Azzoguidi

Trovatisi tra i nobili di parte geremea nel 1228, ma non si veggono seguir le fazioni se non nella pace del 1279. Bianchino e Odofredo furono però citati da Enrico imperatore per causa di stato (1313). Bibliobarigi apparecchiò l'esercito del comune a richiesta di Clemente V, che intendeva a impadronirsi di Ferrara quando gli Estensi se ne contrastavano la signoria ereditaria (1308) (1). Espugnata quella città, segnatamente dal valore di 8,000 Bolognesi, il legato cardinal Pelagrua, che aveva fatto dapertutto predicar la crociata contro i Veneziani, come se si trattasse contro de' Turchi (2), chiese ai Bolognesi che alcun di loro andasse a Ferrara per trattar di ciò ch'era opportuno, e andò Bibliobarigi. Al quale fu poi commesso d' acquetar le perturbazioni popolari in Bologna (1323), le discordie e i tumulti nella Romagna, di far osservare i patti della pace conclusa tra Bolognesi e Passerino Bonacolsi signor di Mantova e di Modena (1326), non che di munire il nostro territorio, depredato dai potenti conti di Panico (3).

Maccagnano dottor di legge, ch'era già stato citato da Benedetto XII come fautore dei Pepoli, andò oratore a lui per ammansarne lo sdegno contro Bologna, che s'era lasciata imporre la signoria di cotestoro. Fu di quelli, che insieme con Taddeo Pepoli, fecero atto di sommissione al legato pontificio per ottenere ad esso Taddeo il vicariato di Bologna (4). Ed il signore, tramutato in vicario del papa, attestò a Maccagnano, poichè fu morto, la propria riconoscenza, armandone cavalieri sul sepolcro di lui i figlioletti Taddeo e Bibliobarigi, l'ultimo dei quali fu poi capitano di gran valore. Il popolo se ne compiacque, ricordando con gratitudine che in tempo di penuria Maccagnano aveva tratto dalla Cicilia gran copia di grano e fattolo vendere a buon mercato (5).

Nutriva sensi più liberi Gregorio professor di leggi, pur esso degli Azzoguidi, chè protestò arditamente contro la vendita di Bologna fatta dai Pepoli ai Visconti nel 1350 e ne impugnò la validità. Suo congiunto e contemporaneo fu Pietro rètore rinomato e amico del Petrarca (6). Non guari dopo Niccolò insegnava gius civile, e nel secolo susseguente lo insegnava Alberto, mentre Pietro professava filosofia e medicina (7).

Taddeo Azzoguidi è uno de' condottieri delle milizie bolognesi che insieme con quelle della chiesa, condotte.da Gomezio Albornoz, sconfissero a Granarolo Bernabò Visconti e gli tolsero sei bandiere (1362) (8). II qual Taddeo era per contro uno sviscerato fautore dei Pepoli e ne capitanava la fazione detta scacchese dallo stemma pepolesco. E ordì una congiura nella quale seppe attirare eziandio la fazione opposta dei maltraversi e i più potenti signori della montagna, al fine di togliere Bologna dalla soggezione della chiesa e di riporla sotto quella vendereccia dei Pepoli. La rivolta ben condotta sortì buon esito ed il legato papale (sanguinario cardinal di Ginevra, come lo qualifica il Muratori ) senza valersi dei suoi mercenarii Bretoni che l'anno dopo fecero strage dei cittadini di Cesena (9), cedette esterrefatto le fortezze e capitò tra le mani molto pericolose del montano conte di Bruscolo. L'Azzoguidi ne lo trasse a fatica, lo celò, poi accommiatollo (1376).

Prima sua cura fu di liberar Bologna anche dalle cittadelle che le erano state poste in collo alla porta del Pratello e presso le case de' Ramponi, e tosto il popolo lo soddisfece. Ma non trovò altrettanta arrendevolezza allorchè cominciò a manifestare le sue tendenze per i Pepoli, perchè il mercato da loro fatto della patria esacerbava tuttavia gli animi, sicchè l'Azzoguidi, senza giovare a' suoi prediletti, si attirò l' avversione del popolo (10). Ciò non ostante, mentre Bologna era minacciata da un esercito papale di mercenarii e i Bolognesi diffidavano dell' alleanza del Visconti e delle mene dell'Azzoguidi, costui non si stette dal perorare in consiglio per i Pepoli e di proporne il rivocamento. Gli si opposero i Bentivogli, i Gozzadini, i Bianchi e più altri, asserendo che in siffatto modo egli non si mostrava buon cittadino. Poi scesero in piazza gridando: viva il popolo e morte ai nemici della patria. L'Azzoguidi e i suoi aderenti furono imprigionati, poscia relegati a Firenze, essendosi scoperto che nella notte volevano introdurre i Pepoli per porta s. Isaia (11).

Nell' anno susseguente l' Azzoguidi e i Pepoli rompendo i confini occuparono co' loro seguaci Pianoro ed altre castella della montagna bolognese. Furono inviati a snidarneli ed a punirli fanti e cavalli, e allora chiesero mercede che fu conceduta, purchè l'Azzoguidi ed il Pepoli tornassero ai confini assegnati. Ma scorsi cinque anni (1382) i reggitori di Bologna non tenendosi sicuri dei tentativi di que' fuorusciti, posero la città e il territorio in istato di difesa (12).

Màccagnano Azzoguidi era stato involto nel bando, ma conosciutasi l'innocenza sua e di alcuni concittadini, fu loro accordato di ripatriare nel 1388 (13).

Spodestato e ucciso Giovanni I Bentivogli, rifiutata la signoria di Bologna da Nanni Gozzadini, fu lasciato arbitrio ai Bolognesi da Giangaleazzo Visconti di rimanere indipendenti o di darsi a lui. I Bolognesi preferiron d' aver un padrone e mandarono oratori a Milano (1402) per stabilire i patti della dedizione. Uno degli oratori fu Niccolò Azzoguidi, che già aveva compiuta la sua carriera di professore (14).

L' ultima di questa famiglia fu Costanza di Melchiorre, la quale, maritata nel 1555 a un Benedetti, fece passare il proprio cognome con la successione nei Zanettini di Carpi. In Bologna è tuttavia una famiglia omonima.

Gli Azzoguidi eressero quella torre che maestosa e balda s' aderge nell'angolo delle vie Altabella e Venezia (15) attirando lo sguardo de' viandanti e meritando essa pure, se non lo diede, l'epiteto d'Altabella (16). Nel 1441 era proprietà indivisa di Tommaso e di Melchiorre Azzoguidi che la diedero in enfiteusi ad Antonio Campsaldi (17). Fu venduta nel 1486 da Baldassarre Azzoguidi a Lippo Muzzarelli per 308 lire, passò nei Ferri Ramponi, tornò ai Muzzarelli che la tennero fino al declinare del secolo scorso, onde talvolta è indicata col loro casato (18).

Rimane gran parte di questa torre ch'è di stupenda costruzione e che gareggia per elevatezza con la torre dei Prendiparte, superata solo dall'Asinelli. Non essendovi scale e non importando di precisarne l'altezza, si può dire che approssimativamente è di metri 61 dal numero dei ponti che sono quaranta di metri 1,40, in circa, più lo spazio per un altro e la base. La risega esterna, a linea curva molto inclinata, essendo all'altezza di circa metri 28 (quella dell'Asinelli è a metri 34,40) e la grossezza dei muri, dimostrano che questa torre dovev'essere molto alta. Della porta in via Altabella non rimane altro che la cima del grand'arco cieco ogivale, formato da macigni cuneiformi, attorniato da listelli di mattoni ornati (fig. 11), poichè per dare largo accesso ad una bottega fu sagrificata quest' antica porta.

Fig. 11

Ogni lato della torre ha due finestre lunghe ad archi semicircolari come quelle delle altre torri, ed a quel lato che dà in via Venezia è congiunta una casa che mostra l'antica maniera di costruzione a sporti, rinforzati da puntelli di legno. Della qual maniera, e della sincrona a pilastri di legno, diminuiscono continuamente gli esempii che ci sono rimasti, sia per la diffusione dell' agiatezza e del lusso, sia per allargamenti di strade. Ma poichè per la storia dell'architettura locale giova serbar memoria di codeste fabbriche, per vero non eleganti nè sontuose, il comune non dovrebbe permetterne la demolizione se non dopo di averne fatto trarre o aver imposto al proprietario di consegnarne la fotografia.

La torre degli Azzoguidi è larga metri 9,01 per metri 8,78: i muri al primo piano sono grossi m. 2,28. La base, sormontata da un cordone, sporge metri 0,70 ad ogni canto e consta di dieci file di parallelepipedi di gesso, lunghi fino a metri 2,60 (fig. 12).

Fig. 12

Gli Azzoguidi avevano un' altra torre con casa nella vicina via Cavaliera, n. 1464, rimpetto alla chiesa di s. Niccolò degli Albari, come appare da un atto del 1375 (19) ed è ricordata dall'Alberti, dall'Indicatore e dal Guidicini (20). Ne rimane un troncone alto metri 8, largo metri 10,40 per metri 11,94, i cui muri son grossi metri 0,87.

(1) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 522, 568.

(2) Muratori, Ann. v. 12, pag. 14.

(3) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 522, 523; v. 2, pag. 43, 56, 64, 136.

(4) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 136.

(5) Ghirardacci, Hist. v. 2. pag. 173, 394.

(6) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 204, 214. Pare sia il Pietro di Bologna retore al quale il Petrarca indirizzava una lettera nel 1374 (Epist. de rebus senilibus lib. 15. epist. 10) lodandolo del coraggio mostrato in mezzo alla pestilenza che allora infuriava a Bologna non che in altre città d' Italia. Ne reco questo passo volgarizzato dal Fracassetti: « Tu dici d'aver imparato da me ad essere coraggioso; ma non sei tu che puoi dirlo, sibbene l'amore che tu mi porti. Perocché tu nulla da me potesti imparare giammai: ed io avrei potuto da te se più avessi avuto d'ingegno o di buon volere. Aggiungi che assai ti dolse l'esserti diviso troppo presto da me, e il non possedere un mio ritratto o una raccolta degli scritti miei, dai quali soleva venirti frutto e diletto. E Dio volesse che fosse vero quel che tu dici: ma consapevole a me stesso di quel che io sono per le lodi de gli amici non mi esalto, Checché ne sia mi piaccio del tuo giudizio e ne prendo argomento non del merito mio, ma della tua bontà. E ben io pure mi dolgo che tu mi sia già da tanti anni lontano, e vivamente desidero la tua presenza qui spezialmente fra questi colli Euganei... Te intanto ho presente sempre al pensiero e t' avrò finché io viva. »

(7) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 398, 610. Mazzetti, Repert., pag. 32, 33.

(8) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 265.

(9) Muratori, Ann. v. 12, pag. 597.

(10) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 340, 343, 346, 347.

(11) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 358, 359.

(12) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 358, a59, 394.

(13) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 426.

(14) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 536.

(15) Alberti, Hist. deca 1, lib. 6.

(16) In Firenze è una strada detta delle belle torri.

(17) Alidosi, Vacchettino 564 ms. fol. 39 e 43.

(18) Alidosi, Instrut. pag. 194. Guidicini, Cose not. v. 1, pag. 51, 52.

(19) Guidicini, Cose not. v. 1, pag. 376.

(20) Alberti, Hist. lib. 1, deca 6. Guidicini, Cose not. v. 1, pag. 376.