Castellata, dal I volume delle “Cose Notabili…” di Giuseppe Guidicini, con le correzioni di Luigi Breventani

La via della Castellata comincia da Strada Castiglione, e termina nella via di Rialto.

La sua lunghezza è di pertiche 51, 06, e la sua superficie di pertiche 62, 78, 1.

Anticamente ebbe il nome di Fossato, di Fossato di S. Lorenzo, e di Fossato dei Cartolari, perchè qui presso vi furono le fossa del secondo recinto, e perchè i cartolari avevano le loro fabbriche in Cartoleria Vecchia. Molte volte si trova detta via dei Molini da Galla, nel 1574 via di S. Lorenzo, e finalmente anche via dei tintori di San Lorenzo. È però da avvertire che i suddetti nomi erano applicati alla detta strada da San Lorenzo alla via di Strada S. Stefano, e che in oggi la Castellata termina al bivio di questa strada con quella detta di Fiaccalcollo, dicendosi Rialto da questo punto alla Strada di S. Stefano. L' Alidosi dice che del 1369 in via de' Molini da Galla, detta poscia dei Tintori, e in Fiaccalcollo vi erano dei filatogli.

Castellata a destra cominciando da Strada Castiglione fino alla via Rialto.

NN. 696, 697. Bologna è debitrice a Ventura o Bonaventura (1) di Riccone da Barga, territorio di Lucca, d' avervi introdotto la filanda della seta, e l'ingegnoso meccanismo dei filatogli fino del 1572. Il primo opificio di questo genere fu da lui fabbricato fuori di Porta Castiglione sul canale di Savena prossimamente al convento della Misericordia.

1341, 23 giugno. Il Comune di Bologna concesse a Bolognino di Borghesano di Bonaventura da Lucca, abitante sotto la capella di Santa Lucia, di fabbricare un filatoglio da seta nella capella di S. Biagio sopra il Fossato presso le mura del secondo circondario, e cioè nella strada ora detta Castellata.

I discendenti del nominato Bonaventura si dissero dalla Seta, ed anche dal Filatoglio, poi dal succitato Bolognino addottarono permanentemente il cognome Bolognini.

1346, 21 aprile. Bolognino di Borghesano comprò da frate Michele del terz'ordine di S. Francesco, una casa nel Fossato del Comune, ed in altro recapito si dice in via Fossato dei cartolari, in confine di strada da due lati (Castellata e Fiaccalcollo), per L. 120, posta nella capella di S. Biagio. Rogito Lodovico Zanelli. Questa casa fu messa ad uso di filatoglio.

1351, 18 febbraio. Giacoma Migliorati moglie di detto Bolognino, comprò da Margarita una casa sotto S. Biagio nelle Cartolerie, per L. 10. Rogito Montanaro Guidoni.

1351, 21 giugno. Bolognino del fu Borghesano Seta compra da Gilia di Pace Seta. ossia Bisiliere, una casa sotto S. Biagio nella contrada dei Cartolari, per L. 30.

1369, 3 luglio. Giacoma Migliorati moglie di Bolognino del fu Borghesano dal Filatoglio, o Borghesano Seta, fece compra di uno stabile da Orazio del fu Biagio Callegari, posto sotto S. Biagio in Cartoleria, o Fossato dei Cartolari, per L. 125. Rogito Gio. Stefani.

Queste sono le compre fatte dai Bolognini per fare ed accrescere il primo filatoglio in Bologna, il quale dalla parte del canale di Fiaccalcollo, e cioè posteriormente a questa casa, mostra l'antichissima sua costruzione, e si manifesta per fabbricato in due volte, e di differente disegno. Nel 1446 queste case erano enfiteutiche dell'Abbazia di Santo Stefano.

Non si trova come dai Bolognini sia passato questo stabile all'antica famiglia Bazzani, che vi stabili il suo domicilio. Pare che venissero da Bazzano, perchè trovansi detti anche da Bazzano. Seguirono il partito Lambertazzo, poi il Bentivolesco, e per questo secondo soffrirono molte perdite ne' loro averi.

Del 1525 era dei Venezi, e Giacomo ed altri de' Venezi promisero li 15 maggio 1525 a Giacomo di Pietro Testa di vendergli una casa con tintoria annessa, posta sotto S. Biagio nella via di S. Lorenzo, in confine di detta via, di Fiaccalcollo, e delle suore di S. Lorenzo; più un guasto ossia pezza di terra ivi appresso. Rogito Giacomo Carlini. Questa promessa di vendita non sorti il suo effetto, mentre li 23 novembre 1574 Smeralda del fu Annibale Coltellini, vedova di Lodovico Venezi. vendette a Giovanni Albanesi due case annesse poste sotto S. Biagio nella via di S. Lorenzo, presso le suore di S. Lorenzo di sopra, presso Fiaccalcollo di dietro, presso Cesare Scarani tintore di sotto. Item un guasto rincontro le dette case lungo piedi 17 e largo piedi 15, in confine dei Viggiani di sotto, di certo guasto, che si dice spettare a Gio. Mantuano Trombetta, i quali beni spettavano a detta Smeralda per testamento del di lei marito,, preso a rogito di Alessandro Stiatici del 5 agosto 1550. La detta vendita fu fatta per L. 5700. Rogito Lodovico Rigosa e Galeazzo Bovi. Dopo la morte di Cristoforo e Giovanni Albanesi, fu ereditata nel 1653 dalle suore di Gesù e Maria, come da rogito di Pompeo Cignani. Negli ultimi tempi appartenne ai Pizzi.

(1) Questa nobile famiglia occupa un primo posto nella nostra storia e per gl'illustri personaggi che la composero, e per le immense ricchezze conseguite dalla più che operosa industria dell'uomo benemerito qui sopra mentovato da cui trasse l'origine sua.

Diversi ne furono i rami, e cioè: Ramo Bolognini del marchese Taddeo che fu l' ultimo Senatore che abitava nella piazza di Santo Stefano.

Aveva beni al Farnè con magnifico palazzo, nel quale il celebratissimo giureconsulto Lodovico Bolognini ebbe l'onore di ricevervi e banchettare Giulio II quando recossi a Bologna. E qui daremo un cantico espressamente scritto per quella circostanza da Filippo Fasianino, sicuri che sarà per riescire oltremodo gradito, dappoichè senza tema di essere tenuti in conto di temerari asseriamo essere unico l'esemplare da cui ne traemmo copia e che ci appartiene, stampato in Bologna. In prova di che basti il dire che tanto il Fantuzzi che l' Orlandi ed il Quadrio lo citano nelle opere loro come fattura di Giulio, e non di Filippo, circostanza che indubitatamente addimostra non essergli mai venuto fra le mani, e conseguentemente non averlo mai veduto.

A maggior riprova del nostro asserto sarà mestieri si sappia che fu da loro annunziato siccome pubblicato del 1511, e ciò erroneamente come potrà rilevarsi dai fatti che qui ri portiamo tolti dal Registro o Diario del Maestro delle Cerimonie dal 1506 al 1509, Registro VI, fol. II, e da altri documenti che oltre il coonestare il nostro asserto, promuoveranno l' altrui curiosità ed interessamento, segnando essi epoche importanti e gloriose per la nostra storia patria.

Li 11 agosto del 1506 il Papa Giulio II deliberò in concistoro di portarsi a Bologna per cacciarne i Bentivogli, e decretò l' itinerario tanto di lui, che della curia che doveva seguirlo.

Li 31 settembre, o 2 ottobre, giunto il Papa al castello di Sant' Arcangelo, gli si presentarono Oratori di Bologna che furono rimandati. Arrivato il Papa a Cesena furono ammessi, assegnandovici il posto fra quelli del Re, e d' altri potentati. Erano essi Giovanni Marsili, Girolamo Sampieri, Gio. Campeggi, Giacomo dal Bue, Marchione Manzoli, e Paolo Zambeccari, ai quali si erano uniti Bonifazio Fantuzzi e Giacomo Gambara. Li 9 ottobre gli Oratori chiesero permesso di ripatriare, ma il Papa si rifiutò, cacciando il Gambara come turbolento e spargitore di zizzania. Li 10 ottobre Castel Bolognese si rese al Papa. Li 17 dello stesso mese accostandosi il Papa a Bologna, Gio. Bentivogli coll' intermedio del Marchese di Mantova, e del Duca d' Urbino, fece fare proposizioni al Papa che non furono di nessuna guisa accettate Lo stesso giorno la gioventù d' Imola cantò per la città inni contro i Bentivogli, e Carlo di Ghinolfo Bianchi ferito fu fatto prigioniero assieme a 100 soldati da Marcantonio Colonna. Li 29 fu ritirato il salva-condotto richiesto da Giovanni per partire da Bologna assieme coi figli, parenti e consanguinei, perchè si credette fraudolenta tale domanda. Li 30 detto l' Auditore di Camera scrisse al Pontefice che i Bolognesi secretamente congiuravano contro di lui ed a favore dei Bentlvogli. Nello stesso giorno l'esercito francese si stabili in S. Gio. in Persiceto, poi si spinse oltre, intimando al capitano dei Bolognesi, che se persistesse nella difesa, si sarebbe messo il tutto a ferro e fuoco.

II primo novembre Cristoforo Poggi Cancelliere di Giovanni umiliò al Papa un trattato di pace che pure fu rigettato e partì. Il 2 dello stesso mese arrivò in Imola un nunzio del Reggimento che assicurò il Papa della fuga dei Bentivogli. Nel giorno stesso Gio. Francesco Aldrovandi, il conte Ercole Bentivogli, Angelo Ranuzzi, Angelo de' Sassoni, tutti dei Riformatori, giunsero in Imola per raccomandare la città al Papa, sottomettergliela, ottenere la liberazione dell' interdetto, e finalmente che l' esercito francese non ponesse piede in Bologna. Il Papa, tenuto concistoro, in esso svincolò i Bolognesi dall'interdetto, e decise recarsi a Bologna. Gio. Bentivogli col protonotario Galeazzo, ed Alessandro si rifugiarono a Busseto castello dei Pallavicini, ed Annibale, ed Ercole andarono a Ravenna, e di là a Venezia.

Cacciati e profughi i Bentivogli, tentarono i francesi d' entrare in Bologna, ma i cittadini vi si opposero a tutta forza respingendoli, ed allagando i contorni a mezzo della chiusa di Casalecchio, per cui si venne con essi a patti, pei quali fu stabilito che tosto retrocedessero a Castelfranco, e che dai Bolognesi fossero forniti di vettovaglie, finchè ne fosse giunto il Papa. Essendosi poi scoperto a mezzo di esploratori che i Francesi da Castelfranco si avviavano nascostamente verso Bologna, subito il popolo unitosi alle donne, ai religiosi, ai vecchi ed ai ragazzi, e pur anco ai contadini che dai monti erano scesi al piano, formò l'imponente numero di 50000 armati. Cessò poi il tumulto quando furon assicurati che la mossa dei francesi non aveva per iscopo ostilità di sorta, nè di mancare alla promessa fatta, ma solo di riunire le loro munizioni al campo dopo tolte le acque. Reso consapevole il Papa dell' avvenuto, spedì tosto a Bologna il nipote accompagnato dal Legato Cardinal di Pavia, i quali giunti, per tre giorni consecutivi trovarono ostinati i Francesi a voler pure espugnare Bologna, che mai lo poterono, con loro scorno, ed ignominia, pel coraggio inaudito dei Bolognesi, solo fu accordato ai Francesi maggior quantità d'alimenti per distoglierli affatto dal loro progetto.

Li 10 novembre Giulio II s' avviò verso Bologna atteso qual liberatore, e giunto alla casa dei Crociferi fuori porta Strada Maggiore, vi pranzò, indi prese alloggio nella casa dell'ordine Gerosolimitano ad un tiro di pietra dalla porta della città. Gli astrologi di quei giorni prognosticarono sfavorevolmente per questo ingresso del Papa, ma esso loro rispose: "In nomine Domini provedamus et ingrediamur". Entrato Giulio II cessarono i magistrati di funzionare, e tutta l' autorità fu concentrata in lui solo. Furono gettati al popolo tre mila ducati, ed a spese del pubblico furono eretti tredici archi di trionfo con sovrapposte lapidi cosi espresse : "Ex gratia Iulii II tyrannorum expulsoris - Tranqulllitas largitori - Liberatori Patria - Bononia a tyrannide liberata".

Il popolo accorso per veder l' entrata di Giulio II si fece ascendere a settantamila persone senza contare quelli che vi andarono a cavallo tanto bolognesi che forestieri. Tutte le strade erano ornate di tappezzerie, di stemmi gentilizi, di fiori, ed in particolare di rose fresche. I canonici della Cattedrale portavano alternativamente il baldacchino sopra il Sacramento. Cento giovanetti di famiglie nobili vestiti uniformemente e portanti bastoni dorati, alla cima dei quali vi era la ghianda della famiglia della Rovere, accompagnavano il Papa. Venti vessilli, e cioè sedici del popolo, e quattro più sontuosi coi stemmi della libertà, del Papa, della Chiesa e della Croce lo precedettero. Assistettero i collegi dei dottori coll' ordine seguente: Teologi, Canonlsti, Leggisti, Medici, Artisti. Fra questi precedente mente eranvi stati dissapori che furono del tutto assopiti in simile ricorrenza. Accompagnato da questo corteo il Papa andò a S. Pietro seguito dagli Oratori dei Principi, e da altri secondo il loro grado. Prima di uscire dalla sua abitazione si presentarono 20 cittadini che gli offersero le chiavi della città. Alla porta della Cattedrale il Cardinal Vescovo presentò la croce al bacio del Papa. Li 13 novembre entrò in Bologna Carlo de Ambasia di Chaumont luogotenente del ducato di Milano, e generale dell'esercito Francese. Li 15 detto si cantò messa solenne in S. Petronio per rendimento di grazie.

Li 17, essendo stati sospesi i Magistrati di Bologna, procedette Giulio II alla nomina dei 40 consiglieri del popolo Bolognese per il regime dello Stato, scegliendo quasi tutti i vecchi riformatori ad esclusione di Gio. Bentivogli, di Ghinolfo Bianchi, di Alessandro Bargellini, e di Bartolomeo Montecalvo.

Li 18 detto, il Papa ordinò che i 40 cominciassero a funzionare, riserbandosi la nomina di quelli che avrebbero dovuto poi succedere ai defunti.

Quando Giulio II entrò in Bologna era Gonfaloniere di Giustizia Sallustio Guidotti, e perchè il medesimo coi suoi anziani, non ostante l' interdizione, continuò ad agire nella sua carica, il Papa abrogò la sua nomina, e nel giorno stesso gli sostituì Gio. Antonio Gozzadini, ed otto nuovi Anziani, i quali tutti assieme al Legato andarono ad abitare il palazzo di Gio. Bentivogli.

Li 26 detto, alla fine della messa il Papa creò cavalieri Pellegrino Caccianemici, Galeazzo di Agamenone Marescotti, e Camillo Gozzadini; poscia prestarono giuramento i Gon falonieri del popolo.

Li 28 detto, il Papa andò a cavallo a S. Michele in Bosco, ed in altre località, all'effetto di stabilire un forte per difesa della città di Bologna.

Li 6 dicembre il Gonfaloniere e sei Anziani furono assisi sull' ultimo gradino del soglio Pontificio. Fu dato l' incenso agli Oratori, poscia al Gonfaloniere.

Li 13 detto, Paris Grassi fu dal capitolo ricevuto canonico di S. Pietro.

Li 29 detto, Giulio II montò a cavallo portandosi quindi a S. Francesco accompagnato dai 40 consiglieri, i quali ebbero che ridire sulla preferenza di distinzione pel posto a loro assegnato.

I parziali Bentivoleschi furono esiliati da Bologna, con ingiunzione di non accostarsi a questo Stato per ìo spazio e termine di 50 miglia, sotto pena della confisca dei beni.

Queste circostanze riguardano l'anno 1506. Ora verremo al 1510, 11, e 12.

II 5 gennaio 1510 parti il Legato Alidosi per Roma, lasciando governatore il Vescovo d'Imola. Appena partito gli fu spedito dietro Alberto Albergati munito di un processo contenente tutti i suoi mali portamenti, estorsioni, ed omicidi fatti per capriccio in Bologna. Il Reggimento scrisse a Bartolomeo Zambeccari ambasciatore di Bologna in Roma perchè ne parlasse al Papa, ma questi non volendo inorgoglire i Bolognesi ordinò che l' Alidosi tornasse a Bologna. È da notarsi che costui era stato suo compagno di studi in gioventù. L'otto marzo il Legato ritornò, e ciò che più meraviglia, fu ricevuto con onori, e Ricciardo da Castel del Rio suo fratello fu acclamato cittadino di Bologna.

Li 22 settembre Giulio II tornò in Bologna con dodici Cardinali, fu a visitare la cittadella di Galliera quasi ultimata che tirò 20 colpi di cannone ad esultanza della di lui venuta. L' Alidosio andò a Modena ed a Carpi ove trovavansi le armate della chiesa comandate dal duca d' Urbino contro i Francesi ed il duca di Ferrara. Siccome esso era Legato dell'esercito, fu arrestato dal duca d'Urbino e mandato a Bologna al Papa scortato da 150 cavalli, colle mani serrate da manette. A furia di denaro I' Alidosi potè entrare in Bologna libero dalle manette e con soli 12 balestrieri. Il duca mandò molte lettere al Papa che erano state rinvenute presso il Cardinale, contenenti pratiche avute coi nemici, ma colle sue parole e pell' ascendente che esercitava sull'animo del Papa, seppe talmente persuader lo che fu messo in libertà.

I Bentivogli corsero fino alle porte di Bologna e poco mancò che non vi ci entrassero. Il Papa esperimentata la fedeltà dei Bolognesi, accordò loro mediante Bolla molte esenzioni. Il popolo però si lagnava di avere per Vescovo un forestiere, e sopra mercato un Alidosio loro nemico, di non avere un Cardinal bolognese, nè alcuna notabilità cittadina rivestita di qualche dignità, quantunque gli fosse stato promesso.

II Papa entrò in trattative col Re di Francia, ma le condizioni di consegnare il patrimonio ai Bentlvogli depurato dai debiti, di non molestare Ferrara e Modena, di restituire Lugo, la Massa, e le altre castella all'Estense, di nominar cinque Cardinali Francesi, e di mettere in libertà il Cardinal di Narbona detenuto in Castel Sant'Angelo, indispettirono talmente Giulio II, che tosto pubblicò un bando col quale fece appello a tutto il popolo di armarsi, che corrisposevi mandando sul Campo del Mercato 8000 fanti e 1500 cavalli tutti bolognesi che il Papa benedì. Per questi armamenti i Francesi abbandonarono il territorio facendovi qualche guasto. Il Papa travagliato dalla quartana, e dalla gotta, abbandonò il palazzo di piazza, e andò ad abitare la casa di Giulio Malvezzi per cangiar aria.

Li 14 maggio 1511 il Papa parti per Ravenna. Gli aderenti dei Bentivogli fecero faccia, nè valse a contenerli il partito pontificio, e dei Marescotti, che anzi chiamati dal campo francese i Bentivogli furono introdotti in Bologna di notte tempo, sotto condizione di perdonare a tutti indistintamente, non arrecar danno tanto alle persone che alle pro prietà, inflne di non molestare gli ebrei. Il Duca d' Urbino fu costretto di ritirarsi coll'armata in, Romagna, ed addebitò al Legato la perdita di Bologna, del che il Papa ne fu irritatissimo. Saputosi che il Cardinale pure recavasi là ove era il Duca, questo andatogli incontro, e trovatolo a cavallo sulla piazza di Ravenna l' uccise. Cosi ebbe il ben meritato guiderdone chi per capriccio aveva sacrificato la vita di tanti uomini e sparso tanto sangue.

La cittadella di Galliera fu resa per 4000 ducati, ed era a cavallo delle mura della città avendo 8 torrioni di 12 braccia di grossezza.

Li 30 maggio radunato il consiglio furono eletti li 31 perchè in luogo dei 40 governassero la città, e furono detti i Sedici. Dopo ciò il Reggimento andò a casa di Pasotto Fantuzzi, da dove cacciatone il Governatore ivi rifugiato, fu ricondotto in palazzo e posto nelle stesse stanze che prima furono abitate dal Papa. Bologna, secondo sempre il diario del Maestro delle cerimonie del Papa da fog. 227 al 297 ab anno 1509 al 1513, sarebbe stata ricuperata da Giulio II li 14 giugno 1512 e non prima, per cui è a credersi che il noto cantico fosse stampato nel 1510, parlando esso di un secondo ritorno che, siccome silevasi dai fatti suesposti, non potrebbe essere mai riferibile al 1511. Diamo qui il cantico testuale.

IN ADVENTU IULII II. PONT. MAX.

Felsina lieta questo sacro giorno

Con un Lapil candidissimo segna

Che a te fa Iulio secondo ritorno

lulio per cui sei facta altera e degna

Tanto che a tutto il mondo e manifesto

La vera libertate esser tua insegna

Prostrata ai piedi suoi va a dirli questo

Hor son l'atre Beatissimo secura

E lieto ho fatto il Cor ch'era gia mesto

Non aver più de Inimici paura

Che in precipitio andar Iulio non lassa

Chi in lui se fida anzi il suo ben procura

Gli humili exalta e li superbi abassa

Si magnanimo Cor nel pecto serra

Che di magnificentia ogn'altro passa

Infelice chl aspecta la sua guerra

Perche ella e insta e puo cum la sancta archa

Mandar di Iericho le mura a terra

Questa seconda volta l'alpe varcha

Il sancissimo Patre e ha la persona

De anni e dalli pensier la mente carcha

E sua presentia a te Felsina dona

Tu la peculiar tu la dilecta

Alegrati tu il vedi canta e sona

Dir non si puo che lanima non metta

Per le sue pecorelle oh buon pastore

Che un solo ovile in picol tempo aspecta

Di sacrificio e ben degno e de honore

Un tal Archimandrita: che'l suo gregge

Pasce e raccolto tien senza timore

Questo fara che sol sera una legge

Perche ha il braccio divino e voglie sancte

A si onorata impresa Idio lo elegge

Dove larmento va disperso errante

Vedrasse questo far tal maraviglia

Che la maggior non mai vide el Levante

A questa impresa tien Asse le ciglia

E fra Rachele e Lia mentre hora sede

Luna ministra a Lui l'altra il consiglia

E perche in terra sol vole una fede

El Ciel benigno si largo distina

Che quante voi victorie gli concede

Veggio presso la misera mina

Di chi contrasta a lui perche non puote

Contrastar forza humana alla divina

La verga ha in mano e la terra percuote

Come fa cum la coda il fler Leone

Per far sue voglie magnanime note

Ma prima cum la fonda e col Bastone

Fara la Gallia Cisalpina accorta:

Che quel fa mal chi al suo voler si oppone

E suscitata Italia mezza morta

E visto con lo agnello il lupo a un fonte

De Terra sancta la Victoria porta

Rumpera dunque il buon pastor la fronte

Al gran Golia e fara i Philistei

Fugir sino alle ripe d Acheronte

A tal impresa seco homini e Dei

Andar vedransi e in più famosa lira

Se cantaranno altri versi che i miei

Che adesso il gaudio che a cantar ne spira

E tal che a me par che impossibil sia

Dir come intorno alani ma se agira

Quivi crido non vai di Poesia

Chi de Iulio secondo cantar vole

Altro soccorso cerchi che Thalia

Sue imprese da cantar non son con fole

Come chi canta per parer poeta

Ma sì cum vere e semplici parole

Il gaudio ver trovar fabule veta

Potessio cum parlar puro e sincero

Dir quanto io sono e tu Felsna lieta

Pur dira tanto la mia musa spero

Chel nostro gaudio cordial fia inteso

Dal degnamente Successor di Piero:

Che un popul vedera damore acceso

Posarsi a lombra de suoi sancti rami

Senza più dubitar essere offeso

E vedera quanto lhonori et ami

Felsina e quanto di chiamar ti piace

Iulio Iulio di e nocte altro non chiami

La lingua il chiama e in pecto il cor non tace

Che in tutti i cori il dolce nome e impresso

Iulio nostro divitia e nostra pace

Non di Liguria gia dal Ciel fu messo

Questo che ha il Tempio de Dio facto grande

Si che bel nome eterno gli e promesso

Per questo si la Ghiesia lale spande

Che mai non hebbe triomphi magiori

Ne de Victoria più belle Ghirlande

Unde de Iulio i veri antecessori

Te invidia e in cielo e sei mio dir e iusto

Portano invidia a lui de tanti honori

Dunque e pur Iulio Divo un Divo Augusto

E chi non canta ogni suo gesto sancto

E ben ingrato maledecto e iniusto

Teco Felsina mia iubilo e canto

Cum questa voce che sin al ciel vada

Pastor non fu gia mai che alciasse tanto

Di Pier le Chiavi e di Paulo la Spada.

Finis

PHILIPPUS PHASIANINUS

Tornando poi alla famiglia Bolognini, è a sapersi che quel palazzo del Farnè che ospitò quel sommo Pontefice fu poi ampliato dal Senatore marchese Taddeo Iuniore. Possedeva questa famiglia beni alla Dozza fuori della Mascarella, e alla Mezzolara provenientigli dalla eredità della contessa Laura Canarina, sorella del marchese Taddeo e vedova del conte Domenico Grati a cui appartenevano. Finalmente aveva casino alla Beverara, a Granarolo, a Bagnarola ed a Minerbio, e il palazzo in città posto fra gli Isolani ed i Bianchini.

Ramo del marchese Cesare.

De' Bolognini Amorini.

Del conte Gio. Battista del conte Marcello. Aveva questi un nobile casamento nel Pavaglione ed in Galliera, il qual ultimo fu poi dei Canobbi, una possidenza alla Gajana. e beni con palazzo nel Marchetto di Castel Guelfo, nonché a S. Chierno e Borgo, e sepoltura in S. Domenico.

Ramo di Giulio Antonio che abitava sotto S. Colombano nel 1584. Patrimonio di questa famiglia era la Bolognina in Crevalcore, poi passata per eredità ai Malvezzi del conte Giuseppe, perchè Giulio Antonio di questo ramo morì senza figli, e ne fu erede Giulia sua sorella moglie del conte Ercole Malvezzi. Ebbe sepoltura in S. Domenico.

Fuvvi un ramo Bolognini in Milano conti di Sant'Angelo, che si pretende discendente da quello di Bologna.

Il palazzo senatorio, posto sulla piazza di Santo Stefano, fu posseduto dai rami di Taddeo, e di Cesare. Ebbero i Bolognini due torri. Una era nelle loro case, della quale internamente anche oggidì se ne veggono gli avanzi, e I' altra fu da essi posseduta pel corso di trecento anni, situata in via dei Bianchi rimpetto ai Sampieri. La madonna sotto il portico è di Lippo Dalmasio, pittore che visse circa il 1400, pregevole lavoro, e che meriterebbe ben altro collocamento. Bartolomeo di Lodovico del ramo di Giulio Antonio abitava nel 1513 sotto la parrocchia di S. Lorenzo dei Guerrini, e possedeva botteghe nelle Chiavature. Bartolomeo, discendente dal celebro Lodovico senator III, sposò Lucia Campeggi, poi Elena Marsili. Non ebbe figli, per cui addottò Emilio Bolognini. Fu fatto senatore li 11 luglio 1528 in luogo di Taddeo Bolognini, e mori li 12 marzo 1556. Il suo Senatorato fu dato a Gio. Maria Bolognini. Fabbricò la chiesa di Dugliolo, e fondò la cappella di San Vincenzo in S. Pietro.

Il marchese Bartolomeo del marchese Taddeo senator X, fu canonico di S. Pietro, poi rinunciò per esser fatto capitano dei corazzieri nell' armata Austriaca, e militò in Ungheria nel 1738, poi fu colonello delle milizie di Bologna, indi senatore in luogo del fratel suo Lodovico. In agosto del 1780 fu colpito da una paralisi nel suo palazzo al Farnè, fu trasportato a Bologna dove mori li 19 settembre 1780 a ore 17 in punto, e sepolto nella sua cappella in Santo Stefano.

Camillo del senator Gio. Maria fu senatore V. Nel 1590, essendo ambasciatore a Roma, fu carcerato nella torre di Nona per avere rivelato certe istruzioni avute come ambasciatore, ma fu in brevissimo tempo posto in libertà, rimanendo ambasciatore in Roma fino al 1602. Sposò Lodovica Masini polacca, la quale viveva ancora nel 1607. Nel marzo 1574 fu uno dei quattro senatori assunti a delineare i confini coi ferraresi, ed ai 29 luglio 1578 fu eletto ambasciatore di Roma, per dove parti li 16 settembre. Il quattro marzo 1579 ritornò a Bologna essendosi trattenuto in Roma circa quattro mesi per causa delle acque. Li 29 ago sto 1580 fu riconfermato ambasciatore per sei mesi. Nel 1591 fu uno degli ambasciatori mandati per prestar obbedienza a Papa Gregorio XIV.

Emilio del senator Giovanni Maria, senatore VII, sposò Giuditta Orsi, poi Valeria Fiorenzoli. Fu uomo dottissimo, amico de' virtuosi, protettore delle arti, e scienze, e di varie accademie di pittura, e scultura. Morì sul principio della sede vacante per la morte di Paolo V. Il suo senatorato fu passato da Papa Gregorio XV ad Andrea Bovio.

Gio. Maria di Francesco senatore V, nel 1557 fu ambasciatore residente in Roma presso S. S. Pio V. Sposò Lisabetta Bottrigari, poi Isotta Fantuzzi. Mori nel 1566, ed il suo posto fu dato a Camillo suo figlio, che entrò al senatorato li 29 marzo 1556 in luogo di Bartolomeo suo parente. Morì il 9 gennaio 1567. Il 2 dicembre 1529 era stato fatto cavaliere aurato, ossia di S. Pietro, da Clemente VII.

Lodovico del senator marchese Taddeo senator IX fu mastro di Camera del Cardinal Neri Corsini nipote di Clemente XII, poi senatore invece del padre. Sposò Margarita Boschi dalla quale non ebbe figli, e se ne separò per disapori domestici. Margarita morì vedova in ottobre del 1782 nel casamento della già Accademia del Porto dove Valerio Boschi suo fratello la teneva prigione, e volle esser sepolta nelle suore di S. Mattia, essendovi stata rinchiusa antecedentemente. Lodovico morì li 15 marzo 1767 ad ore 13 1/2, in domenica, d' idropisia al petto, e fu sepolto in Santo Stefano.

Rileviamo da una cronaca questo curioso racconto che riguarda un Lodovico Bolognini. Aveva questi una figlia che seco portava la ricca eredità di L. 80000, e che ne trattava gli sponsali col conte Leopoldo Malvezzi. Venivano questi ritardati perchè il conte Lodovico pretendeva che il Malvezzi dovesse contentarsi di soli scudi diecimila lasciandogli l'usuofrutto della rimanente somma vita natural durante. Nel fratempo che si ventilavano simili differenze, la figlia di Lodovico fu tratta repentinamente dal convento di S. Leonardo in cui era, e da una sua zia, da Taddeo Bolognini suo cugino, e da Francesco Pensieri messa in una carozza, ed usciti da porta S. Vitale sotto buona scorta fu condotta a Venezla, dove immantinente fu sposata al conte Alessandro Savioli padovano il 7 gennaio 1701. In conseguenza di questo matrimonio l'ambasciatore dell' Imperatore a Venezia prese a proteggere la famiglia Bolognini. Il conte Pirro Malvezzi per vendicare Leopoldo, incontratosi con Massimiliano Bolognini vecchio settuagenario, lo malmenò col piatto della spada, poi fuggì a Reggio, e Leopoldo alla Selva, ed i Bolognini si ritirarono in S. Giovanni in Monte. Il solo Taddeo andò a Venezia mettendosi sotto la protezione dell'ambascieria Imperiale, poi ripatriò nello stesso anno con livrea e uomini del sumentovato ambasciatore. Ma la protezione ottenuta non fece sospendere l'ordine emanato da Roma il 7 settembre 1701, che cioè tutti i Bolognini avessero lo sfratto da Bologna. I Malvezzi mal consigliati mandarono a Vienna l'arciprete della Selva D. Pelloi, per ottener grazia, ma questa gli fu negata. Lodovico morì in Faenza li 20 gennaio 1703 marito di Seda Fogliani. Il perdono poi per entrambe le famiglie fu accordato il 4 dicembre 1704.

Taddeo Massimiliano Senatore, figlio di Marsibilia Bargellini, sposò Dorotea Azzaeli da Faenza, vedova Seccadenari. Fu fatto dottor in legge e lettor pubblico, poi governatore di Carpi dal Duca di Modena; indi senatore nel 1738 per la morte di Antonio Bovio. Essendo uomo di grande ingegno, e solertissimo, potè collocare in onorandissimi impieghi la sua numerosa famiglia. Nel 1710 fu fatto marchese. Nei primi anni della sua giovinezza vestiva gli abili da abbate. Fu aggregato al Collegio Canonico li 30 agosto 1700. Nel 1707 concorse al segretariato maggiore, ma fu invece di lui eletto Iacopo Antonio Bergamori.

La capella in S. Petronio fu fatta dipingere dalla famiglia Bolognini nella parte sinistra ov'è il paradiso e l' inferno, dal pittore Buonamico Buffalmaco, le cui pitture furono barbaramente imbiancate, ma poscia scoperte. Fu Bartolomeo che nel 1408 fondò una capellania riservandosene la nomina, ponendovi in essa arca e sepoltura. La capella dei Re Maggi in S. Stefano fu fabbricata da Bartolomeo Auditore di Rota nel 1496 con officiatura perpetua. Fu essa risarcita da Gio. Maria nel 1566. Altra capella dedicata a S. Giovanni si trova in Santo Stefano fatta nel 1535, e risarcita nel 1563. Ebbe questa famiglia capella con arca in S. Gio. in Monte, poi vi fabbricò la cupola della principal capella. Eb bero pure arca in Santa Maria de' Servi, con sepoltura di faccia la capella di S. Iacopo. Nel Carobbio vi avevano i Bolognini un'arca, e all'altar del Crocefisso in S. Pietro una capellania sotto il titolo di S. Vincenzo fondata nel 1513 dal senatore Bartolomeo, e finalmente avevano pure un altare nella Mascarella.

Qualche parola ancora della maggior celebrità di questa illustre famiglia, di Lodovico, valentissimo giureconsulto. Fabbricò esso la libreria e refettorio nel convento di S. Domenico, e la capella col depositorio antico della testa del Santo. Fu esso che diede principio alla fabbrica della chiesa di Dugliolo. Il palazzo Ludovisi che diventò poi sua proprietà alla morte di Giovanna Ludovisi sua consorte, fu da esso, mentre viveva, in parte ridotto ad uso dei Padri di S. Domenico. Trovavasi esso palazzo sulla strada, che oggi è in faccia al palazzo Ranuzzi, e si estendeva nella parte interna della località poi occupata dal convento, sino alla colonna che è nel primo chiostro grande, ove sopra sta la statua di S. Domenico. La sua sepoltura fu umile in S. Domenico, e porta nella lapide queste parole: "Omnia mecum porto". Fu lettor pubblico, pretore di Firenze, e commendatore di Sant'Antonio. Alessandro VI lo fece senatore di Roma. Nel 1506 fu fatto dei 40 da Giulio II, che lo mandò ambasciatore al re di Francia Lodovico XII. Fu mandato ambasciatore a Lodovico Sforza, ad Innocenzo VIII, ad Alessandro VI, a Giulio II, e Carlo VIII Re di Francia lo nominò suo consigliere. Nel far ritorno mori a Firenze nel 1508, e il suo corpo fu trasportato a Bologna.

Infine non è a dimenticarsi l'egregio marchese Antonio Bolognini Amorini, che pur osso molto meritò dalla patria, essendo stato cultore studiosissimo di belle lettere, e versatissimo in belle arti, e particolarmente nella parte architettonica. Esso presiedette onorevolmente all'Accademia Artistica per lungo lasso di tempo e con tale indefessa cura ed operosità, da meritarsi la generale estimazione. Morì li 19 giugno 1845.