17 - Croci e colonne innalzate in diverse località di Bologna.

Alla metà della strada S. Felice fu innalzata una croce dai primi cristiani ed è quella che porta la data più remota, nel 1732 fu trasportata sotto il portico di S. Nicolò.

1629. Altra ne fu eretta in quest'anno nella contrada di Saragozza rimpetto al palazzo Albergati.

1623. Fu eretta la colonna nella piazza di S. Domenico colla statua di questo santo. È alta piedi 30 1/2.

1632. Nella stessa piazza fu eretta quella della Madonna del Rosario in memoria del contaggio. È alta piedi 35 1|2.

1665. Fu innalzata quella nella piazza del Mercato (ora Montagnola) in commemorazione di Alessandro VII per aver concesso una fiera franca per 25 giorni di bestie dall'unghie intere (sic). Era alta piedi 52.

1705. Fu fatta di macigno la colonna dedicata alla B. V. del Carmine da S. Martino. E' alta piedi 30.

Nella Chiesa di S. Gio. in Monte fra i secondi pillastri della navata maggiore a cominciare dalla porta principale della chiesa stessa vi era nel mezzo della medesima un altare detto della Croce perchè di dietro aveva una croce antica sovrapposta ad un pezzo di colonna di pietra alla quale serviva di base un capitello in marmo di fine lavoro collocato al rovescio. Davanti alla croce eravi un ornato o nicchio di legno dorato, entro il quale eravi un Ecce Homo esso pure di legno, e corrispondente a questo la mensa pei divini sacrifizi. Per tradizione di varii cronisti volevasi far credere che questo altare soprastasse ad un pozzo, o deposito di reliquie insigni, ivi depositate negli andati secoli e di più ancora pretendevasi che fosse stato per opera del nostro Vescovo S. Petronio.

Ricorrendo nel 1821 il turno degli apparati a questa parrocchia si progettò da alcuni di togliere questo imbarazzo dal mezzo della chiesa e di collocarlo nella cappella di S. Michele, ma s'incontrarono non lievi opposizioni per parte di alcuni devoti, i quali portarono i loro ricorsi a Roma davanti al Cardinal Camerlengo che abortirono, mentre dopo inoltrate pratiche, e rigorose informazioni se ne permise il traslocamento.

Non si volle però dal partito prevalente trascurare indagini onde verificare quanto veniva assicurato da diversi cronisti , e perciò li 10 marzo 1824 fu posto mano al lavoro alla presenza del parroco D. Landini , di due testimoni sacerdoti, del Rettore della Parrocchia, e del Dott. Camillo Ambrosi notaio facente funzione di segretario, non che di molti sacerdoti e secolari ivi tratti dalla curiosità. S'incominciò quindi dal togliere la croce, poi la colonna che fu trovata nella parto di sotto, e nell'inferiore di pietra dura, indi il bellissimo capitello, finalmente il zoccolo fatto di cattivo materiale, che non denotava nel cemento antichità di sorta. Egli è però mestieri ricordare che in alcune funzioni che avevano luogo nella Chiesa e specialmente quando vi toccava uno dei sepolcri della settimana santa si toglieva l'altare, e la colonna che venivano poi rimessi. Giunti al pavimento e toltone il selciato di sotto con tutta la superficie dell'altare, e della colonna, si trovò un ammasso di ossa frantumate, sparse qua e là, che furono tutte religiosamente raccolte e poi riposte, quantunque frammischiate coi rottami di pietra, e col terriccio. Non è a supporsi certamente che questo fosse quel sacro deposito ricordato e tanto decantato dalla storia, per cui si perdurò nello scavo fino ad un piede e mezzo circa di profondità senza rinvenire alcun indizio del pozzo o della cameretta che potesse contenere le reliquie od altri effetti sacri che ivi credevansi depositati.

Il giorno 17 ad ore dieci del mattino si riprese il lavoro e fu continuato fino a terreno compatto indicante senza tema di equivoco che più oltre niuno mai ci aveva posto mano. Nullameno fu ordinato che nel giorno susseguente Giovedì 18 marzo all' un' ora pomeridiana si mettessero in opera maggiori e più accurate indagini dando vari tasti colla trivella, e cosi fu fatto. In uno di questi esperimenti la trivella incontrò tale resistenza che fu ordinato scavar la terra onde verificare da che provenisse, e si trovò che era il tufo del poggio che cominciava, e che all' incirca si trovava più basso del selciato della chiesa di piedi 7 bolognesi.

Allora il curato, gli ufficiali della parrocchia ed i testimoni decisero di chiudere il verbale fatto dal notaio segretario conchiudendosi senza riserbo che la sola pietà e troppo spinta credulità aveva potuto assicurare che quivi fosse quel deposito di reliquie , che una cartella appesa continuamente alla colonna ne assicurava i devoti della loro esistenza.

Un altro disinganno provocò questa operazione , e si fu quello in cui erano incorsi i nostri troppo creduli antenati, frai quali il Patricelli ed altri autori che cioè il Poggio di S. Giovanni in Monte fosse opera artificiale eseguita per opera del nostro S. Petronio per figurare così il Monte Oliveto, traendo la terra dalle vicine strade (dicevan essi) come ocularmente vedevasi nel Vivaro Pepoli, e sue vicinanze, senza riflettere che per fare il suddetto Poggio vi voleva ben altro materiale che quello che potevasi procurare dalle dette strade, e che da que' dì in cui secondo essi era stata fatta tutta questa parte di Bologna non era che una campagna rasa toccando il secolo XII ed anche più oltre.

L'Avesa che fu condotta da queste parti nel 1070 somministrava un ben fondato sospetto che quivi fosse, siccome si è detto, una campagna; ma più di tutti doveva renderne persuasi i tanti Rogiti esistenti nell' Archivio di San Gio. in Monte che accennano a vari contratti di vendite fatte nel 1100 di molti pezzi di terra.