicembre 1695 apparteneva a Giovanni Battista del fu Pierino Lucchini e si descrive per confine colle vie Altabella e Cavaliera; da lui fu poi venduto al conte Girolamo del fu Massimo Caprara per lire 9855.12, a rogito Giovanni Cesare Manolessi , col patto di francazione. Si descrive anche per casa grande con diverse botteghe, posta sotto s. Nicolò degli Albàri in confine della via Cavaliera ed Altabella.

Nel 1715 era di Antonio Piani, ultimo di sua famiglia, che lasciò tre figlie maritate, una nel tenente degli Svizzeri a guardia del Cardinale Legato, l'altra nel mercante da veli Pietro Bignami, e la terza in Fabiano Sante Matteo. Sembra che in divisione toccasse alla signora Bignami.

Si passa la via degli Albàri.

NN. 1634, 1635. Casa con torre, che si vuole quella di Giovanni Mezzovillani, famiglia ascritta alla compagnia dei Toschi e della fazione Geremei e Scacchese, la quale si crede esercitasse l' arte delle lane nel XIII secolo.

Si diceva prima dei Monzagni e fu un Mezzovillano Rolandini, che diede il nuovo cognome alla sua famiglia.

Frate Antonio di Giovanni Francesco si addottorò in teologia li 28 gennaio 161 I , e dopo di lui non si trova più mentovato il cognome Mezzovillani.

D. Pietro Fabro, fatto curato di s. Michele del Mercato di mezzo li 5 ottobre 1378, e morto del 1425, come da rogito di Filippo Formaglini, fu egli che lasciò manoscritto un Diario dei suoi tempi, nel quale descrive diversi fatti relativi a questa casa.

1411. Alli 29 luglio. Fu tagliata la testa sulla piazza a Pietro del fu Nicolò Gilleni, pescatore, del Casale dei Gilleni di strada s. Donato, ma abitante nella casa che si chiamava Altabella, di sotto del vescovato, per la via delle Selle, che confina colla casa della compagnia dei Fabbri, colla via pubblica davanti e dal lato verso s. Nicolò degli Albàri, e quasi rimpetto le case che furono anticamente di Giacomo di Nicolò Garsendino, drappiere.

1412. Li 11 maggio. Matteo e Giovanni Pietro Golino fecero donazione inter vivos a Giovanni Golino di due case contigue, una detta Altabella , l' altra Papardella, poste sotto la cappella dei Ss. Sinesio e Teopompo, in confine della congregazione dell' arte dei Fabbri, della via pubblica da due lati, e della casa di un Matteo di Nicolò Garisendi. rogito Lodovico Codagnelli.

La casa predetta, abitata dal Garisendi, era enfiteotica dell'arte dei calzolari, e loro fu locata li 4 marzo 1347, a rogito d'Alberto Bencivenni; la detta arte poi la vendette li 17 giugno 1413 per lire 1260 pagate a Giovanni Golino, rinunziando il Garisendi ad ogni suo gius, che sopra vi aveva, come da rogito Pietro Bruni.

1413. Il 22 agosto. Morì Nicola di Merigo, pubblico usuraio e grandissimo ricco, che stava in una bella casa dinanzi al vescovato, andando verso le case di Giovanni di Ligo, rimpetto la torre chiamata Altabella. Ai giorni del Fabro cronista, la strada si diceva ancora delle Selle, e questa casa era conosciuta per Altabella; sembra adunque che da questa sia derivato il nuovo nome di Altabella, dato di poi alla contrada e non dalla torre Azzoguidi, (poi Ramponi e Muzzarelli, ora Guarmani) come pretende il Salaroli, e come si dice volgarmente.

1577. Li 4 luglio. Giovanni Battista Calvi vendette a Virgilio del fu senatore Bonaparte Ghisilieri per lire 12750 una casa grande sotto s. Nicolò degli Albàri, in confine della compagnia dei Fabbri, degli eredi di Filippo Manzoli e delle strade da due lati, come risulta da rogito Tommaso Passarotti.

Francesco Maria Lucrezio e Virgilio del fu Fausto Ghisilieri li 23 ottobre 1579 (orig. 1709 ? Breventani) la vendettero a Marcantonio del fu Carlo Carrazzi per lire 13300, rogito Antonio Malesardi e Giulio Cesare Casarenghi.

1614. Li 18 febbraio. II detto Carrazzi l'alienò ad Antonio Galeazzo del fu senatore Cesare Malvasia per lire 15500, a rogito Ercole Fontana. Questa casa fu abitata dal canonico conte Carlo Cesare, figlio naturale del suddetto conte Antonio Galeazzo Malvasia, celebre scrittore della Felsina Pittrice e di altre opere, il quale testò li 22 dicembre 1692, a rogito Bartolomeo Marsimigli, e morì li 9 marzo 1693. Si sa che questo autore aveva raccolte moltissime memorie e notizie, alcune delle quali perdute, altre forse giacenti in qualche archivio, essendochè i suoi eredi non posseggono alcuna autografa di lui scrittura. La raccolta Guidicini però possiede un Volume della Felsina Pittrice fregiato di note autografe del medesimo.

Il conte Giuseppe, zio di altro conte Cesare e senatore, rifabbricò ed abbellì questo stabile , nella quale circostanza si scoperse la torre anzidetta.

1741. Li 5 gennaio. A rogito di Nicola Antonio Coli, lo stabile fu comprato da Giuseppe Maria del fu cav. Amedeo Stella per lire 19750, vendutogli dall'anzidetto Malvasia.

Il conte Giovanni Paolo Stella lo rivendette nel 1780 ad Ignazio Babini per lire 24000.

N. 1633. Residenza dell'arte dei Fabbri.

Gli statuti più antichi presso quest'arte furono formati nel dicembre 1262, ed altri nel 6 dicembre 1265, a rogito di Guido Galutio, notaio della compagnia, e di Bonifazio Borati, notaio di palazzo. Secondo poi l' Orlandi, gli statuti sarebbero del 1281, 1305, 1317, 1341, 1351, 1397, inediti, poi stampati e riformati nel 1580.

La compagnia aveva un libro manoscritto, nel quale si tenevano notate le autorità dei massari dell'arte, pel magistrato di collegio.

Li citati statuti comprovano che formò corporazione o collegio assai prima del 1407, nel qual anno vuole lo storiografo Masini che siasi innalzata a grado di Università artistica.

Li suoi obbedienti erano li venditori d'ogni sorta di metallo lavorato e non lavorato, li bicchierai, li pignattari e li boccalari.

La società acquistò lo stabile, mediante Francesco di mastro Donduccio medico, e Beltramo di Giovanni Beltrami massaro, nel 1351.

Fu il cardinale Legato Bessarione che alli 17 aprile 1450 concesse alla Compagnia dei Fabbri di poter incettare e vendere carbone all'ingrosso ed al minuto ed anche di bollare le stadere, i passi, le bilancie e capre, ritenendone il provento sotto condizione che dovesse la compagnia a ricambio mantenere in ogni tempo fornita la città di carbone pei minuti bisogni della classe povera, vietandosene ad ognun altro l'incettazione.

Il protettore dei Fabbri, s. Alò, era venerato nella cappella di questa residenza, che fu soppressa li 26 marzo 1797, incamerandone i beni, che vennero poi restituiti nel 1800. Le pitture ch' eranvi entro e fuori, in diversi modi furono sparse e rovinate: non resta di esse ricordanza che nelle vecchie guide di Bologna. Lo stabile fu poi comprato da Luigi Zamboni; confinava a levante con la casa d' Ignazio Babini, a ponente colla via di s. Alò e a mezzodì con quella di Altabella. a settentrione col compratore.

Si passa la via del Carbone , oggi detta via di s. Alò.

L' altissimo porticato, che dalla via di s. Alò termina al campanile di s. Pietro, una parte si dice fatta dal vescovo Enrico della Fratta nel 1220, ed è quella verso ponente, l'altra verso levante di costruzione posteriore fecesi costruire dal cardinale Gabriele Paleotti, primo arcivescovo di Bologna.

La differenza era manifesta prima dei ristauri fatti dall' arcivescovo cardinale Oppizzoni.

Che poi sia dovuto ad Enrico il principio di questa fabbrica grandiosa, non vi ha che un solo storico, il quale sotto la data dell'anno 1219 dice: "Diede principio il vescovo della città a quella parte del palazzo del vescovato, che comincia dal campanile della chiesa di s. Pietro e guarda a mezzogiorno, ove si veggono quelle alte volte sostenute da grosse colonne di mattoni. Nel 1359, Giovanni de Naso restaurò l'episcopio ad aquilone e lo congiunse alla chiesa dei Ss. Sinesio e Teopompo".

Il cardinale Paleotti prenominato , con architettura di Domenico Tibaldi , bolognese, ornò di facciata il palazzo, e fece vari appartamenti, e vi mise una biblioteca, la quale fu poi ampliata, e della quale si ha un catalogo a stampa dato a tempo del cardinale Lambertini, poi pontefice Benedetto XIV.

Il lodato cardinale Oppizzoni da molti anni non cessò di fabbricarvi internamente ed esternamente con indicibile sontuosità, e con infinita spesa: rifondò altra biblioteca, oggi ampliata, e riordinò in ampie sale il grande archivio arcivescovile, ricco di antichi storico-ecclesiastici documenti.

N.1632, segnato nell'arco, introduce al riabbellito cortile dell'arcivescovato, reso sì grandioso dal cardinale arcivescovo Vincenzo Malvezzi, che lo vide terminato li 29 febbraio 1772. Il gran cancello di ferro fu collocato il sabbato 8 luglio 1775. In faccia al detto arco si scopre il prospetto del palazzo arcivescovile, sull'origine del quale mancano dettagliate notizie. Sappiamo che nel 1287 i notari si radunavano nel palazzo vescovile; che nel 1353 il vescovo fece fare molte abitazioni nell'episcopio; e che nel 1359 il vescovo Giovanni de Naso restaurò il palazzo verso settentrione, e Io congiunse alla chiesa dei Ss. Sinesio e Teopompo. la quale era nella piazzetta delle stalle arcivescovili, dove, non ha molto, vedevansi ancora le armi del vescovo predetto. La chiesa summentovata fu parrocchia, soppressa nel 1566, e servì ad ampliare l'arcivescovato verso tramontana. Nel 1577 il palazzo all'interno come all'esterno fu rifabbricato con disegno del nominato Tibaldi a spese del cardinale Paleotti. Questo vasto palazzo fu da ultimo sontuosamente esaurito, non eccettuate l'altre adiacenze, dal cardinale arcivescovo Oppizzoni.

N.1631. Era per indicare la porta d'ingresso alla residenza dei collegi di gius civile e canonico, di filosofia, di medicina e di sacra teologia. Dell'antichità del detto collegio ne abbiamo una prova da Oddofredo che dice: "1179. Antiqui Doctores dum convenissent in ecclesia s. Petri pro quadam examinatione". Con che sembra indicarsi che prima del 1200 li dottori si radunassero collegialmente in s. Pietro, cattedrale, per dar esami , e forse per conferire i gradi dottorali.

Lo storico Alidosi scrisse che li collegi dei dottori si radunavano dove è ora la sacrestia nuova di s. Pietro.

1367. Li 4 marzo. Le costituzioni, gli statuti ed ordini generali dei dottori e giudici dello studio pubblico di Bologna, si compilarono da Nicola da Zappolino, da Andrea de Buoi , Giovanni Capi , Pasio Sabattini , Giovanni da s. Agata, Nicola Aldrovandi, Bernardo Zambeccari, Antonio Albergati, Floriano Sampieri.

Questi due ultimi erano sindaci e consiglieri dello studio stesso per la pubblica disciplina ed emendazione, autorità e potestà del detto collegio, e professori nel medesimo per le leggi canoniche e civili, sue autorità e giurisdizioni, secondo lo statuto risguardante l'amministrazione e forma della giustizia, rogito Sinibaldo Torri.

Il collegio dei Teologi aveva membri N. 24

Quello di gius canonico e civile 35

Quello di medicina 16

Il canonico 12

Il civile 16

Ciascuno dei detti collegi aveva tre sopranumerari. Quattro collegiati di ciascun ius erano sindaci della Dogana Grossa, ed uno di essi presidente del Monte di Pietà; carica, che si rinnovava ogni triennio.

Monsignor arcidiacono della cattedrale era cancelliere dell'Università degli studi. Il collegio di filosofia e medicina pretendeva, ma senza prove, che li suoi statuti rimontassero al 1156, forse perchè Ugo degli Alberici, di porta Ravennate, era dottore in arti nel precitato anno.

Gli statuti furono riformati nel 1358.

Nel 1574 questo medico collegio fu il primo a comporre ed approvare l'Antidottario bolognese, poichè era di sua competenza giudicare dei medicinali e creare il priore e li membri del protomedicato, del quale erano dieci numerari e sei sopranumerari in filosofia, dodici numerari e tre sopranumerari in medicina, ed un numero indeterminato di onorari che godevano del titolo di dottori in filosofia e medicina. Il collegio dei teologi fu eretto nel 1362 a promozione di s. Pier Thoma, carmelitano.

Il cancelliere perpetuo di questo collegio era il vescovo di Bologna, il vice cancelliere, il vicario generale; e quando vacava la chiesa episcopale, era il vicario capitolare.

Fino al 1622 il numero dei dottori collegiati fu indeterminato, poi nel 1623 fu fissato a 24 numerari o seniori, ed a 12 sopranumerari o iuniori.

Nel 1737 si stabilì che nelle aggregazioni si osservasse l'alternativa fra li teologi secolari e li teologi regolari. Quando si conferiva la laurea ad un teologo nazionale, suonava la campana grossa di s. Pietro; e quando si dava ad un estero, suonava la piccola. Ciascun collegio esaminava gli aspiranti al dottorato delle rispettive facoltà, e la laurea era conferita dall'Arcidiacono della Metropolitana.

Il collegio dei teologi compariva la prima volta in pubblico con mozzetta pavonazza, foderata di rosso e contornata di pelo bianco, li 14 gennaio 1640.

1587. Li 30 aprile. Il cardinale Paleotti, primo arcivescovo di Bologna, considerata l'angustia del locale dove si radunavano li dottori di leggi e medicina, che era o la sagrestia grande, o la piccola della cattedrale, si determinò di concedere un suolo o terreno sotto li tetti del palazzo arcivescovile dalla parte di settentrione , ossia del cortile dell'arcivescovato, in confine della via pubblica mediante il portico di detto palazzo a mezzodì, piedi 13 in larghezza e piedi 21 in lunghezza, distante dal campanile piedi 69, da misurarsi dalla detta torre e continuare verso oriente sino alla completa predetta misura; dopo di che comprendere il suolo concesso verso oriente, ammettendo in detta concessione tutto quanto esiste sopra detto suolo, locato fino all' infrascritto granaio. Al piano del granaio inoltre vennero concessi piedi 85 in lunghezza e piedi 21 in larghezza sotto il tetto del palazzo, ed in certa parte sopra le volte del portico, ed in parte sopra l'abitazione del sagrista, del campanaro e del maestro di grammatica dei chierici; il qual granaio confina col campanile ad occidente, colla via pubblica a mezzodì, e l'arcivescovato dalle altre parti.

Il piano di detto granaio è alto da terra piedi 25, e dal detto piano alla sommità del tetto piedi 25. Confina il cortile del palazzo a settentrione e la via pubblica con portico a mezzodì.

Questa concessione riguarda il primo piano superiore.

Essendosi edificata la scala, la loggia, la cappella e camere in forma decorosa, onorifica e di tale capacità per conferire le lauree, si trovò che nella parte superiore mancava il modo di continuar la scala, ampia e decente; quindi l'arcivescovo Paleotti acciocchè si perfezionasse la scala, si ampliasse la loggia e si aumentasse una camera, necessaria alle radunanze e congregazioni del Collegio, accordò altra parte di granaio larga piedi 14, once 6 e lunga piedi 31, posta sopra la scuola di grammatica dei chierici, in confine della loggia suddetta ad occidente della cappella nuovamente costrutta, della via pubblica a mezzodì, e del cortile arcivescovile a settentrione.

Il piano del granaio era alto da terra pertiche 25 e dal detto piano al tetto pertiche 18, permettendo che si prendesse lume dal cortile.

1507. Alli 30 ottobre. I Sindaci della Gabella Grossa prendevano in enfiteusi, dallo stesso cardinale Paleotti, per annue lire 80, certo suolo e granaio del palazzo arcivescovile, come da rogito Francesco Barbadori, ed alli 21 luglio 1592 esso cardinale accordava il restante del suddetto granaio per libbre tre di cera. Rogito del detto Barbadori.

1787. Li 29 dicembre. Fu rinnovata dalla Mensa Arcivescovile la locazione alla Gabella Grossa del suolo e terreno, su cui sta fabbricata la scala grande a quattro rampanti con in capo ad essa una loggia consacra cappellina dedicata all' Assunta, e stanza annessa da una parte, e dall' altra una sala grande e due camere, acciò servissero per residenza dei collegi pontificio e cesareo, filosofico e medico, teologo e degli avvocati, posto al piano terreno presso il tempio di s. Pietro accanto del cortile arcivescovile, da cui ha lume, siccome anche dalla strada, per l' annuo canone di libbre 6 di cera al tempio di s. Pietro, e di lire 80, sinchè fosse un capitale di monte da render ogni anno le dette lire 80. Rogito Gaspare Sacchetti.

1798. In aprile. Li sunnominati collegi furono soppressi; la conferma loro ebbe luogo alli 23 settembre 1799, poscia nel di 29 luglio 1800 furono aboliti ed i beni incamerati. Distrutta la cappella e messa ad altro uso la residenza, ritornò il tutto in libera proprietà dell' Arcivescovato, il quale ha ridotto l'insieme del piano a comodo del copiosissimo suo archivio e degli uffizi addetti al medesimo, aprendo una porta nel cortile, per la quale, mediante nuova scala, si accede all' archivio già descritto, in cui si conservano gì'indicati documenti preziosi e relativi anche al famoso studio di Bologna, chiudendo l' antica porta sotto il portico.

Aderente alla torre delle campane verso ponente vi era la porta laterale della chiesa di s. Pietro detta dei Leoni, che per qualche tempo diede il nome di via dei Leoni alla via delle Selle. L' Alberti cosi la descrive: "Essa mira al mezzodì; chiamata la porta dei Leoni, per esser parte di essa sostenuta da due grandi Leoni di marmo fatti da Ventura, eccellente statuario secondo quella età. Certamente è quella molto artificiosa opera. Conciosiacosachè appaiono nel primo prospetto due grandi Leoni (come dicemmo) di marmo rosso, cioè uno per lato a sostenere le due prime colonne, sopra le quali è piantato un artificioso arco, altre cui vedonsi due huomini a sedere, uno giovane, l'altro vecchio molto barbuto, diversamente con le spalle sostenendo una colonna per ciascuno, molto egregiamente condotte, perchè quella che è sostenuta dal giovane ella è ritorta e striata, e quella altra dal vecchio contenuta da mezzo in giù, a quattro colonne, ella è cavata, e parimenti cosi il resto è condutto, essendo poi la parte di sopra con la parte di sotto congiunta con le sommità di quelle contorte e cannellate. Sopra li capitelli di dette colonne fermasi un arco di marmo intagliato di bei lavori. Per alquanto spazio insurgono poi alcune sottili colonne poste sopra le basi fermate nel pavimento. Finisce l'arco alle colonne principiato che riposano sopra le spalle dei due huomini, alle colonne sostentate dai lioni. Partito è detto arco in dodici parti, dinotando li 12 mesi dell' anno alli quali correspondono li 12 segni celesti, e significano le due parti dell' anno delle quali una cresce e l' altra decresce. Denotano quelli due huomini. uno la prima età dell' anno, cioè il giovine sostenendo la ritorta colonna. dimostrando questa parte esser molto dubiosa di quanto ha da seguitare, e il vecchio l'altra metà, che declina alla vecchiezza, avendo bisogno di solido sostegno, tenendo l' otto colonne nel mezzo cannellate. Poi da amendue li lati della porta vedonsi quelle sottili colonne poste sopra la base nel pavimento fermate, con gli accomodati capitelli ornate, sostenendo alcuni artificiosi archi, nel mezzo delli quali sopra la porta appare l'immagine di Cristo nostro Salvatore avendo alla destra l' immagine di s. Pietro con lo Sole sopra lo capo, e alla sinistra s. Paolo con la Luna. Vi sono altre figure d' animali, e in vero fu fatta con gran magistero, ingegno e spese, tal cosa".

Questa porta fu levata nel settembre 1593, e per tale occasione la strada fu abbassata di tre piedi. Il Crespi, continuatore della Felsina pittrice, scrittore non sempre esatto, non si sa dove abbia trovato ricordo, per cui questa porta fosse la principale della chiesa.

Del 1593, 17 settembre, si ha per memoriale degli Assunti della fabbrica della metropolitana la notizia di por fittoni attorno al sagrato. altre volte chiuso col muro verso mezzogiorno rincontro al casamento Malvezzi.

Allabella a sinistra entrandovi per via Cavaliera.

N.1620. In questa casa che aveva portico atterrato nel 1824, vi erano scolpite nella facciata le armi dei Bentivogli dominanti, ai quali aveva appartenuta. Fu di Frangino Gozzadini, e del 1573 di Cornelio Canonici. 1652. 27 giugno. A rogito Lelio Roffeni, fu divisa fra il canonico Gio. Battista Giovagnoni , conte Antonio Francesco, Vincenzo e Giulio Cesare del conte Gio. Giovagnoni, e pare come successori Lucchini.

L'erede del predetto canonico fu il conte Carlo Giovagnoni, che li 6 maggio 1682, a rogito Carlo Monari, testò a favore del marchese Fabio Antonio Fabri, suo nipote, ex sorore.

Nel 1735 confinava con Francesco e fratelli Fabri successori del conte Fava, di dietro con un vicolo privato che sbocca in via Cavaliera presso Posteria della Pigna. e davanti colla via Altabella.

Fabio Fabri canonico della collegiata di s. Petronio, ultimo di sua famiglia, morto li 10 agosto 1623, la rifabbricò , e ne lasciò erede Virginia di Antonio sua sorella, e moglie di Sante di Giacomo di Achille Stancari da Crevalcore.

Il dì 1 febbraio 1772, il marchese Gio. Carlo Fibbia Fabri vendette al Monte Matrimonio per lire 16400 una casa nobile, in Altabella, sotto s. Nicolò degli Albàri, che confina colla suddetta strada e vicolo Gorgadello nella parte posteriore, col notaro Gio. Antonio Calisti successore Fabri dalle Spomiglie a ponente e a levante con beni di Domenico Ferranti. Rogito Giuseppe Nanni e Gio. Antonio Lodi.

1780. Li 4 novembre. Per rogito Gio. Antonio Lodi, gli amministratori del Monte matrimonio comprarono dalli nobili uomini padre e figlio Maioli di Ravenna, parte di casa sotto s. Nicolò degli Albàri, nel vicolo della Pigna detto Belfiore, rimpetto allo stradello di s. Giobbe. Confina coi compratori e col detto vicolo, col senatore Giacomo Pietramellara, proprietario del resto della predetta casa, pagata lire 1200.

1782. Li 14 dicembre. Da essi Assunti del detto Monte si comprò dal marchese Gio. Antonio e fratelli Pietramellara il resto della predetta casa per lire 2359. 3. 4 a rogito Gio. Antonio Lodi.

Il summenzionato Pietramellara la possedeva, come erede d'Antonio del fu Sebastiano Locatelli, in vigore del suo testamento del 13 ottobre 1630, a rogito Giovanni Balzani.

La indicata porzione di casa è in uno stradello morto presso s. Giobbe, esistente quasi rimpetto allo stradello che traversa la via della Pigna. Confina a levante con quel vicolo morto, a mezzodì colli beni del parroco della Selva, a ponente con uno stabile di Nicolò Sedazzi, a settentrione coi compratori.

Il Monte matrimonio fu ideato da Marcantonio Battilana, dal quale si diede supplica al Senato nel di 8 giugno 1583, intitolandosi fondatore dell'ospitale di s. Francesco della confraternita dei Poveri, appellato della Regina de' Cieli ed anche del Monastero delle Cappuccine. per avere qualche soccorso, onde erigere l' accennato Monte matrimonio, che fu aperto li 12 marzo 1582.

Li suoi statuti furono stampati nel 1583, ed approvati da papa Sisto V. li 9 maggio 1586.

Il primo a metter denaro in questo fu Gio. Masi, orefice, che vi pose lire 25 a benefizio di un suo figliuolo. Il governo o l' amministrazione di questo monte si mantenne sempre secondo le disposizioni di sua prima instituzione, ed essendo considerato di privato diritto, non fu concentrato nel 1807 colla grande opera di carità.

NN.1621. 1622. 1623. Case con torre anticamente di Giacomo e Nicolò Garisendini, drappieri, poi nel 1371, 6 febbraio, di Nicolò e Giacomo Garisendini, successori degli eredi di Ferdinando Giovanni di Belondina. Nel 1573 Andrea Aimerici vendette al canonico Filippo e fratelli Dal Pino, e a Cornelio Canonici quattro case, ridotte poi a due, e cioè il N. 1621 e 1622 poste sotto s. Nicolò degli Albàri, ed una di sotto a s. Lorenzo dei Guerrini, per lire 12400. Confinano il vicolo Gorgadello, il Collegio di Spagna e le case Ludovisi e degli eredi di Lorenzo Dal Pino a ponente, gli eredi di Frangino Gozzadini, ora Cornelio Canonici in parte.

Il N. 1621 restò ad esso Canonici, da lui passò ai Giovagnoni, ai Fabri, agli Oretti , ed ultimamente al notaio Modesto Calisti, la cui unica figlia ha portato l'eredità del padre al dottor Filippo del dottor Antonio Camillo Guermani, suo marito.

Il N.1622 dai Pini passò ai Fabri, sopranominati dalle Spumiglie, perchè fabbricatori di spumiglie, l' ultimo dei quali fu Mercantonio, morto li 21 luglio 1750, che lasciò erede Gioseffo e Marcello Oretti, fratelli del dottor medico Francesco e figli di Camilla Fabri, di lui sorella e li Scarani.

Toccarono agli Oretti le suddette case in quota della loro eredità, poi agli Oretti quindi ai Landi e compagni, che vi stabilirono la fabbrica delle tele.

N.1623. Casa, ch'era nel 1413 di Nicola di Merigo, forse Aimerigo, grande usuraio, e sommamente ricco, morto in una bella casa dinanzi al vescovato, andando verso le case di Giovanni di Ligo, rimpetto la casa chiamata Altabella; fu poi dei Fantini.

Francesco e Mercantonio Fantini li 29 aprile 1553 assolvono Giovanni e fratelli Dal Pino del prezzo di una casa grande, in Altabella davanti, ed in Gorgadello di dietro, confinante Nicolò degli Aimerici e Muzzarelli di Ferrara come da rogito Antonio Mammellini ed Andrea Serafini.

Ai 9 giugno 1573, comprarono il canonico Filippo e fratelli Dal Pino e Cornelio Canonici, da Andrea Aimerici, quattro case sotto s. Nicolò degli Albàri e di s. Lorenzo dei Guerini per lire 12400; confinanti Gorgadello di dietro, presso gli eredi di Lorenzo Dal Pino di sopra, presso gli eredi di Frangino Gozzadini, ora Cornelio Canonici, e di dietro il Collegio di Spagna e Ludovisi.

1596. Li 11 gennaio. Il dottor Vincenzo Banzi, comprò dalla Lucia Neri vedova Camaruzzi, e da Andrea e fratelli Camaruzzi, una casa sotto s. Nicolò degli Albàri ed alcune stanze che fanno parte della casa dei Dal Pino per lire 1400, rogito Achille Canonici. Aveva portico e confinava la via da due lati ed altri beni dei Dal Pino.

Lo stesso dottor Vincenzo Banzi il 1. febbraio 1608, compra dalli Canonici Lorenzo e fratelli Dal Pino una casa grande sotto s. Nicolò degli Albàri, ed altre due case con una stalla unita alla suddetta casa grande. Confina coi Muzzarelli, ossia Raimondo Ramponi, li Zanettini mediante corte, e le strade davanti e di dietro, e la casa detta la Torre, la quale dovrebb' essere il N. 1622. Questa pure fu degli Oretti indi dei Landi e compagni per la fabbrica delle tele.

N. 1624. Nell'uffizio del registro 64, foglio 188, colla data 21 marzo 1486. Baldassare del fu Melchiorre Azzoguidi, cittadino della cappella di s. Nicolò degli Albàri , vende a Lippo del fu Lodovico Muzzarelli, cittadino di Bologna, per lire 308, una torre (l'Altabella) posta in cappella de' Ss. Senesio e Teopompo, la quale del 1441 dagli Azzoguidi era stata locata per 29 anni ad Antonio Consaldi per l'annuo affitto di lire 7. 10.

Questa torre si dice fabbricata del 1401, ignorandosi chi ne fosse l'autore o architetto.

Dalle frasi usate nel suddetto contratto pare che gli Azzoguidi fossero padroni della sola torre; d' altronde sappiamo che la famiglia Azzoguidi aveva casa con torre in via Cavaliera rimpetto a s. Nicolò degli Albàri. come anche apparisce per riferto d'atti del 21 marzo 1486.

È certo che i Muzzarelli avevano una casa unita alla detta torre, che Borso Muzzarelli diede a livello per anni 29 e per annui scudi 60 d'oro ad Antonio e Guido Cesare, fratelli Scappi, li 13 gennaio 1576, come rilevasi da rogito Luca Zanini.

1580. Li 23 dicembre. Antonio e fratelli Scappi vendettero a Raimondo Ferri Ramponi gli emponemi di una casa sotto s. Nicolò degli Albàri, di dominio diretto del mentovato Borso Muzzarelli, ferrarese, per lire 2500, che confina ad oriente cogli eredi di Lorenzo Dal Pino a mezzodì cogli eredi Zanettini, a settentrione ed a sera colle strade già descritte, come da rogito Girolamo Folchi e Baldanza Vornetti del 29 dicembre.

Il nominato Muzzarelli concede in enfiteusi al dottor Raimondo del fu Giovanni Ferri Ramponi una casa con torre e con una stalla posta sotto s. .Nicolò degli Albàri; la quale confina ad oriente cogli eredi di Lorenzo Pini, a mezzodì col Zanettini ed a settentrione ed a sera colla via pubblica, rogito Luca Nanni notaro di Ferrara delli 29 dicembre 1581.

In faccia alla porta si vedevano le armi gentilizie Ramponi e Muzzarelli.

Essendo stati eredi dei Ferri Ramponi li Bonfiglioli, si trova che alli 26 gennaio 1662, il senatore Lelio Bonfiglioli vende al conte Francesco Muzzarelli una casa con torre e tre botteghe sotto s. Nicolò degli Albàri per lire 3000, come da rogito Bartolomeo Massimigli.

1761. Li 3 dicembre. In detta casa morì il proprietario conte Luigi Muzzarelli, e gli eredi la diedero in livello a Luigi di Francesco Mignani, che la ristaurò nel 1781, e dopo il Mignani passò al dottor Antonio Guarmani, che francò il canone e si rese proprietario della medesima.

Si passa la via di Venezia.

N.1625. Casa che fu del 1516 di Domenico de Argelata, indi de' Bottrigari ; passò ai Granata, poi fu messa alla subasta e comprata li 24 ottobre 1695 da monsignore Giovanni, d'altro Giovanni Claudis, per lire 6501.10. rogito Orazio Vanotti. Confinava a levante colla via di Venezia, dove sembra avesse l' ingresso, a mezzodì con un casamento Bottrigari, ed in parte anche de' beni di pertinenza del patrimonio o parrocchia s. Michele de' Leprosetti, a ponente ed a settentrione con la via Altabella summenzionata.

Nel 1715 era del Capitolo di s. Pietro, indi dei Vaccari, della cui famiglia un prete e dottore l'aggrandì con due case vendutegli dai Bottrigari, rifabbricandola nel 1784.

Fu ereditata dal notaio Enrico Magnoni, marito d'una Vaccari, erede, che la vendette al mercante modista Momolo Croffi, il quale l' alienò nel 1825 vendendola al negoziante Rizzoli.

N. 1626. Si dice che questa fosse la casa degli Occelletti.

Nel 1401, li 6 settembre, era abitata da Nicolò del fu Bartolomeo da s. Pietro, notaro e preposto all'Uffizio delle Bollette per Giovanni I Bentivogli, al qual Nicolò fu tagliata la testa in detto giorno, che era di martedì, per non avere rivelato una congiura contro il Bentivogli.

Questa casa vuolsi che fosse rimpetto alla porta dei Leoni, o incontro alla sagristia di s. Pietro cattedrale. Indi passò alla parrocchia di s. Michele dei Leprosetti, cui apparteneva ancora del 1795.

Fu dappoi acquistata dal cardinale arcivescovo Oppizzoni, che la rifabbricò dalle fondamenta e l' ampliò, unendovi la chiesa e canonica, che fu di s. Maria degli Uccelletti, donando al pubblico quell'arco del portico disformante e restringente la via Altabella; detta casa si cominciò a demolire li 25 novembre 18I7 e si scopersero, scavando le cantine, molti grossissimi pezzi di gesso, lunghi piedi 6, che furono giudicati per la base di una antica torre.

Si passa la via di Roma.

N.1741 e 1724. Casa con torre, che ha ingresso nella via di Roma. In antico appartenne alla famiglia nominata i Malconsigli.

Trovasi che li 4 marzo 1516 Lucia del fu Battista Lanzoni, vedova di Bernardino Tovagliaro, comprò da Girolamo Nicolò e Teseo del fu Orlando Campana una casa sotto alla cappella di s. Maria degli Uccelletti, rincontro il campanile di s. Pietro, in confine colla via pubblica da due Iati e con Domenico da Argelata dagli altri due per lire 300, come da rogito Vitale Mantachetti.

In appresso servi di residenza all'arte dei Fornari, i quali congregandosi, secondo che scrisse il Masini, vi avevano la loro cappella, ovvero oratorio, dedicato a s. Lorenzo. Gli statuti dei Fornari datano dal 1405, secondo il citato Orlandi. Alli 19 aprile 1614 la fabbrica di s. Pietro comprò dai PP. Eremitani Agostiniani di s. Giacomo una casa sotto s. Michele del Mercato di Mezzo, dalla parte opposta alla porta grande dell' Arcivescovato ed alla torre di s. Pietro. Confina colla strada, che è fra detta casa e che va al Mercato di Mezzo verso la Spezieria della Campana, li beni della società dei Fornari, eredi e successori del fu Zanino Magnani, appartenenti a detti venditori, rogito Baldanza Vornetti ed Annibale Ostesani.

La società dei Fornari, che aveva quivi sua residenza, fu soppressa nel gennaio 1603. Qui fu stabilito il così detto forno della Mensa, il quale godeva molti privilegi ed esenzioni , coll'obbligo però di comprare il frumento dai beni del clero e delle decime, a bajocchi 15 la corba, più del calmiere.

Correzione CP2015 N.1741,1724 in origine

Si passa la via Napoli.

NN.1627 e 1628. Uno dei locali del Monte di Pietà, nel quale vi era il Monte di s. Antonio abbate, che riceveva in deposito e pegno canepa; quello di s. Domenico, gioie, oro, argento ed arnesi; e quello di s. Francesco, per soli arnesi ad uso de' mestieri o delle arti manuali e industriali. Quivi era un palazzo dei Malvezzi , del ramo discendente dal senatore Giovanni Battista, il quale come caro a Leon X ed alla famiglia Medici n'ebbe in dono l'arme ed il cognome Medici. Pannina di Filippo fu l' ultima dei Malvezzi Medici, che ne portò il libero possesso al conte Fulvio Bentivogli, di lei marito, e segnatamente la privativa della fabbrica dei bicchieri concessa da Papa Leone X a Lorenzo dell' anzidetto Battista di Giovanni; ma il fidecommesso passò al ramo di Aldrobandino Malvezzi, della famiglia detta in oggi del Portico bujo.

Li 3 ottobre 1755, i presidenti del Monte di Pietà promisero a Lucio di Giuseppe Nicolò Malvezzi di acquistare questo stabile e le sue adiacenze per lire 24000, nel quale trovavasi la Posta delle lettere e la rinomata stamperia di Lelio della Volpe, che qui ebbe suo principio ed incremento.

La fabbrica ed officina tipografica fu cominciata li 26 settembre 1755, compita ed abitata nell'ottobre 1761, colla spesa di lire 181278. 14.

Notabile è la stamperia suddetta per essere stata il convegno de' nostri letterati e scienziati nello scorso secolo, quali furono i Manfredi, i Zanotti, i Martelli, Fabri, Ghedini, Palcani ed altri di bella rinomanza.

Nel 1776. La porzione dell'Archivio Criminale, che comprende gli atti del secolo XIII a tutto il secolo XVII, fu collocata nelle camere superiori di questo fabbricato ad uso deposito o Monte della Canepa, al quale vi si saliva per una scala appositamente costrutta che aveva ingresso dalla via di Napoli. Egli è a deplorare che la infedeltà di un impiegato disperdesse le più antiche pergamene, vendute ai battilori, ai fabbricatori d' acquavite e ad alcuni particolari, e ciò a sommo danno della storia patria, e specialmente quelle in relazione ai tempi delle faziose gare de' Guelfi e Ghibellini, alias Geremei e Lambertazzi, per le quali accaddero tante stragi e rovine in Bologna.

Seguita la spogliazione dei Monti di questa città nel luglio 1796, poscia essendo decretato ai 17 del mese medesimo e pubblicato nel successivo 11 agosto 1807 il concentramento di tutte le amministrazioni di pubblica beneficenza in una sola azienda, vi s' appose il titolo di Opera di Carità, la quale fu installata nel 1 marzo 1808. Sifatta nuova e generale amministrazione fu composta di dodici individui, e si radunò provvisoriamente nell'Oratorio ed annessi locali della compagnia della Vita, posto nella via delle Clavature, fin chè questo locale designato non fu reso atto a ricevere l' amministrazione qui eretta col suo Ministero.

I luoghi Pii uniti in essa congregazione furono li seguenti:

ORFANOTROFJ PE' RAGAZZI

S. Bartolomeo di Reno.

S. Onofrio, alias della Maddalena.

S. Marta, a cui erano uniti li Raminghi, detta perciò Pietà dei Mendicanti.

CONSERVATORJ PER ZITELLE

S. Croce, unito a s. Giuseppe.

Baraccano, unito a s. Marta.

S. Catterina e s. Gregorio fuori.

Santissima Annunziata del Padre Calini.

Monte di Pietà per prestiti sopra pegni e per le doti Torfanini.

OSPEDALI Grand' Ospedale della Vita e Morte, uniti a quelli di s. Biagio e di s. Francesco, già per Pellegrini e Convalescenti. Bastardini.

S. Orsola, unito a quelli di s. Giobbe e degli Sportini.

S. Lazzaro , pei Leprosi. S. Salvatore, per gli Abbandonati.

S. Giuseppe, per i Settuagenari, al quale era stato unito quello dei poveri preti della Nosadella.

OPERE PIE

Agonizzanti , pei Medicinali.

Opera dei Vergognosi.

Opera della Carità antica.

Opera della Misericordia.

Eredità Duglioli.

Congregazione del Rosario, per doti.

Casa di lavoro.

Non fu dato tempo a questa concentrazione , tutelata dall'arcivescovo e dalle primarie Autorità locali, di dar prova dell'utilità economica di un siffatto divisamento , esperimentato con tanto successo , pel corso di molti anni dalle più ricche capitali d' Europa. Ne avenne in seguito una vera calamità, quando le amministrazioni dei luoghi Pii furono repristinate e divise, come lo erano prima del 1807.

Ora di questo grandioso stabile n'è proprietario il Monte di Pietà e si affitta a diversi inquilini, a riserva della parte occupata dall'Archivio Criminale, in progetto d'esser trasportato in via s. Mamolo nel locale vecchio detto de' Bastardini — vedi Monte del Deposito e di s. Pietro in Galliera.

Aggiunte

1595. Li 11 gennaio. Compra il dottor Vincenzo Banzi dalla Lucia Neri, vedova Camaruzzi, una casa sotto s. Nicolò degli Albàri ed alcune stanze, che sono parte della casa dei Dal Pino, per lire 1400, a rogito Achille Canonici; la quale casa aveva portico e confinava colla via da due lati e con possedimenti Dal Pino.

1608. Li 4 giugno. Cessione fatta da Carlo e Giacomo fratelli Mangini al dottor Vincenzo Banzi di una casa sotto s. Nicolò degli Albàri nella via Altabella e di una stalla nella via dei Pini per lire 4000, come a rogito Achille Canonici.

1690. Li 31 ottobre. Casa degli eredi fiduciari del fu Vincenzo Mondini sotto la parrocchia di s. Pietro, in confina colle vie di Roma e di Napoli e col vicolo fra le due contrade: rogito Giuseppe Lodi.