Via Vasselli (dal V volume delle "Cose Notabili..." di Giuseppe GUidicini, con le correzioni di Luigi Breventani

Vasselli (Via)

La via Vasselli comincia da quella di S. Domenico, e termina nel Cestello.

La sua lunghezza è di pertiche 55, 08, e la superficie di pertiche 123, 23, 2.

L'antico nome di questa strada fu via dietro il Fossato, perché costeggiava le fossa del secondo recinto di Bologna.

Fabbricatasi la casa del Crocifisso del Cestello, prese il nome di via del Crocefisso. Come abbia poi acquistato quello di via Vasselli si ignora. Fiorì già una famiglia di questo cognome, alla quale si sa che appartenne un Bernardo che nel 1462 era dottor in leggi e lettor pubblico, e più innanzi un Romolo che nel 1526 concorse alla carica di siniscalco degli Anziani, ma non l'ottenne. Nel 1674 si disse vicolo delle Baracche, come si vedrà in appresso, e posteriormente anche via delle Ruine.

Via Vasselli a destra entrandovi dalla parte della via di S. Domenico.

Si passa il vicolo dei Ruini.

N. 742. Palazzo Ruini cominciato da Carlo di Antonio Ruini sopra varie case, fra le quali cinque enfiteutiche di S. Procolo gravate del canone di soldi 72 e denari 8, il qual canone fu annullato mediante lo sborso di scudi 500.

Li 27 agosto 1572 si pose mano allo scavo dei fondamenti, e li 3 novembre si cominciarono i fondamenti della facciata.

Si trova che li 28 giugno 1582 Carlo Ruini ottenne dal Senato suolo pubblico per la lunghezza di piedi 70 onde allineare certe tortuosità, e fare il vestibolo e facciata di già cominciata ad edificarsi magnificentissimamenle sulla via che andava al Crocefisso.

Che la facciata fosse architettata da Andrea Palladio è opinione comune, ma da molti è messo in dubbio. Nel frontone vi era la seguente iscrizione: Carolus Ruinus senator fecit 1584.

Fu continuata la fabbrica, ma non condotta a termine dai Ruini che presto mancarono. Si ha memoria dei Ruini in Bologna nel 1367, nel qual anno un Guido di Francesco Ruini da Reggio vi aveva domicilio, e vi mori un Bartolino Ruini da Reggio, sepolto in S. Francesco, dal quale fu venduta una casa a Paolo de' Bonfigli li 16 luglio 1465. Carlo, figlio di Corradino Ruini e di certa Vigarani, nacque in Reggio circa il 1450, e fu chiamato a leggere in Bologna li 11 ottobre 1511 con 650 ducali d'oro a titolo di stipendio, e L. 100 per l'affìtto della casa. Fu fatto cittadino li 8 marzo 1515. Ebbe a scolari il famoso Francesco Guicciardini e Gregorio XIII. Il suo onorario fu portato nel 1530 a ducati 857 1/2, ma li 3 aprile dello stesso anno passò all' altra vita in età d'anni 80 circa.

Morì ricchissimo, e quando testò inculcò al figlio Antonio, che mancava di successione, di procurarsela in qualunque modo, autorizzandolo a farla legittimare. Antonio ebbe da Isabella Felicini, di lui moglie, Carlo iuniore, la cui discendenza maschile finì in Ottavio di Antonio, ambedue senatori, morto il primo giugno 1634 in età d'anni 30, mesi 10 e giorni 20. Questi lasciò un'unica figlia ed erede di nome Isabella, moglie del duca Michele Ferdinando Bonelli romano.

La madre di detta Isabella fu certa Maria di Asdrubale Mattei, vedova in prime nozze del marchese Gio. Paolo Pepoli, e in terze nozze del duca Scipione Gonzaga di Sabionetta e di Bozzolo.

Nel 1649 il predetto duca Gonzaga e la Mattei di lui moglie, inesivamente ai capitoli matrimoniali fra loro combinati, fecero un assegno a detta Isabella Ruini. Testò la Mattei li 22 aprile 1550, e lasciò erede nella legittima la duchessa Isabella Ruini di lei figlia avuta dal marchese Ottavio Ruini suo secondo marito.

La detta Isabella era moglie del duca Bonelli di Roma.

Il palazzo Ruini restò indiviso fra i Mattei e l'Isabella Ruini, come si vedrà in appresso, ed intanto li 17 aprile 1602, a rogito Alessandro Andrei, fu affittato ai protettori del Collegio de' Nobili detto di Santa Catterina.

Li 18 febbraio 1664 il duca Girolamo Mattei, mediante suo procuratore, locò per anni 7 ai Conservatori del Collegio dei Nobili di Bologna la metà di un palazzo sotto S.Procolo, detto il palazzo dei Ruini, goduto per indiviso dal locatore colla duchessa Isabella Ruini Bonelli. L'annuo sborso per detta affittanza era di L. 500. Rogito Alessandro Andrei.

Durante questa locazione terminò il collegio, ed il palazzo fu affittato alla infante Isabella di Savoia.

1674, 8 novembre. D. Gio. Francesco Gonzaga, duca di Sabionett e principe di Bozzolo, fece procura al dott. Seleuco Pellegrini a prestare il consenso per la vendita che intendeva fare il duca Girolamo Mattei e la duchessa Isabella Ruini Bonelli, al marchese Costanzo Zambeccari, di un palazzo sotto S. Procolo nel vicolo detto delle Baracche. Rogito Paolo Seroni di Bozzolo.

1678, 29 dicembre. Mandato della duchessa Isabella Ruini, moglie del duca Michele Ferdinando Bonelli ed erede del fratello Carlo Maria, ultimo dei Ruini, di vendere la sua porzione del palazzo, inabitabile ed imperfetto, al senator Ranuzzi, per scudi 2750; più cinque casette contigue per scudi 2700. Rogito Latanzio Pratelli notaro della Pieve.

1679, 21 marzo. Mandato di Donna Eugenia Spada duchessa Mattei, tutrice del duca Alessandro figlio ed erede del duca Girolamo Mattei di lui padre, a vendere la metà del palazzo Ruini al senator Ranuzzi per scudi 2750. Rogito Domenico Bonani dalla Carrara notaro capitolino.

1679, 11 aprile. Il conte Marcantonio del fu Annibale Ranuzzi comprò dalla duchessa Isabella Ruini Bonelli e da Donna Eugenia Spada Matei, madre e tutrice del duca Alessandro del fu Girolamo Mattei, col consenso di D. Gio. Battista Gonzaga duca di Sabionetta e principe di Bozzolo, il palazzo Ruini imperfetto ed inabitabile, per scudi 5500 da paoli 10; più cinque casette per L. 2700. Rogito Francesco Arrighi.

Isabella Ruini morì in Roma nel 1721.

Il compratore si applicò subito a completare questo stabile, mentre li 28 giugno 1679 ebbe licenza di occupare nel Borgo delle Pallotte suolo pubblico per due piedi di larghezza, e in lunghezza per quanto si estendeva la facciata posteriore del già palazzo Ruini. Fece fare vari disegni dai più rinomati architetti, come dal cav. Rinaldi e dal Fontana il quale non fu contento di 84 ungari di regalo. Finì il cortile, fece il braccio a ponente e risarcì tutto lo stabile da capo a fondo spendendo la cospicua somma di scudi 40000.

Morì egli li 6 ottobre 1681 lasciando una rendila di scudi 14000. Annibale del detto Marcantonio venne ad abitare questo palazzo li 4 giugno 1680, e fabbricò la scala nel 1695.

Li 29 agosto 1712 fu data licenza al senator Ferdinando Vincenzo Ranuzzi di occupar suolo nella via delle Ballotte in larghezza di piedi 4 e oncie 4, e in lunghezza piedi 28, non che di chiudere il portico, per la qual chiusura gli vengon concessi altri piedi 4 e oncie 1 affine di far la fabbrica delle sue stalle.

Il senator Marcantonio iuniore nel 1727 ornò l'interno e l'arricchì di preziose supelletili.

La sala fu fatta nel 1720 da Ferdinando Vincenzo, ed è lunga piedi 46 e oncie 6, e larga piedi 39.

Nella parte posteriore del palazzo, e precisamente nell'angolo del vicolo Ruini, vi era una pubblica cappella che fu dimenticata dal decreto 10 marzo 1808 che ordinava la chiusura di molte chiese, ma li 18 dicembre susseguente anche questa fu chiusa e soppressa.

1822, 9 marzo. Il conte Camillo Angelo del fu senator Annibale Ranuzzi vendette questo palazzo a Pasquale Felice Bacciocchi conte di Compignano per scudi 27000 romani, come risulta da un rogito di Luigi Camillo Aldini.

Il nuovo proprietario chiuse la terrazza dalla parte della via delle Balotte per farvi una sala da pranzo. Mancava al palazzo Ranuzzi una piazza che scoprisse la facciata, e dicesi che il cardinal Angelo del senator Marcantonio avesse ottenuto dai Domenicani per L. 6000 suolo bastante per farla, obbligandosi di rifabbricare verso la chiesa del Cestello quanto si fosse atterrato davanti al palazzo stesso, ma morto in Fano li 27 settembre 1689 mentre andava a Roma, svanì questo nobile suo progetto.

Il senatore conte Gio. Carlo del senator Annibale rinnovò ti 2 giugno 1706 ai Domenicani le proposizioni dello zio cardinale, che plenariamente furono rigettate. Per gli avvenimenti sopravvenuti dopo il 1796 eran tolti tutti gli ostacoli per dare esecuzione al progetto di fare cioè davanti al palazzo Ranuzzi una piazza, anzi di farla sì ampia che con quella della chiesa di S. Domenico fosse stata una sola, ma né la facilità d'avere il suolo, né la poca o niuna spesa che avrebbe fatta poterono vincere la religiosa suscettibilità del senatore Annibale di Girolamo Ranuzzi, e Bologna restò priva di si bell' ornamento.

Gli edifici da atterrarsi per formare la suddetta piazza erano in seguito passati in proprietà di secolari, e il palazzo Ranuzzi, come fu detto più sopra, era stato acquistato dal Bacciocchi, combinazioni queste che facevano sperare che il nuovo proprietario più non esitasse a dare il proposto ornamento alla città; ma egli economicamente si restrinse ad aprire una piazza per metà, operazione disapprovata da tutta la popolazione. Nel luglio 1824 si cominciarono le demolizioni che si continuarono nel susseguente anno. Restava la chiesa di S. Bartolomeo, o San Nicolò delle Vigne, che interrompeva la linea del prospetto al palazzo, alla cui distruzione fu posto mano nel 1826.

Essendosi praticato in questa storia di dare le origini di parecchie famiglie viventi, siccome la Pepoli, la Bentivogli ed altre, stimasi opportuno il dir qualche cosa su quella di Bacciocchi che, sebbene straniera, fu però ascritta alla nobiltà bolognese. Trae essa origine dalla Corsica, isola del Mediterraneo appartenente all'Italia e soggetta al regno di Francia.

Prima della rivoluzione francese contava dieci città, la principale delle quali di 6000 abitanti; 15 villaggi e 51 pievi, il tutto popolato nel 1740 da abitanti 120380, nel 1760 da 130000, e nel 1800 da 166813. Fu divisa in due dipartimenti, e cioè di Golo (capo-luogo Bastia), e del Liamone (capo-luogo Aiaccio). Il primo comprende la parte settentrionale ed orientale dell' isola, a cui si attribuiscono 25.6 leghe quadrate di superficie, e 103466 contribuenti che pagavano Fr. 1 cent. 66 11/12 per testa. Il secondo abbraccia la parte meno fertile e più montagnosa della Corsica esposta al mezzodì ed all'occidente, di estensione 228 leghe quadrate popolate da 63347 abitanti, che pagavano l'annuale contributo di Fr. 1 e cent. 55 I/2 per ciascuno.

Nella parte più povera evvi il cantone d'Ornano che vide nascere il gran Napoleone Bonaparte li 15 agosto 1769, e lo stesso dipartimento del Liamone diede alla luce nel 1762 Pasquale Bacciocchi. Il ricco e il potente, discenda pure dalla più modesta casta, non manca d'illustri antenati nella mente degli storici e dei poeti, quasi che le adulatrici loro favole potessero reggere al confronto degli atti degli archivi e delle memorie dei contemporanei.

Bacciocchi doveva esser nobile d'origine perché il caso lo volle cognato dell'uomo più grande del secolo. Concesso che Pasquale discenda da nobil lignaggio delle montagne del Liamone, sembra però che lui stesso e suo padre non fossero assistiti dall'autrice e conservatrice della nobiltà, la ricchezza, perché il genitor di Bacciocchi fu obbligato ad opere servili. Nel corso delle vicende umane non di rado si presenta all'uomo il modo di migliorar condizione, basta ubbidire agli impulsi della fortuna. Pasquale fu piuttosto avvenente in gioventù e rubicondo. Nel luglio di ogni anno passava dalla Corsica a Sinigallia, dove correva la fiera smerciando occhiali, che portava in una cassetta appesa alle spalle. Inspirato dalla fortuna diede per sempre un addio alle montagne della Corsica, e abbandonando il commercio degli occhiali ed altro, passò a Nizza mentre Luciano Bonaparte vi era impiegato nell'amministrazione di parte del materiale dell'armata francese destinata alla conquista dell'Italia. S'incontrarono i due compatriotti, e il destro Luciano si servi di Bacciocchi senza riserbo.

Non essendo Pasquale che semplice ufficiale di fanteria, ottenne li 5 maggio 1798 la mano di Elisa Bonaparte nata li 3 gennaio 1777. Quest'alleanza gli valse il grado di colonello del 26. mo reggimento di fanteria leggiera, e siccome i bollettini dell'armata conservarono sempre un assoluto silenzio sull'ufficiale Bacciocchi, cosi è chiaro che non fu merito, ma favore che lo spinse a questo avanzamento. Pareva all'ordine del giorno che man mano che aumentava in potenza il cognato, ancor Bacciocchi dovesse far progressi nella carriera militare, ma egli non era un Murat a guadagnarseli, perciò rimase un infisso del suo reggimento, del quale divenne il decano, siccome lo divenne della numerosa classe dei colonelli delle armate francesi.

Nel 1801 ottenne in titolo il grado d'aiutante generale, non sapendosi però a qual generale d'armata attiva fosse egli attaccato; è però certo che nel 1805 era ancora il colonello del 26.mo, due battaglioni del quale erano accampati a S. Omer, ed il terzo in Sedan sotto il maggiore Pescery.

Napoleone nutriva da molti anni il progetto di innalzare sé stesso e la sua dinastia al trono di Francia. Parvegli giunto il momento propizio, e coi Senati Consulti organici, 18 maggio e 6 novembre 1804, ottenne quanto desiderava. Divenuto il più gran monarca d'Europa, non era decente che il marito di una Bonaparte fosse semplice colonello delle sue armate, ma non era nemmen decoroso, stante l'assoluta sua innettezza, il promuoverlo militarmente. Esisteva in Francia fino dal 25 dicembre 1799 il Senato conservatore composto di uomini ubbidientissimi a qualunque volere di Napoleone. Il mezzo sicuro per esser nominalo a quella carica era quello di presiedere un Collegio elettorale. Si volle Bacciocchi senatore, e si destinò a presidente del Collegio elettorale del dipartimento delle Ardenne, e li 29 novembre 1804 sedette fra i così detti conservatori delle costituzioni francesi, e fu decorato del grado d'ufficiale della Legion d' onore.

Li 2 dicembre 1804 segui l'incoronazione dell'Imperatore nella chiesa di Nòtre Dame. È impossibile il figurarsi la magnificenza e la sontuosità di quell'augusta cerimonia. Rheims, Mosca, Vienna presenteranno molto in simili casi, ma sarà sempre poco in confronto dell'immenso della coronazione di Napoleone.

Il cerimoniale escluse l'intervento del senator Bacciocchi e del generale di brigata Borghesi, benché legati in parentela coi Bonaparte, onde se furono a Nòtre Dame vi figurarono come semplici testimoni della comparsa che vi fecero le auguste loro spose.

Li 18 marzo 1805 l'Imperatore si rese al Senato per informarlo d' aver accettata la reale corona d' Italia, e di aver ceduto il principato di Piombino in piena proprietà alla sorella Elisa. In tale occasione decorò il senatore Bacciocchi della grand'aquila della legion d'onore, e, come marito di Elisa, fu riconosciuto principe di Piombino, ma di solo titolo. La repubblica di Genova ottenne in Milano di far parte dell'impero francese, e dietro quest'esempio fu sollecita quella di Lucca a supplicare per avere una costituzione e per esser governata da un membro della famiglia imperiale.

Li 23 giugno 1805 i Lucchesi furono esauditi, ed ebbero i Principi Elisa in primo e Pasquale Bacciocchi in secondo.

Li 10 luglio susseguente fecero l'ingresso in Lucca di dove la principessa governava i 179030 sudditi che componevano la popolazione dei due principati di Lucca e di Piombino. Le monete dei due principati avevano l'effigie dei coniugi Bacciocchi, ma il profilo di madama sul davanti lasciava appena travedere la siluet di monsieur di dietro al suo.

La famiglia Bonaparte era composta di Giuseppe già re di Napoli, poi delle Spagne; di Luigi re dimissionario d'Olanda; di Girolamo re di Westfalia; di Annunziata in Murat regina di Napoli; di Luciano apparente sprezzatore della grandezza dei fratelli, di Paolina in Borghesi principessa di Guastalla, e di Elìsa in Bacciocchi. Tutti erano necessariamente conosciuti nella capitale dell'Impero all'infuori del Bacciocchi che non si sapeva se, e dove esistesse, e bisognava sfogliettar almanacchi per sapere che vi fosse un principe di tal nome, mentre i nomi dei Berthier, dei Talleyrand, dei Cambaceres e di tanti altri ri suonavano per ogni dove, e per ogni angolo della gran capitale. In sedici anni di soggiorno fatto sulla Senna, e in mezzo si può dire alla Corte, lo scrivente di quest'opera non ha mai veduto i Bacciocchi né prima, né dopo il loro principato.

Li 2 marzo 1809 il Senato eresse in governo generale e in gran dignità dell'Impero i dipartimenti della Toscana, alle quali cariche fu nominata Elisa il susseguente giorno col titolo di Gran Duchessa, e Pasquale a quella di comandante generale della divisione militare dei dipartimenti Toscani. Finalmente nel 1813 Bacciocchi ebbe il grado di generale divisionario della classe di quelli da impiegarsi straordinariamente, che equivale ad honorem.

La fortuna sazia di prodigare, per i meriti di un solo, tanti favori ai Bonaparte e ai suoi alleati di parentela, decretò la fatal giornata delli 11 aprile 1814 nella quale Napoleone sottoscrisse il trattato di Fontaineblau, riservando per sé il miserabile isolotto dell' Elba ed il vano titolo d'Imperatore. La famiglia, niuno eccettuato, precipitò nella classe dei privati. Per una sì grande ed impreveduta metamorfosi, il principe Pasquale Bacciocchi non mostrò rammarico di sorta, e puossi spiegare tale sua apatia dal considerare che della sua elevazione ne raccolse le spine, non mai le rose. Napoleone nel suo asilo potè scoprire che i Borboni proponevano al congresso di Vienna la sua relegazione a Sant'Elena, nulla curando la violazione dei trattati, per cui tentò un colpo ardito, che poteva liberarlo dalla minacciata cattività, e fors'anche restituirlo al trono. Cosi la notte del 26 febbraio 1815 salpò dall'isola d'Elba, in cinque giorni approdò a Cannes, e in venticinque rimpiazzò i Borboni in Parigi.

Sembrò che la fortuna arridesse alle intraprese di quest'uomo sempre grande, ma non fu che apparente il suo favore, perché tradito per perfidia, o per ignoranza, da qualche suo generale, perdette li 18 giugno a Waterloo ogni speranza di regnare.

Li 29 susseguente partì da Malmaison per Rochefort, e anche in questo la sua stella non gli fu meno avversa, perché se avesse seguito Giuseppe a Bordeaux poteva salvarsi in America, il destino invece lo diresse fra i suoi più implacabili nemici i quali lo seppellirono in quello stesso scoglio al quale voleva momentaneamente sottrarsi.

Elisa e Pasquale, per le conseguenze del 1814, dovettero abbandonare i principati e la Toscana. Rifugiaronsi in Bologna dove abitarono il palazzo Beauharnais, e durante il loro soggiorno acquistò Elisa la villa Caprara posta subito a sinistra fuori di porta S. Felice. La fuga di Napoleone dall'isola d'Elba ingelosì il governo Austriaco che obbligò i Bacciocchi a portar la loro dimora nelle vicinanze di Trieste dove l' ex Principessa comprò una terra col titolo di contea di Compignano, e vi mori pochi anni dopo, testando a favore dei figli, e lasciando un miserabile legato a Bacciocchi, che ricorrendo a Vienna ottenne gli fosse aumentato. Rimasto vedovo e legatàrio della moglie, ottenne dalla Corte di Vienna di vivere sei mesi in Germania e gli altri sei nel Bolognese. Prese egli dapprima un quartiere in affitto nella casa del ferrarese Bottoni in Strada Stefano, poi acquistò il palazzo Ranuzzi, ove fece non poche spese per ridurre un appartamento alla moderna foggia, ma non vi riuscì causa la vastità delle camere non adattabili alla mobigliatura dell'epoca.

In seguilo contrattò per la compra della tenuta già Odorici alla Mezzolara, passala poi nelle mani dei Pizzardi. Volendo egli impiegare il suo denaro al frutto del 6 per cento in terreni, quando si stentava ottenerlo nei cambi, il Pizzardi per tranquillarlo si offri condurre la tenuta per vari anni pagandogli l'affitto in ragione del 6 per cento sul capitale del prezzo. Pasquale si persuase e segnò i contratti di compra e di affìttanza, per cui terminata la locazione si accorse il Bacciocchi quanto effettivamente gli avesse fruttato il suo denaro.

Elisa ebbe un maschio nato in Bologna, e Napoleonq Elisa nata li 3 giugno 1806. Questa giovinetta, sommamente vispa ed allegra, toccava di già l'età per aspirare ad un collocamento, la ricca sua dote però non risolse alcun bolognese, e dicesi fosse da alcuni rifiutata. Si presentò Camerata di Ancona, di nobile lignaggio, ma di mezzi ristretti, ed a lui fu concessa. Maritata Napoleona, pensò il Bacciocchi di rimaritarsi. Piacevagli la figlia della già maitresse della Camerata, e su di essa formò progetti. Il suo agente Le-Bon credette che questo matrimonio non convenisse all'ex principe, e si adoperò alacremente affinchè non avesse luogo. Fra gli assidui alla tavola di Bacciocchi vi era il marchese Borelli d' Imola a cui Le-Bon manifestò le ricchezze della ragazza, e le generosità che avrebbe prodigate il padrone nel caso di accasarla. Borelli non disprezzò l'offerta, tanto più che mercé quella migliorava condizione, e cosi cominciò a corteggiare la giovane, e finalmente a chiederla in isposa. La maitresse che conosceva l'inclinazione dell'ex Principe per la figlia, fu facilmente persuasa dal Le-Bon questo essere il mezzo per sollecitare il matrimonio di Bacciocchi, il quale aveva dati già non equivoci segni di gelosia. Bacciocchi ebbe anch'esso la sua lezione dal Le-Bon che dipinse Borelli per un volubile, la ragazza per una capricciosa, e la madre per un' ingrata. S'indisponi naturalmenle Bacciocchi, licenziò il Borelli, le due donne, e finì la commedia col trionfo del Le-Bon. Borelli. finalmente, informato di quanto succedeva, si ritirò con un biglietto incolpando la sua signora madre esser contraria a un sì disuguale matrimonio.

Non pertanto Bacciocchi si sentiva inclinato a rimaritarsi, ed offrì la sua mano ad una gentil vedovella. Chi poteva prevedere che donna di pochissima educazione e di niun talento avrebbe avuto il buon senso di non dar retta all'ambizione ed all'amor proprio, rifiutando di divenire la contessa di Carbognano? Ma quando la fortuna ha volte le spalle, non è in potere di un ex principe il vincere nemmeno nella parte la più debole il bel sesso. La vedovella seguitò a partecipare delle buone grazie del vecchio spasimante, il quale la distingueva coll'incarico di far gli onori di casa in circostanza di conversazioni o di balli. I militari se non sono destri sono almeno forti nel cavalcare, ma il disgraziato Bacciocchi cadde nel 1826 di sella, e divenne zoppo senza speranza di raddrizzarsi.

Le spoglie mortali di Elisa furono nel predetto anno trasportate a Bologna, e poco mancò che nel tragitto da Trieste a Venezia non fossero ingoiate dal mare assieme al cappellano che le accompagnava; le deposero temporaneamente nella cappella privata del marito, finché fosse compiuto il meschino deposito che s'intendeva erigere nella cappella Rossi della Basilica di S. Petronio. Le ricchezze di Bacciocchi, o per meglio dire quelle de' suoi figli, attenendosi alle dicerie dei cortigiani, erano considerevoli, se poi si dà retta ai meglio informati, sarebbero limitate da 25 a 30000 scudi di rendita. Le-Bon era il felice regolatore di Pasquale, ed era il modello più perfetto della nullità. Il consigliato ed il consigliere furono sempre piccoli in tutto, ed anche in quelle cose nelle quali avrebbero voluto far spiccare idee principesche. Questa storia servirà di scudo ai posteri per non essere illusi da quanto potessero lasciar scritto gli adulatori, gli imitatori dei Cicarelli o d'altri autori prezzolati. Non vi fu nobiltà di lignaggio, non azioni gloriose in armi o in politica nell'autore di questa famiglia, e per persuadersene basti il rifiettere che l' onnipotente suo cognato lo trascurò continuamente dal 1797 al 1804, e poco lo curò anche dopo, in confronto di Murat che era nello stesso grado di parentela colla famiglia di Bonaparte.

N. 740. Casa venduta da Lodovico Barbieri a Fabio Dondoli li 22 marzo 1578, e che la contessa Persia Sega Fava vendette li 21 giugno 1715 al conte Ferdinando Ranuzzi.

NN. 739, 738. Casette che li 24 febbraio 1712 furon vendute, assieme ad altre quattro e ad un orto, dai marchesi Giuseppe Carlo e Lodovico Garganelli, fratelli Ratta, al conte Ferdinando Ranuzzi. Il tutto era posto sotto S. Procolo nella via del Crocefisso e delle Ballotte. Rogito Giuseppe Nanni.

NN. 732, 731. Il primo numero apparteneva ai conti Ratta di Strada Santo Stefano, e il secondo a D. Domenico Vignali, poi ad Antonio Forni. Antonio del causidico dott. Grotti le acquistò e le unì in una sola.

Essendo stato istituito un conservatorio da Maria Berselli e da Anna Maria Ruinetti, sotto la direzione di Girolamo Calini fratello del P. D. Cesare prete dell'oratorio, poi sotto quella del parroco pro tempore di S. Domenico, furon qui collocate le ragazze che in qualche numero lo formavano. Alcuni caritatevoli contribuirono per l'acquisto di questo stabile e alla sua ampliazione dalla parte del Borgo delle Pallotte, dove si aperse la pubblica chiesina dedicata a S. Gioacchino protettore di questa pia istituzione.

NN. 730, 729. Casa dei Ranuzzi con fornace. Quivi teneva il suo studio Domenico di Angelo Pio scultore e segretario dell'Accademia Clementina, nel quale fra i diversi suoi allievi sortì il professore di scultura Giacomo De Maria. Queste due case furon comprese nella vendita fatta dai Ratta nel 1712.

Via Vascelli a sinistra a cominciare da quella di S. Domenico.

N. 727. Chiesa ed oratorio del Crocefìsso sopra il ponte dell'Avesa. dove si adunava una compagnia detta del Crocefisso del Cestello.

Li 2 luglio 1514 Teseo Balzani, Angelo Serafini, Francesco Oddofredi ed altri determinarono di fare un oratorio sopra il ponte dell'Avesa, detto nel 1219 ponte dei Principi, e di formare una confraternita spirituale sotto il nome di SS. Crocifisso.

Li 12 luglio 1516 il P. Stefano Foscarari, nella sua qualità di priore dei Domenicani, concesse a certi devoti di un Crocefisso dipinto sul muro dell'orto del convento dei Domenicani appresso il cantone e ponte dell'Avesa per dove si andava alla strada delle tovaglie in luogo detto la Castellata, dove per l' addietro seguivano omicidi ed altri mali, di poter proseguire la fabbrica di un oratorio appogiandolo sopra detto muro, e concedendo piedi 80 di terreno da mezzodì a settentrione. Rogito Virgilio Gambalunga ed Ercole Borgognini.

Sembra che in questa occasione fosse chiusa la strada che proseguiva quella dell'orto vicino alla via Poeti, la quale continuando verso il piazzale del Cestello prendeva il nome di via della Noce.

Li 13 ottobre 1533 si stabilì di fare un ponte sopra I'Avesa per ingrandire la strada, al fine di dar comodo al popolo che in gran copia vi concorreva.

Li 2 novembre susseguente fu convenuto con Antonio Morandi che fabbricasse il detto ponte lungo una pertica e largo piedi 12, con muri grossi oncie 18 e con la volta d'oncie 6, in prezzo di L. 150.

Li 29 agosto 1553 i confratelli ottennero terreno per piedi 30 in lunghezza, e per piedi 9 in larghezza dalla parte di oriente, vicino e sopra il torrenle Avesa, per ampliare l' oratorio e fabbricare le scale. Tutte queste notizie risultano da un rogito di Annibale dall'Oro.

Li 6 marzo 1554 passò convenzione fra la compagnia e l'arte della lana per la fabbrica di detto oratorio, in seguito del riportato consenso da detta arte dagli eredi del fu Gualengo Ghisilieri dal quale i lanini conducevano in enfiteusi diversi edifìzi limitrofi, e mediante questa convenzione fu stabilito che nel muro anteriore confìnante colla strada detta Borgo della Noce, o del Crocefisso, vi si dovessero lasciare le immorsature ad effetto che, volendo la dett'arte fabbricare, potesse incorporare i di lei edifizi con quelli di detta confraternita. Rogito Omero Pasolini, e Lattanzio Panzacchia.

1582, 28 giugno. Fu concesso suolo alla compagnia del Crocefisso del Cestello a cominciare dall'angolo delle scale che ascendevano al loro oratorio fino all'angolo del muro dell'arte della lana verso il torrenle Avesa e la via vicinale, in larghezza di piedi 10, e in lunghezza quanto vi era fino all'angolo della chiesa verso l' Aposa, col patto che a loro spese dovessero regolare il declivio di detta via vicinale.

1724, 4 luglio. Fu data facoltà alla compagnia del Cestello e al Senator Vincenzo Ferdinando Ranuzzi di chiudere il vicolo a loro limitrofo che terminava al torrente Aposa, di misura piedi quadrati 750, pagando L. 75. 1739, 29 agosto. Fu ordinalo alla compagnia del Cestello che chiudesse con cancello il vicolo vicino alla casa del custode.

L'attuale elegante chiesa si cominciò a rifabbricare il mercoldì 22 maggio 1782 con disegno dello scultore ornatista Antonio Gambarini, e fu aperta li 14 agosto 1785. Flaminio Minozzi diede saggio del sommo suo valore nel dipinto, ed in particolar modo in quello del catino dell'altar maggiore, col quale provò che con lui sarebbesi estinta l'arte della quadratura prospetica tanto ammirata nelle opere del Dentone, del Colonna, e di tanti altri sommi uomini della scuola d' ornato bolognese.

La compagnia fu soppressa li 27 luglio 1798. Li 20 gennaio 1806 il conte Francesco Ranuzzi acquistò la chiesa e gli annessi a rogito del dott.. Serafino Betti, e con suo dispendio procurò che fosse decentemente ufficiata, al qual intendimento nel 1823 concesse per ospizio ai Padri Osservanti degenti in S.Lazzaro il locale dell' oratorio che avea servito per abitazione del guardiano.

Lungo il piazzale davanti questa chiesa corre coperta l'Avesa qui condotta nell'anno 1070.

Dal piazzale alle mura della città correva in gran parte scoperta. Nel 1757 il Senato s'invogliò di coprire anche questo tratto colla doppia vista di procurarsi una situazione comoda per depositarvi i rottami delle fabbriche, e poscia ridurre a delizioso passaggio l' area acquistala unita al suddetto piazzale. Il lunedì 5 settembre 1757 si gettarono i fondamenti del volto sopra l'Avesa presso la mura della città, e si continuò la fabbrica per un buon tratto verso il piazzale, ma senza saperne la vera causa l'opera fu abbandonata.

Il suddetto piazzale è lungo pertiche 5, largo pertiche 3, ed ha la superficie di pertiche 7.

Via Vascelli a sinistra cominciando dalla via di S. Domenico.

N. 728. Orto del convento dei Domenicani di tornature 2.

Aggiunte

1578, 22 marzo. Fabio del fu Vincenzo Dondoli comprò da Lodovico del fu Gio. Battista Barbieri e da Matteo del fu Alberto Dottii, i miglioramenti di una casa posta sotto S. Procolo nella via del Crocefisso. Confinava con Virgilio Battistoni e con Melchiorre Tagliacani, ed era enfiteutica di S. Procolo. Questi miglioramenti furon pagali L. 3200. Rogito Girolamo Fasanini