Geremei o di Geremia
Geremei o di Geremìa. N'è capostipite un Sergio duca nel secolo X ed eran Franchi d' origine, siccome appare da una carta del 1017. Furono investiti nel 1021 da Eriberto vescovo di Ravenna del contado di Ghiazzolo su quel di Forlimpopoli e di più corti in Galiate, in Osimo, e in Castelnovo. Nel 1084 avevano eziandio il condominio di Castel Fabriano. Posero sede in Bologna assai potenti, denominandosi prima di Geremìa, poi Geremei e originando da altrettanti nomi proprii le schiatte illustri dei Bazilieri, Buvalelli, Graidani, Primadizzi, Pritoni, Ramberti, Beccari e Sopramari (1).
De' Geremei un Ramberto intervenne col vescovo di Ravenna in un giudizio (1084), che redintegrò costui di alcune terre occupate da Guido conte di Modigliana. Quello stesso Ramberto, di Geremìa di Ramberto, che insieme co'proprii fratelli arricchì nel 1118 i canonici di s. Vittore (2). Suo figlio Rodolfo portò soccorso a Guido Guerra, il quale co' Faentini tentava indarno di espugnar Forlì (1144). Ma dopo otto giorni Rodolfo abbandonò il campo, nè valse a trattenerlo l' offerta di 100 lire al giorno, nè i Faentini si tennero dall'opporgli ch'era stato sedotto dal suo nipote Rodaldo, vescovo di Forlì (3).
Matteo, figlio d' esso Rodolfo, giurò fedeltà pel comune all' imperator Federico e al re suo figlio nella pace di Costanza, che riconobbe l'autonomìa dei comuni italiani.
Giovanni, altro figlio di Rodolfo, resse Imola nel 1153 e 1154 e perorò proficuamente per quel comune dinanzi al podestà di Bologna, intorno a quistioni insorte con i figli di Rainuccino di Gionatello (4).
Fu podestà a Milano Rambertino, detto Veglione (1199), e suo figlio Guido resse i Riminesi (1202); li condusse alla vittoria contro i Faentini, ma poi fu vinto e fatto prigione dagli accorsi Cesenati (5). In quel torno tennero il consolato Buvalello di Buvalello, Primaticcio, Egidio di Pritone e Beccare
Allorchè Giovanni di Brienne re di Gerusalemme invocava soccorsi alla Palestina, dopo essere stata rotta la tregua da' Saraceni, e Innocenzo III e poscia Onorio III esortavano anch' essi, Lamagna, Ungheria, Italia i soccorsi apparecchiavano; in Bologna militi e cittadini, tanto de'ghibellini quanto de'guelfi, nella vigilia del Natale 1247 giurarono al vescovo Enrico della Fratta d' andare a ricuperar Terra santa, quando succederebbe il passaggio del mare e ricevettero dalle sue mani la croce. I ghibellini elessero a condottiere Bonifazio de' Lambertazzi, i guelfi Baruffaldino Geremei, che per le spese occorrenti fu sovvenuto dalla nuora Jacopina di 100 lire, da lui restituite per disposizione testamentaria (6). Ed il cognome di questi duci, da quel dì in poi, fu il grido di guerra delle due schiere, che ripatriando trasmisero alle rispettive fazioni (7).
Nel luglio del 1209, sborsate dal comune 8,000 lire per lo passaggio, i crociati bolognesi cavalieri e pedoni raggiunsero oltremare il copioso esercito cristiano che assediava Damiata, fortissima città dell' Egitto. Ma la fame e il contagio straziavano i difensori che a scampo offrivano Gerusalemme, la croce di Cristo e i prigionieri cristiani. Patti che sarebbero stati accettati, se il legato pontificio, i templari e gl' Italiani non li avessero respinti. Nel Novembre Damiata fu scalata e presa nottetempo e facile fu il menarvi strage, poichè i difensori erano rifiniti (8).
Gli edifizii di Damiata e le molte torri delle sue mura andarono divisi tra' conquistatori, e n' ebbero una porzione comune i crociati di Bologna e di Lucca. Onde con atto rogato in Damiata il 19 Giugno 1220 Bonifacio Lambertazzi e Baruffaldino Geremei, capitani, annuente il consiglio de' crociati bolognesi, elessero alcuni partitori deputati a dividere, insieme co' partitori lucchesi, la porzione di Damiata assegnata loro in comune (9).
Al Settembre, raccolti nella casa di Bonifacio Lambertazzi in Damiata così l'altro duce Baruffaldino Geremei come tutti i crociati bolognesi e col consenso di questi ultimi, Bonifacio e Baruffaldino concedettero ai frati dell'ospitale bolognese di s. Maria dei crociferi, ossia dei crociati (10), in onore di s. Maria e del comune di Bologna, alcune delle case avute nella suddetta divisione. Della parte rimanente investirono Roberto da Lucca medico, riservati i servigii consueti in pro del re Giovanni (11). Nello stesso mese costituirono procuratori alcuni crociati bolognesi a ricevere da esso Roberto il censo fissato per quattr' anni in 50 bisanti, salvo la diminuzione o l' aumento lasciati in arbitrio dei maestri del tempio o di s. Giovanni; il qual danaro dovev' essere impiegato in sollievo de' crociati bolognesi prigionieri de' Saraceni. Li incaricarono altresì di ricevere dal legato ed allogare la grande e la piccola torre di Damiata toccata a' Bolognesi e a' Lucchesi, così come gli altri uomini d'Italia ricevevano ed allogavano torri toccate a loro (12).
Non guari dopo Baruffaldino dovette lasciar l' Egitto, poichè nel 1222 trovavasi a Bologna ed era procuratore del comune (13). Ma egli ne sarà partito affascinato da quel mistico ed epico delirio che agitò per lunga età l' Europa, poichè testando nel 1252 divise il suo ricco patrimonio in sette parti, quattro delle quali, se la nipote erede moriva senza tìgli, lasciò alle case oltremare dei templari, dell' ospitale di s. Giovanni, di s. Maria degli Alemanni ed alla casa gerosolimitana della città di Gerusalemme: le altre tre parti del patrimonio designò a conventi di Bologna. Inoltre legò la somma cospicua di 800 lire, con ottanta corbe di frumento ed una certa quantità di vino, per far andare, e stare un anno, due militi in servizio di Terra santa oltremare, tanto per suffragio dell'anima di Rambertino suo zio, secondo che egli aveva disposto col suo testamento, quanto per emenda de' propri peccati (14).
Questi lasciti, sì d' uomini che di donne, in pro di Terra santa e delle crociate erano frequenti in que' tempi anzi che no, siccome mi è avvenuto di notare nello svolgere i libri de' memoriali.
Baruffaldino fu chiamato nel 1228 podestà dai Cesenati, le cui milizie condusse in aiuto de' Bolognesi contro Modena, ma rimase prigioniere (15). Ed ugual sorte gli toccò allorché pel comune combattè gli stessi nemici al ponte del Navicello nel 1235. Reggeva invece i guelfi modenesi (1247) quando il pretore di Bologna prese ad oppugnar Bazzano, allora sul distretto di Modena (16).
Nell' ultimo giorno del Settembre 1252 Baruffaldino infermo fece testamento, come ho accennato, nominando erede la nipote Bolnisia, generata dal figlio di lui Guido e moglie d' Ugolino di Senno della grande famiglia degli Ubaldini, e fra gli altri legati ne lasciò uno di 40 lire al celebre Odofredo.
Guido era premorto al padre e forse il Savioli dedusse da ciò troppo assolutamente che si spense in lui (Baruffaldino) la sua stirpe, poichè se è vero come asserisce esso Savioli (17) che al Settembre (1252). cioè nello stesso giorno che aveva testato, cessò di vivere Baruffaldino Geremei provato in guerra e in pace, gli sarebbero sopravvissuti i due fratelli Gerardino e Parisio, a' quali fece legati col suddetto testamento ed eziandio Francesco del già Guglielmo Geremei, che nel ruolo de' servi emancipati nel 1257 n' è inscritto possessore di ventinove e Giuliano di Geremia, che pure vi è inscritto per ventiquattro servi. Ne aveva avuti centocinquantadue Baruffaldino, ch' eran passati alla sua erede Bolnisia.
È però probabile che gli altri Geremei non sopravvivessero di molto a Baruffaldino, perchè di loro non s'incontra altra menzione. Par dunque che il Savioli, benchè abbia citato il testamento di Baruffaldino non lo leggesse tutto e non avesse sott'occhio il ruolo de' servi affrancati; ma questi son nei che non possono essere svelati se non da un pettegolo.
Baruffaldino fu capo in Bologna della fazione guelfa che parteggiava per la chiesa e per la libertà, quando non cedeva alle lusinghe de' privilegii e delle immunità, o quando non faceva velo degli odii di parte agli odii privati. Ma durante questo primato la fazione non trasmodò, nè Baruffaldino contaminossi nelle nefande guerre civili. La fazione trasse da lui l' appellativo di geremea e lo serbò poi anche dopo la morte di lui perpetuamente. Presa a reggere allora da Guglielmo Galluzzi, prevalse sull' avversaria nel 1274 e definitivamente nel 1280 (18).
Il Savioli con buona critica dichiarò che « senton la favola i funesti amori d'Imelda de' Lambertazzi con Bonifazio Geremei (narrati dal Ghirardacci e da altri scrittori sotto l'anno 1274). Nè sognata meno è la rissa di Geremìa Geremei con Antonio Lambertazzi, che, provocatisi alla curia scesero concordi alla piazza a vuotarvi le lor querele col, l' armi. Si è già detto che in Baruffaldino crocesignato erasi già spenta la schiatta di que' Geremei che ritennero l'antico nome » (19).
Un ramo di questa schiatta nel 1174 aveva le case nella corte di s. Ambrogio (20), ossia vicino alla via de' Pignattari. Quelle d' un altro ramo saranno state non lungi dalla chiesa dei santi Cristoforo ed Erasmo, perchè dicevasi de' Geremei. Baruffaldino il crociato le aveva in Porta stiera nella parocchia di s. Fabiano, distinte in anteriori e in posteriori, con due torri costrutte poco dopo il 1120 (21), con cortile, pozzo e suolo, lo quali case, che confinavano con l' Avesella, con i Gattari e con i Malavolti, furon vendute nel 1274, insieme con mille tornature di terra nel distretto di Calderara, per lire 8,000 ad Albizzo da Dugliolo ed a Biagio Angelelli, da due frati zoccolanti esecutori testamentari di Baruffaldino e della sua nipote Bolnisia, la quale dovev' esser morta senza successione (22).
Pochi mesi di poi, il da Dugliolo e l' Angelelli rivendettero quelle case con le torri, ma non le terre, ai confinanti Bonavolta e Zandonato Malavolta per 2,000 lire (23). Ma tre anni dopo esso Bonavolta dichiarò di non avervi alcun diritto e se mai l'avesse rinuriziavalo a Margarita d'Azzo Ubaldini (24).
Le quali case e torri nel 1285 non pure erano passate in proprietà di Scannabecco figlio dell' illustre maestro Rolandino Romanzi, ma egli vendevale al rinomato Francesco Accursi per mille lire soltanto (25). Contutto ciò una terza parte di questi edificii apparteneva nel 1290 a Bartolommea sorella di Scannabecco e figlia di Rolandino Romanzi, maritata in Galluzzi, che vendevala a Giovanni da Ignano per 500 lire (26). Le altre due parti, con singolare intrecciamento, eran vendute nello stesso anno da Domenico e Giovanni Vitale ad Arimondo nipote di Rolando Romanzi per 1,000 lire (27).
Codeste parti, ricongiunte, pervenivano agli Ariosti nel 1387, poi ritornando agli Angelelli venivano ridivise nel 1477 tra gli eredi di Giannandrea, illustre legista. Passarono successivamente ai Sassoni, ai Curialti alias Tossignani, ai Malvezzi, ai Gessi ecc. e da ultimo ai Cataldi di Genova. Ond' è che nei varii tempi si trovano indicate co' nomi dei diversi possessori (28).
Il tremoto del 1505, avendo rovesciato il torresino della torre verso Porta castello, Annibale Sassoni fece mozzar la torre per paura che rovinasse (29). Questa e l' altra della stessa casa sono indicate dall' Alberti (30) fra quelle che vedevansi al suo tempo (1541 ): « le torri di Sassoni da s. Sebastiano, che sono due » e dall'Alidosi (31) nel 1616 come proprietà dei Malvezzi. Ambedue si scorgon nella veduta panoramica, o a volo d' uccello, incisa nel 1636 da Floriano dal Buono o da lui denominata Ritratto di Bologna in una di quelle maniere che l'occhio può vedere. In tale veduta sono delineate le torri che v'erano allora, e si può farsene un' idea sufficiente comparandole insieme, poichè è un lavoro particolareggiato accuratamente. Due tronconi hanno la scritta Due torri dei Curialti: il più alto e pari a quello che tuttavia s'erge nella piazza del foro de'mercanti. Furono forse demoliti nel 1792, allorchè il tesoriere Cappi rifabbricò le case formandone un solo e cospicuo edificio, che porta il n. 643.
Altra casa torrita de' Geremei era ov' è attualmente il grandioso palazzo Pepoli, detto delle catene, n. 1313, 1314, 1315. La qual casa, d' antichissima costruzione, conservò il portico, sostenuto da altissime travi, fino al 1699, nel qual anno fu demolito per far la fronte dell' attuale palazzo. La torre è menzionata in una deliberazione dello stesso anno, con la quale il senato concedette al conte Ercole Pepoli di rimuovere un ramo dell' Aposa, scorrente sott' esso palazzo « dal sito ov' è la torre posta a mezzogiorno » (32). Sarà stata demolita in quel tempo.
(1) Savioli, Ann. v. 1., pag. 129, 143 genealogia. Un ramo dei Maffei di Verona pretendeva discendere dai Geremei, come appare da un'epigrafe del secolo XVII, situata nell'atrio della casa Maffei sulla piazza delle Erbe in Verona. In quella epigrafe è confusa la famiglia de' Geremei con la fazione che ne porlo il nome ed è notala come discacciatrice la fazione che fu scacciata.
(2) Savioli, Ann. v. 1, pag. 129, 186.
(3) Savioli, Ann. v. 1, pagr. 267.
(4) Savioli, Ann. v. 1, pag. 301, v. 3, pag. 116.
(5) Savioli, Ann. v. 3, pag. 238, 256.
(6) Testamento di esso Baruffaldino, nel lib. ,tjt testam. nell'arch. notar, pergamena 45.
(7) Savioli, Ann. v. 3, pag. 365.
(8) Muratori, Ann. v. 10, pag. 723. Savioli, Ann. v. 3, pag. 381, 388.
(9) Savioli, Ann. v. 3, pag. 392; v. 4, pag. 432.
(10) Detto anche s. Maria del Morello, ora i Crociali, nei suburbii di Porta Maggiore.
(11) Savioli, Ann. v. 3, pag. 372.
(12) Savioli, Ann. v. 3, pag. 392; v. 4, pag. 448.
(13) Savioli, Ann. v. 5, pag. 15.
(14) Testam. cit. Lib. + testam., pergam. 45.
(15) Savioli, Ann. v. 5, pag. 52.
(16) Savioli, Ann. v. 5, pag. 114. 202.
(17) Annali, v. 5, pag. 260.
(18) Ghirardacci, Ann. v. 1, pag. 251.
(19) Savioli, Ann.v. 5, pag. 489.
(20) Guidicini, Cose not. v. 2, pag. 147.
(21) Savioli, Ann. v. 1, pag. 191.
(22) Docum. n. 95.
(23) Docum. n. 97.
(24) Docum. n. 104.
(25) Docum. n. 142.
(26) Docum. n. 183.
(27) Docum. n. 187.
(28) Carati, Palazzi e case ms. nell' archiginn. Guidicini, Cose not. v. 1, pag. 118, 119, 120.
(29) Ghirardacci, Hist. v. 3 ms. ann. 1505. Alidosi, Instrut. pag. 193.
(30) Histor. deca 1, lib. 6.
(31) Instrut., pag. 193.
(32) Guidicini, Cose not. v. 1, pag. 353.