Galluzzi

Riconobbero il loro progenitore in Pier d'Enrico, il cui figlio Rolandino fu console nel 1174, 1179 e 1181. Nobili e fierissimi geremei, antagonisti della potente famiglia de' Carbonesi, turbolenti, per fino gli ecclesiastici, tennero più che gli altri sossopra il proprio paese, mettendolo a scompiglio ventiquattro volte col battagliar per le vie, con le congiure, con gli omicidii. Eccessivi non solo, negli odii di parte, ma talvolta eziandio ne' sentimenti generosi. Altre famiglie Galluzzi ebbero stanza in Lombardia, nel veneto e in Volterra (1), che credonsi provenire da un solo ceppo ed anche la famiglia francese de L'Hópital vanta la provenienza dai Galluzzi di Bologna (2).

Boccaccio ha una sconcia novella intorno a madonna Beatrice, che sopravanzava ogni altra in bellezza, non che intorno al suo marito Egano Galluzzi e ad un gentiluomo di Firenze col mentito nome d' Anichino (3).

Ricorderò prima che Picciola .d'Alberto Galluzzi edificò nel 1116, sui colli suburbani, una chiesa detta di s. Maria del Monte, di molta rinomanza. Le leggende adornano questo fatto con una visione prodigiosa, sull' andare di quella attribuita alla fondazione di s. Maria Maggiore di Roma. La chiesa primitiva venne circondata di successivi edificii, che furono sostituiti dal monumentale palazzo Aldini.

Nel 1243 i Galluzzi, uniti ad altri geremei, battagliarono per le vie con i Carbonesi inveterati e giurati loro nemici e con altre famiglie lambertazze (4). Chè fin dal 1196, come ho notato, la consorteria de' Carbonesi aveva patteggiato di non far parentela nè amicizia con la consorteria de' Galluzzi (5).

Gerardo, uno de' crociati conquistatori di Damiata, e Catalano di Guido d' Ostia vennero a contrasto nel 1247 con un dalla Fratta e con un Maccagnani. Vi participarono i loro consorti, e la pubblica tranquillità fu sconvolta. Forzati a desistere, compromisero nel podestà (6).

Ma alle antiche inimicizie si aggiunse altra cagione d'odio e di vendetta, allorchè un giovine de' Carbonesi indusse una donzella de' Galluzzi a disposarlo clandestinamente. Tosto che se ne avvidero i parenti di lei, trassero armati alle case de' Carbonesi, uccisero il mal consigliato giovine e loro fu imputato che la donzella penzolasse strangolata ad un balcone (1258). Molte primarie famiglie ingrossate da' consorti, da amici, da partigiani s' azzuffarono per ciò nelle vie e occorse l' intromissione di Rolandino Ramponi, cittadino di somma autorità, per farli poscia desistere. Il pretore multò di tredicimila lire i tumultuanti, si promulgarono ordinamenti repressivi più severi, e de' Galluzzi, quindici furono banditi (7). Il caso miserevole della giovine Galluzzi alla quale venne attribuito ora il nome di Virginia, ora di Lelia, fu novellato da Sabbadino degli Arienti nel secolo XV (8), cantato dal Bocchini che presunse di contrapporsi al Tassoni (9) e preso a soggetto di tragedie. Ma quant' altre città non diedero argomenti di tal sorta in que' tempi ferini !

Allora Guglielmo Galluzzi aveva il primato su i geremei, essendone morto il capo da cui avevano tratto il nome. E di recente dal dominio di Gherardo, di Mattiolo e di Alberto Galluzzi erano stati affrancati centoventitrè servi.

Due anni dopo le fazioni si arrovellarono discordando su i provvedimenti da prendere per l' interdetto scagliato da Alessandro IV contro Bologna. Avevanlo attirato le rappresaglie contrapposte alla deposizione del senatore di Roma, Castellano d' Andalò, ed alla prigionia d' altri Bolognesi suoi ufficiali. E fu nel giorno di Pasqua che cominciò la mischia fra i Carbonesi ed i Galluzzi sulla piazza, ove adesso è la chiesa di s. Paolo: vi preser parte altre famiglie principali, sì che divenne una grande battaglia (magnum proelium) al dire di un antico cronista (10). Avvennero molte uccisioni, furono guasti palagii e torri, il podestà confinò cinquanta uomini per ciascuna fazione e multò le famiglie colpevoli. Le case e torri di Pier Galluzzi, il quale aveva violato i confini per prender parte a siffatto azzuffamento, furono multate di lire seimila (11), somma enorme a que' tempi, la quale essendo stata pagata indica che il Galuzzi era ricchissimo.

Un'altra rissa, sorta nel 1268 tra Giovanni Galluzzi e Alberico Carbonesi, mise la città a rumore ed a pericolo, scongiurato dalla vigilanza del podestà (12).

Comazzo Galluzzi nel 1269, arrogatosi in Bologna l' ufficio di capitano, trasse alla piazza in arme seguìto dal popolo e fece tumulto, che fu presto represso (13).

Nello stesso anno le risse fra i Lambertini ed i Galluzzi, i quali disputavansi la podesteria di Forlì, turbarono la pubblica tranquillità (14).

Due anni dopo i Galluzzi si segnalarono nel conflitto tra i primarii delle due fazioni che si contrastavano la supremazìa. Accorsero le società per metter freno e furono malconce; il gonfaloniere della Branca venne ucciso. Quindi case diroccate e i più maneschi messi a confine (15).

L' anzidetto Comazzo, col famigerato Venetico Cazzanemici e con le primarie famiglie geremee, ricorse alle armi per istornare una spedizione contro i guelfi di Modena (1272). Il tumulto fu grande, venne tratto fuori il carroccio, ma i guelfi lo respinsero (16).

Gerarduzzo suo figlio, Bonifacio suo congiunto, insieme con molti altri turbolenti banditi nel 1283 per non so quali misfatti e tutti dichiarati lupi rapaci, furono citati nel 1289 a comparire davanti al podestà. Ma non avendo obbedito, vennero proscritti in perpetuo, confiscati i loro averi, ordinato l' atterramento delle loro abitazioni, torri e fortezze, condannati a morte in contumacia (17).

Maghinardo e Albizzo, uccidendo poi un giudice de' maleficii, posero in iscompiglio tutta la città (1293), la quale si mise in arme per vendicare l'ucciso. I due Galluzzi fuggirono, e furon banditi di pena capitale; il fisco s' impossessò de' loro averi e vennero rase le case loro in città ed a Castel de' Britti (18). Gerardo di Rolandino, Lambertino di Comazzo, Giovanni di Guidocherio, Paolo di Gerardo per aver congiurato con altri in favore d' Azzo d' Este furono confinati nel 1303, ebbero i beni confiscati, le torri abbattute e, dal popolo, le case saccheggiate ed arse (19).

Il sopraddetto Lambertino ritessè nel 1305, ma indarno, la non riuscita congiura (20). Furon banditi l' anno dopo Gerardo, Paolo suo figlio, Lambertino e suoi figli, accusati di aver tentato di scacciare i geremei da Bologna. Albizzo e Alberto arciprete di s. Lorenzo in Collina, chiamati a scolparsi d' aver fatto colta d' armati per favorire il suddetto trattato e non essendo comparsi, ebbero anch' essi il bando e inoltre le case saccheggiate ed arse. L' arciprete ribelle partendo da Bologna scontrossi a Casalecchio col cavaliere del pretore, il quale traeva prigioni alcuni soldati dei conti di Panico, parimenti ribelli, e a forza d' armi glieli levò dalle mani (21).

Nel 1313 alcuni dei magnati dichiarati lupi rapaci commettevano omicidii e rapine sul bolognese, il perchè fu ordinato rientrassero in città e non ne uscissero senza licenza. Questo precetto era segnatamente rivolto ad Alberto d' Azzo Galluzzi, giovine sfrenato del quale altamente querelavansi gli abitanti del contado e soprattutto quelli di Gesso, dove, dice il Ghirardacci (22) « come vivo strumento del diavolo ogni scelleraggine commetteva ».

Alberto sprezzò gli ordini e le minacce de' magistrati, non che le ammonizioni del padre: laonde gli fu messa taglia di 1,000 fiorini d' oro, depositati presso Romeo Pepoli banchiere. Fu inoltre decretato che se un bandito uccidesse Alberto verrebbe graziato, se una comunità se ne impossessasse sarebbe esente per vent' anni dalle collette. Poi vennero deputati quattro cittadini a cercare ogni via per impadronirsi di lui, assegnando loro 200 uomini d' arme e prescrivendo a diciannove comuni dei colli bolognesi che, qualvolta udissero sonare a stormo, pigliassero le armi per inseguire Alberto e suoi seguaci. A molti di parte geremea fu imposto di dar sigurtà che non uscirebbero di Bologna e fra questi ve n' eran nove de' Galluzzi. Anche ad Azzo padre d' Alberto fu ingiunto di depositare duemila lire per garantire che il figlio non commetterebbe maleficii, la qual ultima angherìa fu però abrogata.

Questo formidabil piano di guerra non valse però che' ad arrovellare l' iniquo giovine, il quale, ritrattosi sull' imolese scorrazzava sovente e più malvagio nel contado di Bologna. Al padre sembrò che la misura fosse colma e proprio dovere di sagrificare il figlio al bene della patria. Raggiunse lui, se ne impossessò prima di destare sospetto (23) e consegnollo ai magistrati, affinchè gl' infliggessero il meritato castigo. Ma siffatto misto di patriottismo e di crudeltà destò compassione del vecchio padre, onde si voleva mitigare la pena, condannando Alberto soltanto al carcere perpetuo. Si oppose il padre, dicendo che la legge dovev' essere applicata nella sua interezza e chè più stavagli a cuore la sicurezza della patria, che non la vita di un figlio così scellerato. Non valsero a smoverlo le preghiere de' magistrati, de' parenti, degli amici. Alberto ebbe mozzo il capo sulla piazza e il padre, novello Bruto primo o più bruto che uomo, sostenne la vista di sì orrendo spettacolo (24).

Un Albizzo Galluzzi, nel 1321, con quattro figli, con altri armati e col popolo aizzato, trasse contro il suo avversario Romeo Pepoli, ch' era il più ricco e il più influente cittadino, e fece furia contro il palazzo di lui. Mentre le sue genti vi opponevan difesa, Romeo riuscì a fuggire ed' a mettersi in salvo, spargendo oro per le vie.

Un Fiorino Galluzzi per contro partecipò alla trama ordita nel 1327 per ricondurre in Bologna i Pepoli espulsi. Più fortunato de' suoi compagni, si salvò fuggendo (25).

Poco prima Ubaldino, Comazzo e Antoniolo d' Antonio Galluzzi, tolti del bando, facevan sosta nel ripatriare in certi loro poderi a Medicina, come ho già narrato. Vi ricevevano in dono dai Conforti dei fichi di bella apparenza ma attossicati e ne morivano Ubaldino e Comazzo (26). Antoniolo fu salvo perchè, dice seriamente l' ingenuo Ghirardacci (27) « fu subito posto dentro una mula sparata ».

Congiurava nel 1329 anche un bastardo d' Antonio Galluzzi e arciprete di s. Lorenzo in Collina, per liberar Bologna dal legato pontificio cardinal Bertrando Du Pojet, e benchè ai compagni di lui ed al proprio bastardo Antoniolo fosse mozzato il capo, egli fu lasciato morir di fame in una gabbia, non so se per privilegio della sua dignità arcipretale (28).

Un altro prete e canonico della stessa famiglia per nome Gualengo ed un Gherardo Ghisilieri fecero raunata di gente in s. Felice l' anno 1349 per insediarvi un abate, contro il volere di Giovanni e Giacomo Pepoli signori di Bologna. Ferirono i fanti del podestà accorsi, ma poi furono sopraffatti dalla milizia dei Pepoli e trucidati presso la piazza maggiore (29).

Uberto Galluzzi nel 1389 capitanò una congiura per dar Bologna a Galeazzo Visconti e vi parteciparono i consorti di lui Enrico e Nerino. (30).

Lo stesso Alberto, fuoruscito, era nel 1390 insieme con i conti di Panico e con i Pepoli nell' esercito visconteo, che sotto la condotta di Giacomo dal Verme minacciava Bologna. Per questo atto di fellonìa Alberto fu dichiarato nemico della patria, e ad esempio, venne decretato che le sue case totalmente si atterrassero e se ne portassero le tegole, i mattoni e il legname alla fabbrica di s. Petronio, allora allora cominciata. Il perchè fu demolita la casa grande di lui, situata accanto alla torre de' Galluzzi tuttavia sussistente, e l' altra casa lì appresso sulla medesima corte. Ciò è raccontato dal Ghirardacci (31) e confermato da un documento del 1395 in cui è detto che per la fabbrica di s. Petronio furono comprate al prezzo di lire 225 e demolite alcune case di Misina di Borniolo Galluzzi, vedova d' Antonio Galluzzi, le quali case erano nella parocchia di s. Ambrogio, presso quelle d' Alberto Galluzzi minate e devastate a cagione dei delitti da lui commessi (32).

Nel 1402 i Galluzzi concorsero ad abbattere Giovanni I Bentivogli, che insieme con la signoria perdette la vita (33).

Imputati di cospirazione l' anno dopo, a favore dei Gozzadini, il famigerato Baldassar Coscia, legato pontificio in Bologna, ordinò al comune di s. Lorenzo in Collina rovinasse il castello di Capramozza che apparteneva, fin dal secolo XIII, ai Galluzzi. Solo però nel 1409 ne fu effettuata la demolizione, fino ai fondamenti. Quel castello, o fortezza, di Capramozza era stato assediato, preso e smantellato nel 1297, da Uguccione della Faggiola e da Maghinardo capitani d' Azzo da Este. Il duca Giangaleazzo Visconti aveva conceduto a Francesco Galluzzi di ricostruirlo (34) e se ne veggono tuttavia i ruderi sopra un' area molto estesa, cui è rimasta la denominazione di castello.

In fine nel 1412 i Galluzzi congiurarono contro il governo popolare, costituitosi in Bologna, e fu loro posta la taglia di 1000 ducati (35). Tale è la cronaca delle molte gesta faziose dei Galluzzi.

Ma poichè la stirpe loro fu molto numerosa, così non tutti i Galluzzi furono infesti al comune, ed alquanti anzi per esso adoperarono, o sostenendo ambascerie o militando; non ebbero però parte quasi mai nel governo. Diedero bensì al nostro studio tre professori nel principio del secolo XIV e del XV, che furono Bonifacio e Cristoforo legisti, e Antonio medico e filosofo di grido (36).

E piacemi di ricordare un aneddoto che appalesa sentimenti generosi in una donna entrata nella famiglia Galluzzi, che, quantunque nata altrove, considerava come patria Bologna. Era costei una Francesca da Polenta (omonima e nipote di quella eternata dall'Alighieri) figlia di Bernardino signore di Ravenna, disposata ad Alberto Galluzzi. La quale, allorchè Bernabò Visconti tribolava con forte esercito il territorio bolognese (1361) standogli a fronte Galeotto Malatesta capitano generale de' Bolognesi e confederati, dopo di essersi recata a vedere il campo mandò a presentare a Galeotto tre fiaschi coperti di cuoio; uno dorato contenente giulebbe, uno argentato con entro preziosissimo vino, l' altro messo a oro e ad argento e pieno d' aceto rosato. Vi aggiunse una cassa di pane zuccherato ed una lettera, con la quale Francesca esprimeva la brama di veder liberata Bologna dagli affanni della guerra, e accompagnava un omaggio al valore di Galeotto ed un ristoro alle sue forze, messe, a prova dal calore estivo e dalle fatiche dell' armeggiare (37). E poichè con la battaglia di s. Roffillo fu conseguita una vittoria festeggiata per lunga età, Francesca fece dipingere quella battaglia nella cappella ch' era a sinistra fuor della chiesa di s. Francesco (38).

Ogni Bolognese conosce la torre de' Galluzzi, poichè ne serba il nome primitivo, la quale, non ostante i mozzamenti patiti, maestosamente s' aderge nella corte omonima, che ha uscite per tre vólti. Ma forse non v' è chi sappia che un' altra torre della stessa famiglia in altri tempi sorgeva in quelle vicinanze, nelle quali, e segnatamente sulla strada di s. Mammolo, spesseggiavano le case di quella numerosa e potente consorterìa. E non sarà soverchio io credo di qui riepilogare che nel 1260 la casa e la torre di Piero furono multate: nel 1289 fu decretato l'atterramento delle abitazioni e torri di Comazzo e di Gerarduzzo: nel 1293 vennero rase le case di Maghinardo e di Albizzo: nel 1303 furono abbattute le torri, saccheggiate ed arse dal popolo le case di Gerardo, di Lambertino, di Giovanni e di Paolo: nel 1305 saccheggiate ed arse di nuovo queste case, tranne quella di Giovanni: nel 1390 in fine venne decretata ed eseguita la demolizione della casa grande d' Alberto, ch' era accanto alla torre oggi sussistente, e fu eziandio abbattuta un' altra casa di lui, situata nella corte de' Galluzzi. Onde i Galluzzi non potevano tacciare d' inerzia nè i magistrati, nè il popolo.

Le due torri sopraddette son menzionate distintamente in un atto del 1268, essendo denominata una la torre nuova e l' altra la torre vecchia. La nuova è la sussistente e ciò combina con questo che ne dice il Savioli (39): « Sappiamo che nell'anno addietro (1257) i Galluzzi posero i fondamenti della loro torre (ma poi aggiunge) e che divisavano di sollevarla fino a trenta punti. È assai verosimile che il pretore impedisse ad essi il proseguimento, se a sorte non li costrinse a redimere l' edificio ». E in ciò discorda, non so perchè, da Matteo Griffoni antico scrittore del Memoriale istorico (40), il quale ha bensì « 1257: Gallucii incoeperunt fieri facere in curia sua unam turrim (ma inoltre) et dicto anno fuerunt facta triginta columbaria de ipsa turri ». Il Ghirardacci (41) asserisce che « Sulpizia Gonzaga, moglie di Giampietro Galluzzi, fabbricò la sua torre (1257) » ma parmi sia indirettamente contradetto dai documenti di cui sto per valermi.

Certo è che la stupenda grossezza dei muri di questa torre, maggiore di quella dei muri dell' Asinelli, dà indizio che si designava elevarla a grandissima altezza. E pare che se anche non fosse stata mai più alta di quello che lo è adesso (ponti ventitrè sopra la base), il limite dei quindici ponti stabilito dallo statuto del 1252 per abitare le torri sarebbe stato inosservato, se pure non avveniva che fosse vietato l' abitar torri oltre i quindici ponti e permesso il costruirle oltre questa misura, il che sarebbe un po' strano. O forse che le leggi si deludevano anche allora ?

Una carta del 1268 ci fa noto che Gerardo, Antonio ed Alberto arciprete di s. Lorenzo in Collina, non che Comazzo e Antoniolo di Gerardo, e Galluzzo di Catalano, tutti de' Galluzzi, donarono a Galluzzo loro consorte la casa in cui allora dimorava Imelda vedova di Mattiolo Galluzzi, con le case contigue presso i Carbonesi, riservata l' abitazione per lei e imposto a Galluzzo di non vender tal casa se non a proprii consanguinei maschi. Gli fecero dono eziandio dei seguenti stabili. Metà della torre nuova, che fu di Mattiolo Galluzzi (dunque non di Sulpizia come ha il Ghirardacci) con la metà del terreno situato fra essa torre e la casa della chiesa (s. Maria rotonda de' Galluzzi ). Metà della casa che fu di Mattiolo vicina alla croce dei santi (da s. Paolo). Metà dell' officina ch' è sopra le porte de' Galluzzi, presso la porta di essa chiesa. Metà di certe possessioni rurali e del castello di Battidizzo (42). Inoltre gli anzidetti fratelli Gerardo e Antonio si divisero, con lo stesso atto, la torre vecchia, di che dirò fra poco.

Con altro atto del 1283 i fratelli Mattiolo, Guglielmo, Filippo, Galluzzo del già Catalano d' Antonio Galluzzi fecero divisione delle loro case in corte de' Galluzzi. Toccò a Mattiolo ed a Guglielmo la casa della torre situata in detta corte, presso Antoniolo di Gherardo Galluzzi e la chiesa di s. Maria de' Galluzzi. A Filippo ed a Galluzzo toccò un' altra casa nella medesima corte, presso agli eredi di Enricuccio ed a Mattiolo de' Galluzzi ed una casa indivisa con costui, situata nella piazza maggiore presso Comazzo Galluzzi, non che una terza casa presso la via che allora conduceva alla curia di s. Ambrogio e presso gli eredi di Enricuccio Galluzzi (43).

Ma due anni dopo Mattiolo vendette per 300 lire la parte toccatagli ad Antoniolo Galluzzi, figlio che fu di Gerardo, cioè metà della torre o casatorre situata nella curia e cortile e porte de' Galluzzi (ossia la torre nuova sussistente) ch'egli aveva indivisa col fratello Guglielmo da cima a fondo, la qual metà di torre fa reputata approssimativamente della larghezza di dieci piedi nella parte inferiore (44).

In questa proprietà dovette non guari poi subentrare Bonifacio Galluzzi e appresso la moglie sua Druda d' Albizzo di Monteaccianico (degli Ubaldini), giacchè costei nel 1290 vendeva a Guido di Bonaccursio da Galisano una casa con curia e metà d' una torre o casatorre, divisa con Guidocherio Galluzzi, con balcone congiunto e cum medietate murorum qui sunt in medio dicte turris a summo usque deorsum (45). Par dunque non si possa intendere se non che questa torre era divisa a mezzo verticalmente da un muro, cosa invero singolare, poichè, stante la grossezza massima dei muri costituenti la torre, il vacuo interno è molto angusto.

Nel 1476 i riformatori dello stato cedettero alla chiesa di s. Petronio i diritti, salvo quelli dei terzi e della camera o erario bolognese, sulla torre dei Galluzzi (46), provenienti forse dà confische. Poi la torre passò ai Dolfi per compra fattane da un Floriano nel 1549 e quindi la ereditarono i Ratta.

Essa è mozzata al ventesimoterzo ponte o colombaio forse per una delle decretate demolizioni: non vi sono scale di sorta ma se ne può calcolare l'altezza a metri trenta, poichè è di ventitrè ponti con intervalli di metri 1,18 ed ha la base a scarpa alta metri 3,13, la quale è rivestita di undici strati di parallelepipedi di gesso. La torre è larga metri 9,20 per ogni lato ed ha muri dell' enorme grossezza di metri 3,13 formati da pareti di mattoni grosse metri 0,45 riempite di ciottoli e calce a sacco. Di guisa che da basso il vacuo della torre è di soli 3 metri. Non vi è nessun indizio nè esternamente nè internamente di antica porta da basso, e l'apertura irregolare fatta nella scarpa poi otturata è palesemente moderna (fig. 14).

fig. 14

Notevole è la finestra quasi a mezzo della torre, non solo per armoniche proporzioni ma perchè è l' unica nelle nostre torri che sia ogivale. Ciò mi fa credere che questa torre dei Galluzzi sia la sola rimastaci della metà del se colo XIII e che tutte le altre siano anteriori. Questa finestra pare sia il balcone notato nel documento del 1290 da me riferito (47). Ma il nessun indizio di porta inferiore, il trovare in altre torri una finestra che sembra aver servito di porta superiore, il vedere che questa finestra della torre Galluzzi ha la soglia e l' ha logora così come sono le soglie usate, tutte queste particolarità dico mi fanno credere che siffatta finestra abbia servito di porta (fig. 15). E non è collocata ad un'altezza soverchia per corrispondere al secondo piano d'una casa un po' alta o d'una casatorre, poichè non sopravanza di molto il secondo piano dell' odierna casa vicina, la quale è bassissima.

fig. 15

La torre vecchia de' Galluzzi non ricordata da veruno scrittore, è nominata nello stesso atto soprindicato (48) che ha la data del 1268, nel quale è nominata anche la torre nuova pur de' Galluzzi, sì che non vi può esser dubbio che non siano state due. Risulta anzi che la torre vecchia era situata più verso Porta stiera, ossia più verso lo sbocco di via s. Mammolo in piazza e probabilmente fu atterrata per una delle condanne patite. Con tale atto pertanto i fratelli Gerardo e Antonio Galluzzi fecero divisione della casa ossia torre (vecchia) che aveva appartenuto al loro fratello Alberto (la torre nuova aveva invece appartenuto a Mattiolo); ne furono d'accordo designate due parti da mastro Michele di Lamandina, e a Gerardo fu appropriata da terra al cielo quella lunga ventotto piedi e mezzo, la quale dalla metà dell' androna (situata tra la casa di Mattiolo Galluzzi e il vólto) si estendeva fino alla croce della porta nuova della torre vecchia.

Ad Antonio fu assegnata l'altra parte di là innanzi, dalla torre vecchia cioè fino all' officina, rimanendo comuni l' ingresso della curia, dei portici e della casa.

Concerne la stessa torre un altr' atto (49) posteriore di quattro anni, col quale il medesimo Gerardo Galluzzi d' Albertogallo emancipò il figlio Alberto e gli donò una grande casa situata in piazza maggiore, nell' angolo della corte de' Galluzzi, e metà della casa contigua, già d' Alberto Galluzzi, indivisa col fratello Antonio; e metà del ponte (cavalcavia?) che va alla casa del già Mattiolo, non che una gran casa che fu di Mattiolo e metà d' un' altra, con metà del ponte che mette alla casa prossima. V' aggiunse la casa delle vólte e delle porte, ossia del parlatorio (50) della curia de' Galluzzi, dal lato verso la piazza maggiore, con parte della torre inclusavi (la torre vecchia) appartenente già all'Alberto Galluzzi defunto, ed ora a sè medesimo per metà e per metà divisa al fratello Antonio. Inoltre gli donò la propria parte della torre nuova posta nella curia de' Galluzzi, e la parte delle case e dell' officina de' Galluzzi, situate appo la chiesa di s. Maria rotonda e presso la torre che fu dell' anzidetto Alberto Galluzzi. Gli donò in fine la parte di case che furono di Guido nel trivio de' Maccagnani. Agli altri figli Comazzó, Mattiolo e Antonio assegnò i suoi possedimenti rurali.

Ho riferito tutti i particolari di questi atti perchè fan conoscere la molta copia di case che i Galluzzi avevano presso la loro corte, quasi accampamento stabile e pronto alle battaglie, e perchè servono a chiarire la topografia locale.

Oltre queste due torri i Galluzzi possedettero in istrada Maggiore metà di torre indivisa con i Matafelloni, per vendita fattane da Conte di Plano Alberto ad Albertuccio d'Enricuccio Galluzzi nel 1270 (51). E vi ebbero eziandio per poco tempo metà della torre de' Magarotti con case vicine, di cui fecero vendita nel 1272 Enricuccio del fu Gerardo, Guidocherio e Bianco d' Alberto de' Galluzzi ai Magarotti stessi e ad una Basacomare, per 833 lire, soldi 6 e denari 8 (52).

(1) Merita d'esser notata la Narrazione storico-genealogica della famiglia Galluzzi, compilata dal capitano Francesco Galluzzi : Firenze 1740, ecc. perché contiene gran copia di quelle stoltezze di cui s' indoravano le storie genealogiche un secolo prima.

(2) Guidicini, Cose not. v. 3, pag 303.

(3) Decamerone, giorn. 7, nov. 7.

(4) Savioli, Ann. v. 5, pag. 177.

(5) Docum. n. 3.

(6) Savioli, Ann. v. 5, pag. 204.

(7) De Griffonibus M. Memor. col. 115. Savioli, Ann. v. 5, pag. 321, 337.

(8) Nella nona delle sue novelle porrettane.

(9) Le pazzie dei savii ossia il Lambertaccio.

(10) Villola, Cron. ms. fol. 41.

(11) Villola, Cron. ms. fol. 41 e 41 v. De Griffonibus M. Memor. col. 116. Savioli, Ann. v. 5, pag. 340.

(12) Savioli, Ann. v. 5, pag. 412.

(13) Savioli, Ann. v. 5, pag. 422.

(14) Savioli, Ann. v. 5, pag. 421.

(15) Savioli, Ann. v. 5, pag. 444.

(16) Savioli, Ann. v. 5, pag. 456.

(17) Docum. n. 170.

(18) Histor. Misceli, coi. 298. De Griffo ni bus M. Memor. col. 130. Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 312.

(19) De Griffonibus M. Memor. col. 133. Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 450.

(20) Ghirardacci, Hist. v. 1, pa(r. 474.

(21) De Griffonibus M. Memor. col. 134. 135. Ghirardacci, Hist. v. 1, paff. 488.

(22) Ghirardacci, Hiat. v. 1, pag. 563.

(23) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 564.

(24) Liber provision. Phil. de Gabrielis capit. Bon. fol. 52. Liber provision. 2, fol. 53 (nell'arch. notar.) Histor. miscell, col. 325. De Griffonibus M. Memor. col. 137. Ghirardacci, v. 1, pag. 563, 564.

(25) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 80.

(26) Histor. misceli, col. 335.

(27) Hist, v. 2, pag. 19.

(28) De Griffonibus M. Memor. col. 144. Histor. miscell, col. 350. Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 91, 92.

(29) Histor. misceli, col. 409. De Griffbnibu« M. Memor. cjl. 167.

(30) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 432.

(31) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 438, 444.

(32) Docum. n. 228.

(33) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 533.

(34) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 548. Calindri, Dizion. v. 3, pag. 159.

(35) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 591.

(36) Mazzetti, Repert., pag. 137.

(37) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 254, 255.

(38) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 255.

(39) Annali, v. 5, pag. 237.

(40) Memor. col. 115.

(41) Histor. v. 1, p. 195.

(42) Docum. n. 19.

(43) Docum. n. 129.

(44) Docum. n. 137.

(45) Docum. n. 179.

(46) Docum. n. 232.

(47) Docum. n. 179.

(48) Docum. n. 19

(49) Docum. n. 80.

(50) Forse il luogo dov'erano discusse le cose di parte geremea capitanata allora dai Galluzzi. In altre citta erano certamente luoghi destinati alle pubbliche congreghe: ad esempio que' due di Lucca chiamati parlasci con vocabolo corrotto (Mazzarosa, Storia di Lucca, pag. 63).

(51) Docum. n. 64.

(52) Docum. n. 78.