Piazza Maggiore o Piazza Maggiore Nuova, dal II volume delle “Cose Notabili…” di Giuseppe Guidicini, con le correzioni di Luigi Breventani

La Piazza Maggiore Nuova così dicevasi per distinguerla dall'altra che era nei contorni dei Celestini, e che corrispondeva al palazzo della Ragione detto di Sant'Ambrogio. Come e quando siasi formata la detta piazza non ci è stato trasmesso dai nostri storici.

Un rogito d' Aimerico delli 12 novembre 1139 esistente nell'archivio dei canonici di S. Salvatore, che tratta di un'affittanza enfiteutica fatta dai detti Padri a Giovanni Bono pellizzaro, e a Berta sua moglie, fa menzione di certa casa con corte posta presso la piazza Maggiore.

La sua estensione era altra volta maggiore dalla parte di settentrione, ma più ristretta verso le tre altre regioni.

Perdette d' ampiezza verso settentrione per gli aumenti dati in due diverse epoche al palazzo del Podestà, ma guadagnò di suolo per le seguenti demolizioni in altre parti:

1286. Fu atterrata la chiesa di Santa Maria dei Rustigani.

1336, 11 novembre. Comprò il Comune certe case dette le Volte, sotto le quali vi eran botteghe da speziale, che furon spianate.

1339, 6 aprile. Furon distrutte diverse botteghe di pescatori, macellari e banchieri, poste verso mezzogiorno in faccia alla ringhiera degli Anziani, per fare la loggia degli stipendiati, detta poi dei cavalieri, alias della guardia del palazzo nuovo, poi atterrata nel 1384 per ampliare con parte del suo suolo la residenza del collegio dei notari.

1400, 13 dicembre. D. Palmiero Palmieri, rettore di Santa Tecla dei Lambertazzi. vendette per L. 2000 alla fabbriceria di S. Petronio tre case presso la Piazza, in prossimità della via che andava all' ospedale della Morte, e di certe case di detta chiesa. che dal lato posteriore confinavano col muro della nuova chiesa di S. Petronio, le quali case erano già state guastate li 18 novembre precedente per ingrandire la piazza e le scale di S. Petronio.

1404, in agosto. Il Legato Cardinal Cossa fece demolire la croce innalzata nel 1286 dov' era l'altar maggiore della chiesa di Santa Maria dei Rustigani, la qual croce era racchiusa in una cappelletta a similitudine di quella di Strada Castiglione. La cronaca del canonico di S. Pietro Raffaele Primadizzi, morto nel 1460, dice che questa croce con cappella e altare di piccola estensione, ma elevata, era chiusa con inferriata, che nel suo contorno vi erano scolpite le misure delle biade e di altri generi, e murate alcune catene con collari di ferro alle quali si legavano i ladroncelli ed altri che commettevano piccoli furti.

Il Legato ordinò che la croce si collocasse in una delle cappelle della chiesa di S. Petronio, ma si stimò meglio d'innalzarla sul Campo del Mercato, di dove fu tolta nel 1552 e riposta nell' altar maggiore della chiesa della compagnia di Sant'Andrea del Mercato.

Nel 1612 fu trasportata nel cimitero dell' ospedale della Vita presso S. Giovanni del Mercato, finalmente nel 1807 fu stabilita nel cimitero della Certosa.

1428. Il Comune pagava ai Padri Domenicani annue L. 100 in compenso di rendita di botteghe incendiate e demolite dal popolo sulla Piazza Maggiore.

1485, 7 novembre. Furono atterrate varie botteghe dei Padri di S. Giacomo, di S. Procolo, dell' ospedale di S. Bovo, della compagnia dei Merzari e di Nicolosa Sanuti, le quali ultime rendevano L. 50 d' annuo affitto, come si rileva dai rogiti di Bartolomeo Zani e di Francesco Pellegrini. Il Reggimento in detto anno deputò Annibale Bentivogli e Pirro Malvezzi a soprastare all' ampliazione e all' abbellimento della Piazza.

1505, 1 dicembre. Decreto di demolizione delle botteghe de' Macellari aderenti al palazzo.

1508 fu spianata una bottega dei Domenicani presso il palazzo dei Signori, per togliere quell' impedimento, e per ingrandire la piazza.

Un antico statuto dà i limiti della Piazza Nuova nei termini seguenti:

Per Piazza intendiamo quanto circonda il muro del palazzo del Reggimento della città di Bologna, delle case della compagnia dei notari, della chiesa di S. Petronio, e del palazzo del signor Podestà, ed anche in ciascuna contrada che ha capo alla piazza fino a 10 pertiche da misurarsi dalle mura di detta piazza; più la piazzola che è appresso e avanti la banca della condotta degli stipendiati (cioè la piazzetta di Santa Maria dell' Aurora, che fu detta anche piazza Montanara). E qui si fa osservare che nella via dei Fusari e in quella delle Pescarie si vedono murati dei mezzi leoni di tutto rilievo, che credesi indicassero i confini delle 10 pertiche prescritte dal suddetto statuto al di là della Piazza Nuova.

L' Alidosi nelle sue cose notabili di Bologna ha dato i nomi dei proprietari delle principali case che contornavano la piazza negli antichi tempi. Ricorda quelle del dottor Francesco Accursio, di Guglielmo Accursio, dei Cattani, dei figli di Gherardo Galluzzo dei Lambertazzi, dei Lambertini, degli Oddofredi, dei Palamini, degli Scannabecchi, di Martino Solimani, dei Tebaldi, dei dal Vado, degli Uberti e dei dalla Zecca; ma alcune di queste erano non sulla piazza, ma nelle sue vicinanze, ed altre sono dimenticate, quantunque delle più ragguardevoli, come si vedrà in appresso.

Le strade che terminavano alla piazza erano:

1. La via del Pavaglione.

2. La via delle Chiavature.

3. La via delle Pescarie.

4. La via degli Orefici.

5. La via delle Spaderie.

6. La via della piazzola della Canepa.

7. La via della Zecca.

8. La via delle Scudelle.

9. La via di Porta Nova.

10. Strada S. Mamolo.

11. La via dei Pignattari

12. La via Cavallara.

Le vie della Zecca e delle Scudelle fanno parte della piazza del Nettuno dopo che fu demolita l'isola ; e la via Cavallara è ora rinchiusa nel palazzo del Legato.

Nel 1350 il Vescovo di Bologna fece costruire dei muri alle strade che sboccavano sulla piazza, e li fece guernire di grosse catene per trattenere il primo impeto del popolo si facile ad essere agitato a quei giorni dai partiti che dominavano.

La notte del 23 giugno 1403 e il sabato seguente il marchese Leonardo Malaspina governatore per il Visconti in Bologna, fece chiudere con rastelli (cancelli) tutte le bocche della piazza, praticando certi portelletti a lato per comodo dei pedoni.

1. Un rastello con portello fu posto a capo della via del Ballo che va all'ospedale della Morte presso la chiesa di S. Petronio (via del Pavaglione).

2. Uno con portello alla via delle Chiavature, o di S. Vito.

3. Uno con portello che di rado si apriva sul trebbo dei Malcontenti a capo della via che va all'ospedale della Vita e alle Pescarie.

4. Uno con portello all' entrata della piazza di sopra le case di Aldraghetto Lambertini, ossia delle orificerie.

5. Uno senza portello, che mai si apriva, era posto fra la casa della compagnia degli speziali e quella dei merciari presso il pozzo del capitano, e cioè nel vicolo delle Accuse.

6. Uno con portello a capo delle Merzerie rimpetto alla torre e alla casa grande dei Ramponi, lasciando fuori la via della Zecca (cioè la via del voltone della Corda).

7. Uno con portello fra il palazzo del re Enzo e la casa della Zecca. La Zecca era nella via di questo nome sparita per l' atterramento dell' isola.

8. Uno con portello a capo della via delle Scudelle, che conduceva a S. Pietro (cioè alla via del Canton dei Fiori). - .

9. Uno con portello presso il palazzo del Comune per chiudere le vie di S. Mamolo e di Porta Nova (Cantone dell' orologio).

10. Uno con portello fra la chiesa di S. Petronio e il palazzo dei notari (via dei Pignattari).

Ogni rastello era guernito di sopra di una guardiola con petriera, e di guardia per aprire e chiudere i rastelli e i portelli.

Tutto questo apparecchio di difesa per la piazza fu messo in pezzi da una sommossa di popolo contro il governo dei Duchi di Milano li 2 settembre 1403.

Si ha memoria che del 1284 per commissione di Ottaviano di Baldoino furon seliciate in pietra cotta quarantanove pertiche della piazza Maggiore Nuova.

1400, 7 dicembre. Fu ordinato che tutta la piazza fosse seliciata, lavoro che si cominciò ad eseguire li 19 giugno del 1406 per ordino del Cardinal Legato Baldassare Cossa, nel qual giorno i guastatori stavano spianando la sua area, che poi fu alzata di tre piedi, e riempita la larga fossa davanti al palazzo del Comune, al quale vi si entrava mediante un ponte levatoio.

D. Pietro Fabro, curato di S. Michele del Mercato di Mezzo, dice nella sua cronaca che li 23 dicembre 1406 si vide finita di mattoni cotti con divisioni di marmo formanti tanti quadrati, la seliciata della piazza del palazzo dei signori al trebbo dei Malcontenti (Pescarie), e dalle scale di S. Petronio al palazzo della ragione (palazzo del Podestà).

1534. Si rinnovò la seliciata della Piazza Maggiore colla spesa di L. 9591 impiegate nei seguenti materiali.

1. Liste di macigno per fissare i posteggi venditori e i viali dei compratori...... N. 12152

2. Buchi di macigno per conficcarvi i travi del teatro della fiera. ................N. 175

3. Pietre cotte , ..................................................................N.524500

Dal numero delle pietre si deduce che la seliciata fu fatta a resca, ossia di pietre in coltello.

4. Calcina .......................................................................Corbe 1990

5. Some di sabbione ................................................................N. 12045

6. Carra di Pietrizzo. ...............................................................N. 950

7. Opere di mastri muratori .........................................................N. 1275

8. Dette da manuali .................................................................N. 3817

Sembra che il predetto lavoro siasi eseguito durante il governo del celebre storico Francesco Guicciardini.

1651. Fu decretato che si rifacesse la seliciata della piazza in pietre fregne, e con liste di macigno, la cui spesa fu calcolata in L. 20500, 00, 00.

La qual somma fu distribuita a carico come abbasso:

Alle 27 arti della città ...................... L. 2531, 10, 00

Alle 33 cappelle del circondario della città ...L.10761, 15, 10

Alle 28 Comuni entro il raggio di 5 miglia, e alle sei Comuni che toccano la detta distanza dalla città, e trovansi parte di qua e parte di là dal detto raggio.

................................................L. 2799, 16, 04

Alle botteghe della piazza e del suo contorno...L. 1992, 06, 02

Agli orti entro la città calcolati in totale tornature 156, 106

.................................................L. 668, 18, 04

Alla Camera di Bologna .........................L. 1745, 13, 04

_______________

L. 20500, 00, 00

Nel secolo XVIII fu selciata in sassi, e i comparti per i venditori e i compratori furon fatti di selci, o sassi riquadrati.

1828. Nell'agosto si diede mano al rifacimento del seliciato della piazza, regolando in altro modo la sua pendenza per il declivio delle acque, e levando un ponticello sotto il quale scorrevano, il qual ponticello era praticato nel marciapiede di macigno che dal portico dei cappellari conduce alla porta del pubblico palazzo.

La misura superficiale della Piazza Maggiore, detta anche di S. Petronio, qual è attualmente, fu calcolata dal Dotti, architetto del Senato, pertiche 510, 98. Secondo una nuova misura si è trovata pertiche 480, 20, 10, delle quali sono selciate in macigno pertiche 4, 42, ed il restante in sassi.

Nella Piazza Maggiore Nuova si pubblicavano i bandi nel 1289 davanti le case di Soldano Galluzzi e della compagnia dei notari. Questa pubblicazione facevasi a suon di tromba da quattro banditori a cavallo per tutta la città nei luoghi a ciò destinati.

Nel 1266 i Consigli decretarono che la fiera dell'Assunta, solita a tenersi ogni anno a Santa Maria della Canonica distante due miglia dalla città fuori di porta Saragozza, si facesse nella Piazza Maggiore Nuova. Questa fiera era molto accreditata, trovandosi che per molte contrattazioni si fissavano i pagamenti alla fiera di Santa Maria di Reno, come consta da un rogito di Rolandino Passaggeri e da un altro del 1266, col quale Rolandino Romanzi vendette 127 tornature di terra nel Comune di Pollicino, a baiocchi 12 la tornatura da pagarsi alla fiera di Reno.

Durante la fiera celebravasi una messa a comodo dei negozianti nella chiesa di Santa Maria dei Rustigani, e, dopo il suo atterramento, nella cappelletta della Croce innalzata dove fu già l'altar maggiore della medesima.

Manchiamo di notizie dell' epoca in cui si cessò di tenere questa fiera nella piazza, ma è presumibile che ciò avvenisse poco dopo il 1444, mentre a quei giorni per la solennità dell'Assunta sorse una fiera che si teneva dentro e fuori della porta di San Mamolo a comodo del numeroso popolo che portavasi alla B. Vergine del Monte a rendergli grazie per la segnalata vittoria riportata dai bolognesi condotti da Annibale I Bentivogli contro il conte Luigi Dal Verme capitano dei Duchi di Milano li 14 agosto 1443 fra S. Pietro in Casale e il castello di S. Giorgio di Piano.

Per questo fatto d' armi glorioso per la bolognese repubblica fu decretato che li 14 agosto d' ogni anno tutte le autorità civili ed ecclesiastiche si recassero in solenne cavalcata alla chiesa della B. Vergine del Monte per presentare a quella sant'immagine una ricca offerta in cera e denaro.

Nei libri del Reggimento si trova che li 17 agosto 1461 furon pagate L. 3 a Crescente del Poggio per sego bruciato lungo la via di Santa Maria del Monte nella notte precedente alla sua festa per andare all'Indulgenza, e che li 14 agosto 1462 fu accordato al Gonfalonìere di spendere L. 20 per le cose necessarie al viaggio della Madonna del Monte, e per illuminare la strada. Ciò prova che la cavalcata si faceva la notte del 14 venendo al 15 d' agosto, e probabilmente per scansare il gran caldo della stagione.

In progresso di tempo la cavalcata ebbe luogo dopo i vespri della vigilia di detto giorno, e ciò nel 1700 circa, in cui si cessò di recarsi colà, e si sostituì la visita alla chiesa della Madonna delle Grazie, inviando però le solite offerte a quella del Monte, cui volle Gregorio XIII concedere, li 30 giugno 1584, un' indulgenza in forma di giubileo per tutta l'ottava dell' Assunzione.

L'uso dei tornei, o giostre, in Bologna si fa rimontare al 1146. Raccontasi che l' imperatore Corrado III avendo ricevuti ad ambasciatori bolognesi Azzone Torelli. Riniero dalla Fratta e Silinguerra Guifredi li fece assistere ad un torneo all' uso di Sassonia, esortandoli d' introdurre tal genere di spettacolo anche in Bologna, e con segnò loro le leggi e i regolamenti da osservarsi. Aggiungesi che nel 1147 fu data la prima giostra, della quale fu vincitore Egano di Gerardo Lambertini.

Il Negri ne' suoi annali descrive minutamente questo spettacolo, e non contento di tramandarci tante recondite notizie porta dettagliatamente i capitoli e le leggi dei giostranti.

Che i bolognesi dessero a quei giorni qualche spettacolo è probabile, ma che le leggi dei tornei le avessero dalla Sassonia non regge.

Dicesi che nel 1202 Geremia Malavolta morì giostrando alla presenza di Ottone imperatore.

Nel giorno di S. Petronio si dava una festa sulla piazza che pare consistesse in una giostra.

Per la festa del 1441 furon pagate, li 11 ottobre, a Nicolò di Baldassare Massarolo L. 38, 8, 10 per lavori fatti e legnami impiegati per l'apparato in piazza, e a Tommaso Dal Dottore speziale ed anziano furono sborsate L. 5, 15 per confettura e vino da lui fornito al governatore e al magistrato per detta festa.

La festa del 4 ottobre 1470 fu data a spese di Giovanni II Bentivogli con un magnifico torneo descritto in ottava rima da un contemporaneo. Il premio fu uno stendardo di ricchissimo broccato d' argento, che fu vinto da Alessandro Bargellini e da Egano Lambertini, ed offerto dai vincitori al Bentivogli, il quale fece dipingere la festa nella sala del suo palazzo da Francesco Francia, opera mirabilissima e fatalmente distrutta.

Precedentemente alla festa di S. Petronio nel 1471 si corse la giostra per vari giorni da 56 giostranti, che entravano in lizza alle ore 19 e sortivano alle ore 21. Il premio fu un palio di cremisino bianco guadagnato da Bartolomeo Sangiorgi, altri dicono da Bartolomeo dal Bue, e da Tommaso da Lodi uomo d' armi di Giovanni II Bentivogli.

Li 11 luglio 1490 Francesco Pedocca, rettore dello Studio, fece giostrare in piazza donando un palio di velluto cremisi di braccia 23, che fu guadagnato da Cesare Gozzadini uom d'armi del detto Bentivogli, e da Carlo Rossi al servizio di Roberto Malatesta.

Il premio ordinario dei vincitori era anticamente un palio di velluto, o di cremisino.

Giulio di Giovanni Franchini sborsò alla Camera di Bologna, li 25 gennaio 1603, scudi 600 da L. 4 perchè colle rendite di detto capitale si premiasse con una collana e una medaglia d' oro del valore di scudi 50 il vincitore della giostra al rincontro, e non impiegandosi i frutti per detta collana, riservò la metà dei medesimi a pro de' suoi eredi, come da rogito di Pietrantonio Noli (1).

La giostra al rincontro si correva la domenica di quinquagesima. Da una parte della medaglia vi era la seguente iscrizione: — Julij Franchini munus, — e dal l' altra un gonfalone sostenuto da due chiavi, e un San Giorgio a cavallo sopra di un serpe.

La collana e medaglia d'oro fatta fare nel gennaio del 1711 per la giostra al rincontro da corrersi in quell' anno costò L. 614, 15, 1.

Vincenzo del conte Girolamo Ercolani nel suo codicillo del primo luglio 1680 lasciò L. 10000 da investirsi per fare un cumolo di L. 5000, e perchè coi frutti di questo cumolo e capitale si dasse una collana d' oro al vincitore della giostra al rincontro. Mori l' Ercolani li 29 aprile 1687, e nel 1732 i cumoli col capitale ammontavano a L. 21610, 17, 2.

I premi per le giostre alla quintana e al saraceno erano alcuni pezzi d' argento di non stabilito valore fatti a spese del magistrato degli Anziani. Si correva il giovedì grasso.

Qualche volta si correva la giostra all' anello e al dardo.

Per lo spettacolo delle giostre, che d' ordinario si dava nel carnevale, si costruiva un circo di legname aderente alle scale di S. Petronio, lungo piedi 265 e largo piedi 130 circa. I palchi per il legato, per la nobiltà d'ambo i sessi, e per i giudici erano dalla parte della chiesa di S. Petronio, e quelli degli altri spettatori da quella opposta. La lizza era in direzione di levante a ponente. L'ingresso alla lizza era verso il pubblico palazzo, e la sortita verso il portico dei Banchi, nelle quali testate non vi erano palchi.

Nel 1655 fu data una giostra al rincontro alla Regina di Svezia sopra una gran nave la cui prora toccava la facciata dei Banchi sopra le pescarie, e la poppa era appoggiata alla ringhiera sulla porta del palazzo.

L'ultima giostra, che fu alla quintana, fu vinta l'ultima domenica di carnevale li 11 febbraio 1725 dal conte Federico Calderini, che fu poi senatore.

La Fiera dell'Assunta, che, come si è detto, tenevasi dentro e fuori della porta di S. Mamolo, fu restituita alla Piazza Maggiore, ma decaduta in guisa da ritenersene lo scopo, più che industriale, di pubblico solazzo.

Se nel 1534 in occasione della rinnovazione della seliciata della piazza si ebbe cura di distribuirvi 175 buchi di macigno per conficcarvi i travi del teatro della fiera. sarebbe a credersi che fosse stata qui traslocata prima di detta epoca.

Dai capitoli dell' appalto del dazio piazza, stipulati li 19 novembre 1583, impariamo che questa sedicente fiera era franca dal 14 al 24 agosto, e da quelli segnati li 2 settembre 1613 sappiamo che la franchigia era stata estesa a tutto il mese di agosto col consenso dei magistrati e con notificazione del primo agosto 1607 del Legato Cardinal Giustiniani.

In tempo di fiera gli Anziani del bimestre di luglio e di agosto erano per cosi dire i padroni della piazza. Il teatro costrutto di legname era fatto a spese di quel magistrato, il quale disponeva delle botteghe, fissava l'affitto, giudicava delle controversie, e condannava con pene pecuniarie ed anche col carcere i contravventori ai regolamenti della fiera.

Andò in tale decadenza quest' immagine di fiera, che non trovandosi concorrenti volontari per occupare le botteghe, bisognò che gli Anziani ricorressero ai mezzi coativi, obbligando le compagnie d' arti a provvederle di mercanti e di mercanzie. Il numero delle botteghe non oltrepassò mai le quaranta, nè mai fu minore delle sedici.

Nel 1621 il teatro della fiera fu ornato di pittura e di prospettiva per festeggiare la promozione al cardinalato del nostro concittadino Marcantonio Gozzadini, e tal modo di ornarlo fu praticato ancora per molti anni.

Aveva il teatro tre ingressi: il principale era davanti al pubblico palazzo, e gli altri due negli angoli della fiera dalla parte del portico dei Banchi. Une fila di botteghe eran costrutte dalla parte della chiesa di S. Petronio e da quella del palazzo del Podestà, ed una terza sotto la prospettiva che chiudeva il teatro dalla parte di levante, nella quale simetricamente si vedevano distribuiti gli stemmi del Gonfaloniere di giustizia e degli otto anziani del quarto bimestre. Lunghesso e davanti i tre filari di botteghe eravi una specie di galleria coperta, sulla quale era praticato un sito comodo e sicuro per dar ricetto a numeroso popolo il dopo pranzo del 24 agosto, giorno in cui davasi lo spettacolo della porchetta.

La sera il teatro era illuminato fino a una determinata ora, dopo la quale si chiudeva, e durante la notte era custodito da apposita guardia.

L' instituzione di una festa che davasi il giorno di S. Bartolomeo ebbe il suo principio circa il 1249, e consisteva in una corsa di cavalli, che spiccavansi dal ponte di Reno fuori di porta S. Felice, e si fermavano dov'eran le case dei Romanzi, poi Malvasia, dalla Seliciata di S. Francesco.

Nel 1263 si volle che la corsa cominciasse dal ponte maggiore di Savena fuori di porta di Strada Maggiore, e terminasse al trivio di Porta Ravegnana, la quale fu poi allungata fino al Fieno e Paglia, e cioè al torrazzo delle Carceri. I premi erano dapprima un ronzino e uno sparaviere, ai quali nel 1280 fu aggiunta una porchetta, e poi in seguito anche due cani bracchi.

Il Ghirardacci dice che i premi del Palio che correvasi per Strada Maggiore li 24 agosto consistevano in un cavallo vivo addobbato, uno sparviero, due cani bracchi, e un carniero, ossia bastone, che si attaccava all'arcione dai gentiluomini quando andavano a caccia collo sparaviero in pugno.

Il primo cavallo vincitore riportava in premio il ronzino, lo sparaviere e i due cani bracchi, e il secondo la porchetta.

Il rettore dell' ospedale dell' Idice pagava le spese di questa festa stabilita in L. 40 di bolognini.

Se la corsa del giorno di S. Bartolomeo era in uso del 1249, e senza dubbio pur anco del 1263, è evidentemente provato che quella festa non fu instituita per il fatto di Tebaldello seguito la notte del 12 al 13 novembre 1280 coll' esterminio dei ghibellini e del loro capo Antonio Lambertazzi, supposizione che ha esistito nella sola mente del Bombaci e di coloro che gli hanno dato retta.

Il Ghirardacci dà la disfatta dei Ghibellini a Faenza quasi un anno dopo, e cioè li 24 agosto 1281. Il certo si è che la festa di S. Bartolomeo praticavasi prima assai del 1280 e del 1281, e tutto al più potrebbesi concedere che dopo il fatto di Tibaldello si aggiungesse la porchetta, la quale era portata viva sopra un cavallo per tutto il tratto di strada ove correvasi il Palio.

Ansaldino d' Alberto Ansaldini, notaro, inserì nel registro de' suoi atti il fatto di Faenza nel modo seguente: "1280, il martedì notte verso il giorno 12 novembre il partito dei Geremei di Bologna prese per forza la città di Faenza con intelligenza di Tebaldello de' Zambrasi, di dove scacciarono i Lambertazzi che tenevano Faenza. Molti di questi furono uccisi, presi e condotti nelle carceri di Bologna".

S' ignora quando alla corsa dei cavalli sia stata sostituita una cuccagna di pollami, commestibili e denaro per il popolaccio, la qual festa terminava col gettar dalla ringhiera della porta di palazzo sulla piazza una porchetta arrostita alla plebaglia. Per le spese di questo spettacolo furono assegnate le rendite di un molino detto del ponte d' Idice in Pizzocalvo ammontanti ad annue L. 541, 13, 4.

Nel 1621 si cominciò a dare nel piazzale interno della fiera una rappresentazione pantomimica, o una caccia di tori, ovvero altri divertimenti popolari, dopo di che si metteva mano alla cuccagna, ossia alla così detta coglia (coija ,in vernacolo bolognese).

Nel 1634 gli Anziani vollero che si corresse il palio dalla porta di S. Felice fino al registro, col premio di una pezza di velluto cremisi sormontata da sontuosa paliola. nella quale erano effigiate le armi del Gonfaloniere e dei signori del Magistrato.

Nel 1314 il tiranno Oleggio non permise che avesse luogo il solito divertimento per la festa di S. Bartolomeo, e mentre era vietato il darlo solo in tempi calamitosi, e in circostanza di sede vacante.

L'ultima festa della porchetta si celebrò li 24 agosto 1796 dopo circa 547 anni dalla sua istituzione.

Terminato il divertimento popolare assistito dal Legato, Vice-legato, Gonfaloniere ed Anziani dalla ringhiera del predetto magistrato, passavano le autorità alla galleria dov' era radunata una numerosa conversazione di nobiltà estera e nazionale servita dì copiosi rinfreschi.

Nel dopo pranzo del giorno di S. Bartolomeo eran chiuse tutte le porte della città fino al tramontar del sole.

Nel 1631 si cominciò a pubblicare colle stampe la relazione della festa, ed in appresso ad unirvi anche il rame rappresentante il teatro della fiera e della pantomima data entro il suo recinto.

In tempo di sede vacante la piazza e le porte della città erano presidiate dalle milizie del Senato, dette degli Orti, ed anche forensi. Erigevasi per esse un quartiere o corpo di guardia fatto di legname, o in faccia alla chiesa di S. Petronio, o al palazzo del Legato.

Era permesso, o tollerato, che per l' elezione di un papa bolognese fosse saccheggiato il detto quartiere dal popolaccio.

L'ultima volta fu costrutto nel 1774 per la morte di Clemente XIV.

Nel 1694 la piazza in vicinanza delle scale di S. Petronio era ingombrata da tre filari di botteghe mobili sostenute da quattro ruote ciascuna onde poterle trasportare altrove quando si voleva libera la piazza per circostanza di feste pubbliche, di sede vacante, ed anche di processioni. Le dette botteghe erano conosciute col nome di cassoni, ed appartenevano ai merciai, tellaiuoli, venditori di ferri vecchi, di rame, ecc.

Li 29 marzo 1766 furono allineati porzione nella piazza del Nettuno fino al Mercato di Mezzo dalla parte del pubblico palazzo, e porzione lungo le volte dei Pollaroli; finalmente li 18 aprile 1781 furon tolti anche di colà e trasportati nella via Imperiale del Mercato, dove a poco a poco finirono di esistere.

La piazza attuale è contornata dal palazzo nuovo del Comune, dal fianco del palazzo vecchio detto del Podestà, dal portico dei Banchi di spettanza privata, dalla chiesa di S. Petronio, e dal palazzo del già collegio dei Notari, ora di ragione privata.

(1) Crediamo oltremodo interessante questo documento a mo' di lettera descrivente alcune giostre datesi nel carnevale del secolo XVIII. È a credersi certamente sia stato tolto da un opuscolo di qualche rarità se l'autore se ne procurò la copia che testualmente qui diamo.

Copia di lettera scritta da un Forastiero ad un suo confidente in occasione delle Giostre e Feste fattesi in Bologna, havuta mandata alle stampe, e dedicata al merito sempre grande dell'Illustrissimo Signore Antonio Bolognini Amorini.

Illustrissimo Signore Sig. Padron Colendissimo Va' molto tempo, ch' io sospirava qualche favorevole congiuntura per umiliare a V. S. Illustrissima la mia reverentissima servitù. Quando capitatami alla mano la presente Relazione delle Giostre fattasi qui in Bologna questo Carnevale passato, e desiderando di consegnarla alla stampa mi viddi aperto l'adito all'effettuazione del mio desiderio col dedicarla a V. S. Illustrissima. Non isdegni dunque che io adempia le mie giuste brame col presentarle un racconto, in cui V. S. Illustrissima ne tiene la maggior parte della gloria, già che in esso per due volte si vide riportarne l'onore della Vittoria nelle due famose Giostre di Rincontro, nelle quali con ben distinto valore singularizò se medesimo, e ne trasse universale l'applauso. Animato da sì vere rifflessioni non dispero compatimento all'ardire, che mi son preso. Et assicurandomi di ritrovare unita a tanto valore pari la cortesia nel gradimento, m'affido di farmi conoscere qual sono, e desidero d'essere sempre.

Di V. S. Illustrissima

Bologna 2 aprile 1710

Umiliss. Devotiss el obbligatiss. servo N. N.

Carissimo Amico,

In esecuzione della promessa già fattavi, ecco che adempio a miei doveri col darvi un sincero ragguaglio delle. Giostre seguite in Bologna nella fine di questo carnevale, ove accidentalmente mi ero trasferito non essendomi mai imaginato d' havere ad essere spettatore d' operazioni veramente regie, e degne da ammirarsi da ogni più, che gran personaggio come sono state quelle, alle quali per mia buona sorte sono rimasto stupido ammiratore, et ho conosciuto in esse la generosa splendidezza, e valore di nobiltà così illustre. Cercherò colla maggior brevità possibile di tediarvi il meno, che potrò, non ostante che la materia di cui devo trattare richiedesse un ben lungo racconto per descrivere a minuto tutto ciò, che fosse necessario per intelligenza di queste belle, e magnifiche operazioni. Scusate voi pertanto la semplicità dello stile, come propria maniera, con cui scrivo ad un amico. Essendo dunque Confaloniere l' illustrissimo signor marchese e senatore Guido Antonio Barbazza, ed Eccelsi Anziani Consoli gli illustrissimi signori conte Leopoldo Malvezzi dottore, conte Pirro Capacelli Albergati, Fabritio Fontana, Silvio Antonio Marsigli Rossi conte cavaliere dell'ordine reale di S. Michele, Alessandro Maria Favi, Lodovico Antonio Boccadiferro, marchese Giorgio Manzoli, e Camillo Gessi, ansiosi questi per aderire al genio universale di questa città di far palese al mondo la sincera, e debita osservanza verso l' eminentissimo signor Cardinale Casoni loro degnissimo, e moderato Legato, e per darne qualche contrasegno della stima ben grande d'un tanto Porporato fecero eriggere nella piazza grande un magnifico steccato in forma ovata vago non meno per la struttura, che ammirabile per la grandezza, e per l'apparato, disposto in maniera, che sembrava un ben regolato anfiteatro, mentre veniva formato da vari ordini di palchi, o loggie una sopra l'altra per più comodo, e facilità de' spettatori. Veniva questo recinto rinserralo dalle due estremità da rastelli, o barriere, che proibivano l'ingresso nel campo alla plebe per evitare le confusioni e rendere più vaga e decorosa una sì nobile attione; nel mezzo al detto teatro eravi la lizza con la tenda per l'abbattimento. Da un ala del sudetto teatro più eminente delle altre vedevasi una ben lunga, e spatiosa loggia sostenuta da quantità di colonne quadre, tutta ornata di damasco cremesi, e nel mezzo di essa sotto un ben disposto padiglione sostenuto, da vari Amorini dorati veniva distinto il luogo per gli Eminentissimi Signori Cardinali Legato, ed Arcivescovo Boncompagno, che ancor egli degnossi d' honorare di sua grata presenza un tanto nobile divertimento, Illustrissimo e Reverendissimo monsignor Vice-legato, Illustrissimo signor Confaloniere, ed Eccelsi Signori Anziani, e sotto di essi in palco apparato eravi il loco de' signori destinati per giudicare nel caso delle differenze tra cavalieri giostranti. In giorno dunque di domenica 23 di febraro scorso; Primi d' ognuno comparvero sul mezzo della piazza alle hor. 20 in circa tutti li volontarii delle milizie a piedi, ed occuparono il campo destinati alla guardia dei rastelli con loro brandistocchi, e tutti vestiti d'abiti proprj, e con divise uniformi, e nel medesimo tempo ancora una compagnia di cavalli disposta in varj siti della piazza teneva occupati i luoghi più gelosi di quella, e rinforzava al di fuori le dette avvenute nel campo. Intanto empiutosi tutti i palchi di innumerabili spettatori, mascare. e nobiltà forestiera concorsavi in gran numero, viddesi la sudetta loggia ripiena di dame, e cavalieri tutti vestiti in gala, e con pompa tale, che veramente facevano conoscere la splendida magnificenza di questa nobile, e generosa città. Preceduto il suono di varie trombe sulla ringhiera del palazzo del pubblico comparvero nel luogo destinato gli Eminentissimi Cardinali Legato, ed Arcivescovo, illustrissimo e reverendissimo Monsignor Erba Vice-legato, illustrissimi signor Confaloniere ed Eccelsi Anziani Consoli accompagnati dal solito corteggio delle loro guardie de' cavalli leggieri, svizzere, loro corti, e famiglie, e nello stesso tempo si posero ne' loro siti gl'illustrissimi signori giudici, che erano i signori Girolamo Alamandini, conte Nicolò Vezza Albergati, e cavalier Donato Legnani Ferri, con quattro staffieri per ciascheduno vestiti propriamente, e col notaro destinalo da signori Anziani. Posti dunque tutti questi signori a luoghi si presentarono i signori Mastri di campo, che furono i signori Alessandro Sampieri, e senator marchese Paolo Magnani vestiti ambedue d'abiti ricchissimi, e gioiolati cappelli, sopra bellissimi cavalli preceduti da due trombetti, e duoi corrieri vestiti di panno scarlatto con trine di voluto cremesi, solita divisa del publico, havendo ciascheduno di questi cavalieri sei staffieri proprii con nobili, e vaghe livree. Riveriti da questi signori i signori giudici deputati, chiesero loro la permissione d' introdurre i cavalieri giostranti nello steccalo secondo l'ordine solito, e questi per debito, e gentilezza presentarono la medesima istanza agli emìnentissimi Cardinali, ed ottenutala si partirono con vago passeggio sul campo passando fuori dello steccato ad incontrare il primo de' cavalieri che fu il signor senator conte Alamanno Isolani, che comparve sotto nome di Feraspe lo sventurato preceduto dai suoi proprii trombetti a cavallo, e quattro paggi pure a cavallo, due dei quali portavano su le spalle due grande aste dorate, gli altri due uno una mazza dorata, e scudo, e l'altro una nobile valigia solito equipaggio, e precisa pragmatica di questa giostra, seguitavano questi, quattro cavalieri, il primo de' quali fu il senator Alessandro conte Pepoli, conte Ercole Aldrovandi, conte Cornelio Malvasia, cavalier Paolo Spada tutti accompagnatori, e tutti quattro con ricche bardature sopra spiritosi cavalli, ed abiti così ricchi, che nella diversità dello sfoggio non mi diedero l'animo di distinguere, chi di loro fosse da preferirsi nella generosità della spesa, portando inoltre ciascheduno quattro staffieri a piedi di propria bella, e bene intesa livrea, a questi seguitava il signor senator Ghiseglieri per uno de' padrini con sei proprii staffieri, a cui seguitava il detto senator Isolani, che vi giuro, a me non dà l'animo di descriverlo con la penna, quale lo viddi cogli occhi, dirovvi solo, che tutto coperto di lucidissima armatura, e sopravesta di veluto color bleu tutto trinato d'oro portava sopra del capo un altissimo cimiero di color bianco e turchino, dal quale pendeva un pomposissimo manto, che lo ricopriva, cadendo sopra del cavallo anch'egli armato tutto, ed ornato, e coperto delle medesime divise del cavaliero che portava in mano nobile, e vaga lancia dorata pendendo dal di lui braccio ricchissima sciarpa del suo colore; veniva inoltre seguitato da otto staffieri proprii con livrea di fondo turchino quasi tutta coperta di larga trina d' oro, della quale erano pure fregiati i già sopradetti paggi, e trombetti a cavallo, Dopo di lui veniva il signor senatore conte Girolamo Bentivogli, come altro padrino con lo stesso seguito di sei staffieri di propria livrea. Passeggiato che ebbe il campo, ed inchinati i giudici, e suddetti eminentissimi Cardinali, si portò al luogo destinatoli, ed intanto i suoi cavalieri presentarono a detti eminentissimi e magistrati cartelli di drappo con merli d'oro, come parimenti a tutte le dame e cavalieri spettatori, fu poscia da medesimi mastri di campo introdotto il secondo cavaliere, che venne dalla parte opposta del primo, e fu il signor Antonio Amorini, che si vidde comparire con non disuguale corteggio e pompa del primo, e preciso numero di trombetti, paggi, e staffieri, e cavalieri, portando egli sopra l'armatura la sopraveste di veluto color d'oro, ricamata d'argento, come pure dello stesso colore, e richissima fregiatura d'argento era vestita tutta la sua gente di seguito; furono i quattro cavalieri, che l'accompagnarono i signori conte Giovanni Nicolò Tanari, marchese Macherano Romano, marchese Francesco Zambeccari, e marchese Ercole Bevilacqua; suoi padrini furono i signori conte Francesco Ranuzzi, e marchese Antonio Albergati, quali tutti non disuguali a primi nella pompa degli abiti, capelli gioiellati, numero di staffieri, varietà delle livree mostrarono i loro spiriti generosi, onde passeggiato il campo, inchinati, e fatte le medesime rimostranze d' ossequio del primo, e dispensato i cartelli, nei quali sì faceva passarlo sotto nome d' Armidoro dal Gange fermossi anch' egli nel sito a lui determinato. Così alternativamente successe del terzo cavaliere, che dalla parte, d'onde venne il primo fu introdotto nello steccato, ed era il conte Camillo Grassi, che col seguito descritto delli altri, ed equipaggio non dissimile nella magnificenza, e splendidezza comparve colla divisa verde e bianca, e sotto nome di Melindo di Diserta accompagnato dai signori marchese Paris Grassi di lui fratello, cavalier Antonio Godronchi come padrini di esso, e delli quattro cavalieri accompagnatori, che furono i signori marchese e senatore Albergati, conte Giuseppe Malvasia, conte Filippo Legnani Ferri, Alberto Budrioli, che alla forma de gli altri fermossi ad attendere il quarto, che fu il signor Gio. Paolo Odofredi Gandolfi, che sotto nome di Filonicetta il Costante si fece vedere nelle forme praticate dagli altri accompagnato da suoi padrini che furono i signori marchese Filippo Bentivogli iuniore, e conte Filippo Marsigli freggiati nel braccio destro di ricca e nobile sciarpa della di lui divisa, come pure un bastone per ciascuno contornato d'argento di nobile manifattura solito dono praticato sempre in simile giostra da cavalieri giostranti a loro padrini, come fu ancora eseguito dagli altri tre già detti signori; l'accompagnarono i signori conte Girolamo Bolognetti, conte Annibale Renghiera, conte Vincenzo Vittorii, Alberto Gandolfi fratello del giostrante. Dal corteggio degli altri potete arguire non dissimile il trattamento di quest'ultimo, e ciò faccio per brevità, non già che non meritasse un ben distinto racconto. Posso ben dirvi, che si vedea nella piazza dello steccato da più tra cavalieri, trombetti, paggi, e staffieri da duecentocinquanta persone, che con la varietà degli abiti, con la vaghezza delle piume, con gli ori, argenti, e gioie facevano all' occhio una così ammirabile confusione, che non si sapeva ove ultimare lo sguardo alla distinzione dell'oggetto più ammirabile, e credetemi, che vi parlo senza finzione. Ritrovatisi tutti dunque in campo, dopo le solite circostanze, che per esser forestiere non potei in sì poco tempo ritrarne le precise formalità, come ancora sarò degno di scusa, se non havrò serbato tutta quella puntuale esattezza, che richiedevano tali e tante circostanze; so ben dirvi, che tutti si portarono nei rincontri con valore e legiadria ammirabile, battendosi per ciascheduno quattro volte con l'avversario, cioè Isolani, et Amorini, Grassi, e Gandolfi, e in cosi nobile arringo rimase vincitore il sig. Antonio Amorini, riportando della vittoria il solito premio consistente in due ricche collane d'oro, con loro medaglie, premi stabiliti per sì degna funzione in perpetuo dalle due nobili case Franchini ed Ercolani per mantenere in questa città una sì degna emulazione nel costume singolare di questa attione cavaleresca. Applaudito da tutto il popolo il valore del vincitore si portò egli al luogo destinato per la sera, ove diede sontuosa festa di ballo, e splendido rinfresco a tutta la nobiltà concorsavi in numero immenso, compresovi ancora I'onore con cui fu qualificata dalla presenza degli eminentissimi Legato, et Arcivescovo, Vice-legato, e Gonfaloniere. E così viddi terminata questa funzione, alla quale per quel poco d' Europa, che ho veduta non ho trovata l'eguale. Io voleva tosto partire la mattina vegnente, credendomi aver veduto tutto ciò, che di più vago mi havessi potuto immaginare, ma trattenuto da varii amici, che mi avvisarono doversi vedere altre funzioni cangiai ben presto pensiero allettato dalla passata contentezza ad essere spettatore d' altre non minori funzioni.

Il martedì dopo pranzo nel medesimo teatro fui introdotto a vedere una giostra alla quintana da sette cavalieri, trà quali vi erano i quattro della giostra di rincontro, con abiti veramente alla reale, e nuove livree di non minor valore, e vaghezza delle passate, e gli altri tre furono i signori Antonio Maria Ghiseglieri, conte Giovanni Nicolò Tanari, Antonio Malvezzi tutti con loro padrini con seguito. Alla presenza dunque de' medesimi superiori, dame e cavalieri situati ne' loro soliti posti si principiò il nobile arringo, nel fine del quale riportò la vittoria il sig. Gandolfi, havendo ottenuto il premio di una ricca guantiera d' argento di singolare manifattura, premio proposto dalla generosa splendidezza de' medesimi signori Confaloniere et Anziani. Questi la sera diede sontuoso trattenimento di ballo e rinfresco alla nobiltà, non disuguale alla prima. Stordito da tante nobili apparenze non seppi dipartirmi di qui, se non terminato il carnovale, che in vero, e senza una minima iperbole il simile non ho mai veduto in alcun luogo d' Italia, e per la nobiltà delle maschere universalmente con gran lindura e ricchezza, feste di ballo si private, come nobili in numero prodigioso, tre drami in musica, commedie private ne' collegi de' reverendi Padri Gesuiti, nell'accademia dei nobili al Porto Naviglio, nel collegio Montalto, passeggi di carrozze e carri trionfali, concerti di strumenti con più di settanta sonatori, che più volte si sono veduti per li corsi, e alla presenza de' signori medesimi. Ma fra tante vaghezze che viddi oltrepassò la mia ammirazione il nobile ingresso al Confalonierato di Giustizia per la prima volta del signor senatore conte Alessandro Pepoli, che in tutte le sue parti rese estatica l'aspettazione d'ognuno, mentre oltre le immense merende date alla famiglia di palazzo, e alla guardia svizzera, particolarmente con più d' ottanta portate di robbe tutte scelte, e quelle del capitano, che veniva distinta con un bellissimo sturione, e trute, e fagiani, ed altre cose rare, si vidde il maestoso apparato, con cui era addobbato, e ornato il suo gran palazzo, girandosi per più di 40 stanze alla reale, oltre una scuderia di superbi cavalli, con suoi arredi, e bardature ricchissime per l'oro, e l'argento, e manifattura, il tutto riuscì d' universale ammirazione sì alla nobiltà, che alla cittadinanza, che in gran numero ivi concorse. Terminata la sontuosa funzione d'andare egli a prendere il possesso nel palazzo pubblico conforme il costume. Per seguito de' divertimenti espose egli unito a signori Anziani Consoli, che erano gì' illustrissimi signori Pietro Aurelio Piastri dottore, conte Sighizzo Gambalunga, Giuseppe Malvezzi, conte Rizzardo Isolani, marchese Filippo Maria Bentivogli, marchese Paris Maria Grassi, marchese Francesco Zambeccari, e conte Ercole Aldrovandi, due nuovi premii per nuove giostre, quali furono eseguite la domenica e lunedì di carnevale, la prima di rincontro, l'altra della quintana, che seguite nella medesima forma delle precedenti pompose, e belle. Toccò l'onore del premio della prima al signor Antonio Amorini, e l'ultima al signor Ghisiglieri, che rinnovarono ambedue le feste di ballo non mai inferiori delle passate. Non so darvi maggiori notizie di tanti divertimenti, perchè non ho termini sufficienti per esprimere tante vaghezze. E pure bisogna che io passi a maggiori espressioni, se pure averò tanto talento. Posciachè negli ultimi tre giorni del medesimo carnevale dalla magnifica splendidezza di questo eminentissimo Legato fu trattenuta tutta la nobiltà sì cittadina, che forestiera ogni mattina con pubblico e sontuoso rinfresco d' acque, ciocolate e rare bevande, come con dolci forestieri, e prodigiosa quantità di fiori, ed agrumi, de' quali ne restorno regalate le dame, e contenta la nobiltà, che v'intervenne, che dopo passava da monsignor Vice-legato che ancor egli fece distinguere la propria generosità in copioso rinfresco, ma di tutto più deve ammirarsi in tanta confusione di allegrezza in una città così popolata, e di genii tanto diversi, la quiete e tranquillità in tempo di tante libere occasioni, ammirandosi in essa una singolare uniformità di pareri nel non abusarsi della gentile condiscendenza d' un così degno Porporato veramente amato e temuto, unica cagione del totale sollievo di una città per altro abbattuta dalle correnti miserie. Scusate se mi sono dilungato e credetemi più breve di quanto richiedeva l'occasione presente, e salutandovi di tutto cuore resto Di voi amico carissimo.

Bologna li 2 aprile 1710

Vostro affezionatissimo amico N. N.

Palazzo Nuovo del Comune

N.90. Pretende l' Alidosi che questo edifizio siasi incominciato nel 1290, ed ampliato con compre fatte li 11 settembre 1293 d' alcuni casamenti posti verso Porta Nuova appartenenti ai rettori delle chiese di Santa Tecla e di S. Silvestro, e cioè dal lato di sera. Aggiunge che nella fabbrica vi fu compresa una casa dei Lambertazzi pagata L. 300, della quale conservavasi a' suoi giorni una scala di 40 gradini di gesso, che corrosi dall'uso e dal tempo furon rivoltati circa il 1611. Questa scala è la così detta degli Anziani, che trovasi a capo del loggiato subito a sinistra dell' ingresso del pubblico palazzo. Dice finalmente che frate Pietro Nazzari, depositario del Comune, pagò nel 1294 L. 3000 ai soprastanti alla fabbrica di questo palazzo.

Si ha però notizia dal libro dei Memoriali che sul finire del 1244 si fecero alcune compre di terreno in questa situazione, le quali indicano il progetto di erigere qui un palazzo, per cui si crede cominciato nel 1245. Si ha notizia certa che nel palazzo nuovo vi siano compresi i seguenti stabili :

1° Presso la torre dell' orologio, creduta comunemente dei Lambertazzi, ma senza fondamento, vi erano le case del famoso Glossatore Accursio, sulla morte del quale non son concordi gli storici, mentre qualcuno lo dice morto nel 1229, altri nel 1265 di anni 78, certuni nel 1267 d' anni 75, e finalmente chi nel 1275 in età d' anni 78.

Ebbe egli due figli, Francesco e Cursino, al primo toccarono per eredità paterna tre delle quattro parti di queste case, e al secondo l'altra quarta parte, che fu da lui venduta, o data in permuta a Martino del fu Bolognito Merolite.

Francesco d' Accursio e Martino di Bolognito le vendettero li 14 febbraio 1287 a Cumino de Scardelli sindaco e procuratore delle genti e dell'università dei Geremei della città di Bologna, come da rogito di Iacobuccio dal Bagno, nel quale si dice che questa casa con torre è sopra la piazza del Comune di Bologna in cappella Santa Tecla. Confina a oriente colla piazza e colla pubblica via della Piazza Maggiore, ad aquilone colle case e colla torre dei figli del fu Nevo di Rainerio Guezi, a occidente, ossia di dietro, con i beni della chiesa di Santa Tecla, e a mezzodì colla via pubblica per la quale si va a Porta Nova. Nel contratto è detto espressamente esservi compresa la torre tanto interna che esterna. Il prezzo fu di L. 3700 di bolognini grossi, moneta bolognese. Rogito di Francesco d' Ivano de' Bentivogli notaro.

Dunque la torre in oggi dell' orologio era quella di Accursio, e non dei Lambertazzi, quando però non si fosse continuato a dirla dei Lambertazzi anche dopo che colle case ad essa aderenti era stata venduta all' Accursio.

2° Poco dopo la vendita di Francesco Accursio, fu comprata dalla parte Geremea la casa di Nevo di Riniero Guezi padre della moglie del predetto Accursio, per lire 2000, prezzo cospicuo a quei giorni, e che la qualifica per casa grande e per una delle primarie della città.

3° In seguito agli stabili predetti e dalla parte di settentrione vi era la via Cavalara, la quale si dirigeva da levane a occidente alle case dei Tebaldi. Questa nella direzione delle scale del Torrone era intersecata da altra strada, che si spiccava da Porta Nova, ossia da mezzogiorno, e terminava verso la chiesa di Sani' Ippolito , poi detta Santa Barbara, a settentrione. Dove succedeva l'intersecazione di dette strade si diceva l'angolo delle quattro strade.

4° Dopo la via Cavalara eravi quel tratto di fabbrica con otto finestre ornate di cotto, che è la parte fabbricata al tempo di Taddeo Pepoli, come si vedrà in appresso. È probabile che qui fossero i terreni, che come si è detto superiormente vennero acquistati dal Comune nel 1244 secondo il libro dei Memoriali.

5° Continuando verso settentrione venivano le case di Guglielmo Panzoni, detto da qualcuno Garzoni, qualificato da Oddofredo per legista singolare, che del 1248 copriva la carica di giudice e presidente all'esame dei notari, i cui quattro figli figurarono sul finire del XIII secolo. Abitavano i Panzoni in cappella di S. Bartolomeo di palazzo, e precisamente dove erano le così dette botteghe degli scaffieri. Queste loro case arrivavano fino all' angolo della via delle Volte dei Pollaroli.

6° Nel fianco del palazzo che guarda settentrione, e che corrisponde alla predetta via delle Volte dei Pollaroli, vi erano i casamenti dei Tebaldi, chiesti dal Reggimento per ampliare il palazzo, ma rifiutati dai proprietari.

Li 3 maggio 1341 morì certa donna dei Tebaldi che li lasciò per legato al Comune, coll' obbligo di distribuire ogni anno 440 corbe di frumento ridotte in farina ai poveri della città. Questo canone fu poi dal Reggimento addossato ai dazieri delle moline e dello sgarmigliato, colla dichiarazione che s'intendeva che ogni corba di farina pesasse libbre 160, perciò in totale libbre 70400, dalle quali detratte libbre 5632 per la macina e libbre 3160 per i poveri vergognosi, si distribuivano ai poveri della città metà a pasqua di risurrezione e metà a natale le residuali libbre 61608. Questa distribuzione si faceva mediante 1760 ferlini, o marche grandi e piccole, colle armi del Papa, mercè le quali, se la marca era delle grandi, riceveva il presentatore un quartirolo, o libbre 10, e se delle piccole un mezzo quartirolo, o libbre 5 di farina.

Li 15 marzo 1383 fu fatta la provvisione sull'elemosina della farina da distribuirsi dai magistrati due volte all'anno, e cioè di dare la farina per corbe 200 di grano a pasqua di risurrezione, ed altrettanta a natale ai poveri della città. Fu adottato il progetto con 273 voti favorevoli, uno contrario ed uno neutro. Rogito Matteo di Giacobino, alias Minotto Angelelli notaro dell' ufficio delle Riformazioni.

Il primo aprile 1558 fu decretato che la distribuzione dei ferlini si facesse il mercoldì santo e la vigilia di S. Tommaso.

7° Sulla via della Piazzola del carbone corrisponde il lato occidentale del pubblico palazzo, sul quale si manca di notizie intorno ai possidenti che vendettero stabili e suolo in questa situazione.

8° Per il lato meridionale in via Porta Nova sappiamo che li 18 febbraio 1359 il Comune comprò la torre e la casa dei Lapi in contrada Porta Nova rincontro la via degli Agresti, per L. 400.

9° Al di là, andando verso piazza, vi era una casa con botteghe in cappella di S. Martino dei Caccianemici, di proprietà di Giovanni e di Guidocherio Cavalieri Galluzzo e di Francesco e Nicolò loro figli, i quali la vendettero a Bartolomeo Conforti, e questi li 26 gennaio 1337 la cedette a frate Guglielmo del fu Giacomo, del terz'ordine degli Umiliati, depositario della Gabella, che l' acquistò a nome del Comune, la qual casa fu fatta demolire nel novembre del 1336 per ordine degli Anziani onde fortificare il palazzo del Comune, dove allora dimoravano. Il Conforti aveva già ricevute L. 599, e li 26 gennaio suddetto fu ordinato il pagamento di altre L. 260, 10, 3, come si rileva dal registro nuovo.

10° Si è detto che dietro le case di Accursio vi erano stabili della chiesa di Santa Tecla, i quali necessariamente saranno stati acquistati e compresi nel palazzo, ma gli è pur certo che in questi contorni vi era una chiesa dedicata a Santa Tecla, che dicesi edificata nel 1222, alla quale fu unita nel 1293 quella di S. Silvestro, atterrata in occasione dell' ampliazione fatta al palazzo della Biava. E qui cade in acconcio l'avvertire come nelle vicinanze della piazza vi fossero due chiese dedicate a Santa Tecla. L'una detta Santa Tecla dei Lambertazzi, che fu atterrata per la fabbrica della chiesa di S. Petronio; l' altra di Porta Nova, o dei Guezi, non dei Lambertazzi, come da tanti si è erroneamente ripetuto, ed è quella a cui fu unita l' altra di S. Silvestro che nel 1390 fu distrutta dalle fiamme e non più rifatta, ed il suo suolo servì ad ampliare il pubblico palazzo.

Qualche autore ha ricordato una chiesa di S. Bartolomeo dei Lambertazzi con cura d' anime nel 1290, compresa nel recinto del palazzo del Legato, per cui tal chiesa prese il nome di S. Bartolomeo di Palazzo, e che conservata nei successivi ingrandimenti del palazzo fu accresciuta di giurisdizione col circondario della parrocchia di S. Giusta soppressa nel 1501. Questa chiesa di S. Bartolomeo non ha mai avuto il nome dei Lambertazzi, nè mai è stata compresa nell' sola del palazzo. (Vedi via delle Volte dei Pollaroli).

Li 4 ottobre 1429 Nicolò di Pietro Fava comprò dalla compagnia dei biselieri e panni di lino una casa sotto S. Martino dei Caccianemici piccoli, posta in Porta Nova, che di dietro confinava col palazzo del Legato, e dalle altre parti colla bottega di Petronio Speziale e con beni dell' ospedale della morte, pagata L. 200. Rogito Giacomo Terzi. Questa casa fu poi atterrata, e pare circa il 1436 in occasione dell' ampliazione del palazzo nuovo dalla parte di Porta Nova.

Gli stabili di Accursio e del Guezi uniti assieme formarono il così detto palazzo della Biava. Si sa che i primi nel 1289 servivano a granaio pubblico, e i secondi agli ufficiali destinati a ricevere le denunzie dei cereali.

Nel 1293 essendo uffiziali della biada Visconte Visconti, Orio Bianchetti e Iacopo Pavanesi fu cominciata una fabbrica nelle case della biava, dopo di che si trova che il mercato delle granaglie, che già fino dal 1222 si teneva nel Mercato di Mezzo presso il trivio di Porta Ravegnana, si cominciò a tenere nel palazzo dove si denunciavano le biade.

Nel 1297 gli uffìziali suddetti, già rivestiti di molta autorità, furono ancora incombenzati di pagare i dottori e i soldati.

Correndo l' anno 1301 vollero i bolognesi testimoniare a Papa Bonifazio VIII la loro riconoscenza e gratitudine, e per questo ordinarono a Manno, orefice bolognese, la statua di quel pontefice di rame dorato, che fu posta sotto un baldacchino nella facciata del palazzo della biada. Spese il Comune, tutto compreso, la somma di. L. 420. Nel 1378 fu poi rimossa e collocata sopra la ringhiera degli Anziani.

La camera degli Atti, ossia l'archivio, stabilito prima del 1255, si riconobbe con tenere molti libri vecchi ed inutili, perciò li 11 febbraio 1303 fu ordinato di separarli, e di depositarli in Domo Pratus, sive in una ex cameris palatij Bladij. Questo parziale deposito di atti fu in gran parte distrutto dall'' incendio seguito nel 1313, ma fu risparmiato da quello che ebbe luogo li 17 maggio 1334, quantunque distruggesse gran parte di questo locale.

Si trova che nel 1324 fu gettata in S. Procolo una campana di libbre 11666 detta dell' Arrengo, che fu poi posta nella torre, del Comune.

Nel 1356 fu levata la campana grossa, detta dell' Arrengo, dal palazzo della biava dove abitava l' Oleggio, e li 19 marzo fu posta sulla torre del capitano, dove per ordine del detto Oleggio fu messo un orologio.

Si trova pure che del 1327 nel palazzo della biava vi erano stabilite delle carceri.

Li 2 ottobre 1336 fu decretata l' unione al palazzo del Podestà delle case dei Lambertini, nelle quali risiedevano gli Anziani, e si ordinò che questi passassero al palazzo della biava, facendo sloggiare da esso i dazieri del vino dietro un' indennità per le spese occorrenti al traslocamento dei loro uffici.

Li 4 ottobre dell' anno medesimo gli Anziani, consoli e il Gonfaloniere di giusti zia presero posto nella nuova residenza assegnatagli.

Nel susseguente novembre fecero atterrare le volte, o loggie (portici), addossate a questo palazzo sulla via di Porta Nova.

Li 5 febbraio 1337 gli Anziani e Consoli elessero Gera di Romeo Pepoli a sopraintendente ai lavori da farsi nel palazzo nuovo del Comune. Rogito Guido di Guido Speziale.

In quest' anno l' uffizio, il mercato delle biave e i granari pubblici furono stabiliti nel Mercato, ove adattarono a tal uopo Io stabile N. 2022 e 2021 nella via Imperiale, ove li 9 novembre 1337 fu tenuta la prima fiera del grano.

Li 6 luglio 1337 per ordine degli Anziani furon fatte demolire le beccarie che erano aderenti alla loro nuova residenza.

Li 25 giugno 1338 fu finito di fabbricare quella parte di palazzo dei Signori posta sul canto delle quattro strade verso S. Pietro e rimpetto alla via Cavallara che andava alla casa dei Tebaldi.

Taddeo di Romeo Pepoli fu eletto conservatore e governatore perpetuo del comune, popolo, città e contado di Bologna li 30 agosto 1337. Rogito Cristoforo di Filippo di Giovanni da S. Miniato.

Nel 1338 proseguendo i magistrati la fabbrica del palazzo pubblico, e volendola accrescere in quella parte che comprende lo spazio dalla porta attuale del detto palazzo a tutto l'angolo rimpetto alla fontana del Nettuno, fu posta da Taddeo la prima pietra fondamentale li 25 giugno 1338 nel suindicato angolo dove aveva principio la via delle Scudelle.

Dopo la morte di Taddeo Pepoli, seguita alle ore 2 1/2 della notte delli 29 settembre 1347, essendosi li 16 ottobre 1350 venduta Bologna da Giacomo e Giovanni del fu Taddeo Pepoli all'arcivescovo di Milano, come da rogito di Ippolito di Lanfranco e di Giorgio de' Bolani, notari milanesi, mandò il Visconti al governo di questa provincia Gio. Visconti da Oleggio, che alloggiò nel palazzo della Biava. L' Alidosi dice che il Consiglio, trovando angusto il sito dove si depositavano gli atti nel predetto palazzo, e di più soggetto agli incendi, come superiormente si è veduto, determinò nel 1357 che i rogiti dei notari fossero collocati nel salone sotto quello detto del Re Enzo nel palazzo del podestà.

Dicesi dagli storici che nel 1352 fu fabbricata la torre delle prigioni, la quale nel 1403 si disse torre dell'orto del palazzo, e serviva di carcere ai grandi, e che fu poi alzata come si vede al presente sotto la Legazione del cardinal Montalto.

Nel pontificato di Pio VIII e sotto la legazione del cardinal Bernetti furon levate le carceri dal detto torrazzo nel 1830, e trasferite in S. Gio. in Monte.

La porta annessa si vide compita ed aperta li 12 ottobre del predetto anno.

Nel 1365 il Cardinale Androino circondò di mura e di torri tutta quella parte del palazzo che comincia dall'angolo rimpetto alla fonte del Nettuno fino a quello della via della Volta dei Pollaroli, continuandole per ambedue i lati che guardano settentrione e ponente, e proseguendole dalla parte di mezzodì fino ad incontrare il risalto di fabbrica del palazzo in via Porta Nova rimpetto alla via dei Fusari, alias della Baroncella. Una delle predette torri fu costrutta nell'angolo delle Volte dei Pollaroli, alla quale si comunicava dal palazzo mediante un corridoio di legno che bruciò il 15 settembre 1425 e che fu rifatto di pietra. Addossato al muro di ponente si costrussero le abitazioni per i soldati, e si formò il vasto giardino che coincide dove furono le case dei Pulzoni e dei Tebaldi. Racconta uno storico che vedendo il popolo erigere questo muro fortificato da torrioni credette che si fabbricasse una fortezza, quando non fu che il circondario di un orto. La spesa ammontò a L. 9170.

Nel 1425 arse buona parte del palazzo e le stalle. Si diede mano alle riparazioni e si fabbricarono le due prime loggie del cortile, e cioè quella dalla parte della porta del palazzo dove erano scale di legno che ascendevano a tutti i piani, e l'altra che termina al loggiato degli scaloni principali del medesimo.

In quest' anno la merlatura del palazzo che cominciava dall' angolo del registro, ossia da Porta Nova, fino alla porta, fu continuata fino all' angolo rimpetto alla fontana del Nettuno.

Nel 1436 si aggiunse di fabbriche l'interno del palazzo del Comune dalla parte di Porta Nova, al qual lavoro presiedette Paolo abbate di S. Gaudenzio.

Nel 1437 fu alzato, merlato e finito il muro grosso del palazzo dei Signori verso Porta Nova a cominciare dal cantone della banca dei soldati (rimp etto alla via dei Fusari) sino alle beccarie di Porta Nova al torrione vecchio, cioè alla piazzola del Carbone, poi voltando verso Fieno e Paglia (via della piazzola del Carbone) sino alla torre dell'orto del palazzo, oggi detta torre delle carceri.

Orazio pittore nel 1440 prese in affitto per annue L. 8 di picchioni la torre dei Cherubini, o del Cherubino, e cioè quella già dei Lapi in faccia alla via dei Gargiolari, la qual torre era stata assegnata ai domenicani in compenso di botteghe di loro ragione atterrate dal popolo sulla piazza prima del 1428. Rogito Panzacchia. I Padri domenicani la vendettero li 26 aprile 1473 a Giacomo detto Betto, o Bello, beccaro. e a Benvenuto suo figlio, per L. 160 di bolognini d'argento equivalenti a L. 173, 6, 8 correnti. Rogito Matteo Tossignani.

Il Comune ricuperò la torre, e servì per molti anni a deposito di polveri. Circa il 1800 essendo prefetto del Reno Somenzari fu ribassata al punto nel quale oggi la vediamo.

Li 17 dicembre 1444 gli Anziani, Consoli e Gonfaloniere di Giustizia concessero a Giovanni del fu Evangelista da Piacenza, e a Bartolomeo di Gandolo del fu Rustigano Pariani oreflce, d' innalzare e fabbricare una nuova torre per l' orologio nell'angolo del palazzo rincontro la piazza verso l'uffizio delle bollette, da compirsi in nove mesi, colla mercede di L. 1800 per le spese, e di L. 5 al mese a ciascuno di essi per anni 30 in ricompensa della loro fatica. Rogito Antonio da Manzolino, Giovanni Tura e Filippo Formaglini.

Non si intenda però per nuova torre se non che la parte di fabbrica che sopravvanza il quadrato della torre così detta dei Lambertazzi. L' orologio che era sulla torre del capitano nel palazzo del Podestà fu trasportato in questa, e cominciò a batter le ore senza mostra li 2 agosto 1451. La mostra fu finita li 22 dicembre susseguente. La campana suonava tante volte quant'erano le ore dall' una alle ventiquattro, poi si passò all' altro estremo di farla battere dall'una alle sei, e ripeterle in questa quantità quattro volte per giorno.

Nell' ottobre del 1447 il Legato fece aprire una porta secondaria e privata sotto la ringhiera degli Anziani e in faccia alla scala creduta dall'Alidosio per quella delle case dei Lambertazzi. Informato il Papa di questa innovazione ordinò che fosse subito murata, siccome seguì dopo essere rimasta aperta quindici giorni.

Nel 1455 si spesero L. 10910 per fare gli alloggiamenti al Legato cardinal Bissarione, e nel 1460 furon fatte in volto la sala poi detta d' Ercole e le due salette annesse al quartiere degli Anziani, nella prima delle quali fu fatta la cappella per il detto magistrato.

Li 21 dicembre 1465 il Reggimento deputò mastro Masaccio pittore a far egli solo quei lavori della sua arte che potevano occorrere alla Camera di Bologna, da pagarsi per il prezzo consueto.

Li 28 ottobre 1409 fu approvata l'erezione di una cappellata degli Anziani, e fu nominato cappellano il Padre Giacomo de' Palmeria dell' ordine eremitano.

Li 30 dicembre 1471 fu eletto a siniscalco degli Anziani Bartolomeo Paganelli.

Li 28 maggio 1490 fu ordinato di spendere fino a 100 ducati d' oro per riparare la torre dell' orologio e della cancelleria in essa compresa.

Li 13 agosto 1492 in occasione dei fuochi di gioia per l'erezione al pontificato di Alessandro VI, s' incendiò e fu distrutto il cupolino della campana. Li 29 susseguente si ordinò di rifarlo e coprirlo di piombo.

Li 24 settembre 1493 suonò per la prima volta la campana che si vide ricoperta del nuovo cupolino sostenuto da otto colonne di macigno.

Nel 1498 fu fatto il trabadello sopra la mostra dell' orologio, per il quale, al battere di ciascun ora passavano le statue di un trombetta, dei tre Re Magi e della B. Vergine col bambino a cavallo di un somarello. Guastatosi il meccanismo nel 1796 non è più stato riattivato.

Li 16 agosto dell' anno predetto fu decretato che i pubblici orologi si regolassero e suonassero alla francese, lo che fu messo ad esecuzione li 25 del susseguente settembre.

Il primo dicembre 1505 si ordinò la demolizione degli edifizi appoggiati esternamente al pubblico palazzo comprese le banche dei macellari, che erano in Porta Nova alla torre del Cherubino, sul conto delle quali si danno le notizie seguenti:

Li 20 dicembre 1440 fu data in enfiteusi perpetua in Bologna la torre del Cherubino presso il muro del pubblico palazzo, posta in cappella Santa Tecla, a Casotto del fu Guglielmo Caccianemici della cappella di S. Tommaso del Mercato, e a Giacomo di Pellegrino Ingrati della cappella di Santa Maria del Torrilione, per annue L. 10, colla facoltà di porvi banche da vender carne.

Questo terreno si estendeva dalla via pubblica (Porta Nova) verso quella di Fieno e Paglia (via della Piazza del Carbone) in larghezza di piedi 2 dal muro del palazzo fino alla via pubblica, di modo che la larghezza della via di Porta Nova rimaneva di piedi 15. La lunghezza poi a partirsi dalla torre del Cherubino andando verso Fieno e Paglia era di pertiche 1 e piedi 3.

La larghezza dal cantone del palazzo fino alla via pubblica di Fieno e Paglia era di piedi 5 e oncie 6, e la lunghezza dal detto cantone, in direzione di settentrione, fino in faccia alla casa del Battagliuzzo era di due pertiche.

La larghezza nel mezzo fra il cantone del palazzo e la torre del pellatoio (torre aderente al palazzo rimpetto al borgo delle Banzole) era di pertiche 2 e piedi 3, e la larghezza dal muro del palazzo alla via pubblica presso la torre del pellatoio era di piedi 8, restando la via Fieno e Paglia, dov' era la detta torre del pellatoio, piedi 11, e in seguito piedi 13.

Li 5 maggio 1441 fu assegnato questo terreno dalla Camera al massaro e alla compagnia dei beccari in cambio di altro terreno ricevuto in Bologna da detta Camera presso le carceri vecchie del Comune, come da rogito di ser Filippo Manzolino.

Li 23 maggio susseguente il Caccianemici e il Grati vendettero i miglioramenti che trovavansi sul terreno in discorso al detto massaro e compagnia per L. 500 di picchioni. Rogito del suddetto Manzolino.

Il decreto della demolizione aggiunge :

"Considerando che dette banche ed ediflzi deformano il palazzo, si ordina l' atterramento delle une e degli altri, dando commissione al magnifico Giovanni Bentivogli e al cav. Giovanni Marsili di eseguire il decreto e di dare i dovuti compensi ai macellari".

Nel febbraio del 1508 furono atterrate 33 botteghe appoggiate al muro del pa lazzo, cioè 16 nella via delle Scudelle e 17 in Porta Nova, risparmiando da questa parte l' oratorio fatto di recente e dedicato alla B. Vergine delle Asse.

Reso perfettamente isolato il palazzo, furono, li 20 aprile 1508. aperte 24 bombardiere nel suo circondario, e messa una saracinesca di legno coperta di ferro alla porta del palazzo, davanti la quale, per ordine del Papa, furono apposti due grossi fittoni con forte catena li 18 ottobre 1510 per barricarla all'occorrenza.

Il Papa nominava un capitano della porta del palazzo, che godeva di L. 600 di annui appuntamenti pagati dalla Camera di Bologna. Fu guardata da un corpo di tedeschi, poi svizzeri fino al 20 giugno 1796. In tempo di sede vacante i svizzeri erano armati di moschetto in luogo d' alabarda, e la porta era contornata da una barriera di cancelli di legno, e difesa da due pezzi d' artiglieria.

La loggia terza del cortile di palazzo, e cioè quella attaccata allo scalone, cominciata nel 1507, si vide terminata li 13 luglio 1509 assieme alle due scale a cordonata che ascendono prima alla sala d' Ercole, poi a quella detta la Farnese, sotto la sorveglianza del senator Gio. Francesco Aldrovandi e la direzione dell' architetto Bramante di Castel Durante mentre era tesoriere Virgilio Ghisilieri.

Ritornato da Milano il cardinal Legato Alidosio fu il primo a montar la scala a cavallo fino alla sala d' Ercole.

Alla fine di agosto dello stesso anno 1509 furon terminate le stalle del Legato corrispondenti al giardino.

Li 10 dicembre 1509 il Legato Francesco Alidosio accordò L. 8000 a due muratori per fare le loggie di sopra, le camere degli Anziani, le stanze del Gonfaloniere, del Legato, delle loro famiglie, e diverse scale di comunicazione pei detti quartieri, lavoro portato al suo termine nel 1510.

Essendosi posta la statua di Giulio II sopra la ringhiera degli Anziani nel 1506. In questa devastata e bruciata li 5 giugno, o 23 maggio 1511, da Sante Sighicello e da Pietro Zuta in tempo del tumulto seguito per il ritorno in Bologna di Annibale Bentivogli, i quali furon messi al bando capitale.

Li 10 febbraio 1520 Leone X confermò Vincenzo Borgognini della parrocchia di Sant' Antonino di Porta Nuova nell' ufficio di tener coperti i palazzi del Legato, degli Anziani e del Podestà.

Le stanze dette le Morone verso il giardino sono opere fatte nel 1547 e 1548. a questa fu poi aggiunta la galleria che faceva parte del quartiere del Legato.

Nel 1561 furon costrutte le Bandine coll' impiego della condanna di scudi 10000 inflitta al senator Ercole di Giovanni Bandini, le quali ultimamente componevano l'appartamento che era occupato dal senatore di Bologna.

Nell' anno stesso il cardinal Carlo Borromeo fece la parte interna del braccio che dall' angolo della facciata contro la fontana del Nettuno termina nella via del Volto dei Pollaroli.

L' esterno fu fatto ornare nel 1565 dal Legato Donato Cesi.

Nel 1565 dalla parte della via detta Volte dei Pollaroli fu fatta, con disegno di Tommaso Lauretti, la fontana larga .piedi 20, che riceve acqua dalla fontana del Nettuno, e che prese il nome di fontana vecchia. Qui stavano acquaroli che vendevano acqua di detta fontana per la città, e specialmente agli abitanti dei contorni della piazza mancanti la maggior parte di buon' acqua di sorgente. Fu risarcita nel 1755, ed ora trovasi nel massimo stato di deperimento.

In faccia alla fontana del Nettuno furon murate circa il 1574 nella scarpa del palazzo alcune pietre di marmo, sulle quali sono scavate le misure bolognesi della pertica, delle due braccia, del braccio, mezzo braccio, dell' embrice e del pietrone.

Sotto il pontificato di Giulio III fu fatto l'ornato inferiore della porta del palazzo, al quale li 18 febbraio 1580 fu aggiunto il superiore per collocarvi la statua in bronzo di Gregorio XIIl, posta a suo luogo li 31 ottobre dell' anno stesso, e scoperta li 16 dicembre susseguente. Pesa libbre 11300. Alessandro Menganti la scolpì, e Anchise Censori la fuse.

Nel 1797 questa statua fu metamorfosata in un S. Petronio sostituendo alla tiara una mitra, e al pastorale pontificio un vescovile.

Da questa ringhiera si pubblicavano i bandi, e si gettava la porchetta il giorno di S. Bartolomeo.

Ogni sera dell'anno all'Ave Maria, dai musici degli Anziani, si faceva un concerto stabilito nei tempi antichi. La musica, o banda degli Anziani, era composta di otto trombetti, di otto tromboni e cornetti, e di un gnacarino.

Il Legato Cesi nel 1581 fece fare le camere dei giudici del Torrone.

Le stanze nuove per i notari del Torrone sopra le stalle del Legato furono costrutte nel 1584.

Nel 1588 si edificò la sala dei ventitrè notari del foro civile, e nel 1660 fu fatta una cappella, ove il Legato Girolamo Farnese celebrò li 11 aprile 1661.

Si è detto che del 1365 vi era un orto, o giardino entro il recinto di questo palazzo, a prova di che trovasi che li 9 novembre 1495 fu ordinato il pagamento di L. 447, 12 a mastro Giacomo Filippi e a mastro Donato da Como, scalpellini, per saldo di colonne, basi e capitelli posti nel giardino della residenza del Legato e de gli Anziani.

Sotto la legazione del cardinal Gaetano si fabbricò la magnifica ed elegante cisterna con disegno del Terribilia.

Un orto di piante medicinali fu già nel monastero di S Salvatore, e un altro nella casa già Gozzadini, poi Pozzi, in Strada Maggiore N. 237. (Così il Fantuzzi T. I, cart. 172 che cita le opere di Gio. Bovino).

Ulisse Aldrovandi, studiosissimo botanico, animato dal desiderio di stabilire un Giardino di semplici degno dell' Università di Bologna, ricorse al Senato onde aver luogo e mezzi per eseguire il suo progetto. Il senator Camillo Paleotti propose come luogo opportuno il guasto Bentivogli, che fu rigettato.

Li 11 giugno 1568 il senato fissò per tre anni annue L. 1200, e decise di stabilire il suddetto giardino in quello del palazzo. Diede la cura dello stabilimento a Cesare Oddoni e ad Ulisse Aldrovandi, concorrendovi l'adesione del governatore Giovanni Battista Doria nella scelta del luogo. Morì l'Oddoni nel 1571, e l' Aldrovandi raddoppiò di zelo per portare a compimento il giardino, quando il Legato Gaetano s'invaghì di provveder d'acqua il pubblico palazzo mediante una grandiosissima cisterna per la quale si fissò per luogo più addatto il centro dell' orto botanico. In quest' occasione fu trasportato lo stabilimento alla porta di Strada Stefano N.5 in una casa venduta li 15 ottobre 1587 da Cipriano Gatti per L. 11750.

Nel 1600 fu poi ripristinato il giardino dei semplici nel palazzo, formando quattro circondari chiusi da cancelli di ferro e divisi in compartimenti, nel centro dei quali circondari era posta la cisterna.

Il primo custode delle piante esotiche fu il botanico Cesare Oddoni dall'Aquila, l' ultimo fu il celebre ed eruditissimo dottor Gaetano Monti bolognese. ( Vedi Strada Stefano N. 5).

Li 27 ottobre 1605 fu decretata l' erezione di quindici botteghe addossate al palazzo nel lato meridionale.

Nel 1606 si costrussero le diciotto dalla parte orientale che furono assegnate agli scaffieri, ossia venditori del pane de' fornai da scaffa.

Nel 1679 si fabbricarono le venti dalla parte delle Volte dei Pollaroli, finalmente altre se ne stabilirono nel lato occidentale, ora ridotte a sette, delle quali non si conosce l' epoca della loro origine.

Nel luglio del 1695 fu scoperta la mostra dell' orologio nel cortile del palazzo, dopo essersi rimodernata la facciata dov' è collocata con disegno del Monti.

Eugenio IV ordinò che il palazzo già del Comune servisse di residenza al solo Legato e suo ministero, quindi li 22 settembre 1429 gli Anziani e Consoli, il Gonfaloniere di Giustizia e i Riformatori passarono nel palazzo della compagnia dei notari, pagando I' annuo affitto di L. 750.

Questi magistrati ritornarono nel palazzo pontificio dopo il 1437, ove permanentemente rimasero sino al maggio del 1797.

Le misure dei quattro lati esterni del palazzo del Pubblico rilevate nel 1715 furono le seguenti:

Lato a levante verso la piazza piedi 370.

A mezzodì verso la via delle Asse piedi 340, 6.

A ponente dalla parte della via della piazzola del Carbone piedi 349, 8.

A settentrione dalla parte delle Volte dei Pollaroli piedi 345, 6.

In questo vastissimo palazzo vi alloggiavano tutte le autorità pontificie, e cioè il Legato, il Vice-legato, l'Auditore del Torrone, l'Auditore generale, l'Auditore di Camera, l'Auditore del Vice-legato, i due sotto Auditori criminali, il capitano, il tenente e la compagnia di guardia svizzera assieme alle loro famiglie e persone di servizio. Il Gonfaloniere di giustizia e gll Anziani erano provvisti di comodi alloggiamenti e di ambienti per la pubblica rappresentanza. Il Reggimento e le Assuntarie vi avevano le loro residenze, come anche i Tribuni della plebe. Vi avevano posto i cancellieri del Legato e del Senato, gli uffizi di sanità, dei passaporti, dell'ornato, della chiusa e del canale di Reno, dell'imposta, ecc. La computisteria, la cassa e gli archivi del Senato ed altri suoi dipendenti avevano particolari loro residenze.

Esistevano in questo palazzo due armerie, l'una Pontificia e l'altra del Senato, per fanti, cavalli e per un corpo di artiglieri.

Vi fu luogo per custodire i musei Aldrovandi e Cospi.

Vi erano dodici cappelle, nella maggior parte delle quali si celebrava quotidianamente, e cioè quella del Legato, quella del Vice-legato, la Farnese, quella degli Anziani dedicata alla B. Vergine del Terremuoto, quella dei Cavalleggieri aperta nel secondo cortile l' anno 1608 sotto il titolo di Sant' Eduardo Re d' Inghilterra, poi chiusa per vari anni e riaperta con quello di S. Gio. Battista; quella del magistrato dei Tribuni della plebe intitolata S. Giusta martire, quella dei notari del foro civile dedicata a S. Tommaso d' Aquino, quella del Torrone, quella dei SS. Giorgio e Sebastiano nel primo cortile per i svizzeri, e l'altra della B. Vergine del Rosario nel loro quartiere. Per ultimo vi erano le stalle per tutte e singole autorità, e per la guardia dei cavalleggieri.

Nel 1542 il Papa mandò una compagnia di 150 svizzeri comandati dal capitano losue di Barolinggera del Cantone cattolico di Ury.

L'assegno mensile era:

Al Capitano scudi 26.

Al Luogotenente scudi 6.

All' Alfiere scudi 8.

Al Cancelliere scudi 6.

Al giudice scudi 8.

A sei sergenti scudi 2 ciascuno.

Alli quattro suoi uomini bajocchi 50 ciascuno.

Al piffero scudi 2.

A due tamburini scudi 2 ciascuno.

Al prevosto scudi 2.

Ai fanti privati scudi 4 ciascuno.

La guardia svizzera fu rimandata alle sue case nel giugno del 1796 dall'armata francese.

Esisteva pure un' altra guardia detta dei cavalleggieri, composta di cittadini bolognesi, il cui primo capitano fu nominato in principio di ottobre del 1528 nella persona di Giorgio Lampugnani di Milano. L' ultimo fu il conte Filippo Marsili eletto tenente colonnello il primo agosto 1780, e colonnello nel dicembre del 1787. Questa guardia aveva un cornetta e un cancelliere, detto poi foriere. Cessò anch' essa nel giugno del 1796.

Finalmente in questo palazzo vi erano le carceri criminali, alle quali bisognava accedere per l' unica porta del palazzo, incoveniente al quale è stato provveduto negli ultimi tempi.

Dal 1796 al 1815 il palazzo di governo è andato soggetto ad infiniti cambiamenti di adattamenti e distribuzioni, analoghi ai differenti governi che con tanta rapidità si succedettero l'un l'altro nel suddetto intervallo.

Avanti il 1859 serviva di residenza al cardinal Legato, al Vice-legato, al tribunale criminale, alla polizia, ai tribunali d'appello e pretoriale, agli uffizi del censo, delle acque e strade, della commissione di Reno e del canale di Reno, ecc. Il senatore di Bologna e il consiglio municipale vi teneva le sue sedute e vi aveva i suoi uffici. Le carceri criminali furono sempre conservate nel torrazzo detto del Torrone, sino a che furon trasportate in S. Gio. in Monte, e qui rimasero le carceri per delitti d'opinione o politici.

Resta a dire qualche cosa sulla ringhiera detta degli Anziani, dalla quale, nei tempi dell' antica repubblica, si dichiaravano le guerre, si pubblicavano le paci, le capitolazioni, le vittorie e le alleanze, e si proclamavano i nuovi dominatori della città e della provincia di Bologna Da questa ringhiera assistevano alla festa di S. Bartolomeo il Legato e il Vice-legato, il Gonfaloniere e gli Anziani; finalmente si esponevano nella medesima i premi della giostra e delle corse dei palj, dei quali stimasi opportuno di darne la storia.

I premi delle corse dei cavalli barbari erano negli antichi tempi presentati ai Difensori dell' Avere accompagnati dai musici e trombetti degli Anziani, dopo la qual cerimonia erano esposti alla suddetta ringhiera. Quest' uso continuò fino al 1579.

In seguito furon sostituiti ai Difensori dell' Avere gli Anziani e consoli. La polizia della strada per dove doveva correre il Palio era affidata al Barigello, il quale accompagnato dal cancelliere e da un caporale della sua guardia percorreva a cavallo per due volte la suddetta strada, dopo di che presentavasi agli Anziani per prendere gli ordini per le mosse; ricevuti questi correva di trotto al sito da dove dovevansi spiccare i cavalli.

Al principio e al fine della corsa vi erano assistenti deputati dagli Anziani, che giudicavano se le mosse e la ferma dei barbari si eran fatte secondo i regolamenti, e ne davan rapporto al magistrato, che finita la corsa rendevasi subito alla sua residenza dove, dietro informazioni precisate, aggiudicava il premio, od ordinava di replicare la corsa il giorno veniente.

Furono nove i Palj che si corsero in Bologna fino alla metà circa del secolo XVIII, e furono i seguenti:

1° Palio di S. Pietro che pare instituito nel 1254 per festeggiare la presa di Cervia fatta dai bolognesi dopo una segnalata vittoria riportata sopra i veneziani. Questa guerra fu cagionata dall' aver rifiutato i veneziani il consueto sale che fornivano alla città e provincia di Bologna. Nello statuto del 1263 si trova la seguente rubrica : — Il Palio di S. Pietro, che si correva per la strada di S. Gio. in Persiceto, si debba correre dal ponte di Reno fino al serraglio di Porta Stiera, ubi sunt domus Rolandini de Romantiis — Nel 1547 si cominciò a correre per Galliera il giorno stesso di San Pietro primo protettore di Bologna. Le mosse si davano fuori della città, la corsa passava davanti la Cattedrale, e terminava in Piazza Maggiore dal palazzo dell' arte dei notari. Il premio era di due pezze intere di buon velluto rosso del prezzo di L. 50 di bolognini, di un'asta alla quale si appendevano le due pezze di velluto, e di un gallo. Alla corsa di questo Palio non erano ammesse le cavalle. La spesa era addossata al rettore del ponte di Reno.

Sotto la data delli 10 febbraio 1440 si trova il seguente ordine: — Si paghi ad Orazio pittore, per pittura, banda, taffetà, oro, argento ed altre cose necessarie per ornamento del Palio di S. Pietro, L. 22, 10; a Cristoforo Ambrosi per braccia 22 di zennanino cremisi L. 221, 15. Totale L. 244, 5. Nei tempi a noi vicini si spendevano L. 196.

Li 11 febbraio 1462 si ordinò che per il Palio di S. Pietro si spendessero sole L. 140. Dalle date di queste due ordinazioni fatte in febbraio potrebbesi sospettare che il palio si corresse nel detto mese.

2° Palio di S. Bartolomeo, detto del Ronzino.

1335, 9 giugno. Ronzino, ossia cavallo liardo rosso. Rogito di Mino di Chesino di Lorenzo Parini.

Questo Palio sembra cominciato nel 1249, la cui corsa aveva principio dal ponte di Reno fuori di porta S. Felice e terminava alle case dei Romanzi presso la Seliciata di S. Francesco.

Lo statuto del 1263 ordina che la corsa abbia cominciamento dal ponte maggiore di Savena fuori di porta Strada Maggiore, e termine al trivio di Porta Ravegnana. In seguito fu prolungata fino alla via Fieno e Paglia, e cioè fino alle carceri del Torrone. I premi erano un ronzino e uno sparaviere, poi nel 1280 fu aggiunta una porchetta, e dopo anche due cani bracchi. Il rettore dell' ospedale dell' Idìce pagava L. 40 per le spese di questa corsa.

3° Palio di S. Ruffillo. Era da quattro anni che Bernabò Visconti tormentava con continua guerra i bolognesi. Li 20 giugno 1361, giorno di S. Silverio, essendo l'esercito nemico trincierato alle rive di Savena in un campo di Palamidesse Rossi, a due miglia fuori di porta Santo Stefano, fu attaccato e distrutto dai Bolognesi nel dopo pranzo di detto giorno. In questo fatto d' armi rimase morto Fernando pretore di Bologna, che onorevolmente fu sepolto in S. Francesco, e fu ferito Gomezio Albornozio nipote del cardinal Legato. Questa battaglia fu fatta dipingere da Francesca del fu Bernabò di Polenta, moglie di Alberto Gallucci, nella cappella dei Bottrigari posta a mano sinistra fuori della chiesa di S. Francesco. Per questo fatto d' armi s' instituì il Palio di S. Ruffillo, che in origine si corse dalla Croce di Camaldoli fuori di porta Santo Stefano fino alla piazza di Santo Stefano. In seguito le mosse si davano dalla casa di Camillo Duglioli fuori della predetta porta continuado la corsa in città fino alla via del Luzzo, poi voltando per le Chiavature terminava in piazza dalla casa dei Notari.

Il premio era di due pezze di velluto vergato del prezzo di L. 50 di bolognini, nel cui penone (banderuola) era dipinto un S. Ruffillo; più uno stendardo con uno scudo, o tavolaccio, sul quale eran dipinte le armi della libertà; inoltre uno stocco dorato, un paio di manopole, o guanti di ferro, e un paio di speroni dorati.

Questi premi furon poi limitati ad una pezza di velluto morello e ad uno stocco.

Li 8 luglio 1440 fu fatto il seguente mandato: — Per il Palio di S. Ruffillo si paghino L. 40, 1, per il tanino alessandrino con figure e per la bandriola di detto palio, per spesa e fattura L. 175, totale L. 215, 1. —

Li 11 febbraio 1462 si ordinò che la spesa del palio di S. Ruffillo, compresa la banderuola di taffetà, non oltrepassasse le L. 140.

4° Palio di S. Petronio. Alcuni han scritto che questo palio si instituisse nel 1141 per l' invenzione del corpo di S. Petronio, ma non è vero. Li 21 settembre 1396 gli Anziani, i Consoli, il Gonfaloniere di giustizia e i Collegi decretarono che ogni anno si dovesse correre un palio per la festa di S. Petronio per la cerchia e borgo di Galliera fino alla piazza, e ne fu fissata la spesa in bolognini 50 d' oro da pagarsi dai capitani del primo e secondo semestre.

Il primo mandato che sia notato negli atti dei Riformatori per questo palio è delli 2 ottobre 1452, forse perchè in quest'anno cessò di stare a carico dei due capitani.

Li 11 febbraio 1462 fu decretato che il palio di S. Petronio non dovesse costare più di L. 230.

Fu poi cambiata la corsa ordinando che le mosse si dessero all' osteria del Rosso fuori di porta S. Felice, di qua dalle fornaci, e la ferma fosse dal palazzo dei notari. Il premio era una pezza di velluto cremisi e una borsa dello stesso drappo, il di cui costo complessivo era di L. 207 in epoca a noi vicina.

5° Palio di Giulio II, ordinato per ricordare l' ingresso in Bologna di questo pontefice seguito li 11 novembre 1506 dopo la cacciata dei Bentivogli. Si diceva volgarmente palio di S. Martino, perchè correvasi nel giorno di questo santo dalla Croce dei Crosati fuori di porta Strada Maggiore fino alla via Fieno e Paglia, ossia al Torrone. Il premio fu dapprima un drappo d' oro, poi commutato in una pezza di velluto cremisi.

6° Palio di Gregorio XIII stabilito per l' esaltazione di questo nostro concittadino al sommo pontificato li 13 maggio 1572. Si correva dalla porta di Galliera fino alla Piazza Maggiore. Il vincitore era premiato di un drappo di velluto cremisi.

7° Palio d'Innocenzo IX bolognese eletto pontefice li 28 ottobre 1591, che correvasi dalla porta di S. Felice fino alla Piazza Maggiore. Era il premio di questo simile a quello di Gregorio XIII.

8° Palio dei Paggi. Li 30 novembre 1598 Clemente VIII fece il suo solenne ingresso per la porta di Galliera dopo aver preso possesso della città e ducato di Ferrara a nome della chiesa. Regalò egli scudi mille ai paggi che lo servirono in tempo del suo soggiorno in Bologna. Quei nobili giovinetti depositarono la somma nella cassa del Senato perchè colle rendite si corresse un palio il giorno di Sant'Andrea. Il premio era una tela d' argentio contornata dagli stemmi delle famiglie dei paggi. La corsa facevasi dalla porta di Galliera fino alla Piazza Maggiore.

9° Palio di Gregorio XV fatto papa li 8 febbraio 1621. Correvasi per strada Saragozza li 9 febbraio, e dicevasi palio di Sant'Appolonia. Le mosse si davano alla porta della città, e la ferma doveva essere in via Val d' Avesa finchè aperta la via Urbana fu poi stabilita in S. Mamolo dalle case dei Marsili. Il cavallo vincitore era regalato di una pezza di velluto cremesi.

10° Palio di Benedetto XIV innalzato al pontificato li 17 agosto 1740. Li 10 febbraio 1741 fu decretata questa corsa che cominciava dalla porta di Strada Santo Stefano fino alla piazza della Mercanzia, e si correva li 21 agosto giorno della sua coronazione. Un pezza di sedici braccia di velluto cremisi era il premio destinato al vincitore, pel quale ne' tempi a noi vicini si spendevano L. 229.

Benedetto XIV decretò la soppressione dei Palj di S. Ruffillo, di Giulio II, di Gregorio XIlI, d'Innocenzo IX, dei Paggi e di Gregorio XV, applicando la spesa annua di L. 1198, che importavano le dette corse, a sollievo della Camera di Bologna.

Rimasero i palii di S. Pietro, di S. Petronio e di Benedetto XIV fino al 1796, non contandosi quello di S. Bartolomeo andato in disuso da moltissimi anni.

Dopo l'epoca predetta furon soppressi quelli ancora di S. Pietro e di Benedetto XIV, e conservato soltanto quello di S. Petronio che si correva dalla Carità in Strada S. Felice fino alla Masone in Strada Maggiore, col premio di scudi 90 e una bandiera al primo cavallo vincitore, e ciò a spese della Comune.

Basilica di San Petronio

N.53. Li 15 settembre 1301 il Consiglio decretò che. fosse fatta la festa dei SS. Ambrogio e Petronio nella chiesa di Santo Stefano, prima, o dopo la festa di S. Francesco, e che il vessillo del Carroccio avesse nella parte Anteriore le immagini dei detti santi. Stefano Amati e Guglielmo Salicetti furono gli estensori di questo statuto, come da rogito di Guglielmo Suglietti.

Li 22 marzo 1307, dietro istanza fatta, fu provveduto con regolamento di polizia al concorso dei devoti e alla povertà degli infermi che si affollavano sulla piazza di Santo Stefano per rendersi alla chiesa dove eran venerate le reliquie di S. Petronio.

Circa il 1308 fu deciso d' innalzare una chiesa a detto Santo in seguito dei miracoli operati mediante l'acqua del pozzo posto sotto il suo altare in Santo Stefano. Nell'Archivio vi è un atto col quale sono passati certi denari al rettore dei Battuti della Vita per la fabbrica della chiesa di S. Petronio, ma si era ben lontani allora dall'eseguire questo progetto.

Nel 1311 si ripetè l'ordine di solennizzare la festa di S. Petronio li 4 ottobre, assegnando per questa L. 25 annue all'abbate di Santo Stefano.

Il primo settembre 1361 gli Anziani Consoli vollero che le feste di Sant' Ambrogio e di S. Petronio, protettori di Bologna, si celebrassero ogni anno assieme nella città e territorio bolognese. (Vedi cronaca Ghiselli Vol. 5).

Secondo un rogito di Andrea Cambi delli 28 giugno 1385 furon concesse 111 cittadinanze che produssero L. 16780, la maggior parte impiegate nell'acquisto fatto nel 1390 di tanti cementi per la fabbrica della chiesa di S. Petronio.

Giacomo di Villano di Giovanni di Cambiuccio di Michele Uguzzoni, scolaro della terra di Padule e Sala, della cappella di S. Salvatore, pagò per la sua aggregazione alla cittadinanza L. 600.

Il secondo decreto per la detta fabbrica fu fatto nella riforma dello statuto l'anno 1388.

Un altro decreto delli 28 dicembre 1388 dice che quantunque siasi ordinato negli statuii di cominciare la fabbrica li 10 febbraio 1389, si vuole che si anticipi per il primo gennaio precedente.

La guerra contro i Visconti di Milano ritardò il cominciamento della detta fabbrica fino al giugno del 1390.

1390, 31 gennaio. Il Consiglio dei 600 facoltizzò i quattro soprastanti alla fabbrica, eletti dai collegi,

1° a cominciare la fabbrica;

2° a nominare qualunque ufficiale subalterno;

3° a fissare il prezzo degli edifizi e dei terreni esistenti nel luogo desti nato per costruirvi la chiesa;

4° ad estradar mandati al depositario sottoscritti dal loro notaro e muniti del loro sigillo; volendo però che i prezzi degli edifizi di chiese sieno depositati nel Monte Cumolo, corrispondendo agli interessati il dieci per cento. Rogito Mengolo Mengoli e Filippo Duchi notari delle Riformazioni.

1390, 31 gennaio. Statuti della fabbrica della chiesa di S. Petronio concernenti le leggi, i privilegi e le altre concessioni fatte alla medesima dagli Anziani e Comune di Bologna, fra le quali quella dell' esenzione dei dazi per i materiali da introdursi per la medesima.

1390, 26 febbraio. Obbligazione di Antonio del fu Vincenzo muratore, della cappella di Santa Maria delle Muratelle, di condur pietre per la fabbrica a L. 4 il migliaio, e la calcina a soldi 7 e denari 3 la corba; inoltre di fare il modello della chiesa nuova in modo, che un' oncia della misura del modello corrisponda ad un piede della misura della fabbrica da farsi, il qual modello sia in tutto conforme al disegno fatto da detto Antonio di Vincenzo in carta bombacina, e debba farsi secondo l'ordine e dichiarazione di frate Andrea Manfredi faentino, generale dell' ordine dei Servi di Maria Vergine. Il detto lavoro fu accordato in L. 500 con la sigurtà di Giovanni del fu Nicolò Marescotti. Rogito Giacomo Santi stipulato alla presenza di Paolo di Nicola de' Solimani, della cappella di S. Domenico, nel palazzo degli Anziani in una camera avente lume dalla parte dell'ufficio delle Bollette per le presentazioni forensi.

Il predetto frate Andrea, generale dei Serviti, fu consultato dai fabbricieri sulla mercede dovuta a detto mastro Antonio per la sua assistenza alla fabbrica, il quale giudicò che meritasse L. 100 di Bolognini, ma Antonio si contentò di sole L. 20. Frate Andrea morì poi il venerdì 13 ottobre 1395.

Antonio di Vincenzo, secondo una cronaca, sarebbe stato discepolo dell' architetto della Certosa di Pavia, ma Io stile d' architettura non denota una stessa scuola fra i due architetti. Pare piuttosto che Antonio di Vincenzo, o frate Andrea generale dei Serviti, avessero veduto la chiesa di Santa Maria del Fiore di Firenze, e ciò si desume da varie parti della chiesa di S. Petronio, che quantunque modificate hanno molto rapporto con alcune di Santa Maria di Firenze, come la pianta dei pillastroni, l'estesa larghezza degli archi delle navate, le modanature grandiose, non trite e leggiere del carattere gotico.

Il suddetto Antonio fu Gonfaloniere di Giustizia nel 1387, ambasciatore a Firenze nominato li 3 settembre 1390 in compagnia di messer Domenico Ricamatore, amendue plebei, ma uomini di gran conto siccome ne assicurano gli storici tutti. Nel 1396 fu destinato per due o tre anni a fare a suo arbitrio l'imborsazione degli Anziani in compagnia d'altri undici soggetti, come consta dal libro delle provvisioni di detto anno. Nel 1400 fu riformatore dello stato di libertà. Ebbe in moglie Agnese Tavolazzi, e morì nel 1405. L' unico suo figlio Vincenzo, dottor in medicina, non sopravvisse al padre che due anni.

1390, 3 giugno. Elezione di Antonio di Vincenzo, muratore, a capo mastro della fabbrica, atteso l'avergli, insieme con frate Andrea Servita, ordinata e disegnata la detta chiesa, fissandogli il salario di 10 bolognini per ciascun giorno lavorativo. Rogito Andrea Giuliano Cambi.

Nel 1390 fu emanato un bando del podestà e degli uomini della fabbrica di San Petronio sopra le offerte da farsi ogni anno per la festa del Santo alla fabbrica della sua chiesa dai lettori, dagli ufficiali ordinari e straordinari del Comune di Bologna, dai nobili, dai provisionati, dai conduttori dei dazi, dai capitani delle porte, dai cimatori di panni, dai maestri dei dadi, dai sensali, dai cozzoni, dagli ortolani della città e dalla guardia di Bologna, dagli orti, dai noleggiatori di cavalli, dai stallatichieri, dai nocchieri, dai legatori di balle, dai portatori della gabella, dai burattatori, dai venditori di pane, dai messi, dagli esattori, dai brentatori, dai pollaroli, dagli uccellatori, dai trecoli, dai molinari, dai vetturali di città e dai fornari.

Si pensò nello stesso anno di richiamare in città molte famiglie ritirate nel contado, e di rinnovargli i diritti di cittadinanza dietro una retribuzione proporzionata ai loro averi a pro della fabbrica. Furono 110 le famiglie che ritornarono a Bologna, collo sborso in massa di L. 22167 di bolognini tutte applicate al suddetto intendimento.

Compre fatte per la fabbrica della chiesa di S. Petronio, a rogito di Giovanni di Giacomo Vannuzzi, nel 1390.

1 febbraio. Un casamento con certi muri di Francesco di Franchino Pritoni. L. 180

1 aprile. Casa di Andrea Tomaxi, a cui furon surrogati Filippo Guidotti e Francesco Foscarari L. 600

— Quattro case contigue di D. Pietro da Parma rettore di Santa Maria dei Rustigani L.350

— Casa e casamenti di D. Palmerio Palmeri rettore di Santa Tecla dei Lambertazzi L. 92

1 giugno. Casa con torre di Riniero Oddofredi, in cappella Sant' Ambrogio. Confina Venturino Lupari. Fu poi surrogato Mitello Arnoldo della cappella di S. Tommaso della Braina da Vincenzo del fu Oddofredo Oddofredi L.160

1 agosto. Casa grande di Pietro di Ugolino Scappi precettore di S. Giovanni Gerosolimitano L.400

— Altre case guaste del suddetto presso la chiesa di Santa Croce. . . L.1200

8 agosto. Casamento grande presso la chiesa di Sant' Ambrogio, con camerino di detta chiesa. (Pare che il casamento fosse di Giovanni Antonio di Nicolò de' Bambaroni di Montebudello, e rettore del l' ospedale di Santa Maria della Carità L.400

1 settembre. Una casa di Giovanni di Castellano Lambertazzi L.75

— Due case assieme unite di Ugolino Scappi L. 400

— Quattro case di Lodovico del fu Bualello Bualelli L. 700

— Due case di Nicolò de' Selli L.930

Altre fatte nel 1391 a rogito dello stesso

1 febbraio. Una casa di Gaspare Calderini dottor di decretali L.725

— Un casamento di Giovanna di Rotondino Pritoni moglie del dottor Gaspare Calderini L. 35

— Casa grande di Ventunno del fu Giovanni Lupari L. 625

— Casa di Nascimbene Benvenuta di Ferrara ,. . » 300

_________________________

Totale L. 7192

Nelle predette compre non si trovano notate le case dei Rustigani, nè la torre Cornacchina, nè la casa d' Alberto Galluzzi, i quali stabili furono atterrati nel 1390 secondo i nostri storici, che ce ne trasmettono le notizie nei seguenti termini:

1390, 9 aprile. Sabato circa le ore 17 fu buttata a terra un'alta e bella torre posta sopra la piazza dirimpetto all'ospedale della Morte, chiamata anticamente la torre Cornacchina, e ciò perchè impediva la fabbrica della nuova chiesa di S. Petronio. Essendo tagliata da tre parti nel piede e puntalata, fu fatto fuoco e cadde.

In altro luogo, dopo aver descritto il modo col quale fu messa la prima pietra, lo storico aggiunge: — si erano atterrate in prevenzione le case dei Rustigani, che a ponente cominciavano dalla via che conduce alla corte di Sant' Ambrogio, e a levante terminavano dal canto dell'ospedale della Morte dov' era la loro torre detta Cornacchina. — Secondo questa descrizione la fronte delle case dei Rustigani era eguale a quella dell'attuale facciata della chiesa di S. Petronio.

Altrove vien detto che li 16 settembre 1390 si demolì la casa di Alberto Galluzzi (vedi 17 settembre 1395), poi le altre a misura che la fabbrica si avanzava, nella quale non si lavorò, alacremente se non terminata la guerra coi milanesi nel 1392.

Le chiese atterrate furono:

1° Santa Maria dei Rustigani. Una chiesa con questo stesso titolo trovavasi nei 1200 in vicinanza delle case del fu Torello di Salinguerra, comprate dal Comune per fare il palazzo vecchio del Podestà, come da rogito di Guido di Rosso, e che pretendesi demolita nel 1286 per ampliare la piazza. Il Ghirardacci c'instruisce che lino dal 1294 era già stata riedificata presso la via che conduceva alla corte di Sant' Ambrogio, dunque presso le case dei Rustigani. Secondo la colletta del 1408 il patronato di Santa Maria dei Rustigani era di Nicolò di Santo Raimondi forse qual erede di Antonio Rustigani sartore; si riteneva però che Alberto e Galeotto fratelli, figli del fu Frulano da Sala, fossero i veri padroni.

2° Sant' Ambrogio.

3° Santa Croce.

4° Santa Tecla dei Lambertazzi. Questo benefizio era goduto da Masetto Guidotti, che riceveva ogni anno dalla fabbrica di S. Petronio L. 70. Ottenne egli da una Lambertazzi, che ne era la padrona, di cedere questo patronato alla fabbrica, siccome seguì, per L. 300.

1390, 7, o 17 giugno, in martedì. La mattina frate Bartolomeo di Pietro Gardini bolognese, dei frati minori, vescovo di Dragonaria (il Melloni non ammette che fosse figlio di Pietro e della famiglia Gardini) cantò messa in S. Pietro e benedì una pietra colle armi del Comune, che poscia portò alla piazza accompagnato processionalmente da tutta la chieresia, abati, priori, cappellani, ordini religiosi, Anziani, Gonfaloniere, Massari del collegio di sopra e di sotto, Podestà, capitano del popolo, cavalieri, dottori, giudici, procuratori e da moltitudine di popolo d'ogni classe e condizione, alla presenza dei quali discese nel fondamento della nuova chiesa, ed ivi murò, fra le 11 e le 12 ore, la detta pietra dalla parte dell' ospedale della Morte, dov' è la cappella di Sant' Acconzio.

1391, 16 febbraio. Decreto del Consiglio generale dei 600, col quale si ordina che sui denari delle ritenzioni a favore della fabbrica dobbansi pagare ai proprietari secolari degli edifizi e terreni che devono servire per detta fabbrica annue L. 1000 a ciascuno in tante rate in proporzione dell' importo dei loro edifizi e terreni, e ciò in due termini, cioè a Pasqua di risurrezione e a Natale, pagando inoltre gl'interessi dei rispettivi loro capitali il 10 per cento a compenso delle pigioni dei detti edifici. Terminato poscia il totale pagamento ai secolari, passino gli ufficiali sovrastanti a detta fabbrica a depositare le L. 1000 ogni anno sul Monte Cumolo in credito delle persone ecclesiastiche, seguendo sempre il metodo suddetto. Rogito Bartolomeo Carnelvari, e Ostesano Piantavigne.

1391, 7 aprile. Concessione dei Fabbricieri a mastro Pietro Paolo da Venezia del lavoro di tre basi dei pillastroni da farsi entro la chiesa, per ducati 40 da soldi 36 per ciascuna base. Rogito Andrea di Giuliano Cambi.

1391, 24 luglio. Convenzione con Girolamo del fu Andrea Bavazzo veneziano sopra il trasporto e lavorazione dei marmi d'Istria da porsi in opera nella facciata della chiesa, entro un biennio, per ducati 145 per ciascuna pertica. Rogito Andrea Cambi.

1392, 8 aprile. Conferma fatta dal Gonfaloniere, Anziani e Massari delle arti, di Antonio di Vincenzo muratore in architetto e ingegnere della fabbrica, con salario di L. 30 mensili, collaudando il lavoro già fatto. Rogito Matteo Griffoni.

1392, 4 maggio. Convenzione con Paolo Rizzi, Pietro Broccoli ed altri scalpellini di Varignana pel trasporto e lavorazione dei macigni di Varignana a soldi 20 ogni piede lavorato per la fabbrica della chiesa. Rogito Andrea Cambi.

1392, 4 ottobre, giorno di S. Petronio. Fu detta la prima messa nella chiesa nuova dal vescovo Bartolomeo di Bonacursio Raimondi celebrata nella cappella Bolognini che è la quarta a levante entrando nella basilica per la porta maggiore.

1393, 14 marzo. A Filippo Dalmaxio e a Giovanni Ottonello, pittori che dipinsero in una tavola grande santi e molte figure con colori e oro fino in un pannolino, e con altri ornamenti di legno dorato, destinata e posta nell' altare della chiesa di San Petronio, per loro mercede giudicata da altri pittori è tassata L. 28.

1393, 15 aprile. Elezione fatta dal Consiglio generale dei 600 e dal Gonfaloniere ed Anziani, di otto ufficiali addetti all'uffìcio della pace per sei mesi, con ordine che quattro di essi debbano confermarsi per il seguente semestre, e così si faccia nelle elezioni avvenire, in modo che alternativamente quattro vengano eletti e quattro confermati per sei mesi, con diverse facoltà e segnatamente quella di riformare le spese del Comune.

Ordinazione che in ricompensa dei benefici ricevuti dai seguenti ufficiali della bailia, cioè Carlo Zambeccari, Filippo Guidotti, Francesco Foscarari, Nane Gozzadini, Giovanni Oretti, ser Tommaso Gallesi, Pietro di mastro Enoch, Giacomo Bianchetti, Giovanni Monterenzoli e Zordino Cospi, si scolpiscano le loro immagini in marmo col nome e cognome di ciascuno, e si collochino nella prima cappella che si volterà nella chiesa, facendo quivi un' iscrizione dei vantaggi da loro recati al Comune di Bologna per cui vengono onorati. In tale ordinazione è pur detto che essi abbiano il padronato della cappella suddetta da voltarsi, dedicata a S. Giorgio, col diritto di nominare il cappellano, il qual diritto di nomina passi ai loro figli e discendenti maschi di primogenito in primogenito fra quelli che resteranno delle loro discendenze, le quali estinte questo padronato sia rogato al Comune di Bologna. Colle rendite poi della fabbrica paghinsi a detto cappellano annue L. 100 per il di lui vitto e di un chierico, coll'obbligo però che egli debba celebrare continuamente alla detta cappella, nè possa avere altro benefizio, e coll' ordine che si celebri solennemente la festa di S. Giorgio coll' intervento degli Anziani e Collegi. Rogito Oppizzone Lazzari e Paolo da Castagnolo.

1393, 25 aprile. Elezione fatta dagli Anziani, Gonfaloniere e Massari delle arti, di Bartolomeo vescovo di Dragonaria, stato a forza espulso dal suo vescovato nel Regno di Napoli per aver seguito il partito di Lodovico I d' Angiò, a celebrare la messa pontificalmente tre volte la settimana nella nuova chiesa, esortandolo a predicare nella chiesa stessa, e assegnandoli il salario di annue L. 60 d' argento. Rogito Paolo da Castagnolo.

1393, 20 maggio. Ordine che sia pagato ad Andriolo di Pietro, capestraro, un capestro grosso nuovo di libbre 20 a soldi 1, 6 la libbra, L. 1, 10.

Fu confermato il decreto che la festa di S. Petronio si dovesse celebrare li 1 ottobre, e che in detto giorno si facessero oblazioni al Santo, determinando la quantità e la qualità di queste da presentarsi alla chiesa. Li 11 settembre 1393 e li 17 marzo 1395 si rinnovarono le regole e le prescrizioni per dette oblazioni.

1393, 21 settembre. Sono accordati bolognini 15 d’oro a mastro Giovanni di Riguzzo, scultore, per la figura di S. Pietro da farsi in un marmo da mettersi nella facciata. - Item, ducati 25 d’oro a Paolo di Bonaiuto da Venezia in S. Pantaleone, scultore, per ciascuna delle seguenti figure, cioè S. Petronio, Sant’ Ambrogio, S. Francesco, S. Domenico, S. Paolo e S. Floriano, tutte da farsi in marmi tondi per la facciata, secondo i disegni fatti nel muro del palazzo di residenza degli Anziani verso la piazza del Comune. Idem ducati 20 d’oro a Giovanni Ferrabech, o Ferrabucchi, scultore fiammingo, o alemanno, per le figure della B. Vergine col puttino in braccio da porsi nella facciata anteriore della chiesa. Rogito Giovanni Vannuzzi.

1393, 6 dicembre. Girolamo e Andrea Barozzi, e Francesco di Dardo, marmorini veneziani, si obbligano di dare i marmi grezzi per quattro finestre della chiesa in prezzo di ducati 150 al peso di Venezia per ciascuna finestra. Rogito Giovanni Vannuzzi.

1393, 21 dicembre. Previsione del Consiglio Generale di Bologna per la fabbrica, dote e mantenimento del tempio di S. Petronio.

1393. Ordine che sia rimborsato del prezzo competente il pittore Francesco Lole per aver dipinto armi ed ornamenti nei muri della chiesa intorno all’altare.

1394, 21 maggio. A Lippo Dalmasio, pittore, che dipinse S. Giorgio con una casuccia e un cavallo, in un pannolino posto nella cappella' di S. Giorgio, furon pagati ducati quattro d’oro, che a ragione di soldi 37 per ducato sono L. 7, 8. E per pannolino, cordella, bollette ed altre robbe L. 1, 16. In tutto L. 9, 3.

1395, 14 giugno. Per capestro grosso, del peso di libbre 114, a soldi 1 la libbra, L. 5, 14.

1395, 17 dicembre. A Misina del fu Borniolo Galluzzi, moglie del fu' Antonio Galluzzi, furono pagati i frutti di L. 225, importo di case atterrate per la fabbrica della chiesa di S. Petronio, già confiscate ad Alberto Galluzzi, poi sentenziate e rilasciate a detta Misina.

1396, 21 aprile. La prima eredità pervenuta alla fabbrica di S. Petronio, in forza del decreto che le eredità intestate per le quali non vi sieno parenti in quarto grado siano devolute alla fabbrica, fu quella di Giovanni di Azzone da Reggio, ottenuta nel predetto giorno, e consistente in due case in cappella S. Giuliano, in confine di Marga vedova, e di Nicolò Benuzzi calzolaio.

1396, 21 settembre. Decreto degli Anziani, Consoli, Gonfaloniere di Giustizia e dei Collegi, che ogni anno si debba correre un palio nella festa di S. Petronio per la cerchia e borgo di Galliera fino alla piazza, nel qual palio si dovranno spendere bolognini 50 d’oro, ed alla spesa dovranno soccombere i capitani del primo e secondo semestre. Rogito Taddeo Mammelini. Li 11 febbraio fu ristretta la spesa di questo palio a L. 230.

1400, 7 dicembre. Determinazione dei fabbricieri, come deputati degli Anziani, di fare un portico con 12 pillastri sulla Piazza Maggiore, cominciando dalla via delle Chiavature e andando fino a quella dein Orefici con elevazione di muro e merli di sopra. Rogito Giovanni Vannuzzi. Questa è l’origine della facciata e del portico dei Banchi.

1400, 23 dicembre. Convenzione con D. Palmerio de’ Palmeri, rettore di Santa Tecla dei Lamberlazzi, per tre case presso la piazza e presso la via che va all’ospedale della Morte e a certe case di detta chiesa, e dal lato posteriore presso il nuovo muro della chiesa di S. Petronio, atterrate li 19 dicembre 1400 per aggrandire la piazza e le scale, sborsandogli L. 2000. Lasciò egli L. 500 per fare una cappella dedicata a Santa Tecla, ed altre L. 500 per ornamento della medesima, e si riservò che ne fossero padroni e successori i Lambertazzi. Dal 1390 alli 23 dicembre 1400 si spesero L. 13109 in compre di case atterrate e da atterrarsi per la fabbrica di questo tempio. Per far fronte alle spese, concesse il Papa vari giubilei, quattro dei quali nel 1393 produssero L. 9914, 2, 3.

1401. Fu fatto il coperto del corpo di mezzo della chiesa di S. Petronio per la lunghezza di quattro cappelle per parte, e nel mezzo del corpo della chiesa fu fatta una cappella grande con altare. Davanti a detto altare, fra due pillastri grandi, fu fatto un parapetto murato di pietra e calcina quant’ era la larghezza di detta cappella, e ad ogni testa vi si lasciò un portello per entrare ed uscire, e dentro fu tutta seliciata in pietra cotta. Presso al detto altare a dritta fu fatto un usciolo, per il quale si andava ad una piccola sagristia e a certe stanze destinate per il guardiano di detta chiesa. (Cronaca Fabbra).

1402, 21 settembre. Giacomo del fu Paolo, pittore, si obbliga di fare un modello della chiesa di S. Petronio in carta bombacina incolata, e di legname, sopra asse lunghe e larghe piedi 10 circa, a similitudine di quello esistente pella casa dei Pepoli in Strada Castiglione, per ducati 60 d’ oro. Rogito Bartolomeo di ser Beldo. Il modello esistente nelle case dei Pepeli era quello fatto nel 1390 da Antonio di Vincenzo. Si noti che il modello di Antonio, solamente per la parte della chiesa fatta oggigiorno, doveva esser lungo circa piedi 30.

Bonifazio IX, con sua bella data in.Roma li 19 gennaio 1393, nominò. il cardinal Baldassarre Cossa vicario di Bologna, Ferrara e Ravenna. Lo stesso Pontefice, con altra bolla delli 19 gennaio 1403, lo dichiarò Legato di Bologna e della Romagna. Durante la sua legazione alienò molti materiali d’ogni genere radunati per continuare la fabbrica della chiesa, si appropriò le annue offerte che si facevano per detta fabbrica, e fece cessare tutti i lavori. (Vedi articolo 32 d’ accusa contro Giovanni XXIII presentato da Andrea Lascaris, Vescovo di Posnania, nella sessione XI del Concilio di Costanza, e provato da un Cardinale, da un Arcivescovo, da due Vescovi, da un Uditore, da un segretario del Papa e da molti altri), cosi Hermanno Von-der Hardt - Rerum Magni Concilij Costantiensis - Francfort e Lipsia, dall’officina di Cristiano Genskij, 1699, Tom. IV, cart. 237.

Bartolomeo di Bolognino Bolognini dalla Seta testò li 10 febbraio 1408, a rogito di Lodovico di Bartolomeo Codagnelli, e di Colla di Bonifazio Mazzapiedi (Vedi pro cesso N. 25 nell’archivio dei canonici di S. Petronio). Ordina che la sua cappella in S. Petronio sia dipinta da un buon pittore, che la volta sia dipinta di buon azzurro del prezzo di due ducati la libbra, e di stelle rilevate e dorate siccome in una cappella della chiesa di Santa Sabina, che nel muro laterale verso piazza fino alla sua metà si dipingano le pene dell’inferno orribili quanto più si può, e che sulla sponda del muro dal lato di sera vi si dipinga la, storia dei tre Re Maggi, la quale comprenda tutta la sponda. Vuole ancora che sia seliciata di mattoni quadri di oncie 6 di colore azzurro e bianco, e tutto ciò nel caso che le cose dette non fossero già state fatto prima della sua morte, e se prima pure della sua morte non fosse stata sacrata, debba sacrarsi col titolo dei Santi Re Maggi. Dunque quando si celebrò in questa cappella li 4‘ ottobre 1392 non era sacrata, non seliciata, nè dipinta, e convien dire che quella celebrazione di messa si sia fatta in un altare portatile e provvisorio.

1412, 9 ottobre;Giovanni XXlll, già Baldassarre Cossa, nominò Marco dei Zuntini, cittadino e banchiere di Bologna, in depositario degl’introiti della nuova fabbrica di S. Petronio.

1418, 18 giugno. Bolla di Martino V colla quale ordina di incorporare alla fabbrica il jus e le rendite delle chiese parrocchiali di Santa Maria dei Rustigani, di Santa Croce, di Sant’Ambrogio e di Santa Tecla dei Lambertazzi, demolite ed occupate dalla nuova fabbrica della chiesa di S. Petronio, come pure quelli e quelle di Santa Maria Rotonda dei Galluzzi, di S. Cristoforo dei Geremei, di S. Geminiano e di Santa Maria dei Bulgari, da demolirsi secondo i disegni di detta chiesa, dandola cura d’animo di queste parrocchie al rettore pro tempore di S. Petronio, riservando il jus patronato delle cappellanie da stabilirsi agli altari di detta chiesa sotto i titoli dei santl delle chiese demolite ai padroni laici rispettivi. (Data in Firenze).

1420, 18 dicembre. Convenzioni della fabbrica con Giovanni da Modena per dipingere opere del testamento vecchio e nuovo nella cappella di S. Giorgio;

1425, 21 marzo. Donazione fatta da Cristoforo del fu .Floriano delle Scudelle, all’ospedale della Morte,di una casa bassa con quattro piccole porte e quattro stanze contigue a terreno, sotto la parrocchia di S. Geminiano, nel postribolo, a mano destra dell’ingresso del medesimo dal lato di S. Petronio. Confina certo giardino di un’osteria degli eredi di Giuliano Barufaldini, Andrea dalle Scudelle, la casa della barattoria antica, Lorenzo Ringhiera, l’orto dell’osteria di detto Lorenzo, e il suddetto Andrea dalle Scudelle di dietro, condotta da Cristoforo del fu Antonio da Ferrara, detto dalla Scimia. Rogito Frigerino Sanvenanzi.

Tutti i suddetti stabili furon poi atterrati per la continuazione della chiesa di S. Petronio.

Cosa fosse la barattoria lo apprendiamo da un decreto emanato li 8 febbraio 1443 da Cervato Podestà e dai sedici Riformatori, col quale si concede a Zaccarello del fu Paolo da Pesaro di poter tenere impunemente Baratariam ad ludum azzardi, et quamcumque alium ludum Biscazierie in locis postriboli, et lupanari novi in curia Bulgariorum.

1425, 28 marzo. Concessione del cardinale d’Arles Legato, a Giacomo di mastro. Pietro dalla Fonte, alias dalla Quercia (per essere nativo della Quercia Grossa, piccolo castello distante da Siena) del lavoro. degli ornamenti di scultura per la porta maggiore della chiesa secondo il disegno fatto e Sottoscritto dal medesimo, dando però i marmi la fabbrica, per fiorini 3600 di Camera del Papa. Li 26 giugno 1426 Giacomo dalla Fonte era a Verona per l’acquisto dei marmi. Nel 1447 passò a Siena a lavorare nei famosi bassorilievi in bronzo del Battistero sotto il Duomo, in concorso di Donato e di altri.

1425, 15 ottobre. Passaporto fatto dal Cardinal Legato per la condotta di marmi dal Lago Maggiore.

1428, 23 febbraio. Decreto. a favore di Gio. Andrea Calderini, e contro la fabbrica di S. Petronio, assolvendolo dalla decima dell’eredità di Giacomo e di Misina Cremisi, condannando la fabbrica a pagargli L. 812, 14, 7 dovutegli per la casa di Gaspare loro padre, demolita per la fabbrica della chiesa.

1428, 30 aprile. Furon pagate L. 40 al Commendatore della Pieve di Monteveglio per pigioni arretrate delle case atterrate spettanti alla chiesa demolita di Sant’ Ambrogio. Rogito Guido Gandoni.

1428, 6 agosto. D. Tommaso del fu Matteo Perticoni fu eletto sagristano della chiesa. Rogito Guido Gandoni.

1429, 2 settembre. Giovanni Griffoni fu eletto ad vitam in Camerario della fabbrica, e furon nominati anche quattro soprastanti con salario di L. 12 al mese. Rogito Giacomo Usberti.

1429, 24 ottobre. Iacopo dalla Fonte si obbliga di ornare a tutte sue spese, compresi i marmi, la parte interna della porta maggiore della chiesa di S. Petronio secondo un disegno da lui fatto, per il prezzo di ducati 600.

Iacopo dal 1429 al 1435 lavorò interrottamente nei bassorilievi della porta esterna della chiesa, la qual cosa diede luogo a serie differenze fra lui e gli officiali di San Petronio. Nel 1436, temendo le conseguenze della sua noncuranza, fuggì da Bologna e si ricoverò in Parma, come si rileva da una sua lettera delli 6 marzo. Li 6 giugno susseguente passò transazione fra lui e i detti officiali, come da rogito di Guido Gandoni, ma nonostante Iacopo tornò a Siena, e abbandonò affatto il lavoro. Li 3 ottobre 1438 testò a rogito di sor Iacopo di Andrea Paccinelli, e pochi giorni dopo morì in Siena, lasciando erede il fratello Priamo egregio pittore. Iacopo era nato nel 1371, per cui morì d' anni 67.

Nel dicembre del 1438 il Senato di Bologna scrisse alla Signoria di Siena sul conto di Giacomo, la quale rispose esser morto, e fece premura perchè Cino di Bartolo, senese, rimasto a Bologna garante di Iacopo, fosse liberato dal carcere. In pari tempo gli officiali di S. Petronio pressarono Priamo a venire a Bologna, come si rileva da risposte autografe di esso lui delli 12 gennaio e 11 febbraio 1439, ma non venne se non nel 1442, dove in agosto, in seguito ad ordinanza del Senato, seguirono accordi cogli officiali, a rogito di Guido Gandoni. In detta ordinanza si vuole che a diligenza di Priamo si faccia terminare il lavoro della gran porta, si obblighi a dare idonea sigurtà e ad esibire uno o più scultori che compiano il lavoro secondo il disegno dato da Iacopo secundum attestationes coram nobis solemniter factas per magnificum Arduinum civem Bon., ingiungendo anche agli officiali, che data la sigurtà, sieno restituite a Priamo certe sepolture di marmo sculte da Iacopo per vari di Ferrara, le masserizie, le suppelleteli e tutti i beni del defunto posti in sequestro.

Priamo, costituita la fidejussione, presentò mastro Antonio di mastro Pietro de Briosco da Milano, ma abitante in Bologna sotto S. Silvestro di Porta Nova, come capace per terminare il lavoro, il quale fu ammesso e ricevuto a rischio e pericolo di Priamo erede di Iacopo.

Li 25 settembre 1442 l'erede predetto fu assolto dall' obbligo di perfezionare il suddetto lavoro, e fu eletto un altro mastro per maggior sollecitudine.

1436, 4 ottobre. Eugenio IV erige S. Petronio in Collegiata, e deputa il Vescovo di Bologna, i priori della Certosa, di S. Michele in Bosco, e i rettori degli ospedali della Vita e della Morte, a presidenti della fabbrica. (Dato in Bologna).

1436, 11 ottobre. Bolla di Eugenio IV, colla quale instituisce il primicero, il maestro di scuola, un cantore, dieci cappellani e ventiquattro chierici dell'età dai 10 ai 15 anni, legittimi e bolognesi, coi seguenti assegni : al primicero L. 30, al maestro di scuola L. 60, al cantore L. 30, a ciascun chierico L. 16 all' anno, e ai cappellani L. 5 al mese. Ordina che siano annualmente pagate ai rettori delle chiese parrocchiali demolite, e cioè a quello di Santa Croce L. 66, di Sant'Ambrogio L. 15, e di Santa Maria dei Rustigani L. 31, 15.

1437, 23 ottobre. Convenzioni con mastro Simone da Luca per la demolizione della chiesa di S. Geminiano, di una casa annessa e di altra dei Muzzarelli, e per chiudere un pezzo di suolo davanti la chiesa a tutte sue spese, concedendo al medesimo per sua mercede tutti i gessi che si caveranno da detta chiesa e casa annessa, tutti i legnami e ferramenti che si troveranno nella casa dei Muzzarelli, e tutte le lambreccie della chiesa, riservandosi per la fabbrica il resto di tutti gli altri materiali. Rogito Guido Gandoni.

Alcune memorie sulla Chiesa Parrocchiale di S. Geminiano.

Li 26 marzo 1330 Gualdino e Zanellino di Mastro Zavarizio compra dal dott. di L. Paolo di Martino Solimano , un casamento sotto la parrocchia di S. Geminiano, ossia di Santa Maria dei Bulgari per Lire 114. 13. Confina il venditore e Rolandino di Nicola Galluzzi, e Secondo Borghesano di Ugolino.

Li 22 decembre 1360, si dice che nella parrocchia di S. Geminiano dopo la casa del fu Rolandino Galluzzi, principiando dal ponte della Cittadella, continuando fino al Guasto , e per la via che va al Guazzaduro debba farsi un muro alto per causa degli Scuolari e delle Scuole.

1425, 21 Marzo. Cristoforo, del fu Floriano delle Scudelle , lasciò una casa alla compagnia della Morte sotto S. Geminiano nel postribolo a mano destra dell' ingresso di detto postribolo dal lato di S. Petronio; confinava il giardino dell'osteria degli eredi di Girolamo Baruffaldini , Andrea dalle Scudelle, la casa della Baratteria antica, Lorenzo Ringhiera, l'orto dell'osteria di detto Lorenzo e Andrea dalle Scudelle (di dietro) R. Frigerino Sanvenanzi ( Vedi addietro ).

Il libro delle Colette del 1408, dice S. Geminiano, de Scolis. Ista est tota conquassata, et creditur quod de ipsa fiet Capella in S. Petronio , et Patronus est Abbas de Crovaria.

Del 1438 la chiesa di S. Geminiano era demolita ed unita a S. Petronio. Questa demolizione fu fatta per l'erezione delle quattro Capelle susseguenti alle prime otto della predetta chiesa di S. Petronio.

Li 19 marzo 1442 si trova il pagamento fatto a Francesco del fu Erasmo Cristiani di Lire 340 per prezzo di una sua casa già demolita posta di dietro la chiesa nuova di S. Petronio nel postribolo vecchio. Confina tre strade e Romualdo Guido Gandoni.

1439, 6 febbraio. Cesare del fu Barsano Panzacchi fu eletto Sindaco, e procuratore della fabbrica Romualdo Guido Gandoni.

1439, 20 ottobre. Andrea di Matteo Castelli fu nominato primo primicero per bolla di Eugenio IV coll'annuo assegno di lire 100 non ostante che nella bolla della fondazione del Primicerato fossero stabilite sole Lire 30.

1440, 12 aprile. Locazione a Gerardo di Allemagna venditore di acquavita della metà di una bottega della fabbrica , che ivi è lunga piedi 16 e larga piedi 9 e oncie 6 posta sulle scale della chiesa che guardano in piazza verso il palazzo della compagnia dei Notari, fra le immagini di S. Francesco e di S. Petronio per annue Lire 8 Romualdo Guido Gandoni.

1411, 26 gennaio. Decreto che entro due anni si compiano altre quattro cappelle, con obbligo di cominciarle entro il venturo mese di aprile. Queste sono le quattro Cappelle che cagionarono l'atterramento ordinato li 23 ottobre 1437 della chiesa di S. Geminiano, la quale doveva trovarsi nello spazio fra la Cappella Bolognini, e la Cappella.

1441, 24 marzo. Concessione dei fabbriceri a Paolo del fu Tibaldo Lazzari e Comp. entrambi muratori per la fattura di due volte delle navate piccole da farsi per Lire 5750. Romualdo Guido Gandoni.

1442 , 24 marzo. Donazione fatta alla fabbrica del dazio dei frutti e dei proventi de' posteggi della piazza.

1442, 24 aprile. Fu eletto ingegnere della fabbrica, Orazio di Jacopo pittore. Da quest' Orazio si crede venissero gli Orazi, che ebbero le case nel Mercato di Mezzo fra questa via , e quella del voltone della Corda.

1442. Secondo una cronaca, caddero prima di giorno i tetti della porzione della chiesa già fabbricata, e ciò avvenne nell'avvento.

1450, 28 novembre. Il podestà rinnovò il decreto della Corsa del Palio nel giorno di S. Petronio d'ogni anno già fatto dagli Anziani, e Consoli li 21 settembre 1396 prescrivendone il premio di 50 Bolognini d'oro, e del colore e della qualità, che piacerà agli Anziani del quinto bimestre , e questo a spese dei capitani del popolo. E quando non vi fossero capitani a spese del Comune.

1453, 19 agosto. Breve di Nicolò V. col quale è eletto Bartolomeo ZenziFabri a computista della fabbrica. Teneva costui i suoi libri in una dicitura latina e così pure praticavano i Notari e Curiali di quei di.

1454, 22 febbraio. Nicola V. con suo breve nominò architetto della fabbrica di S. Petronio Giovanni del fu Martino Rossi Negri da Modena con provisione di Bolognini 12 per ogni giorno che avesse lavorato.

1455, 8 marzo. Il Cardinale Bessarione confermò il Rossi Negri in architetto, e mastro , ed ingegnere, di detta fabbrica sua vita naturale durante con l'assegno di Lire 10 annue Romualdo Bartolomeo Ghislardi.

1455, 22 maggio. Breve di Calisto III. conflrmatorio della traslocazione del lupanare dalla Corte dei Bulgari alla Torre dei Cattalani e ciò ad istanza dei fabbricieri di S. Petronio.

1456, 8 marzo. Giacomo Monterenzoli fu eletto esattore delle rendite della fabbrica di S. Petronio.

1456, 24 marzo. Nicolò Sanuti fu eletto dal reggimento in Camerlengo della fabbrica senza salario.

1458, 15 ottobre. Fu messo in corso l'assegno di L. 100 decretato da Papa Eugenio IV. li 20 ottobre 1439 per il Primicero di S. Petronio.

1458, 6 novembre. D. Andrea Montetortori fu nominato sagristano.

1459, 29 settembre. Nicolò Sanuti, Giovanni Guidotti, Giovanni Bianchetti, e Bartolomeo Cospi , furono deputati a soprastanti della fabbrica per un anno dal Legato.

1459, 10 novembre. Albertino Rusconi da Mantova e Domenico del fu Amedeo da Milano convengono per il lavoro, e i marmi degli abbassamenti e delle finestre di quattro cappelle a ponente verso la residenza dei dazieri del vino ( Via Pignattari ) annesse alle 6 altre terminate , da farsi nella stessa forma e con simili figure. Romualdo Tideo Preti.

1459, 16 novembre. Bartolomeo Cavicchio somministra alla fabbrica pietre per Lire 8. 8. Romualdo Tideo Preti.

1460 , 5 gennaio. Agarello Trentino promette di condurre 85 migliaia di marmoree per la fabbrica.

1460, 20 maggio. Il Cardinale Reatino ordina in perpetuo, che gli utfiziali della fabbrica non possino conchiudere verun patto relativo a detta fabbrica senza espressa licenza del Legato di Bologna.

1460, 9 agosto. Locazione ad Albertino Rusconi dell'abbassamento, e finestre di quattro cappelle verso mattina.

1461, 29 gennaio. Giovanni di Martino Negri fu confermato architetto della fabbrica da Pio II.

1464, 5 gennaio. Erezione della chiesa di S. Petronio in prima collegiata di Bologna dopo la Cattedrale, fissando a 18 il numero dei canonici.

1464, 22 decembre. Vendono gli ufficiali della fabbrica a Stefano Rota e a Bartolomeo Scarani il dazio frutti per Lire 1200 d'argento R. Tideo Preti.

1466, 29 marzo. Assoluzione del Sindaco dei PP. di S. Domenico di Bologna a favore dell'Università dei Notari di due ducati d'oro, pagati per residuo di Lire 800 spese in una finestra ( cioè vetriata ) fatta nella Cappella di detta Università nella chiesa di S. Petronio.

1470, 9 aprile. Furono accordate Lire 600 a conto delle Lire 1200 destinate per la fabbricazione del primo Organo posto nella chiesa di S. Petronio.

1470, 18 decembre. Furono sospese le pitture della cappella di santa Brigida per le gravi spese occorrenti per fare il coro nella cappella maggiore, gli stalli del detto coro, l'Organo e la ferriata della predetta cappella R. Tideo Preti.

1471. Galeazzo Marescotti subentrò fabbriciere a vita al defunto Gio. Griffoni. Si trova che nel 1474 era mastro di cappella di questa basilica Muzio da Ferrara. Nel 1480 Giò. Antonio da Milano. Nel 1487 D. Gabriello da Milano, nel 1512 Giovanni Spatario discepolo di Bartolomeo Ramo Pereja Spagnuolo, che insegnò la musica nel nostro studio del 1482. Il Spartario fu eletto li 30 Giugno 1512, e morì circa il mese di settembre 1539.

1479, decembre. D'ordine di Galeazzo Marescotti Calvi fu cominciato il campanile di S. Petronio. La carica di campanaro era una carica di titolo che si dispensava dal pubblico ad un cittadino che godeva dello stipendio di Lire 600 annue. Li 26 ottobre 1691 morì Ercole Montecalvi cittadino, notaro, e campanaro di S. Petronio, a cui successe con diminuzione di assegno Vincenzo Rivalti morto nel 1693. Dopo il Rivalti la moltitudine degli aspiranti provocò la soppressione di si inutile carica.

Nel suddetto anno e mese si cominciarono a fondare due Cappelle l'una a levante , e l'altra a ponente , sull'ultima delle quali fu innalzato il campanile.

1480, 7 marzo. Furon cominciati sopra terra i muri del campanile che fu compito nel 1485.

1490, 10 maggio. Fu nominato organista Ogerio Saigrandi di Longone con salario di Lire 12 mensili, la casa e gli utensili.

Si murò in settembre e ottobre il Guasto di dietro a S. Petronio, detto delle Scuole vecchie fatto chiudere da Ferian di Dolfo dottore, il quale fece levare il terriccio , e spianare il detto Guasto.

Nel 1507 si cominciò a lavorare sopra la porta grande della chiesa di S. Petronio per collocarvi la statua di Giulio II. fatta da Michel Angelo Buonarotti in bronzo a spese del Pontefice. Il Papa era sedente con triregno , in atto di benedire colla mano destra, e tenendo le chiavi colla sinistra. La statua era alta piedi 9 e oncie 6, di peso libre 17,500. Costò mille scudi d'oro non compreso il metallo della campana della torre dei Bentivogli di peso libre 4600, e quello di un pezzo di bombarda. Fu posta a suo luogo li 21 febbraio 1508 a 15 ore in punto. Nel 1511 fu levata, e li 29 di decembre in detto anno furon pagati ducati 10 all' ingegnere Arduino per averla abbassata senza nuocerla in alcuna parte. La testa pesava libbre 600 che fu conservata dal Duca di Ferrara come opera di sommo valore. La fusione si fece nello stanzione di S. Petronio dal Buonarotti aiutato da Alfonso Lombardi.

Nel 1512 fu levata l'inscrizione, che diceva Julius II. Pont. Max. alla quale fu sostituita questa — Scitote quoniam Deus est Dominus — e nella susseguente notte fu posta sopra la medesima un Dio Padre dipinto in tela.

1509, 14 ottobre. Fu finito di voltare l'undecima cappella a sinistra, e si incominciò il fondamento del pilastro della cupola vicino a detta cappella, profondo piedi 24 e largo piedi 20, in mezzo del quale fu lasciato un pozzo per comodo della fabbrica.

1509, 6 decembre. Accordo della fabbrica con Simone Cavalli sopra il levar l'altezza del terreno nella chiesa di S. Petronio, e fare le scalinate per salire alle cappelle.

1509, 8 decembre. Accordo con Paolo Fiorino per fare un nuovo pilastro già fondato che deve servire per la cupola.

1510, 20 aprile. Si trattò con diversi architetti per disfare e rifare la porta di mezzo della chiesa. Fu portata più avanti verso la piazza di oncie 15, e fu finita li 30 agosto di queir anno.

1519, 9 maggio. Convenzione di Arduino Arriguzzi ingegnere sul capitello da farsi al pilastro nuovamente fabbricato per la Crociera.

1513, 17 agosto. Contratto fatto con Pietro Bianchi per rifare 38 catene ruinose e pericolose del soffitto della chiesa.

1514, 30 aprile. Promissione di Arduino Arriguzzi di fare il modello di tutta la chiesa e della cupola. Questo è il modello in legno che si conserva nella prima camera della residenza dei fabbricieri. Si trova che l'inventario legale dell'eredità di Arduino Arriguzzi , morto ab intestato fu fatto li 2 decembre 1531, Rogito Alberto Sanvenanzi.

Non si ha memoria se questo modello di legno sia conforme al progetto d'Antonio di Vincenzo ossia a quello dell'Arduino.

1515, 16 agosto. Concessione del Legato per acquistare e demolire l'osteria di S. Giorgio pel magazzeno di legname spettante all'eredità Sanuti, e annessa alla chiesa di S. Petronio. Quest'osteria era fra il voltoncino che passa nella piazza del Pavaglione e il voltone della chiesa o loggiato, dalla parte della sagristia di S. Petronio.

1516, 7 febbraio. Si cominciò a rinnovare la scala della facciata sulla piazza in macigno, in luogo di quella di pietra cotta che vi era precedentemente.

1517, 15 aprile. Convenzioni con Innocenzo da Milano per far le scale avanti le cappelle con pietra di Varignana.

1519, 29 gennaio. Obbligazione di Bartolomeo del fu Ramengo Ramenghi , e di Biasio del fu Ugolini Pizzi , o Pupini Pittori , di fare le finestre alla Cappella della B. V. della pace in vetri colorati con figure a L. 4 per ciascun piede quadro. Furon pagate L. 150 in conto.

1520, 29 febbraio. Promissione di Sigismondo Bargellato, di lavorare tutte le pietre per i pilastri e i volti delle porte della cbiesa per L. 120 per porta.

1521, 17 maggio. Compra la fabbrica dall'eredità Sanuti, la casa già osteria di S. Giorgio vicino ai beni della chiesa, dalla parte del Pavaglione per L. 1900. Rogito Priamo Bailardi e Ascanio dalla Nave.

1526, 5 febbraio. Zaccaria da Firenze si obbliga di fare una statua di S. Domenico in marmo di Carrara fra 8 mesi per scudi 40 d' oro , e Nicolò da Milano ed una di S. Francesco fra 6 mesi per scudi 50.

A Nicolò Tribolo da Firenze, fu ordinata una Madonna al sepolcro di Cristo, da compiersi nel corso di 10 mesi per Lire 50.

Ad Annio , Arnio , o Amico di Pittor Bolognese, una figura in marmo di Nostro Signore morto, tenuto da Nicodemo, da eseguirsi fra un anno per sc. 50; e inoltre ciò che sarà dichiarato da Silvio Guidotti, da Ercole Seccadennari , e da Nicolò Tribolo scultore, riguardo alla figura del Nicodemo.

Ad Ercole un S. Gio. Battista, da porsi presso il sepolcro di N. S. da compiersi fra 10 mesi per scudi 50 d'oro.

Ad Alfonso di Nicolò Cittadella un Cristo risorto con una figura detta Ebreo di basso rilievo, da allestire fra un anno per scudi 40, ed inoltre ciò che sarà dichiarato come sopra per la figura dell' Ebreo.

A Bernardino Scultore , una statua di marmo di Carrara , nel termine di un anno per scudi 50. Questo contratto non ebbe poi il suo effetto.

1530, 25 febbraio. Coronazione di Carlo V. nella chiesa di S. Petronio.

1530, 17 decembre. Ercole Seccadennari architetto della fabbrica, che poi rinunziò li 30 decembre 1531.

1533, 27 settembre. D. Cristofaro Franchi, fu nominato maestro di scuola per i chierici con L. 6 mensili. Rogito Cesare Rossi.

1543, 27 settembre. Ammissione di Giacomo Barozzi da Vignola , siccome architetto della fabbrica per Breve di Paolo III.

1547. Il Vescovo Lorenzo Campeggi fece fare la Tribuna architravata sostenuta da quattro colonne di marmo sopra l'Altar Maggiore della chiesa di San Petronio.

1549, 10 luglio. Antonio Morandi fu eletto architetto in luogo di Giacomo Ranuzzi defunto con dichiarazione che rendendosi vacante il posto di Giacomo Vignola altro architetto della fabbrica, debba conseguire il suo stipendio, decretando che per l'avvenire si elegga un solo architetto per i lavori della fabbrica. Rogito Cesare Rossi.

1550, 31 marzo. Cassazione di Giacomo Barozzi dall'ufficio di architetto e di ingegnere della fabbrica per non avere adempito all'obbligo assuntosi di sollecitare e di assistere gli operai e per aver errato nel fare l'ornamento al Tabernacolo del Santissimo nella Chiesa di S. Petronio e per avere per questo ecceduto nella spesa, ascendente a L. 5000. Rogito Cesare Rossi.

1550, 12 decembre. D. Nicolò Mantovani fu nominato mastro di Cappella di S. Petronio in luogo di D. Domenico Maria Ferraboschi eletto cantore della Cappella del Papa.

1556, 14 novembre. Partito di compiere la facciata, secondo il disegno fatto da Domenico Aimo detto il Varignana. Rogito Cesare Rossi.

1557, 2 luglio. Concessione a Gioacchino del fu Antonio Aimo detto il Varignana, nipote di Domenico Aimo celebre architetto detto il Varignana, e ad Annibale Nanni, del lavoro dei marmi da porsi in opera nella facciata di S. Petronio cominciando dal bassamento di essa, già principiato sino alla prima cornice per soldi 19 il piede , secondo le norme da darglisi da Maestro Antonio Morandi architetto della fabbrica. Rogito Cesare Rossi.

1558, 27 aprile. Convenzioni con Domenico Georgy marmorino Veronese di soldi 18 veronesi per ogni piede di pietre di vari colori per la facciata. Rogito Camillo Oraziani.

1559, 23 marzo. Decreto di pagamento a Francesco Terribilia architetto della prima Crociera della Volta maggiore della chiesa, per sua mercede L. 1200.

1563, 20 novembre. Breve di Pio IV. col quale assegna alla fabbrica di S. Petronio ducati 150 d'oro di camera annuali in perpetuo da levarsi dalle condanne criminali o malefici della città di Bologna , in compenso delle case e botteghe demolite d'ordine del Papa per far la piazza davanti l'Archiginnasio.

1572, 17 luglio. Relazione di Andrea Palladio architetto, colla quale approva il rifiuto di Domenico Tibaldi e di Francesco Terribilia architetti della facciata da farsi alla chiesa, alla maniera tedesca, secondo i bassamenti vecchi esistenti; esibendosi però di fare altro disegno, in caso che non si volesse più tenere detto bassamente. Rogito Dionigio Rossi.

1575. Il Padre Egnazio Danti domenicano, aveva fatto una linea Gnomonica in S. Petronio per poter osservare gli equinozii e i solstizii.

1576, 3 decembre. Decreto dei fabbricieri, che il maestro di Cappella debba vestire nelle funzioni l'abito lungo all'uso dei preti. Rogito Dionisio Rossi detto Vallata.

1579, 14 marzo. Lettera del Cardinale S. Sisto in cui significa al Commendatore Gio. Pepoli presidente della fabbrica, il desiderio del Papa, perchè non si faccia il portico davanti alla chiesa di S. Petronio, e che quando vi sia dubbio, che i pilastri non fossero sufficienti a portar il peso della Volta Maggiore, si faccia il suffitto. Il dubbio della solidità dei pilastri era provenuto dall'aver verificato che i fondamenti eransi poggiati sopra terreno mosso alla profondità di piedi 14 e oncie 6 dal piano della chiesa.

1580. Convenzioni degli assunti della fabbrica di S. Petronio con Bartolomeo Triachini , Gio. Battista Ballarini, Domenico Tibaldi, e Francesco Terribilia sopra gli ornamenti della facciata di S. Petronio.

1584, 24 marzo. Mandato del governatore ai canonici , che debbano colle loro cappe, ed abito assistere a tutte le pratiche che si faranno nella chiesa di S. Petronio nel banco a ciò destinato. Atti di Stefano Fontana.

1587. 31 agosto. Decreto dei fabbricieri per fare la Volta della Nave Maggiore, secondo la relazione di Scipione Dattan di Gio. Battista Ballarini, di Pietro Fiorini , di Francesco Terribilia e di Francesco Guerra , architetti deputati, e ciò anche in seguito di approvazione del Legato, e del Reggimento. Rogito Giulio Giusti.

1587, 10 settembre. Elezione di Francesco Terribilia ad architetto della fabbrica della navata maggiore della chiesa, e ricognizione a Pietro Fiorini, a Gio. Battista Ballarini e a Francesco Guerra di L. 60 ciascuno pei disegni fatti e pareri dati sopra la costruzione di detta volta.

Nel 1588 essendosi costrutto il primo arco sopra il coro, ed essendo nata controversia fra il Sindaco Tommaso Cospi e i fabbricieri , il Papa ordinò che tutti i materiali preparati si dovessero vendere e deporne il ricavato nel Monte di Pietà, come fu di fatto. Cronaca Ghiselli.

Nell'archivio del Senato sotto la data 14 settembre 1589, trovasi la posizione delle querele contro il Terribilia e le sue difese sull'altezza della volta maggiore della chiesa di S. Petronio.

1590, 11 maggio. Decreto dei fabbricieri , che sieno levati i Botteghini che trovansi a capo delle scale della chiesa di S. Petronio dalla parte dell'ospitale della morte. Rog. Giulio Cesare Veli.

1591, 28 ottobre. Decreto sopra l'elezione di un architetto di Milano, e di un altro di Venezia per giudicare sulle differenze insorte sull'altezza delle Volte della chiesa.

1596, 19 decembre. Fu fatto il secondo organo nella chiesa di S. Petronio e posto dalla parte della sagristia della stessa grandezza del vecchio e rimpetto all'altro. Orazio Vernizzi organista , fu il primo a suonarlo e gli fu assegnato l'annuo emolumento di scudi 40.

1598, 30 marzo. Pubblicazione del Test. di Tommaso Cospi, col quale lascia alla chiesa di S. Petronio la medaglia della croce donatagli da Sisto V da esporsi sull'Altare il giorno dell' Esaltazione. Rogito Mercurio Accursi Romano. Questa medaglia d' oro degli antichi Imperatori, è una delle trovate nel fabbricare presso la Basilica Lateranense.

Il 3 decembre 1598 Francesco del suddetto Tommaso Cospi la consegnò al capitolo. Rogito Cesare Veli.

1600, 7 agosto. L'elezione del predicatore, dell'organista, del maestro di canto, del maestro di grammatica dei chierici, e del campanaro fu impartita dalla congregazione dei Vescovi ai fabbricieri. L'elezione del sacrista fu concessa al Capitolo.

1606, 6 aprile. Ordine dei fabbricieri di aprire il buco già murato sulle volte minori della chiesa, che serve alla linea meridionale, già fatta nel pavimento di detta chiesa dal Padre Ignazio Ghirardazzi. — Sospettasi che il Padre Ignazio Dante o Danti sia lo stesso che il P. Ignazio Ghirardazzi per duplicità di cognome.

1610, 10 gennaio. Decreto di rifare i coperti sopra le cappelle.

1626, 9 gennaio. Ricognizione dei fabbricieri di L. 300 a Girolamo Rinaldi architetto del duca di Parma, fatto venire a Bologna per servizio della fabbrica.

1626, 27 febbraio. Decreto dei fabbricieri di far le volte della nave maggiore, conforme il disegno di Girolamo Rinaldi architetto del popolo romano.

1642, 29 decembre. Ordini e decreti fatti dal vice-presidente, e dai fabbricieri di S. Petronio, da osservarsi dal maestro di cappella, dai cantori, dai suonatori e dagli organisti della detta chiesa.

1646, 24 marzo. Editto d'appalto della costruzione della volta della navata di mezzo di S. Petronio. Atti di Lorenzo Mariani.

1646, 4 giugno. Concessione di Lire 20,000 a Tommaso Vittori e compagnia muratori della fabbrica della volta di mezzo della chiesa, alta piedi 116 oncie 6 Rog. Lorenzo Mariani.

1647, 16 ottobre. Compimento della prima crociera della volta grande. L'ultima pietra fu posta dal vice-presidente a suono di trombe e tamburi, assieme ad una medaglia d'argento con un S. Petronio, e le armi del Pontefice. La cerimonia terminò col Tedeum in musica. Così ebbe fine dopo 59 anni di esami, dibattimenti, e di scritture d'architetti, la quistione sull'altezza da darsi a queste volte.

1648. Alla fine del mese di agosto si posero le armature per la costruzione della seconda crociera dalla parte della piazza.

1650, 7 marzo. Consegna del Test. di Giulio del fu Paolo Spuntoni nei quale lascia erede la fabbrica di S. Petronio mosso da gius de causa, e particolarmente per qualche scrupolo amministrativo dei beni di detta fabbrica tenuta per anni 33. Rogito Carlo Filippi, Zanatta Azzoguidi. Il 13 marzo 1650 il testatore era morto.

1650, 7 marzo. Concessione a Francesco Dotti e compagni muratori , della terza crociera per Lire 10,000. Rogito Bernardino Ugolotti.

1653, 26 giugno. Fu finita la volta del coro di S. Petronio.

1653, 28 novembre. Compra della fabbrica dalle Suore di Gesù e Maria di una casetta di faccia la torre della chiesa di S. Petronio posta sotto la parrocchia dei Celestini per fare il pilastrone verso S. Mamolo. Pagata L. 1011. 4. R. Cristoforo Sanmartini.

1654, 24 aprile. Accordo di L. 8500 per la fabbrica da farsi verso le scuole dalla parto di mezzodì , che va unita alla residenza dei fabbricieri , dei pilastri fuori della chiesa e il compimento della navata laterale. Rogito Cristofaro Sanmartini.

1654, 30 maggio. Assoluzione di L. 17,300 da Cristofaro Chiesa e comp. muratori per loro mercede della quarta e quinta crociera della Volta grande della chiesa. R. Cristofaro Sanmartini.

1654. In agosto fu finita di voltare fino al coro.

1655, 11 maggio. Invito a tutti i matematici per formare una linea meridiana.

1655, 22 maggio. Accordo in Lire 6500 per la fabbrica da farsi verso la strada di S. Mamolo, la quale con grande parte della Nave laterale , e le sagristie. R. Cristofaro Sanmartini.

1655, 12 giugno. Deputazione del Dott. Cassini con l'assistenza dei Dottori Montalbani, Mangini , e dei PP. Riccioli e Grimaldi Gesuiti, per rifare la linea meridiana.

1658, 14 giugno. Ordine di disarmare la volta principale della chiesa.

1658, 16 decembre. Ricognizione di Lire 300 al Dott. Cassini per la linea meridiana, già compita nel 1656. La sua lunghezza accresciuta da quella della lapide, che sul principio della linea recava diverse inscrizioni , fu trovata essere la seicentesima millesima parte di tutta la circonferenza della terra, un grado della quale corrisponde a miglia 58 e passi 60 di Bologna.

1659, 4 ottobre. Era terminata la chiesa, come in oggi la vediamo.

1661, 14 gennaio. Pagamento a Bernardino Perti e Compagni del saldo di Lire 13,400 per mercede del lavoro dell'ultima crociera della navata maggiore. Rogito Cristofaro Sanmartini.

1661, 9 febbraio. Decreto di portar l'Altare Maggiore avanti, verso la scalinata sotto l'arcone.

1661, 17 ottobre. Concessione a Leonardo Baroni e comp. della fabbrica del voltone della Corte dei Galluzzi, della casa del maestro di Cappella e della scuola. R. Cristofaro Sanmartini.

1662, 19 decembre. Ordine di rimettere la Tribuna sopra l'Altar maggiore che fu tolta quando si costrussero le volte del coro e delle ultime Crociere.

1669, 8 aprile. Assoluzione di Francesco Martini architetto di Marco Paganuzzi fondighiere e di Sebastiano Mossi alli fabbricieri di S. Petronio dell' importo dei legnami e dei ferramenti dati per la fabbrica della volta maggiore della chiesa, dell'aumento dato alla chiesa stessa e delle altre fabbriche aggiunte in aderenza della medesima e delle mercedi date secondo le rispettive loro arti e rispetto a detto Martini per la Tribuna di legno ricostruito sopra l'Altar maggiore , compresovi opere, legname e modello di legno della medesima. Rog. Cristofaro Sanmartini; dunque sembra che il Martini sia l' inventore dell'attuai Tribuna attribuita da vari, all'architetto Monti. Si noti che non è di legno, che la parte superiore del Cupolino e dalli archi al cupolino è di materiale legato da catene di ferro.

1673, 28 giugno. Convenzioni con Luigi Quaini e Marcantonio Franceschini pittori figuristi e con Giacomo Alboresi pittore di quadratura per il dipinto a fresco da farsi nel Coro di S. Petronio e cioè del Santo che scaccia l'eresia secondo lo schizzo dato, con due figure di più, che rappresentino la consacrazione del S. Sepolcro per esso fatta, con obbligo di Carlo Cignani pittore di fare il cartone per le dette figure, e per il panno , e di prestare la sua assistenza ai detti pittori. Il prezzo per le figure e per il panno fu stabilito in Lire 675 e per la quadratura Lire 300. R. Giuseppe Maria Uccelli.

1673, 1 luglio. Dichiarazione dei fabbricieri, che nel quadrato del Coro vi si debba rappresentare S.Petronio che purga la città dall'eresia degli Ariani, e Nestoriani, siccome una delle più insigni sue opere. Rog. Giuseppe Maria Uccelli. Fu poi cambiato progetto e si eseguì invece il quadro con S. Petronio genuflesso, che prega la B. V. di proteggere la città di Bologna.

1680. In ottobre fu imbiancata la chiesa dando un color rosso ai pilastri , e alle cornici, colla spesa di Lire 809.

1700, 12 gennaio. Furon poste nella chiesa le banche nuove dei particolari.

1712, 3 ottobre. Il senatore Ferdinando Ranuzzi donò 180 braccia di damasco cremisi, che costarono Lire 1064, 3 per addobbar ciascuna colonna o pilastro della chiesa di S. Petronio.

1712. S' incominciò a risarcire la scalinata sulla piazza della parte delle Chiavature.

1715, 3 luglio. In venerdì furono terminate le scale e la seliciata a capo della medesima. I macigni dei gradini furono rovesciati Si lavorò tre anni e si spesero Lire 8000 compresa la fattura dei macigni delle scale. Altri dicono che la spesa ascendesse a Lire 20,000.

1727. Fu instituita l'accademia dei Diffettuosi, che ogni anno cantava le lodi di S. Petronio nell'ottava del Santo entro il coro della basilica.

1738, 13 ottobre. Si cominciò a rinnovare la seliciata della chiesa che fu scoperta li 14 giugno 1741.

1737. Fu imbiancata la chiesa, e rinnovati i finestroni. Il 3 ottobre seguì la traslazione del sacro capo di S. Petronio da S. Stefano per rimanere stabilmente nella sua basilica.

1748, 6 dicembre. Il cardinale Pompeo Aldrovandi ebbe il progetto di compiere la facciata della chiesa di S. Petronio, come dicesi l'avesse avuto il Legato cardinale Castaldi, che per volere le sue armi nella facciata, cosa non concessa dal reggimento, abbandonò il pensiero, ed impiegò la somma nella costruzione di una delle due chiese che fan prospetto alla piazza del popolo in Roma.

L' Aldrovandi ordinò lo scandaglio della spesa all'architetto del senato Francesco Dotti, il quale sotto il giorno suindicato presentò il seguente dettaglio.

Calcolò egli che la facciata fosse fatta per la quarta parte secondo il disegno del Terribilia , e che perciò mancassero a compierla piedi 10725 quadrati della medesima, per i quali occorrevano:

Marmi bianchi e rossi non calcolato l' intaglio L. 202,702

Piedi cubi di muro 56490 L. 26,400

Per mettere in opera i marmi L. 13,600

Legname per i ponti , fittole di ferro, piombo e vino L. 13,500

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L. 282,692

Si dibatte il valore di 50 grossi pezzi di marmo che si trovano in essere nella via dei Pignattari

L. 5,400

Restano L. 277,292

In questo scandaglio non è compresa la spesa per far lavorare i marmi, scolpire le statue, i bassirilievi e gli ornamenti, l'opera muraria e le spese impreviste.

1753, 15 marzo. Benedetto XIV smembrò dall'eredità del cardinale Pompeo Aldrovandi un capitale di Monte di scudi romani 32,403. 84 a benefizio della chiesa e del capitolo di S. Petronio.

1758, 11 novembre. Donazione di monsignore primicero marchese Francesco Zambeccari Zanchini alla fabbrica di S. Petronio di due orologi l'uno all' Italiana, l'altro alla francese fabbricati da Fornasini Bolognese, che eran costati circa Lire 3000. R. Gio. Rosini.

1775, 14 marzo. Antonio di Francesco Paganuzzi si obbliga di fornire la lastra d'ottone per la meridiana e di metterla in opera per Lire 1300.

1776, 31 settembre. Si finì di rinnovare coll'assistenza del dottor Eustachio Zanotti la linea meridionale già fatta dal dottor Domenico Cassini nel 1656. La spesa ammontò a Lire 3000, e li 3 ottobre susseguente fu scoperta.

1797, 21 giugno. L'amministrazione della fabbrica di S. Petronio fu affidata alla municipalità del Cantone di S. Domenico come da lettera del comitato centrale del 5 giugno precedente.

1798, 6 settembre. Si decretò che le quattro Croci dette di S. Petronio esistenti in altrettante cappellette da demolirsi , fossero poste nelle due navate piccole della Chiesa del Santo contro quattro contrapilastri delle capelle.

Il 28 ottobre 1798 furon collocate nel luogo destinato.

1802, 4 ottobre. Fu rimessa in uso la Corsa del Palio di S. Petronio dalla Carità in Strada S. Felice fino alla Masone in Strada Maggiore stata trascurata dal 1796 al 1802.

1824, luglio. Si diede mano al rifacimento della scalinata di S. Petronio cominciando il lavoro dalla parte del Registro. Il venerdì 11 agosto 1826 fu scoperta. È tutta di marmo di Carrara e fu fatta dal Capo Mastro Francesco Minarelli, che perdette miseramente la vita li 22 luglio 1826 per la caduta da un ponte nella fabbrica della Biblioteca Comunale presso S. Domenico.

Quando anticamente si eseguivano le sentenze capitali , sia nella ringhiera del Podestà, sia sulla piazza, si erigeva un altare coperto sopra le scale di S. Petronio, ove si celebrava la messa per il condannato e che era da lui ascoltata. Quest'uso era in vigore anche del 1438.

Il Capitolo di S. Petronio era composto del Primicero instituito da Eugenio IV l'11 ottobre 1436, ed il primo fu nominato li 20 ottobre 1439.

Del decano, dignità fondata da Floriano Dolfl il primo gennaio 1503.

Del Preposto di fondazione del Capitolo. Rogito Francesco Formaglini 15 maggio 1496.

Del Priore dotato dal Cardinal Vescovo Achille Grassi, come da Rogito di Girolamo Cattanei delli 8 ottobre 1514, e da Antonio Mogli. Rog. Girolamo Folchi.

Dall'Arciprete , eretto da Paolo Emilio Alè. Rogito Pier Antonio Noci 6 luglio 1607.

Del Tesoriere fondato dal Canonico Francia con Rogito d'Antonio Nanni del 4 luglio 1739.

I Canonici di prima instituzione furono in numero di come da Rogito di Giovanni Battista Grassi dei 5 gennaio 1464.

Il Canonicato Aldrovandi fu aggiunto nel 1754 dal Cardinal Pompeo Aldrovandi.

Vi erano 14 Mansionari, 20 Capellani, un Sagristano, un sotto Sagristano e cinquanta Chierici , dodici dei quali vestivano di rosso quando si faceva capella. I predetti 12 Chierici erano salariati a L. 4 il mese, altri 10 a L. 8, e N. 6 o 8 Chierici Versetti, cosi chiamati, perchè intuonavano i versetti in coro L. 3, 2, 1 al mese. Il maestro dei Chierici Lire 20 , il sagristano e il maestro di cerimonie Lire 22 per ciascuno e la casa a tutti e tre. Il sotto sagristano, o Tabulario non aveva la casa.

Il maestro di canto figurato e di canto fermo, o Gregoriano.

Fu soppresso questo Capitolo il 6 giugno 1798, poi ripristinato colla legge della dotazione dei vescovati nel 1805, ma i beni di sua pertinenza erano tutti alienati.

Questa basilica era governata dal Senato mediante un' assuntaria di 6 Senatori , uno de' quali con titolo di presidente nominato con Breve Appostolico, a vita. Questa carica per molti anni fu coperta da un Senatore della famiglia Albergati, Gli altri cinque erano ammovibili ogni biennio.

La musica della Cappella era composta del maestro di Cappella colla mensualità di Lire 50 e la casa, di 4 Soprani, di 4 Contralti, di 4 Tenori, di 4 Bassi , di 6 Violini, di una Viola , di un Violoncello , di un Violone , che eran salariati in ragione di Lire 15, 8. 50, 5, 4, 3 al mese. L'organista aveva L. 20 mensili , e il sotto organista era pagato per le sole funzioni solenni.

Al predicatore della quaresima venivano pagate Lire 1250 , più l'abitazione sopra la residenza dei Fabbricieri.

Il Ministero della fabbrica era composto del Sindaco con L. 50 mensili , del computista con L. 30, del guardiano con L. 10 e la casa, di un procuratore con L. 6 , di un notaro L. 30, del campanaro L. 15 e la casa. Totale mensile L. 141.

Siccome la chiesa di S. Petronio di Bologna quantunque non eretta che per metà, nullameno è il quinto fra i maggiori templi d' Europa , così ne daremo le singole loro misure quali sono segnate nel pavimento della basilica di San Pietro a Roma.

S. Pietro di Roma Palmi 862. 07

S. Paolo di Londra Palmi 710.

S. Maria del Fiore di Firenze Palmi 664.

Duomo di Milano Palmi 605.

S. Petronio di Bologna Palmi 595. 05

S. Paolo fuori delle mura di Roma Palmi 572.

S. Sofia di Costantinopoli Palmi 492.

In questo tempio ebbe luogo uno degli atti più solenni che la nostra Storia Patria ricordi. Darne qui dettagliato conto siccome promettemmo a pagine 256 del primo volume, attenendoci rigorosamente al testo di una cronaca di quel l'epoca che per maggior chiarezza traducemmo alla odierna dicitura, lo credemmo indispensabile quantunque l'identico argomento ci sia stato tramandato da ben altri egregi, e valent' uomini. Lasciamo molti vocaboli nella sua originale integrità partitamente distinti, perchè riferentisi a costumanze di quei dì.

Carlo V. Re cattolico di Spagna, e di Aragona, Quinto Re de' Romani Cesare Augusto felicemente regnante, mandato dalla divina provvidenza quaggiù a difesa della cristiana fede, e per distruggere tutte le sette nemiche del nome di Cristo nell'anno cessato 1529 determinò di scendere in Italia per ivi incoronarsi. Nel Luglio dell'anno stesso sciolte le vele dal porto di Barcellona ebbe sì propizi i venti che coll'aiuto celeste giunse a Genova, poi a Piacenza, e Parma, e di là a Bologna il cinque novembre ove di pochi dì lo aveva preceduto il santissimo Pastore della Romana Chiesa Clemente VII. successore di Cristo. Fu più volte discusso se dovesse cingersi delle due corone a Bologna, o a Roma, ed essendosi risolto per quest' ultima si partirono da Bologna molti reverendissimi cardinali, prelati, ed altri signori sul cadere del gennaio 1530. Raunatosi poi un consiglio generale, da questo invece si decise che la incoronazione dovesse aver luogo in Bologna a scanso di perditempo. Fecesi tosto intendere ai Reverendissimi Cardinali , e prelati, e signori l'indispensabilità di loro presenza, siccome pure ai canonici di S. Pietro, e di S. Giovanni Laterano di Roma che intervenutivi previo i mandati dei rispettivi loro capitoli , diedesi mano a grandiosi preparativi.

Nel palazzo dei Magnifici signori Anziani di Bologna e precisamente sopra la piazza dal lato di occidente furono alloggiati il Papa e l' Imperatore, ed a mano destra sopra la porta verso S. Mamolo nelle seconde stanze fu rotto il muro ed aperta un'ampia finestra rasente il muro stesso, dalla quale innalzavasi un lunghissimo ponte di legno che estendevasi fino alla porta di mezzo della chiesa di S. Petronio, traversando la piazza maggiore, che poi continuava in retta linea per la medesima fino all'altar maggiore. Questo ponte era tutto ornato con festoni di edera, e lauro, e degli stemmi sia del Papa, che di Cesare. Nella chiesa eranvi eretti molti ponti da ogni parte per ricevere coloro che avessero voluto assistere alle cerimonie della messa però dietro prestabilita corrisposta.

Ai 22 di febbraio e precisamente in giorno. di Domenica la Santità di nostro Signore rese informato Cesare non constargli ancora ch'esso fosse realmente eletto Re dei Romani. Il conte di Nassau cameriere maggiore di Cesare , il protonotario Caracciolo , Messer Andrea da Borgo, ambasciatore del Re d' Ungheria , il segretario Messer Alessandro, giurando esserlo realmente , resero testimonianza , siccome Carlo V. Re di Spagna canonicamente fosse stato eletto Re dei Romani dagli elettori del Sacro Impero alla lor presenza.

Il giorno susseguente la Santità di nostro Signore convocò il concistoro, ed il Reverendissimo Ancona protettore di Spagna presentò la informazione e testimonianza della elezione allegando ragioni, e titoli di benemerenza a prò di Cesare verso la Romana Chiesa, e propose che il Santissimo nostro Signore assieme a tutti i reverendissimi determinasse di coronarlo. Ai ventitre dello stesso mese in martedì che fu giornata alquanto piovosa la mattina il Reverendissimo Dertusense volgarmente chiamato Hincforte avutane commissione recossi alla capella del palazzo suaccennato che era riccamente tappezzata, in mezzo a otto Vescovi vestiti con apparamenti, e mitra adatta a sì gran circostanza, ed indossati i sacri vestimenti per celebrare la messa , s'assise nel faldestorio appoggiando il dorso all'altare aspettando la venuta di Cesare, che uscì con vestito tutto d'oro passando in mezzo a due fila di militi distesi dalla camera alla capella. Lo seguivano i camerieri Cubiculari Ostiarii, commendatori, segretari, ed altri signori, principi, conti, marchesi, e duchi tutti sfarzosamente vestiti, ed in guisa tale da renderne meravigliati i circostanti tutti. Il marchese di Astorga portava in mano lo scettro Imperiale , ed a lui dietro il Duca d'Ascalona la spada nella vagina con la punta alzata, poi il duca Alessandro dei Medici dal lato del Papa il pomo d'oro raffigurante il Mondo. Il marchese di Monferrato portava la corona di Milano, infine veniva Cesare in mezzo ai Reverendissimi Medici, e Doria, ultimi Diaconi. Giunto all'altare si mise genuflesso sopra lo scabello con cuscino d'oro davanti il Sacramento. Il vescovo di Malta che già era preposto del Cancelliere di Allemagna, presentò un breve di nostro Signore al Reverendissimo Dertusense richiedendo fosse eseguito quanto in esso contenevasi che fu poi letto dal mastro di cerimonia. Il Reverendissimo fatta la monizione consueta gì' intimò il giuramento, ed esso giurò colle solite forme dicendo Ego Carolus etc. etc. poi si distese sui cuscini. I cantori cantarono le litanie, ed il Reverendissimo assieme a tutti gli altri prelati genuflessi davanti al faldistorio lessero le stesse litanie. Cesare fu da suoi spogliato ed unto dal Reverendissimo nel braccio destro, e spalle, con oglio de' Catecumeni mentre contemporaneamente dicevansi le orazioni del cerimoniale , poi condotto nella sagristia di detta cappella fu abbigliato di una veste di broccato aperta davanti con le maniche strette da sacerdote , ponendovi sopra un manto pure di broccato d'oro ricco morello del Re, foderato magnificamente. Sortito da quella , si pose a sedere sopra una piccola sedia, ove sopraggiunto il Papa ed il Clero ( siccome di costumanza ) coi cardinali e prelati , Cesare si alzò in piedi e andò ad incontrarlo fino alla metà della Cappella ove gli fece reverenzia, poi fatta l'orazione il Papa cominciò la confessione, dopo la quale ognuno ritrassesi al suo posto. Cesare assidevasi alla sinistra del Papa in luogo più basso, mentre quattro signori ponendo lo scettro, la spada, il pomo e la corona sull'altare e cantata la Epistola col cerimoniale di pratica, l' Imperatore s' inginocchiò davanti al Papa che dal Vescovo di Pistoia ricevette l'anello che pose in dito a Cesare dicendo orazioni d'ordine , poi consegnò la spada al Reverendissimo che dopo snudò e la ritornò per darla in mano a Cesare che era sempre inginocchiato davanti a Sua Santità che finì per cingergliela. Poscia gli diede la corona, lo scettro, e per ultimo il pomo, facendolo Re dei Longobardi, e perchè la corona di Milano era troppo piccola, gli pose in capo quella di Roma in mezzo alle salve d'artiglieria, e cosi tutto disposto e fatte le debite riverenze andò a collocarsi su di una sella coperta di panno d' oro posta dove prima eravi la piccola , ove fu in essa intronizzato dai duchi Medici, e Doria. La spada fu imbrandita e data in mano al marchese di Moja , poi si cantarono le orazioni fino al offertorio e si terminò alla pace che Cesare andò a prendere dal Papa, ove, comunicato dal Reverendissimo, terminata la messa sfilarono tutti i famigliari l' un dopo l'altro, i Signori, Cardinali, Prelati, Ambasciatori, e finalmente il Papa, cinto della mitra Episcopale col piviale a mano destra, l' imperatore in questa tenendo la sinistra del Papa, e colla sinistra il pomo d'oro, e la corona in capo ed entrambi traendosi alle vicine stanze, ove si lasciarono recandosi ciascuno alli luochi soi. Lo stesso di giunse il duca di Urbino prefetto di Roma ed armigero di Cesare e fu dal maggiordomo di questo ricevuto in unione a moltissimi altri signori del suo seguito e Cardinali.

Li 23 del detto mese e precisamente in giorno di mercoldi venne il Vescovo di Trento ambasciatore d'Allemagna e fu da esso ricevuto come di pratica, siccome il duca di Savoia sulle ventiquattro Vicario di Cesare lo fu dal cameriere maggiore che smontato prima al palazzo, baciò la mano di Sua Maestà che erasi recato nella sala e poscia andò a piedi di Nostra Santità che riverentemente baciò, recandosi di poi alla sua stanza. Ai 24 nel cui giorno si celebrava la festa di San Mattia, natalizio di Cesare auspicatissimo , eravi giunta tutta quanta la corte di lui, compresovi il Signor Antonio da Siena suo .capitano generale che aveva seco condotto la fanteria e parte di cavalleria assieme a tutti gli altri capitani Borgognoni, Alemanni e Spagnuoli, che in pien'ordine prese la piazza tutta, facendo caricare l'artiglieria. Ivi costui stette tutto il dì adagiato sulla sua sedia. Un bove intiero fu posto in uno schidione di legno con le unghie e corna dorate avente nel ventre diversi animali quadrupedi, e volatili , le di cui teste sortivano dal ventre del bove stesso, in modo che riesciva agevole conoscerne la specie. Fra le due ultime colonne del palazzo del Podestà e dalla parte di Settentrione verso quella occupata dai Signori Anziani eravi dipinto un Ercole con Anteo nelle sue braccia levato da terra, e sotto dipinte due croci rosse pel traverso in mezzo a due corone imperiali e lettere che dicevano Plus oultre che suonano in latino — plus ultra — Più sotto eranvi fabbricati due Leoni d'oro con un Aquila nera in mezzo che buttava vin nero, e così a vicenda i due leoni ne buttavano del bianco mentre sopra la fontana posta nella sala maggiore del detto palazzo erano uomini che gettavano per tutto il di , e parte della notte nella piazza gran quantità di pane. Per il ponte già sopra descritto circa le quattordici ore cominciò a sfilare la guardia spiegata in due fila che distendevasi dalla camera di S. S. fino alla chiesa con ordinata uniformità a due a due e cioè i Cubiculari, gli Ostiari, gli Scrittori Apostolici , il Collegio dei Dottori Leggisti , fatti allora Cavalieri e Conti da Cesare con amplissimi privilegi, poi procedevano i venerandi padri auditori della Sacra Ruota , gli ufficiali vescovi ed arcivescovo con paramenti e Mitra, e cosi del pari, i Reverendissimi Cardinali. Veniva quindi portata la santità di N. S. con il Regno in capo e coperto da un preziosissimo manto sopra una certa sedia coperta di panno d'oro sotto un baldacchino pure di brocato d'oro in mezzo a due reverendissimi diaconi con Cibo legato di Bologna a destra , ed alla sinistra Cesis e non molto lungi il reverendissimo Cesarini , entrando così nella chiesa di San Petronio. — Ricevuti alla reverentia tutti i Cardinali e prelati cominciò terza, poscia si calzò i sandali dicendo salmi ed orazioni d'uso, e terminata terza indossati gli altri paramenti pontificali disse orazioni sopra ciascun vestimento facendo le solite cerimonie. Andò poi ad assidersi sopra una certa sede verso l'organo del coro coperto di broccato ed adorna di ricchissime tappezzerie. Ne molto tardò a venire per il già ricordato ponte Cesare circondato da ogni parte dalla sua guardia dal palazzo fino al tempio. Per primi vennero i Cubiculari , gli Ostiarii, i paggi , i famigliari, i domestici, ufficiali, capitani, segretari, conti, principi , marchesi , duchi, vescovi, arcivescovi, ambasciatori di tutto il mondo, tutti ricchissimamente abbigliati.

Il marchese di Monferrato portava lo scettro imperiale, il duca di Urbino la spada nel fodero, il duca di Baviera il pomo d'oro, il duca di Savoia la corona d'oro imperiale, il cui valore è impossibile determinare. Questi quattro erano vestiti con abbigliamenti di seta Carmisina lunghi fino alle calcagna, e il duca di Urbino differenziava dagli altri nel capo avendo una beretta lunga e rotonda e nell'estremo bianca traversata da due sbarre rosse che formavano due croci dello stesso colore; gli altri avevano beretta rossa guernita di pelli e molte gioie. Appresso veniva Cesare in mezzo a due reverendissimi diaconi con Salviati a destra, Ridolfi a sinistra; era esso vestito di broccato d' oro fino a terra ed avea sul capo quella corona che due giorni prima aveva cinto nella capella di palazzo. Andando pel più volte nominato ponte piegò a mano destra verso una capella fuori del tempio nell' angolo sinistro che chiamavasi S. Maria inter Turres. Detta il Salviati l'orazione e dopo aver ammonito Cesare di quanto era obbligato verso Dio, e quanto tenuto alla protezione di Sua Santità per l'aumento della cristiana fede del Beato Pietro e suoi successori , gli apri il libro dell'evangelo sul quale colla solita formola giurò di mantenere quanto aveva promesso ed obbligato dicendo Ego Carolus. I canonici di S. Pietro gli posero la cotta e Almutia fecerlo canonico di S. Pietro riverendolo con atto fratellevole al bacio della pace, e poi ripostosi la corona, precedette il clero che cantava Petre amas me. Giunto alla porta di mezzo del tempio si ruppe una parte del ponte alla distanza di 20 piedi dove trovavasi, ove precipitando molti della sua guardia e parecchi nobili, non vi perirono che due o tre persone fra i quali un gentiluomo fiammingo, rimanendo parecchi feriti essendo vero miracolo che molti nol fossero del pari. Sulla porta del tempio inginocchiato fece orazione , dove erano venuti due reverendissimi Vescovi Cardinali i più anziani (tranne il priore) con le mitre e piviali, e sopra Cesare genuflesso ove il più giovane intuonò l'orazione: Deus in cujus manu la quale prece recitata condussero Cesare ad una cappella posta nella chiesa a mano sinistra che rappresenta la cappella di S. Gregorio ove deposta la cotta e l'almucia si calzò i sandali cioè le scarpe di carmisino, e calze ricamate d'oro, e di perle ed altre gioie preziosissime, poi il manto imperiale, il che tutto era di tal prezzo da non poter sene applicare alcuno , poi ritornato sul primo ponte, a mezzo del quale era vi una ruota chiamata rota porphirea e giuntovi Cesare, l'altro Vescovo Cardinale il più anziano di tutti che fu il Reverendissimo Ancona genuflesso disse l'ultima orazione , Deus mirabilis. Cesare condotto alla confessione dal Beato Pietro, vi giacque sopra due cuscini d'oro, mentre due Vescovi Cardinali partendo ed andando nella cappella a suoi posti , furono sostituiti da altri dui; Reverendissimi , e cioè dal Priore dei Diaconi che era il Cibo, e da quello dei preti Campeggi parati con piviali, e mitre ed entrambi genuflessi intuonando le litanie cui rispondevano i suddiaconi, secolari , capellani assieme ai cantori imperiali e terminate, il priore dei preti si alzò e sopra Cesare disse Pater noster con altri versicoli ed orazioni di uso. I due reverendissimi priori dei diaconi e preti andarono ad assidersi al loro posto nella cappella ; venutovi Cesare il priore dei Vescovi Cardinali che era il Reverendissimo Farnese , in mezzo ai due diaconi Salviati e Ridolfi col piviale, stola e mitra , lo condusse ad un altra cappella a sinistra del detto ponte, chiamata di S. Maurizio. Ivi Cesare dai suoi camerieri fu spogliato del manto imperiale, ed altra sopraveste, ed aperta la manica del giubbone a mezzo di certi bottoni, e levata la camiscia detto Reverendissimo Farnese con la mitra in capo lo unse con l'oglio di cresima nel braccio, sovraponendovi bombace e tela candidissima e ricoperto il braccio ne venne alle spalle, che denudate a mezzo del giubbone e camiscia essendo affibbiate di dietro lo unse facendogli una croce e toltasi la mitra disse: Deus Omnipotens etc. etc. ed incontanente Cesare fu rivestito e ricondotto sul ponte accompagnato dal Vescovo, e Diaconi e cosi finchè giunse al Pontefice.

Il Vescovo ed i Diaconi andarono alla reverentia del Papa colle mitre in mano. Allora scese dalla sede e recossi all'altare per ricevere il bacio del petto, e della bocca dai tre Reverendissimi sacerdoti Cardinali Cornaro , Santa Croce e Grimano.

Cesare era sopra il faldestorio in vero scabello , e confessatosi il Papa baciò l' altare ed incensollo , e ricevuto Cesare al bacio del petto , della bocca ed i tre Reverendissimi che furono, Medici, Doria, Grimaldi, tornò alla sua sedia che era eminente posta nell' estrema parte del coro sotto il Crocifisso e più di quella di Cesare che era verso l'organo , e di quella dei Cardinali. Ivi stando Cesare circondato da suoi ministri e principali, il marchese di Monferrato, il Duca di Urbino, il Duca di Baviera, il Duca di Savoia andarono all'altare, ed in mano del Sacrista, e Maestro delle cerimonie deposero lo scettro e spada nella vagina, ed il cingolo, poi il pomo e la corona, mentre il coro cantava l' introito ed il Kirie. Il Pontefice senza mitra in piedi disse l' introito e si procedette secondo il costume alla messa fino all'epistola, che fu cantata in due lingue, e cioè in latino da messer Giovanni Alberini suddiacono apostolico ed in greco da messer Bracio Martelli cameriere del Papa , e dopo l' orazione Deus regnorumcantato il graduale, Cesare andò ai piedi di Nostro Signore con i Reverendissimi Salviati e Ridolfi , dove il Vescovo di Pistoia pigliando dall'Altare presentò al Reverendissimo Diacono Cibo la spada, che snudatala la diede al Papa e questi a Cesare nella mano destra avente la mitra in capo e dicendo: Accipe gladium che poi restituì al detto Reverendissimo, che la ripose nel fodero in unione al Papa e da questo fu cinta a Cesare dicendo: Accingere gladium etc. L' Imperatore fatto cavaliere di S. Pietro , levatosi in piedi snudò la spada che alzò in alto, e poi ponendo la punta in terra ed alzandola tre volte la vibrò, poi la rimise nel fodero, poscia il suaccennato Vescovo preso lo scettro dandolo al Reverendissimo e questo al Pontefice diedelo nella man destra a Cesare dicendo inginocchiato accipe virgam poi il pomo a sinistra, e la corona in capo dicendoaccipe signum gloriae.

Cesare baciò i piedi di Nostro Signore ed alzandosi fu discinto della spada che data al Duca di Urbino, esso colla corona, col pomo, e collo scettro, dai due detti Reverendissimi fu condotto alla sedia Imperiale. Il Priore dei sudiaconi apostolici, l'Alberini con gli altri sudiaconi e capellani di Cesare , vennero alla confessione del beato Pietro, e fecero le laudi di Cesare dicendo. Exaudi Criste e gli altri che erano sopra il coro risposero Domino Carolo a tre ripetute volte con certi altri versicoli e litanie , ognuno tornando al posto suo. Si cantò il Tratto e l'Evangelio latino dal Reverendissimo Cesarini , e Greco dall'Arcivescovo di Rodi, poscia il Papa disse il credo in tutti gli atti con le cerimonie solite. Detto poi l'Offertorio Cesare depositò il manto Imperiale, la corona, lo scettro, ed il pomo; inginocchiossi dinanzi sua Santità e gli offri 30 Doppioni da quattro Docati l'uno, poi incamminandosi all'altare con SS. che come sudiacono somministrò il calice, la Patena, l'acqua che si mesce col vino, si ritirò alla destra finchè il Papa andò alla sua sede per comunicarsi. Il sudiacono apostolico portò dall'altare alla sedia del Papa due ostie consacrate , una grande ed una piccola, prese pria la grande e disse Domine non sum dignus , e cosi del pari Cesare , ed i due Reverendissimi che ne fecero due parti , una prendendone per sé poi bevendo con una canna d'oro nel calice e dell'altra metà facendone due parti, diederne una al Diacono Reverendissimo Cesarini, l'altra al sudiacono Alberini, poscia comunicò Cesare con l'ostia piccola, ed il Diacono gli porse da bere, mentre il Papa disse altre orazioni e ritornò alla sua sede. Fu tale la contrizione addimostrata da Cesare, che da questa si potè argomentare essere tanta la sua santità che Iddio per questo lo scelse a difesa della santa fede. N. S. terminò la messa , diede la benedizione solenne , ed a mezzo del assistente Diacono Cibo furono pubblicate le indulgenze. Il Pontefice si spogliò di tutti gli apparati siccome tutti i Cardinali e prelati , e col solo piviale e la mitra tenendo la destra dell'Imperatore che teneva il pomo nella sinistra mano entrambi sotto un medesimo Baldachino uscirono dalla Chiesa. L' Imperatore depose la veste imperiale per esser troppo grave e ne prese un'altra più leggiera. Monsignor messer Carlo Ariosti Ferrarese Vescovo di Acerra, maestro di casa di N. S. vestì da canonico Cesare nella cappella di Santa Maria inter turres ed ebbe il governo di tutta la giornata , e notisi bene che Monsignore Nassau cameriere maggiore di Cesare sì che nella prima come nella seconda incoronazione era quello che poneva e toglieva di capo la corona a Cesare.

Scese le scale di San Petronio, il Pontefice e l'Imperatore, quest'ultimo tenne la stana della cavalcatura di N. S. avendo deposto il pomo e le altre insegne che furono portate in chiesa, poi montato il Papa un cavallo turco bigio riccamente bardato, Cesare glielo tenne pel freno e camminando a piedi volea guidarlo , al che ricusossi modestamente Nostro Signore , con parole cortesi , cosi avanzossi per sei passi circa ma poi fermatosi il Papa disse che non avrebbe permesso più oltre, per cui Cesare aiutato dal Duca di Urbino, montò a cavallo su di una Chinea bianca che aveva una coperta d'oro ricamata in perle e gioie e con finimenti d'oro battuto , e unitosi poi alla sinistra del Santo Padre sotto un medesimo Baldacchino che era portato dai gentiluomini di la terra mentre avanti erano in quest'ordine, processionalmente avviaronsi due fila del seguito del Papa e due dell' Imperatore , però gli ecclesiastici a mano destra e gì' imperiali a sinistra ; venivano poi i famigli de' Cardinali, con le valigie e quelli dei Prelati, i Principi, i Curiali si del Papa che dell'Imperatore , i famigliari e domestici si dell'uno che dell'altro, Nobili, Baroni e Conti minori , gli stendardi del popolo portati da uomini a piedi, i tribuni della plebe cioè Gonfalonieri del popolo , gli stendardi rossi portati dai cursori , il Collegio di Dottori Leggisti con le gollane d'oro, Monsignor di Gambara Governatore di Bologna con la sua guardia ed il bastone in mano, il nobile Cavaliere Angelo di Ranucci Gonfaloniere di giustizia vestito di broccato, con cavallo coperto portante lo stendardo di Bologna, ed il conte Giulio Cesarino quello del popolo di Roma. Il conte Lodovico Rangone vestito di bianco portava quello del Papa, lo stendardo dell'aquila Don Giovanni Manrich figlio del Marchese dell'Anguillara, e l'altro, Monsignor di Utrech entrambi camerieri di Sua Maestà riccamente vestiti, un Barone portava lo stendardo della chiesa , ed in ultimo venivano Lorenzo Cibo vestito di berettino e senza beretta in capo avente in mano uno stendardo bianco colla croce rossa. Tutti costoro erano seguiti da quattro Chinee bianche del Papa, coperte di broccato d'oro , poi due Cubiculari secreti colla mitra, quattro nobili conti, quattro cappelli del Papa sopra bastoni di carmisino, e due che portavano sopra le lancie due Cherubini , poi Cubiculari, Accoliti, Secretari uno con una lanterna, e l'altro con la croce papale, un baldacchino portato dai dottori di medicina, ed altri gentiluomini della terra sotto il quale era una Chinea bianca ornata di broccato d'oro con una cassa pure egualmente coperta portante il sacramento ed al collo una Campanella guidata da un palafriniere di N. S. con attorno 12 luminari di cera bianca accesi, il Sacrista con una bacchetta i Reverendissimi Cardinali, poi tutti i Principi di mano in mano, Segretari , Commendatori , Ufficiali , Signori , Baroni , Conti , Marchesi , Duchi , Balestrieri di Mazza, Re d'arme di Cesare, Re d'arme del Re di Francia, del Re d' Inghilterra , e del Duca di Savoia , il Marchese di Monferrato collo scettro, il Duca di Urbino con la spada nuda , il Duca di Baviera col pomo , il Duca di Savoia senza nulla in mano, i due Reverendissimi Cibo e Cesis , un Re d'arme di Cesare senza beretta con l'aquila grande nel petto , con borse di denari di svariate monete , cioè d' oro da due ducati , da uno , da mezzo , monete d'argento da tre Reali , da due , da uno , da mezzo ; Queste monete avevano da una parte la testa di Carlo tratta dal naturale coronato dal diadema imperiale, con lettere che dicevano Carolus Imperator, e dall'altra due colonne con lettere che dicevano MDXXX. Questo Re d'armi copiosamente gettava per tutta la via percorsa denari, veniva poi il Pontefice e Cesare sotto il baldacchino, e dietro loro i consiglieri di Cesare, Vescovi e Arcivescovi, Ambasciatori, uno dei quali tutto armato a cavallo che portava una lancia sotto un padiglione. Andarono per Strada Maggiore a quella di S.Vitale ove erano i cavalli di Cesare che aspettavano per congiungersi a lui, poi per Cartoleria Nuova vennero a Strada Stefano fino al crocchio delle Chiavature. Il Papa qui la sciollo dirigendosi al palazzo con i Cardinali e con tutta la sua famiglia ed il Sacramento sotto il baldacchino. Cesare andò a S. Domenico surrogando questo tempio a quello di S. Giovanni Laterano sotto un altro baldacchino ove fu onorevolmente ricevuto e baciò le reliquie dei santi, e dopo incensato, e cantato il Te Deum laudamus, fu condotto all'altar maggior , e posto sopra il faldestorio senza corona misesi ad orare , poi rimessogli la corona in capo e fatto canonico ricevendo tutti al bacio della pace, levando dal fodero la spada, ne percosse quelli che volevano esser fatti cavalieri. Rimontò a cavallo , e per la via diretta venne a quella di S. Mamolo, e di là al palazzo ove fece cavalieri quei sei che avevano per lato gli stendardi , entrandovi circa alle 22 ore. Si scaricarono allora venti pezzi di artiglieria grossa , e l'archibuseria che dal fracasso sembrava il mondo volesse rovinare. Giunto nella sala di mezzo trovò apparecchiate le mense regali corredate di ricchissime tappezzerie in una della quale soprastava un realto d'oro ove furon poste la corona, lo scettro, ed il pomo, ed a quelle si assise, e ad un'altra i quattro Marchesi di Monferrato, di Urbino, Baviera e di Savoia, che erano serviti da quelli di Cesare. Tutte le vivande che si levavano dalle mense furono gettate in mezzo alla piazza con vasi di terra e così ebbe termine questa memoranda solennità.

Portico dei Banchi

Il nome di Portico de' Banchi deriva dai Banchieri o Cambisti, che nel secolo XV e XVI vi avevano le loro botteghe, come gli Amorini, i Duglioli, i Malvasia etc. La bottega all'insegna dei Tre Mondi era degli Amorini, l'altra andando verso le Pescherie quella dei Malvasia, quella che vien dopo dei Duglioli. Alessandro Amorini vendette la sua il 14 settembre 1604 a Filippo di Francesco Sampieri per Lire 8500. Rogito Andrea Fabri.

Si dice ancora Portico dei Limonari pei venditori di limoni che ordinariamente sono appostati sotto queste volte.

Si trova in una cronaca che ci dice i casamenti dei Lambertazzi occupassero tutto il locale del portico dei Banchi , ma è falso come si vedrà in appresso.

Il tratto dell'attuai portico a cominciare dal vicolo della Morte fino alla via delle Chiavature, non faceva parte dell'antico portico dei Banchi, nè viene considerato anche oggidì per facente parte del portico dei Limonari. Questa porzione prima della fabbrica della chiesa di S. Petronio non guardava sulla piazza ma contro il fianco delle case dei Rustigani.

Fra le suddette due strade vi era la casa grande di Oddone Tassoni venduta il 18 maggio 1419 a Lodovico, e Battista fratelli Isolani assieme ad alcuni stanzioni ad uso botteghe sopra l'angolo della piazza in capo alla via delle Chiavature e di quella che va all' Ospitale della Morte. Fu pagata Lire 5000. Rogito Gabrielle Fagnani e Nicolò Beroaldi.

Nel testamento di Giovanni Francesco di Jacopo Maria Isolani fatto l'undici agosto 1539 a Rogito di Cesare del fu Lodovico, del fu Cesare Panzacchia, lascia egli a Girolamo suo terzo figlio il casamento con portico in volto posto in Bologna sulla piazza in Cappella de SS. Vito e Modesto con cinque botteghe. Confina la piazza , la Via delle Chiavature , i beni dell' Ospitale della Morte , i Bolognini ec.. Porzione di questo stabile dalla parte delle Chiavature sino alla metà del voltone appartenne non si sa come a Giovanni Galeazzo Rossi , mentre si trova, che l'ingresso nelle Chiavature N. 1134, Isolani, lo aveva dal vicolo della Morte N. 1133. Appartenne poi tutto a Giuseppe Giacomelli.

Si passa il Voltone delle Chiavature.

Essendosi cominciata la fabbrica della chiesa di S. Petronio, si pensò dal pubblico di ornare il lato della piazza dalla parte di levante e di prospetto al palazzo dei Signori , siccome quello che per l' irregolarità dei stabili rendeva indecente da questa parte la piazza ornata di magnifici fabbricati verso le altre regioni, perciò il 7 settembre 1400 gli Anziani decretarono che fosse salegata la piazza e che si facessero dodici pillastri con undici archi per un portico a crociere con volte sopra dei quali si erigesse un muro elevato da terra piedi 35 con merli , e che sopra la Via dei Malcontenti ( Pescarie ) si innalzasse una crociera. Per l'esecuzione di questo decreto furon deputati i Fabbricieri della chiesa di S. Petronio, i quali fecero por mano al lavoro il 7 decembre 1407, come da Rogito di Giovanni Vanuzzi. Il Ghirardacci dà per compita nel 1412 la fabbrica del muro merlato con belle finestre e portico detto de' Banchi dall'angolo della casa di Roberto Salicetti presso la Via degli Orefici fino alla strada delle Chiavature.

Alla suddetta facciata fu sostituita la presente prolungata fino al vicolo dell' Ospitale della Morte costruendo l'arco sulla via delle Chiavature. La fabbrica con disegno di Giacomo Barozzi da Vignola, si cominciò il 23 luglio 1565, e fu finita i due settembre 1568 conservando le volte dell'antico portico fatto nell'anno 1407.

1303, 17 novembre. Sull'angolo della via delle Chiavature vi erano case e terreni di Guizzardino del fu Bulgarino Lambertazzi e di Egidia di Giacobino Silvestri moglie di detto Guizzardino locatore per anni nove a Zanitto Bentivogli per annue Lire 60, una coscia di manzo e una libra di pepe da pagarsi il primo gennaio. I detti stabili erano larghi piedi 26 verso piazza, e diecisette nella parte posteriore e lunghi piedi 79 e oncie 7, posti in Cappella San Vito in confine della piazza del Comune , di Romeo Pepoli , dei figli di Castellano di Fabro detto Bulgarino, e della via pubblica (Chiavature).

L'essere compreso nell'affitto anche una coscia di manzo indica che vi fosse una macellaria, di fatti si trova , che li 4 maggio 1361 l' Ospitaie della Vita acquistò col patto di francare una Casa in Piazza ad uso di scorticatore sotto S. Vito. Per lire 50 rogito Fra Galvano Albiroli venduta da Castellano Lambertazzi.

1489, 28 ottobre. Filippo del fu Bartolomeo Manzoli affìtta a Gio. Battista ed a Sebastiano fratelli , e figlio del fu Giacomo Pellegrini una bottega con portico, con piccola stanza, e con altra, sopra detta bottega posta sotto la parrocchia di S. Vito presso la piazza ad uso di spezieria all' insegna della Luna. Confina la via delle Chiavature , Girolamo Lodovisi , i beni di Giovanni Monterenzio Domenico e Alessandro Scarselli, etc. etc per annue Lire 150, una libbra di pepe intero , un oncia di Zaffararo e una libbra di Specie. Questa locaziane fu stipulata a nome d'Antonio del fu Girolamo Luna, rogito Francesco Salimbeni e Alessandro Buttrigari. — Si rifletti che l' innesto Monterenzi nella famiglia Lodovisi seguì nel 1419, onde lo stabile che si dice confinasse con quello del Manzoli era tutto Monterenzi, ma diviso con Girolamo Lodovisi nato Monterenzi.

1512, 6 agosto. Filippo del fu Bartolomeo Manzoli vendette a Francesco del fu Antonio Luna, una bottega ad uso di spezieria all' insegna della Luna sotto S. Vito. Confina la piazza grande, le Chiavature, gli Scarselli, Antonio Maria Legnani etc. per Lire 3200. rogito Francesco Conti.

1519, 20 decembre. Francesco Luna compra da Bernardino del fu Mario Marescalchi una casa con tre botteghe in parrocchia S. Vito. Confina il compratore, i beni di detta chiesa , e la via delle Chiavature per Lire 4000. Li 30 aprile 1520 Taddea del fu Domenico dalle Scarselle vedova di Marco Marescalchi rattifica il suddetto contratto con rogito Giovanni Battista Bovi. — L'eredità Luna passò ai Filippini , e lo stabile aveva ingresso sotto il portico dei Limonari al N. 54.

Casa degli eredi di Albizo Ulberti, che i PP. di S. Domenico acconsentono che sia venduta come da rogito di Guglielmo Stoppa delli 2 febbraio 1249. Confinava colla Piazza Maggiore , con Mastro Benne speziale, e colla casa della compagnia dei Sartori. Questo stabile era già stato venduto li 5 maggio 1293 a Romeo del fu Gera Pepoli per Lire 600 rogito Alessandro da Argile. Era in capella S. Vito d'avanti la piazza del Comune, dove aveva una fronte di piedi 20 once 7 e più di piedi 51 di profondità. Può essere che questa sia la medesima lasciata da Antonio Cattani all'Ospitale della Vita li 3 ottobre 1448 rogito Bartolomeo Bartoli , e che si dà per essere in capella S. Vito sulla Piazza Maggiore.

Casa che fu dei Rustigani, poi di Mastro Benne speziale, la quale li 29 marzo 1458 Lonzano di Benne da Lonzano lasciò all'Ospitale della Vita. Confinava con la piazza, e con Braiguerra di Nicolò Caccianemici rogito Gaspare Caccianemici. — Nello stesso giorno Giovanna Girelli vedova di Benno da Lonzano rinunzia all' Ospitale della Vita le sue ragioni sulle case sotto S. Vito lasciate da Lonzano suo figlio al detto Ospitale per Lire 300. Confinano la Piazza la compagnia della Vita di dietro, e il Caccianemici rogito Gaspare Gambalunga.

Veniva in seguito uno stabile già Tebaldi , che li 8 agosto 1302 era di Riniero di Tignoso da Pistoia, come da rogito di Ugolino da Stiatico; in questo rogito si annunzia per essere sulla Piazza rimpetto al Palazzo Nuovo del Comune. — Passò ai Caccianemici , e Caccianemico Caccianemici lo vendette li 27 luglio 1452 all'Ospitale della Vita per Lire 1200. Confina con beni della Vita da due lati, con quelli di Pietro d'Antonio. È posto sotto Santa Maria in Solario alias S. Alò della Vita, ed ha la facciata con merli sulla pubblica piazza rogito Giovanni Maria del fu Nicolò Gambalunga. — Nelle memorie del l' Ospitale della Vita è detto che questa casa fu poi fabbricata dal 1565 al 1568 quando Monsignor Pietro Donato Cesi, era al governo di Bologna.

Eravi in appresso una casa che del 1465 apparteneva a Giacomo di Pellegrino degli Ingrati e del 1472 era degli eredi di Silvestro dal Giglio , e che sembra la stessa che del 1419 era degli eredi Fossi (il Breventani propone, con il ?, Folli)..

Bonifazio, Giacomo, e Giovanni Lambertazzi vendono li 4 giugno 1388 a Francesco Spontoni, cinque abitazioni contigue l'una all'altra, e piedi 7 once 6 di terreno situato nell'angolo della strada pubblica, che va addiritura dalla pubblica Piazza ai forni della città , e all' Ospizio , anzi all' Ospitale della Vita ( Pescarie ) nel qual terreno vi sono due banche da Macellari , i qualI edifizi sono in vicinanza dei mercanti di Lana Bisella , e da due lati della casa dei Bentivogli per Lire 2700 rogito Matteo Preti e Giovanni Monterenzoli. Gli edifizi predetti erano di qua e di là della Via poi detta delle pescarie.

Nel 1400 erano indivisi fra Geminiano Cesi di Modena e Giovanni Spontoni.

1419, 16 febbraio. Giacomo Sanuti comprò la porzione Spontoni per L. 1465 rogito Giovanni Maroni. Nel rogito è descritta per metà di casa con botteghe, portico, volte, e con volto indiviso col Cesi sopra la via e portico dei Malcontenti ( Pescarie ) posta sotto la capella di S. Maria in Solario ; confina coi successori di Roberto da Saliceto colli eredi Folli, colla piazza del Comune, e colla strada pubblica del Trivio dei Malcontenti.

1472, 20 marzo. Nicolò di Giacomo Sanuti acquistò l'altra metà da Ventura, e Scipione fratelli Cesi in prezzo di Lire 1312. 4 d'argento rogito Bernardino Guidoni e Domenico Bonafede. Si annunzia per posta sotto Santa Maria in Solario, e sotto S. Vito, o Santa Giusta , avere il muro merlato, confinare a settentrione col compratore, a ponente colla piazza, a mezzodì cogli eredi di Silvestro dal Giglio. In questa compra fu compresa anche una bottega per vendere vino Malvasia. Dai citati confini si viene in chiaro che la metà del Cesi era dalla parte a mezzodì, e cioè dalla parte delle Chiavature, e quella del Spontoni verso gli Orefici.

1527, 29 gennaio. Promessa dei quattro Monasteri eredi Sanuti , di dare in enfiteusi per 29 anni a Bartolomeo e fratelli Gandolfi le botteghe, e le poste dei pilastri in piazza , in loco detto il Trebbo dei Malcontenti per l'annuo af fitto di Lire 170.

1567, 16 aprile. Transazione fra l'Ospitale della Vita, e gli eredi di Nicolò Sanuti ed Alessandro, Giuseppe, ed altro Alessandro Gandolfi per le pretensioni sopra il pilastro in piazza nell'angolo delle pescherie a settentrione, colla quale resta convenuto, che il detto pilastro resti liberamente al Gandolfi, e che il voltone da costruirsi superiormente alla strada , spetti all' Ospitale rogito Alessandro Chiocca.

Si passa la Via delle Pescherie.

Del 1388 questa via conduceva ai Forni della città , e all'Ospitale della Vita. Del 1419 si diceva Trivio dei Malcontenti, e più tardi Trivio della Malvasia.

Dalla predescritta casa del Sanuti fino alla via degli Orefici, vi erano nel 1339 le case degli Albiroli, che confinavano a Levante coi Lambertini, come può raccogliersi dal Testamento d'Andrea Albiroli preso li 4 settembre anno predetto dal notaro Gherardino Bualelli.

Cola Albiroli in Riccardo da Saliceto, e Francesca sua sorella in Carlino di Lambertino di Gerardo Ghisilieri erano proprietarie di questo stabile li 30 settembre 1361. Cola Albiroli Salicetti col suo Test, delli 8 giugno 1362 lo lasciò a Roberto suo figlio, il quale li 2 luglio 1380 lo locò a Maghinardo di Misino Scappi banchiere, per annue Lire 150 rogito Matteo Prati. Confinava coi Lambertini, con Castellano Lambertazzi ec.

Dal detto Roberto discesero Andrea e Giacomo suoi figli. Andrea testò a favore dei PP. di S. Francesco , di S. Giacomo e di S. Martino dell' Avesa , e Giacomo si maritò in Chiara di Francesco Guastavillani, la quale fu erede del l'unico suo figlio Francesco, che passò in seconde nozze con Bartolomeo Guidotti, per cui i Guidotti divennero proprietari di queste case.

Sotto il 1. novembre 1475 Giovanni Guidotti in un inventario dei suoi beni dice : Casa grande in capella S. Giusta, o Santa Maria in Solario e sette botteghe sotto , tre delle quali nelle Oreficerie , e quattro nella piazza. È posta in piazza sul cantone delle Oreficerie. Confina questa vìa a settentrione la piazza pubblica, a ponente Messer Jacopo di Pellegrino Ingradi di sopra ( a mezzodì ) e gli eredi di Zemignano de Cesi da Modena a levante, la qual casa gli pervenne per eredità di Chiara di Francesco Guastavillani , sua madre in vigore di un laudo in una causa tra detta Chiara , e i PP. di S. Martino , di S. Giacomo , e di S. Francesco sull'eredità di Roberto di Riccardo da Saliceto pronunziato il 12 decembre 1412, rogito Alberto de Battagliuzzi , e Tommaso di Messer Berto Salaroli.

Si passano le vie degli Orefici, delle Spaderie e del Voltone del Popolo.

Fianco del palazzo del Podestà. ( per il suddetto palazzo, vedi piazza del Nettuno ).

Si passa il Voltone della Madonna del Popolo.