Famiglia Ludovisi

D. Gio. Battista di D. Nicolo, senator VI, fu Duca di Fiano, Principe di Venosa e Piombino, generale delle galere di Sardegna, Vice-Re delle Indie, senatore di Bologna, dove talvolta fece lunga dimora colla principessa sua moglie. Fu pure grande di Spagna, vendette il Ducato di Zagarolo ai Rospigliosi per 90000 scudi, e nel 1669 vendette la villa Ludovisi in Roma, per 26000, a D. Stefano Colonna Duca di Bassanello. Ebbe in consorte, in seconde nozze, Donna Anna d'Arduino dei Principi di Palizzi in Sicilia. Morì in dicembre del 1699, e lasciò un solo figlio maschio nato nel 1698 dalla seconda moglie, che morì poche settimane dopo di lui, per cui il principato di Piombino passò ad Olimpia di lui sorella, la quale pure morta senza discendenza, passò ad Ippolita maritata in D. Gregorio Boncompagni Duca di Sora. Si estinse in lui la famiglia. Era figlio di Donna Costanza Panfili nipote d'Innocenzo X e seconda moglie di Nicolò suo padre, il quale in prime nozze aveva sposato Donna Isabella Gesualda principessa di Venossa. Nel 1672 rinunciò al senatorato che fu conferito a Virgilio Gioseffo Maria Davia. Fu anche cavaliere del toson d'oro. Sua sorella primogenita era oblata nel monastero di Torre di Specchi in Roma.

Girolamo di Bertrando Monterenzi, detto Ludovisi, senator I, ebbe in moglie Pollissena Gozzadini. Fu dei quaranta sotto Giulio II, e deputato con Francesco suo fratello a rivedere i conti dei Bentivogli. Nel 1508 fu spedito ambasciatore al Papa. Nel 1511, tornati i Bentivogli, fu deposto, ed alli 15 luglio di detto anno fu ucciso da Gio. Battista Bianchetti e da Luigi Maria Griffoni amici dei Bentivogli.

Girolamo del conte Pompeo, senator III. Li 23 novembre 1579 si conchiuse matrimonio fra lui e Laura Bianca d'Achille Angelelli, con dote di scudi 7500 d'oro. Fu uno dei dieci senatori augiunti da Sisto V nel 1589.

Nicolò di Girolamo Monterenzi, detto Lodovisi, senator II, per adozione di Beltrando Lodovisi, fu fatto senatore li 28 febbraio 1528 in luogo di Antonio Paltroni. Era conte della Samoggia, della qual contea fu spogliato per bolla di Clemente VII li 30 gennaio 1532. Morì li 5 dicembre 1570, d'anni 77, controlore di Camera, e decano del Senato.

Nicolò di D. Orazio, senator V morì nel 1665 in Sardegna, ove poco dopo morì di parto la principessa sua consorte. Il primo suo matrimonio lo contrasse con D. Isabella Gesualda, ricca erede, principessa di Venosa, poi con Donna Costanza Panfili nipote d' Innocenzo X. Fu Duca di Fiano, Principe di Venosa, e di Piombino, poi di Salerno, grande di Spagna, generale di Santa Chiesa, Duca di Zagarolo, e senatore di Bologna, Vice Re d' Aragona e di Sardegna. Nel 1627 andò col Gran Duca Ferdinando da Roma a Praga. Fu mandato da Innocenzo X colle galere di Santa Chiesa in Candia in soccorso dei Veneziani contro i Turchi. Per aver ben servito Filippo IV Re di Spagna nella rivoluzione di Napoli fu infeudato della città di Salerno, ma questa si oppose per la conservazione del Demanio nel 1649. Essendo generalissimo di 21 galere ausiliarie di Spagna e del Papa, si unì al Morosini nello Zante, e con esso andò sino alla vista di Candia. Finalmente, sotto pretesto di mancanza di viveri e della stagione innoltrata, tornò addietro senza combattere contro i Turchi, con molto rincrescimento dei Veneziani. Comprò dagli eredi del cardinal Capponi il palazzo del già cardinal Santorio in Monte Citorio nel Rione Colonna a Roma, ove cominciò un vastissimo palazzo, che poi restò imperfetto. Innocenzo XII lo comprò, lo terminò, e vi fece la curia Innocenziana. Ebbe tre mogli, fra le quali donna Polissena Mendozza che gli apportò i diritti sul principato di Piombino. Li 9 marzo 1621 partì per Roma con suo padre, sua madre e sua sorella Nel marzo del 1621 Gregorio XV suo zio lo fece castellano del forte di Castel Sant'Angelo. Nel 1623, dopo la morte dello zio, e la creazione di Urbano VIII, venne a Bologna col padre, il fratello e la moglie, e furon tutti presenti ai funerali di Gregorio XV.

Orazio del conte Pompeo Lodovisi, senator IV, fratello di Gregorio XV, Duca di Fiano, fu marito di donna Lavinia Albergati. Fu fatto senatore in luogo di Annibale De Bianchi. Nel 1623 ricevette dal Duca di Feria, Governatore di Milano, la consegna di tutte le posizioni e forti della Valtellina. Li 9 marzo 1621 partì colla moglie ed il figlio per Roma, e nello stesso mese fu fatto generale di Santa Chiesa dal Papa suo fratello, il quale pagò alcune migliaia di scudi per investirlo, siccome fece, dei Ducati di Fiano e Zagarolo. Altri dicono che partisse per Roma li 2 marzo, seguito da molta nobiltà, si di dame, che di cavalieri, da due compagnie di cavalleggieri, da due senatori ambasciatori, e cioè il Lupari e l'Isolani, che lo accompagnarono fino al confine degli Stati del Gran Duca di Toscana, ove fu incontrato e ricevuto dal sig. del Monte e da grande quantità di gentiluomini a cavallo. In Firenze fu accollo con gran pompa, sebbene vi trovasse morto il Gran Duca. Gli furono fatti molti donativi, e cioè:

A D. Orazio un diamante del valore di scudi 5000.

A Donna Lavinia un Crocefisso gioiellato.

A D. Nicolò 18 bottoni di diamanti, una spada ed una balestra alla turchesca pure di gran valore.

A Donna Ippolita una garganliglia di gran valore.

Le figlie della Gran duchessa gli donarono una stoffa per due vestiti, che costava scudi 60 il braccio. Furono per tutto lo Stato alloggiati gratis.

Li 14 giugno 1623 tornò a Bologna dalla Valtellina, della quale aveva preso possesso in nome della Santa Sede. Si fermò in Bologna per quattro giorni dove fu alloggiato a spese della città, ed incontrato a Porta S. Felice da tutti i Magistrati. Il Senato gli donò una tazza d' oro, e gli si fecero molte feste.

Gregorio XV nel suo breve pontificato portò la sua casa a un grado di grandezza e ricchezza da uguagliarne qualsivoglia altra di Roma, imparentandola colle prime famiglie di essa. Addimostrò sempre animo generoso e grande, benchè non fosse secondato nè dal fratello, nè dal cognato, che anzi lasciaronsi questi signoreggiare da troppa cupidigia d'interesse e ad ogni opportunità senza ritegno di sorta, dispregiando le lamentanze che il il popolo ne dirigeva, ed in guisa che il dolore della morte del Papa ne fu temperato, perchè per questa toglievansi molti abusi, frai quali quello pur anco introdotto di mercanteggiare senza riserva sul conferimento delle onoranze e degli impieghi.