Appendice al Ristretto di fatti rimarchevoli della Storia di Bologna volgente su moltissimi e svariati argomenti.

Appendice al Ristretto di fatti rimarchevoli della Storia di Bologna valsente su moltissimi e svariati argomenti.

Muratori nell'Italia medii aevi trascrive un atto al tempo del Re Desiderio col quale Monteveglio viene attribuito al territorio bolognese, verso Occidente nel 1121. In un atto degli Annali Camaldolesi dell' 800 è attribuito al territorio bolognese il Medesano verso Oriente.

Onorio III nel 1221 proibì a Rambertino di Guido Bualelli d'accettare la podestaria di Modena sotto pena di scomunica. I Bualelli appartenevano certamente ad un ramo de' Geremei. Il padre Abbate Sarti ha trovato in Ravenna nell'Archivio Episcopale citato nel 1130 fra certi testimoni esservi — Bualellus fllius Geremiae Ramberti. — Egli è quindi a credersi che Geremia di Ramberto fosse positivamente capo della famiglia Geremei, e da ciò si deduce perchè i Bualelli abitavano dirimpetto a S. Cristoforo de' Geremei, e possedevano il Ballatoio che fu detto San Cristoforo del Ballatoio. Li 8 aprile 1221 Onorio III commise la Pieve di Sambro per istanza presentatagli dall' Arcidiacono di Bologna, alla giurisdizione sua onde sopperire alla tenuità delle sue rendite. Sulla concessione della Massa Fiscalia conferita ai Ferraresi da Ugolino de' Conti , Cardinal Legato in Bologna, è da sapersi che non avendo per anco i Pontefici l' Esarcato, avevano però Ferrara siccome rilevasi dal Corpo Diplomatico Tom. 30 N. 61.

Circa l' aver la Contessa Matilde risieduto a Bologna nel 1103 non si trova indicazione certa nella storia. Che fabbricasse la Rocca di Bazzano è positivo, ma però come padrona di Monteveglio, e non di Bologna, siccome molti nostri storici hanno creduto. Circa poi la fabbrica della Chiesa di Musiano temesi che siasi confusa questa Contessa Matilde con quella dei Conti di Bologna, perchè trovasi in molti atti questa famiglia avere il jus patronato di questo Monastero, la di cui Chiesa si sa che più di 100 anni prima era stata edificata.

Che poi fosse nel 1104 padrona di Argelato e Medicina è fatto certo dacchè viene assicurato da molti documenti ufficiali.

Tutti gli storici che ci hanno riportate tante guerre dai Bolognesi sostenute contro gl' Imperatori a favore del Papa, e della Contessa Matilde nell'anno 1111, incorsero in gravi errori dacchè queste non ebbero mai luogo. Una Rocca fu realmente distrutta nel 1112 non potendo la sua esistenza che paralizzare la libertà dei Bolognesi, ma non fu edificata, siccome asseriscono, soltanto nel 1111 bensì molti anni prima, e precisamente in Porta di Castello.

Nel 1228 Corrado fu coronato Re di Lombardia. La concessione di Lotario per gli studi non regge. Le leggi s' insegnavano di già, poi in quell' anno non esercitava esso autorità veruna in Italia ove Corrado era di già stato coronato. Che esistesse il Cardinal Ugo Geremei non è certo. Baruffaldino di Ramberto Geremei andò in terra santa nel 1217 capitanando quella crociata benchè lo chiamassero Galuzzi, ma invece è indubitato che appartenesse ai Geremei.

Il detto Baruffaldino fu l'ultimo del suo stipite e mori nel 1253 come puossi verificare dal suo testamento esistente nell'Archivio. Dal detto testamento rilevasi di fatto che era stato in terra santa, che aveva avuto un figlio premortogli chiamato Guido del quale rimaneva una figlia detta Belvisa che aveva istituita erede. Alla morte di questa sostituì sette legati fra i quali tre militari, cioè agli Ospitalieri, Templari e Teutonici, poscia ai Domenicani, Francescani ecc. ecc. Il suo patrimonio era ricchissimo. Belvisa fu maritata ad Ugolino Siena, citato dal Dante, e che apparteneva alla famiglia Ubaldini. Morì essa nel 1269 senza figli onde dovette aver luogo la suindicata successione. In quel testamento eravi pure un legato ohe ordinava si mantenessero sempre due cavalieri in terra santa. Domenico di Vincenzo Poeta — Vincentius Campsor qui dicitur Poeta — che era doviziosissimo cambista comprò tutta quella eredità dai sostituiti eredi siccome rilevasi dai memoriali del 1269.

I nostri cronisti ci hanno tramandato, più lo stesso Morandi, che Lotario Carolingo nel 1137 non solo espugnasse Bologna ma ne distruggesse le mura. L' annalista Sassone dice — capta Bononia — e nulla più, quindi da ciò congetturasi che nella stessa espugnazione restasse abbattuto il primo recinto di Bologna delle quattro croci.

Sembra si provi ancora perchè sul finire dell'anno 1137 si principiò a nominare Porta Nuova che è il toresolto di S. Francesco e ciò precisamente per la riconciliazione dei Bolognesi coll'imperatore mercè la quale cominciarono il nuovo recinto cingendo i borghi di mura. Porta Nuova dicevasi il quartiere di piazza fino al suddetto toresotto. In S. Salvatore trovavansi molti atti risguardanti questo contorno, ma non prima del 1137, o solo sul finir di quest' anno trovasi nominata Porta Nuova. È probabile vi dassero quel nome per essere stata allora fabbricata. Le mura Perciò del secondo recinto non demolite per fatto militare, si trovano con case soprastanti, mentre quello del recinto delle quattro croci non lasciami vestigia di sorta, in conseguenza dell' esser state diroccate.

La riconciliazione di Bologna con Lotario II è assicurata dall'Uspergense, ed essendo particolarmente da lui notata farebbe credere avesse avuto luogo dopo una rottura ben grave, aggiugnendo che lo fu mercè le istanze di suo genero Duca Enrico. Circa le pandette non abbiamo documento autentico, ma solo tradizionale che trovasi in Bartolo. È certo che le Pandette allora lette in Bologna non furono le Pisane, ma quelle di Ravenna, perchè in molti casi discordanti da quelle della nostra Università, e perciò Lotario ordinò che si mettessero in corso le Leggi Romane unendovici le Longobarde che per molto tempo furono praticate, per cui questo privilegio se pur vi fu , non avrebbe che sanzionato lo studio e nulla più perchè esistente di già. Tolosano dichiara che in quest'anno si pose termine alla guerra con lmola. Lotario II nel 1137 ripassò per Bologna tornando dalle Puglie per recarsi in Germania scendendo dal Mugello e dalla via fiorentina.

È certo che Federico I giunto in Italia l'anno 1158, attaccò tosto Brescia e se ne impadronì. Sembra che in questa circostanza quivi si trovassero i nostri sommi dottori Bulgaro Bulgari, Martino Gosio, Ugolino e Jacopo di Porta Ravennate, per aver egli a sè chiamati i primi giureconsulti d' Italia a congresso, siccome ne riferisce il Muratori, dicendo aver quivi radunato — multitudo doctorum. — Lo consigliarono essi che per proceder contro Milano, lo dovesse prima giuridicamente, citando i Milanesi. Oddofredo pure nel — Titulus de dilationibus — racconta che quando Federico venne in Italia essendo informato che parecchi Cavalieri bresciani rei di fellonia chiedevano dilazione, chiese consiglio a Bulgaro ed a Martino se poteva accordarla di fronte ad una legge che dichiarava non potersi chiedere quando la causa fosse conosciuta dall' Imperatore, e che quelli dichiararono esservi limitazione atta regola, perciò liberamente lo potesse. E di fatti l' Imperatore andò sotto Milano e perdonò. Nota il Muratori che in questa spedizione di Milano i Bolognesi furono in aiuto dell' Imperatore. Pacificata la Lombardia, Federico intimò il congresso alle Roncaglie per la festa di S. Martino dove andarono molti Vescovi fra i quali è pure nominato quello di Bologna.

Alle Roncaglie non ebbe luogo precisamente quanto ne dice il Muratori. Anzitutto non furono i soli quattro giureconsulti bolognesi quelli che assistettero a quel consesso ma i primi chiamati; informati dover essi esaminare i diritti imperiali sopra le città italiane, vollero che altri concoressero e per ciò furono chiamati giureconsulti d' altre città cointeressate che ammontarono, essi compresi, al numero di trentadue; e così pure ne assicura Roderico, ed altri, che cita il Muratori quantunque esso non ne convenga.

La prima questione non fu se l'Imperatore fosse padrone del mondo, come dice il Muratori, ma invece se fosse proprietario dei beni de' sudditi. La disparità d' opinioni fra Martino, Bosio, e Bulgaro, e le risposte hinc inde sono citate da Oddofredo da quadriennali prescriptione. Il secondo articolo volgeva sul jus dell' Imperatore sulle città di Lombardia. Su questo argomento i giureconsulti vi consumarono parecchie giornate causa l'esame indispensabile dei privilegi delle città suddette. Convien però credere che il verdetto da loro emanato fosse favorevole all'Imperatore perchè vent'anni dopo sulla stabilita pace fra lui e le città d'Italia, ossia di Lombardia, e precisamente nel 1117 e Romualdo Salernitano riferisce che l'Imperatore ripeteva da loro quella dipendenza che da giureconsulti bolognesi alle Roncaglie gli era stata accordata mercè giuridica decisione, alla quale però i giureconsulti milanesi non assentirono (veggasi il Muratori). — II terzo articolo si rileva da Piacentino nella parte di somma annessa a quella di Azzone. — Rubrica de Canonis et tributis — ove si trattava se l' Imperatore poteva imporre tributo ed ove Placentino inveisce contro la deliberazione dei giureconsulti bolognesi, ma fu nel secondo giorno dall'Arcivescovo di Milano riconosciuto il pieno diritto imperiale (così Roderico). L'Imperatore destinò un'altra giornata per discutere sui diritti dei privati, ove siedette in mezzo ai quattro giureconsulti bolognesi, i quali avendo deciso che tutti rinunciassero i regali all'Imperatore, che egli poi restituirebbe a seconda dei privilegi giustificati da ciascuno degli interessati, decretarono la suindicata rinuncia.

Furono in appresso stabilite costituzioni nuove, fra le quali quelle dell' autentica habita per gli scolari, quale directe non tocca lo studio di Bologna particolarmente , ma generalmente, benchè allora l'assoluta rappresentanza non figurasse che in Bologna. La legge che sanzionò queste costituzioni fu emanata in Bologna ai tempi di Azzone cioè circa il 1217 per cui d'allora cominciarono gli scolari ad esser giudicati dai maestri, e sembrerebbe ancora che gli scolari cominciassero a formare un corpo a parte senza avere Rettori ma soltanto Maestri che loro presiedevano.

II trattato , avuto luogo nel 1213 cogli Imolesi trovasi nel registro grosso. Essendo in decadenza Ottone Imperatore , gl' Imolesi cominciarono a molestare quelli del Castello d' Imola. I Bolognesi presero la loro difesa poi vennero ad accordi. Guglielmo da Sessa Podestà d' Imola, trattò con Albertinello Podestà del Castello d' Imola , rimontando alle ingiurie fatte fino all'epoca in cui venne il Patriarca d'Aquileja in Romagna, e promise in pari tempo al Podestà di Bologna, e Consoli di Faenza di non ricevere gli uomini del Castello d' Imola in città , — quousque Bononienses , et Faventini custodiam haberent pro Imperatore et donec Castrum Imolae auferetur Communi Bononiae et Faventiae per Imperatorem. — Tra gli ambasciatori di Faenza eravi un Marescotto che fu quegli da cui venne la famiglia Marescotti. Alli due maggio avendo gl' Imolesi per Podestà Guido d'Acquaviva, giurò questi di porre in atto quanto sopra erasi promesso alla presenza di Rambertino Lambertini o Gio. Paolo da Cestello. Fino dal 1200 i Consoli dei Mercanti avevano l' appalto della Zecca.

Questi Consoli però non lo erano del Foro dei Mercanti, siccome dice il Negri perchè a quei dì non esisteva, ma invece eravi quello dell'arte dei Mercanti che trafficavano nei panni di lana , e nel cambio. Si può presumere che questo appalto lo avessero ottenuto fin dal suo nascere, perchè il privilegio l'ebbe la città nel 1191, siccome ai 14 maggio la consegna dogli arnesi per coniar moneta , fatta dalla compagnia dei Mercanti a Pelavacca suo Console, il che comprova aver essi il detto appalto ( così il registro grosso ). Li 5 aprile 1210 il Podestà e Bartolomeo dei Principi (che stavano sotto San Matteo delle Pescarie e degli Accarisi, che era famiglia potente e frenetica pel partito Lambertazzo, che fu poi cacciato da Bologna e distrutte le sue case ; nè rimase un ramo che fu poi chiamato del Medico) procuratore del Comune assegnarono alle due compagnie dei Mercanti , e dei cambisti l'appalto della moneta per due anni con patto che la moneta fosse della stessa bontà e peso degli anni procedenti ( registro grosso. ) Nel 1219 dallo stesso registro grosso si ha — 15 intrante martio — giuramento del sovrastante alla moneta o Zecchiere — Tres uncias minus uno quarterio argenti , mittam seu mitti faciam, et novem uncias, et unum quarterium de ramo mittam vel seu mittere faciam, et quadraginta novem solidos, et sex denarios de denariis modenatis per libram Bononiae ponderatam faciam secundum consuetudinem monete facte tempore domini Vicecometis olim potestatis Bononiae. Questo spiega la lega. - Altro Zecchiere - Ad rationem trium unciarum minus quarta argenti et novem unciarum, et quarta de rame, et ad rationem 49 solidorum et sex denariorum pro singulis libris ad pondus Bononiae — Solidus a que' dì voleva dire, dozzena di denaro — Libra, una ventina di soldi , per cui 49 solidorum et sex denariorum vuoleva dire 49 dozzene e mezzo di danari, Bononiae , perchè s' intendeva di denari Bolognesi. Si andava cangiando specie di denari , cioè denari Bolognesi, denari Ferraresi etc. ma il modo di conteggiare era lo stesso.

La guerra insorta fra i Riminesi e i Cesenati , fu cagionata probabilmente per i confini. I Cesenati ebbero la peggio prima dell'aiuto de' Bolognesi. Le due città fecero leghe con altre e cioè con Cesena, Bologna , Faenza , Forlì , Bertinoro, Reggio e Ferrara ; i Riminesi con Fano, Pesaro, Urbino, Montefeltro, Massa Trabate, ed una parte di Ravenna, onde non Ravenna tutta. Convien credere che il Papa si fraponesse in questa guerra e che non essendo ascoltato mandasse l' interdetto, perchè nella concordia si parla di un interdetto del Papa. Mediatore della pace fu il vescovo di Rimini, la quale principalmente in capite fu fatta fra i Bolognesi e i Riminesi. II Negri ci dà il nome di 200 Bolognesi che giurarono questa pace ma sono nomi sospetti. Avvi però nel registro grosso un atto del Consiglio riguardante questa pace che potrebbe assicurarci sull'autenticità di tutto che si riferisce all'ambasciatore di Cesena a Bologna quando presentò le chiavi di quella città; non se ne ha però cenno veruno negli atti.

Sembra che nell'anno 1217 si scoprisse qualche congiura degli scuolari per portare lo studio di Bologna in altra città e ciò forse por esser disgustati pel rifiuto datogli sulla concessione di un Rettorato e per avergli invece sottoposti al giudice ordinario, e perchè allora fu emanato il primo statuto che cosi comincia — Si quis fueret inventus — che conteneva tutte le parole che trovansi nella lettera di Onorio III inserita nel corpo diplomatico Tom. 43 N. 18 che poi furono tolte por la compilazione degli statuti.

Il Cantinelli dice che la sollevazione di Giusoppe Toschi, segui nel 1231 , mediante la quale fu cangiato Governo nella città subentrandovene uno popolare, ed erigendo il Magistrato degli anziani. Di questo Magistrato ne fa menzione una lettera di Gregorio IX nel 1231 e non è probabile che il Papa lo nominasse nel primo mese; ammesso tal raziocinio la sedizione dei Toschi dovrebbe assegnarsi al 1230 quantunque il Negri la ponga nel 1228. Tale sedizione ebbe origine dalla perdita del Castello di Montebudello; ma siccome soltanto nel 1229 si fece l'accordo fra i Bolognesi e i Faentini per entrare nel contado d'Imola, cosi sembra che nel 1230 possa esser caduto Montebudello. Il Negri dice che nel 1230 si bruciarono i libri dei Malefìci , ma invece questi lo furono nella sedizione del Toschi; egli è ben vero che l'attribuisce alla gioia provata per l' innalzamento delle mura di Castel Franco, ma è altresì vero che cade in non poca confusione indicandone i fatti a suo talento ed in particolar guisa attribuendo il comando ad individui che non l'ebbero dai Toschi , dappoichè il Sigonio dice che fu dato a Fabio Lambertazzi (deve dire invece Fabro ). Il capitano del popolo non fu allora costituito, mentre lo era Io stesso (Giuseppe Toschi, ma invece 30 anni dopo. Giuseppe Toschi era un giudice di famiiglia nobile e che diede il nome alla via dei Toschi da S. Silvestro , era figlio di Tommaso Toschi Viviano celebre dottore di cui sono pieni i testi civili delle conclusioni ov' è citato in margine : — Vivianus. — Gli anziani ebbero principio in quest'anno , ma non erano ancora al governo della Repubblica. La forma del governo popolare cominciò nel 1243. Dopo la pace di Costanza e più dopo la sedizione del vescovo Gerardo, cessarono i consigli popolari, e la Repubblica popolare , cominciò a convertirsi in aristocratica. Il principato era rappresentato dal Potestà in quanto concerne all'estero, e l'amministrazione interna, ma radicale ora nel Consiglio.

Espulso Bozo (Bezone) nel 1164 s'incomincia fin d'allora a trovare il Consiglio, il quale dovette poi crescere in tal misura che so ne formò un altro di deputazione che chiamavasi di credenze composto di 300 individui parte Magnati e parte popolari, non de jure ma de facto prevalevano però i primi. Non vi era in quell'epoca altro magistrato perchè i Giudici del Podestà, i Consoli di Giustizia erano Giudici ed Ufflziali, e non Magistrati. Nelle gravissime circostanze soleva il Consiglio chiamare i Consoli dei Cambisti , e dei Mercanti, che erano quattro per ciascuno , ed erano tenute per le due compagnie più considerevoli del popolo entrandovi nobili, sebbene popolari. I ministrali delle altre arti si dividevano in venti o ventiquattro compagnie, e di pari numero erano quelle dell'armi , che avevano essi pure i loro ministrali, ma chi cinque e chi sei , cosi chiamati delle contrade, ma trovansi però sempre vocatis prova indubitata che non avevano il jus d'intervenire alle convocazioni ordinarie ma soltanto chiamati. Il popolo cominciò ad ingelosirsi dei nobili, molti dei quali erano parziali dell' Imperatore, spiegatissimo nemico dello stato popolare ed insospettitosi che il Capitano fosse d' intelligenza cogli imperiali pel fatto di Massimetto e di Rolandino di Madonna Cecilia cominciò a divulgare che i nobili se l' intendevano con gli ufficiali dell'Imperatore, poi nel 1230 tutte le compagnie dell'arte, e dell'armi, facendo lega fra di loro, si sollevarono ed imposero ai loro capi che la regolassero siccome la società , e che a tutte presiedessero e si chiamarono Anziani. A che numero ascendessero i primi non si conosce, nè tampoco il tempo che durassero, ma puossi stabilire lo fosse pel tempo o termine di sei mesi. Sappiamo che nel 1248 erano in numero di 12 o cioè tre per quartiere e duravano tre mesi, come puro nel 1245.

Sul loro principio però non presiedevano che a tutte le arti. Le compagnie si eleggevano ed estraevano dal corpo loro, per cui cominciarono a chiamarsi — Antiani populi. — Nel 1245 lo statuto loro era il susseguente. Dalle due compagnie maggiori dei cambisti e mercanti , non si possono eleggere Anziani , perchè i loro Consoli , che ne hanno quattro per ciascheduno, debbano intervenire non solamente alle congregazioni delle loro rispettive compagnie, ma ben anco con uguale autorità nelle congregazioni degli Anziani. e presiedere con essi a tutte le arti. Era così una loro prerogativa che mentre lo altre le avevano per i loro membri degli Anziani , quelle due invece l'avevano permanente , o perciò chiamavansi Antiani et Consules ed anzi nel 1378 cominciarono a dirsi — Antiani Consules. — Nel loro principio non s' ingerivano che nella presidenza delle arti o nella difesa della loro prerogativa, tanto sull'arte che sulle armi, ed intervenivano nel Consiglio della città , siccome solevano intervenire i Consoli delle due arti dei Mercanti, o dei Cambisti negli affari di altissima importanza. Finalmente nel 1245 vollero aver parte nel governo, e così si formò una vera Repubblica popolare che poi prevalse. Fin dal 1231 trovasi che in Bologna risiedeva un giudice dell" Imperatore, impronta dell'autorità lmperiale in detta Città. Nell'archivio della Chiesa di S. Francesco esisteva un rogito di Ottaviano, giudice dell' Imperatore portante la data del 4 Novembre 1231.

II Negri ricorda un Lambertino Samaritano, Podestà di Modena, che lo fu molti anni successivi, ed un certo Andalò Castellano che viveva del 1200. Jacopo Tencarari, che da alcuni si dice teologo Parigino, non era Jacopo ma Zoenne e non si sa che fosse teologo ma soltanto arciprete nel 1235. Il fatto d'armi fra i Bolognesi e Modenesi che ebbe luogo a Bazzano portò la dedizione di Savignano ai Bolognesi e gli atti risguardanti tal dedizione trovansi nel Registro grosso, ma i nomi dei deputati indicati dal Negri non sono veri.

Nel 1245 vi fu la deposizione di Federico II nel concilio ai 17 di Luglio trovandosi esso allora in Lombardia. Questa dicesi portasse il cambiamento di governo in Bologna. Il Negri dice che in quest'anno Romeo Pepoli si maritò , quando invece non nacque che del 1250 e ciò vien provato dai suoi contratti , che si trovano tutti esser fatti coll' autorità del curatore fino alla fine del 1281, nel cui anno sposò non Biagia , ma Azzolina Tetalasini ( così dai memoriali). Filippo Ugoni, podestà, radunò il Consiglio, nel quale venne confermato il Decreto di già emanato da quei deputati che il pubblico aveva spediti per esaminare i diritti della Comunità di Altedo che avevano in enfiteusi i beni del pubblico ed erano debitori dei canoni decorsi che non volevano riconoscere, ma che però furono obbligati di pagare — registro nuovo — Si è detto che il cambiamento del governo possa essere stato cagionato dalle seguite deposizioni di Federico II poichè i popolani, che potevano temere impedimento da lui spiegato nemico del governo popolare, si sollevarono e vi sostituirono li 17 luglio Leone per cui il cambiamento della Repubblica ebbe luogo il 24 agosto di detto anno. Si trova il giuramento degli Anziani che fu il primo atto in cui comparisce il popolo così concepito — Juro ego Consul Marcatorum, et Campsorum vel Antianus populi, vel ministralis societatum populi — Giurano questi di mantenere la retta amministrazione dei pubblici affari , e specialmente la conservazione della Società dei Lombardi che chiamano indissolubile. Trovasi negli ordinamenti del popolo a più riprese ripetuto quest'atto, siccome il più antico di tutti. Nello stesso anno gli Anziani vollero avere parte directe e non indirecte nell'amministrazione pubblica; più facoltà legislativa con consiglio popolare e separato dai due Consigli del Comune; però sul finire dell'anno si pensò alla fabbrica di un palazzo dove poter alloggiare detti Anziani e Consigli popolari. Si è detto indirecte, perchè prima s' ingerivano soltanto del governo dove erano nominate , quantunque cinque compagnie delle dodici fossero quello che formavano il foro dei Mercanti, allora non essendo in corpo tale da formare arte da se. L'arte della seta era appena nascente siccome pure l'arte delle lane gentili , perchè per le grosse vi erano i Buettieri. Gli Orefici facevano parto dell'arte dei Fabri.

I Notari sembrerebbe, che cominciassero far arte l'anno seguente.

Le compagnie d'armi erano addette a differenti quartieri e ciascuna d'esso portava la sua insegna o Gonfalone quando erano chiamate a combattere, e questo in relazione al titolo che avea, distinguendosi in Spade, Leoni, Stelle, Griffoni, Dragoni ec. ec.

Lasciavano però la preferenza ai due Consigli del Comune e così perdurarono fino alla cacciata dei Lambertazzi che sostenevano la parte magnatizia, per cui la Repubblica fu allora del tutto popolare. Egli è perciò che da quell'anno si può considerare la repubblica Bimembre, che una chiamavasi , comune , cioè l'antica, e comprendeva nobili ed ignobili ; l'altra che comprendeva i soli popolari e chiamavasi Popolo. La prima era rappresentata dai Consigli del Comune che si chiamava generale e speciale , non più di credenze, ed era composta di cittadini eletti dalla Curia e duravano un anno, e de Jure nello speciale ove entravano tutti i cavalieri che avevano il cingolo, ed i dottori di leggi. A questi Consigli presiedeva il Podestà che li convocava.

Per popolo non s' intendeva qualunque abitante della città, ma quelli che allora erano descritti nelle società del popolo, tanto d'armi che d'arti. Vi erano gl' incapaci che non potevano essere ivi descritte perchè non di grado magnatizio nè appartenente a famiglie feudali e che di professione avevano seguito o seguivano il militarismo non essendovi altri limiti, infine i magnati personali cioè i Cavalieri, sebbene non fossero di famiglia magnatizia. Incapaci erano tutti quelli che esercitavano basse professioni siccome i fornari , tavernieri , treccoli , ortolani , facchini e tutti quelli pure che erano addetti a speciali servizi , siccome staffieri allora chiamati Scutifer o scudieri. Ciò posto abbiamo documenti di quei tempi che ci portano le qui sottonotate compagnie d'arti.

Cambisti e Mercanti. Queste due avevano preminenza stabile. Le altre non l'avevano e sono spesso nominate alla rinfusa. Le prime due erano composte di nobili e ciò in forza dello Statuto.

Cordovanieri, Drappieri, poi strazzaroli, perchè quelli che ora chiamiamo Drappieri erano mercanti. I drappieri appartenevano all'arte della lana.

Pescatori, Bisellieri, Calegari, Conciatori cioè Pellacani, Fabbri, Falegnami, Pelliciari nuovi cioè che lavoravano in genere nuovo, Pelliciari Vecchi , che rappezzavano. Salaroli , Muratori , Merciari , Cartolari , Sartori , Lanaroli.

Si avverta che nè Orefici, nè Speciali , nè Bombasari, nè arto della seta vi si trovavano.

Queste notizie si raccolgono dagli statuti della città, e dagli statuti particolari di dette compagnie.

Ciascuna di quelle compagnie d'arte o d'armi, istituiva i suoi ministrali che duravano in carica sei mesi. Alcune altre 4 mesi , altre 6 ed 8 a seconda de' loro statuti, e queste governavano gli affari delle arti. Ognuno aveva il suo massaro, che allora era soltanto un depositario e non un capo. Sopressi poi in progresso di tempo i ministrali , il capo sostituiva il massaro. In alcune il Gonfaloniere era uno dei ministrali, in altre uno a parte. Scopo delle compagnie d'anni era di ottenere da esse il giuramento militare, quando si chiamavano sott'armi e di seguire ciascuna il proprio Gonfaloniere e Gonfalone. I Mercanti, e Cambisti invoce di ministrali avevano i Consoli per ciascheduna compagnia.

Siccome il comune aveva il consiglio speciale, cosi il popolo aveva il consiglio piccolo, formato di tutti i ministrali delle arti ed armi, e certo numero di consiglieri per ciascuna compagnia; rispetto poi ai cambisti e mercanti , invece dei loro consoli, che andavano cogli anziani, davano al consiglio piccolo circa 20 uomini di consiglio. Il consiglio grande del popolo, chi; poi si chiamò massa del popolo, era formato di tutti i suddetti ministrali e consiglieri ed inoltre di un certo numero di sapienti , o savi , detti di Massa estratti da altre compagnie ed in un determinato numero a seconda dei privilegi individuali che si cangiavano di sei in sei mesi. Nei bisogni straordinari si chiamava la congregazione generale di tutto il popolo che soleva radunarsi in S. Pietro. Il popolo era rappresentato dai suddetti consigli ma con facoltà limitate e la potestà radicalmente risiedeva in tutta la congregazione generalo del popolo. A tutti questi consigli presiedevano gli Anziani e Consoli dei Mercanti e Cambisti. Gli anziani erano tolti da tutte le compagnie d' arti e d' armi , tranne dei Cambisti e Mercanti, per certo turno che non si può ben determinare. Nel 1247 erano 12, cioè tre per quartiere e si crede che cosi fossero anche nel 1245. Quanto però durassero in sul principio non si sa, ma certamente anch'essi sei mesi. Questo popolo aveva facoltà legislativa e le leggi loro erano confermate dal consiglio del Comune e si chiamavano ordinariamente — Populi — L' inauguramento di detti consigli e forma di governo, fu approvata dal consiglio del Comune. Sul cadere di quell'anno, fu stabilito il nuovo sistema, si comprarono molti edifizi annessi al palazzo vecchio, dalla parte settentrionale, e la Sala del frumento per fabbricarvi un palazzo detto poi Palazzo Nuovo , con una sala ampia da radunarvi i consigli del popolo.

Il Decreto che ingiunge ai Bolognesi di non giurare sotto il Rettore degli scuolari fu emanato il penultimo dì d'agosto. Nello statuto del 1252 si trova un atto rogato nel 1245 che proibisce a chicchessia di vendere uva acerba e matura, meno la pergola che non fa vino, eccetto però agli scolari.

La Presa del Re Enzo secondo quanto ne riferisce il Cantinelli non ebbe luogo in conseguenza di una battaglia importante, ma da una combinazione occorsa dal aver esso tentato di sorprendere i Bolognesi ed invece esserlo lui, e quindi preso. Il Negri indica i nomi dei capitani dell'esercito alcuni dei quali realmente viventi a quei di, ma molti del tutto ideali e non esistenti.

Negli statuti vi ha questa memoria:

1249 die Jovis 5 exeunte Majo: In exercitu Comunis Bononiae facto apud pontem S. Ambrosii comunis Mutinae consìlium credentiae et Generale sonitu per tubas, et voce praeconia fecit congregari in quodam campo. D Herigiptus de Abaisio mandato D Philippi di' Hugonis Potestatis Bononie proposuit et dixit de facto captivorum in sconficta heri facta quorum quidam dicuntur esse baratati et qualiter sit providendum. In reformatione placuit toto Constilo ut quicumque captivos habuisset debeat consignare Potestati.

Da questo atto apparisce evidentemente il giorno della sconfitta.

Confuse il consiglio questo giorno che era di S. Agostino Arcivescovo di Cantuaria, con qualche festa di traslazione di S. Agostino e ciò per l' ignoranza di quei dì, ed ordinarono un elemosina da farsi ai frati di S. Agostino, che allora stavano dirimpetto agli Scalzi, e perchè in detto luogo succedettero delle monache dette di S. Agostino la elemosina negli anni venienti fu continuata a dette suore, — quia eo die obtinuimus victoriam de Rege Hentio et seguacibus. — Gli avanzi di detto monastero sono stati pressochè distrutti. Il Muratori dice che la battaglia abbia avuto luogo il dì di S. Bartolomeo e precisamente a S. Lazzaro vicino a Modena. Si avverta che la festa popolare che si faceva in Bologna nel dì di S. Bartolomeo dicesi da taluni cronisti essersi istituita per la battaglia di Tibaldello, ma non è vero. Questa festa ebbe origine dalla corsa di un ronzino. Dagli statuti rileviamo che questa corsa si faceva nel 1258 e non mai prima del 1249. Il fatto del Tibaldello segui la notte fra i 12 ai 13 novembre del 1280 siccome trovasi autenticamente scritto nel libro dei memoriali per mano di quei dì.

Una cronaca riferisce che il Re Enzo fu preso il giorno di S. Bartolomeo. L'atto superiormente da noi dato che ordina la elemosina e parla di prigionieri è del Maggio, ma esso parla di sconfitta e non della presa del Re Enzio; sarebbero mai due fatti differenti, e che in quello dell'agosto poi, il Re Enzio fosse fatto realmente prigioniero? Di più i Bolognesi andarono ad attaccare Modena soltanto in Settembre, e come mai se avevano preso il Re Enzio in maggio, stettero poi tranquilli fino a settembre ? Lo stesso Muratori distingue la sconfitta, dalla presa ed ammette due separati fatti. Federico II scrisse ai Bolognesi, e questi poi all' Imperatore, documenti che entrambi trovansi in S. Pietro de Vineis. La pace coi Modenesi fu stipulata li 15 dicembre alla presenza degli Anziani. Il Negri però nel dare un cenno di questa pace, lo fa, ma troppo confusamente. Nell'atto è prima nominato il Cardinal Legato, poi il Podestà, Oddofredo e Passipovero, che vengono nominati, non come Anziani, ma come dottori, e questi a quei dì, siccome i Giudici non potevano essere anziani, ed esclusi da quel magistrato, avendo luogo permanente nel Consiglio Comunale, ma cominciarono però ad appartenervici soltanto nel 1340. Furono Anziani: Maestro Salatiello dottor d'arte notarla , Alberto dalle Chiavature, Alberto d'Oliveto, Giovannino Ghibertelli, Martino da Manzolino , Trigolo Odorici, Martino da Sala, Alberto di Pietro Salciccia, Petrizzolo Spinabelli, Michele da Sant'Alberto, Galvano Calzolaro, Bertolotto di F. Migliore.

Gli articoli della pace conchiusa furono ( sic ).

1. Che i Modenesi avessero gli stessi amici e nemici dei Bolognesi.

2. Che i luoghi muniti di quà dalla Scoltenna, potessero distruggersi a volontà del cardinale, e del podestà di Bologna.

3. Se Federico od altri del suo partito, volessero venire a Modena, ugual numero della parte Grassolfl ed Aigoni dovessero venire a Bologna, e militare dove il cardinale ed il podestà di Bologna volessero.

4. Che fossero liberati dal Bando quelli che erano a Bazzano quando questa venne in potere di Bologna.

5. Quod homines interiores ( cioè Graisolfi ) et Aigones eligant potestatem de Bononia vel interiores unum, et exterlores alium, vel d. Card et Potestas Bononiae provideant.

6. Che dalla parte del cardinale e del Comune di Bologna si mandassero guardie , per custodia di Modena a spesa dei Modenesi.

7. Che si concluda pace generale fra i Grisolfl e gli Aigoni.

8. Che il Comune dia opera , che l'una e l'altra parte degli Aigoni, e Grisolfl resti nella città. (Questo patto portò la rovina di Bologna, perchè cacciati i Grisolfl, i Lambertazzi s' impegnarono perchè fosse osservato questo articolo, opponendovisi la parte Geremea e cosi nacquero grandi dissidii.)

9. Che gli uomini di Modena potessero godere i loro terreni di qua dalla Scollenna come facevano prima.

10. Che la terra di Nonantola sia del Comune di Modena com'era; ma che i Modenesi non possino molestare i Nonantolani per la loro ribellione.

11. Che Roberto Pizzo cioè Pico, e Prendiparte suo nipote siano liberati dal Bando dai Modonesi.

12. Che i Bolognesi rilascino i Ferraresi presi nel campo Modonese meno pochi, e fino a tanto che non fossero liberi Corvolino Castelli , Lando d'Arimomlo, Allegratutti Bussolara, e Galvano da Sala.

13. Che il Comune di Parma, Milano, ed altri luoghi di Lombardia dalla parte della Chiesa giurino questa concordia.

14. Che questa concordia sia confermata dal Papa. Questi articoli fìrmaronsi nella piazza di Bologna presente il card. Ottaviano, Jacopo di Castel Arquà vescovo di Mantova, il vescovo di Bologna, e. Fra Trovato priore di S. Michele in Bosco.

In questa concordia non si parla dei Castelli del Frignano, ma il 6 dicembre gli ambasciatori di Parma promisero al cardinal Legato, e Comune di Bologna che rimarranno a questo.

Nello statuto del 1263 Lib. VII, trovasi questa rubrica in latino, che diamo qui tradotta — Volendo noi provvedere al pubblico decoro ed affinché sia questo per tutti comune, stabiliamo ed ordiniamo che il palio per la festa di S. Pietro nel mese di Giugno, che altra volta correva per la via di San Giovanni in Persiceto, da qui in avanti corra dal ponte di Reno fino alla porta del Serraglio ove sono le case di Rolandino dei Romanzi perchè crediamo riesca di pubblica comodità. E che il Ronzino che correva per la festa di S. Bartolomeo nel mese di agosto, debba correre non per detto luogo, ma dal ponte maggiore fino al trivio di Porta Ravegnana - Si è ben certo che questo statuto fu emanato in quel l'anno, perché era in vigore una legge che è scritta nello stesso statuto del 1249 in cui in calce trovasi. — Prova questo statuto che nel 1263 si correva il Ronzino di S. Bartolomeo. —.

Nello statuto del 1258 L. 7 Rubrica de Cursu Equorum trovasi - Essondo il corso dove si corre lo Scarlatto, il Ronzino, lo Sparviero, troppo lungo e pericoloso, stabiliamo ed ordiniamo che il corso dei cavalli che si fa per la strada nuova di S. Gio. in Persiceto, debba invece aver principio dal ponticello delle Asse, oltre la Canavecchia che trovasi verso S. Gio. in Persiceto e prosegua siccome prima praticavasi fino ad Clausuras Burgi Panicalis, (sembrerebbe fosse l'osteria della Scala posta sul bivio della strada maestra di S. Felice che s'unisce a quella di S. Giovanni in Persiceto) poi debbano gli uomini tanto militari quam pedites stare pei campi e non per la suddetta strada del corso e ciò per non essere d' impedimento ai così detti barberi , (cavalli di corsa ) e ciò abbia luogo da oggi in avanti e vi sia presente la potestà di Bologna.

Questo corso adunque aveva luogo nel 1258 o sibbene non indichi lo fosse pel palio di S. Bartolomeo, pure si rileva facilmente che apparteneva a quelli indicati nello statuto del 1263. Nello statuto del 1252 al 1253 benchè vi sia quella parte di statuto che corrisponde a questa Rubrica, pure nulla si trova di tutto questo, e ciò forse per non aver fatto alcun cambiamento. Nello statuto del 1249 da applicarsi al 1250 nello stesso libro sotto la stessa rubrica trovasi — Perché il corso dove si corre, il palio è troppo breve e non adatto, stabiliamo ed ordiniamo che lo stesso corso debba farsi sopra la strada, per la quale si va a S. Giovanni in Persiceto, principiando al Lavino e venendo fino alla strada del Borgo Pannale — Qui non si parla del Ronzino. Se la corsa del Ronzino avesse avuto luogo per la presa del Re Enzio si troverebbe denunciato nello statuto, però si è certo che non cominciò pel fatto di Tibaldello. Nel detto statuto libro 5°, trovasi de Cereis offerendis alle chiese: beati Petri , beati Ambrosii, beati Appolinaris, beati Dominici, beati Francisci, Sancti Isaiae, per la riportata vittoria dei Bolognesi a Bazzano, poi elemosine da farsi dal Comune ai frati di S. Giacobbe per l'inaugurazione della chiesa ( vi erano già da tre anni ) annuatim libras 50 bononenorum. — Ai frati minori libbre 500 (questi fabbricavano allora la chiesa) nelle quali si computavano libbre 1500 che il Comune di Bologna doveva a quello di Altedo per vari censi, e più per l'edificazione della chiesa, poi a S. Maria Maddalena Vallis petrae lib. 40. Questi erano Benedettini altra volta, che poi in quell'epoca passarono nell'ordine Eremitano Brettinense.

Ai 10 exeunte decembre nel consiglio di Modena si decretò che la concordia avesse effetto e che in avvenire Ie merci del Modenese potessero transitare pel Bolognese senza pagare dazio, cosi il Registro nuovo.

Ai 9 exeunte aprile. Si ordina che quelli che sono andati a Medicina ed Argellato, dopo il tempo dell'accordata esenzione non possano fruire di tal beneficio, ma poi nel 10 maggio cessarono tutte le esenzioni.

Il Muratori dice che i Manfredi occuparono Faenza fugando le truppe che vi avevano i Bolognesi, e che i Conti da Bagnacavallo s' impadronirono di Cesena. Nel corpo diplomatico Tom. 38 abbiamo un bando dei Bolognesi contro Ruggero conte di Bagnacavallo nel quale dicesi che allora era Podestà Alberto Caccianemici padre di Venetico. Si rileva ancora che i Bolognesi in quell'epoca erano all'assedio di Modena e che i Bolognesi con gli Anziani andarono a Ravenna pro reformatione dicti statuti, dunque vi avevano non indifferente giurisdizione.

Nel 1249 si trova un campione nel quale sono dettagliatamente descritte tutte le Fumantarie del contado e vi sono nominati i sapienti cioè i deputati a farlo. Questi furono quattro, tre dei quali erano dottori — Oddofredo giureconsulto, Gio. di Pietro di Michele, Albertino di Rolandino, e Tantidenari che era giudice.

Nello statuto del 1249 trovansi queste deliberazioni:

Che nessuno possa comprare folicello fuori della Città, ma che tutto debbasi vendere in città e nei borghi. Chiamavansi a quei dì borghi, perchè non ancora cinti di mura e cosi facenti parte della città. Da questa deliberazione ebbe principio il fissare un luogo pel mercato del Folicello.

Che non si faccia alcuna chiusa nel fiume Reno dal Pollicino (cioè la Longara) sino alle valli. 4 exeunte Augusto.

Che gli argentieri orefici etc. non possino abitare se non dalla croce di strada Castiglione fino alle cerchie , per cui ne vennero i nomi delle strade Borgo dell' Oro , Borgo dell'Argento. Le fabbricazioni dovevano aver luogo in queste località per evitare che le case di legno s' incendiassero. Trovasi poi ripetuta ed inserita questa rubrica nei provvedimenti risguardanti gl'incendi.

Che nessuno possa dare a prestito Veneziani grossi od altre monete di tutto argento per giuocare.

Che i fornari tavernieri brentadori non possano formare Società, eleggere Rettori o Ministrali , o Anziani.

Che in Castel Franco non abitino Cattanei , Valvassores, vel aliquis de Maxenata ( cioè sudditi dei Valvasori o Manenti ).

Che nessuno in Consiglio arringando possa fare elogi al Potestà o ad alcuno, appartenente alla propria famiglia.

Che si faccia una fortezza alla Moscaccia.

Negli Statuti a libro X trovasi Rubrica de electione Potestatis. Questa è la forma detta ad Brevia. Gli elettori del Podestà erano 20 appartenenti agli uffici del Comune, avendo ciascuno un elettore. In venti Brevi scrivevano: Elector Potestatis , negli altri elector degli uffici del Comune. Indi , se per esempio il numero dei Consiglieri presenti in Consiglio fosse stato di 300, ed i brevi scritti 100, ne aggiungevano 200 bianchi , poi in altra borsa ponevano in tanti brevi i nomi dei 300 consiglieri presenti, poi estraevano un nome, ed un nuovo breve scritto , ed a chi toccava , era elettore o del Podestà . o dell' ufficio. Questa era la forma ad brevia. Si vede che questa forma era più antica, perchè in un addizione si parla di tal forma praticatasi nel 1245, poi confermata. I 20 fatti elettori del Podestà dovevano unirsi por nominare il Podestà, ed era eletto quello, al quale toccavano sedici voti degli altri officiali poi del contado, ciascuno nominava il suo, ed in quel caso non era proibito nominar sè stesso.

Nella Rubrica De electione consilii trovasi che nella detta forma ad Brevia si esimevano 4 per quartiere , che in tutto erano 16 che eleggevano prima il Consiglio speciale o di credenza composto allora di cinquecento individui. Questi sedici elettori si radunavano, e nominavano ciascuno tanti consiglieri per ogni quartiero, che poi complessivamente sommassero a cinquecento. — Duravano nel Consiglio un anno, ma per lo più erano conformati negli anni successivi. Eranvi pure — Milites de comitatu, cioè nobili del contado che abitavano fuori città, erano molti ed eleggevano 600 uomini nelle stesse forme più sopra accennate ma però dovevano possedere beni, e stabili. Si sceglievano pure 40 individui del contado possidenti che non fossero nobili o milites. Questo era un Consiglio che non si radunava mai da sè ma soltanto chiamato dal Consiglio speciale in certe occorrenze, ed allora questi due Consigli uniti, si chiamavano Consiglio Generale. Quando suonava una campana grossa si radunava il Consiglio speciale, ma quando in unione a questa suonava una piccola, denotava anche l'adunanza dei 600, cioè il Consiglio Generale.

Il Negri cita un Arimondo di Salvetto Scanabecchi ma vien questo soggetto confuso con due altri. Vi fu un Albertino Scanabecchi dottore in Leggi secolare e non canonico, che lasciò dei figli o viveva nel 1256, siccome Arimondo d'Alberico da San Pietro, dottore in leggi e neppur esso canonico. Quella famiglia abitava prossimamente ai Ramponi e precisamente a capo delle via Roma chiamata da S. Pietro. Questi si trovano citali a tutto il 1300 .siccome appartenenti a famiglia nobilissima e di prim'ordine. Un altro Arimondo che aveva per moglie una figlia di Ugolino detto Caprezzo de' Lambertini figlio di Guido, fu fratello (? - Breventani) di uno dei fondatori dei Gaudenti (Orig. ... figlio di Guido, fu uno dei fondatori dei Gaudenti). Che questi de Sancto Petro abbiano che fare coi Sampieri d'oggidì non lo sappiamo. Egli è però indubitato che i moderni Sampieri cominciano a nominarsi quando quelli cessarono di essere.

Nelle lettere di Guitono vi è una prefazione , nella quale si nomina Loderingo Andalo e citasi un codice antico esistente nella Vaticana ove trovasi questa espressione: Queste fece Loderingo Carbone Bolognese. Arimondo era fratello di detto Loderingo, Castellano di Brancaleone, Andalò di Arimondo, e F. Loderingo Brancaleone figlio del primo Andalò.

È indubitato che il Re Enzio fu posto nel Palazzo Nuovo allora fabbricato, e così detto quello in cui oggi trovasi l'Archivio; ma che ivi Federico offrisse il cordone d' oro pel riscatto del Re Enzio è mera favola. La Chiesa di S. Appollinare fu demolita in quell'anno ed era nel cortile del Comune poi facente parte della piazza del Gigante, di proprietà della canonica di Monteveglio, allora collegiata dai canonici di S. Fridiano di Lucca, ai quali il pubblico in sua vece assegnò la chiesa di S. Ambrosio.

Il priore di S. Vittore, e di S. Giovanni in Monte a quei dì era fratello di un Rambertino Tibaldi la cui famiglia abitava nell'angolo ove sono le prigioni del Torrone di faccia alle Gabelle. Era famiglia potente. Innocenze IV dispensò i gradi di consanguinità fra Brancaleone Lambertazzi e Belvisa di Rambertino Bualelli. I Bualelli , i Primadizzi, e Geremei erano consorti tutti e provenienti da uno stesso stipite.

Nel libro delle Riformazioni avvenute al tempo di Rizzardo Villa, Podestà di Bologna e precisamente del 1258 si trova il seguente decreto sotto la data delli 8 giugno a rogito d' Isnardo da Montasico notaio, e depositato nell'archivio di S. Francesco:

"Che sia attesa l'istanza fatta dal Papa e dal suo Cardinal Legato, e sia ricevuta con gran reverenza, e devozione, e che sia mandata in esecuzione dal popolo, e Comune di Bologna , e ciò fino che parrà a detto Comune e popolo".

Sotto la data del 19 Agosto 1280 a Rogito di Nicolò di Vitale notaio di Ferrara nell'archivio di S. Francesco trovasi:

"Pace e concordia fra le città di Bologna, Ferrara , Padova, Verona e Mantova, per occasione delle guerre seguite fra le parti, con diversi patti e condizioni di distruggere vari castelli e rifare i danni sofferti".

Nell'anno 1296 a rogito di Michele Brasca depositato nell'archivio di S. Francesco trovasi:

"Deputazione fatta dagli Anziani Consoli di Bologna, di Roberto Pavanesi, procuratore , Foscarari Bongarino Zovenzoni, lacopo Soldadieri per riscuotere le colette imposte ai cittadini di un denaro per libbra, ed i denari del Consiglio dei 4000, e quelli, depositare presso Orso Bianchetti, per pagare il Capitano e le guardie da tenersi a difesa dello strade e castelli del Comune di Bologna. Li 18 aprile Orso Bianchetti confessa d'aver ricevuto da Uberto o Roberto di Federico Pavanesi Lire 500, e Lire 450 in due partite, e li 23 aprile Lire 600 per titolo siccome sopra".

A rogito 12 novembre 1301 di Mattiolo d'Ardizzone nell'archivio di S. Francesco trovasi:

"Decreto del Consiglio del Popolo e Comune di Bologna contro i Magnati, Nobili, e potenti che ricusano pagare i loro debiti , aflìnché siano posti al Bando del Comune di Bologna e siano puniti, e la loro effigie dipinta nel palazzo del Comune, siccome traditori".

Il 15 settembre 1301 a rogito Guglielmo Saliceti, nell'Archivio di S. Francesco trovasi:

"Promissione fatta dai Presidenti all'ufficio della Biada pel Comune di Bologna, e da sapienti di ciascuna compagnia d' arti, e d'Armi della città di Bologna , col consenso del Consiglio del Popolo, e comune di Bologna sopra il deputarsi da Gruamonte Lambertini, persone giuste, ed onorate a comodo del Comune di Bologna per far lavorieri, canali, ed altri edifizi a benefizio di detto Comune."

Il 5 ottobre a rogito Bartolomeo Bombaglioli , trovasi un decreto del Consiglio e popolo del Comune di Bologna col quale gli anziani debbano ogni anno andare nel mese di Agosto a visitare la chiesa di S. Domenico per la sua festa e spendervi ogni anno in cera, ed oblazioni Lire 100, come pure nel mese di ottobre quella di S. Francesco pel suo titolare.

Nel 1410 Alessandro V sommo Pontefice morì in Bologna li 3 maggio e si disse per veleno fattogli somministrare dal Cardinal Legato Cossa.

II conclave fu tenuto in Bologna, nel quale li 11 maggio fu eletto papa il Cossa a furia di minaccie, tenendo l'esercito a sua disposizione ed assumendo il nome di Giovanni XXIII. Ai 25 fu coronato. Dopo pochi giorni partito per Roma il popolo si sollevò facendo prigione il Legato ed occupando il palazzo, nominando un Gonfaloniere, 8 Anziani, tutti plebei atterrando la cittadella ed inaugurando il governo dei Zompi e degli Arlotti che dominò soli 14 mesi, essendo cacciato in agosto del 1412 da Guido Popoli, Battista Bentivogli, Antonio Guidotti, lacopo Isolani, Tenca Ubaldini, Giovanni Lodovisi cogli Alidosi ed i signori d'lmola e loro seguaci che lo ridonarono alla chiesa. Il Cossa aveva fatto molte promesse alla nobiltà Bolognese qualora fossero riusciti a cacciare i plebei e ridonargli il perduto dominio, ma ciò non fu da lui mantenuto che ricordando invece gli oltraggi sofferti per gli Scacchesi quando era Legato , ordinò che in un prefisso giorno fossero arrestati 125 Scacchesi, tra i quali Nicolo Zambeccari, ed Antonio Guidotti che furono carcerati in Roma, molli decapitati ed altri confinati in varie Rocche.

Da quest'epoca fino alla metà del secolo XVI corrono i tempi Bentivoleschi e di Giulio II. che toccammo già , ne rimarrebbero ulteriori notizie ad aggiungervi, cosi ci fermeremo al 1527 anno ben doloroso, dacché il territorio Bolognese ebbe a soffrire gravissimi danni pel passaggio del Duca di Borbone che ebbe luogo il 2 aprile nel quale si raccolsero elemosine che ammontarono a Lire 78000 distribuite a poveri nel successivo anno. Poi nell'autunno cominciò la peste che privò di vita 70000 persone , per cui nel 1528 fu posto un balzello sul pane, di un Bolognino per corba che fu chiamato il bolognino del morbo e questo, onde improntare una cassa che potesse supplire ai bisogni e sostentamento dei poveri, qualora si rinnovasse si tanto flagello. L'incasso annuo che se ne ritraeva era di ducati 2000. L'anno 1533 Bologna non ebbe Podestà e nel 1534 congiurossi uccidere il Governatore Francesco Guicciardini. Nel 1535 Paolo III. nominò Legato Guidascanio Cardinal Sforza suo nipote d'anni 15.

Alli 7 febbraio 1550 fu eletto Papa Giulio III, al quale il reggimento spedi 4 ambsciatori per congratularsi, o cioè Attesso Pepoli, Ercole Malvezzi, Gaspare Dall'Armi, Girolamo Grassi, i quali ottennero che per l'avvenire in Roma vi fosse un Ambasciatore Bolognese colà residente, in sostituzione di un segretario siccome in antecedenza si era praticato, ed il primo a coprire quella dignità fu Giorgio Manzoli.

Nel 1507 Pio V voleva mettere un balzello a Bologna per far denari da mandarsi al Re di Francia. I Collegi spedirono a Roma por loro Deputato Agesilao Marescotti , membro di uno dei Collegi , che parti per colà il 25 novembre, onde ottenere dal Papa che vi rinunciasse, ma questi invece spedì a Bologna Pier Donato Cesi vescovo di Narni che giunto il 10 decembre , riunì il reggimento il 17 coll' intervento dei Collegi, nel quale si decretò di pagare ducati 60000, e perciò fu accresciuto il dazio dei fasci e della legna alle porte, di 6 quattrini, erigendo in pari tempo un monte all' 8 per cento che fu detto il Monte sussidio che durò fino al 1581.

Ai 26 febbraio questo pontefice ordinò che tutti gli ebrei sloggiassero da Bologna, siccome fu li 20 Maggio in numero di 800 pagando la somma ingentissima a quei dì, di Scudi 40000 dei quali ne donò 10000 ai Catecumeni ed altrettanti al Monte di Pietà. Li 22 Luglio furon tolti i portoni che chiudevano il Ghetto in numero di tre, e cioè uno in un Porta Ravegnana, uno da S. Nicolò degli Alberi, dirimpetto alla casa dei Bevilacqua di Ferrara e l'altro dalle case Manzoli in Strada S. Donato.

Nel 1571 Francesco Maria Ghisilieri uno dei tribuni della plebe, ed il Senatore Gio. dall'Armi, partirono li 20 maggio per Roma , onde rimuovere Pio V. dal proposito di fabbricare la fortezza di Castel Franco ma tornarono li 14 Giugno senza aver nulla ottenuto. Furono a questi due assegnate L. 150 per vestirsi , 50 pel viaggio, e 80 per provvigione mensile. Morto Pio V il primo Marzo, fu eletto Gregorio XIII che scrisse al reggimento li 15 maggio di demolire le fortificazioni cominciate a Castel Franco e la demolizione ebbe cominciamento li 19 maggio. La Camera di Bologna donò agli Anziani, Collegio Massari dell'Arte, ed ai quaranta una medaglia d'argento, del valore intrinseco di un ducato per ciascheduna, nella quale da una parte vi era l'effìgie del Papa, e dall'altra quella di Castel Franco.

Li 7 giugno 1573 molte persone furono prese da febbre infiammatoria, ed infiammazione alle mammelle che in maggior numero colpì i fanciulli, malattia che fu chiamata il mal masone che infierì pel corso di venti giorni.

Li 19 settembre la compagnia del sacramento della Cattedrale di S. Pietro in numero di 170 uomini partì per Roma, toccando la via di Loreto, e per mezzo loro il reggimento mandò in dono alla Santa Casa una Bologna d'argento. Tornarono il 20 ottobre.

La notte del 19 ottobre 1580 furono schiodati alcuni scabelli del Torrone, delle Cancellerie del Legato, del Tribunale dello Grascia , ed alcuni libri gettati nelle fontane di piazza, ed altri col sigillo del Legato appiccati ai ferri delle ringhiere, ove s'impiccavano i malfattori, poi furono affìssi per la città libelli infamanti contro il Legato. Il Legato, il Senato, il Collegio dei dottori e vari corpi della città offrirono premi a coloro che ne avessero scoperto gli autori, ma tutto riuscì inutile.

Nel 1591 i banditi scorazzavano a grosse torme la Romagna, imponendo ingenti riscatti, e mettendo a ruba e sacco le terre, le castella ed anche le città, e benchè Bologna non si trovasse sprovvista di milizie e ben guardata da' cittadini, nullameno sui primi di febbraio riuscì a quei sciagurati componenti quelle bande di riunirsi ed impadronirsi delle porte di S. Felice ed avanzandosi nell'interno della città dopo aver ucciso varie persone , fatti prigione due Senatori nelle persone del cavalier Castelli, ed Alessandro Ariosto uscire di bel nuovo lasciando libere le porte e trascinando seco i due Senatori ritornando al campo loro (cosi il Marchesi, Storia di Forlì fol. 279, Lib. 2. Storia di Lugo Lib. 1. Cap. II). Nessuna cronaca di Bologna parla di questo fatto abbastanza importante per la natura sua stessa per cui è a ritenersi mera invenzione, dacchè i cronisti che non lasciarono inosservati fatti di ben minor conto, non avrebbero dimenticato questo si tanto importante.

Si trova bensì sotto la data 27 Giugno 1589 che la notte, il famoso bandito Romagnoli con soli 4 cavalli condotto da Francesco Campieri di Castel Bolognese bene armato, recossi a Belpoggio dal conte Ranuzzo Manzoli palazzo già Bentivogli fuori di porta S. Stefano senza però indicarne i dettagli, ed è questo il solo attentato che i nostri scrittori ricordino in ordine agli assassini, che ad onta del tanto rigore di Sisto V continuamente desolavano lo stato Pontificio.

Termineremo questa appendice che chiameremo zibaldone con qualche altra notizia risguardante il secolo XVII.

Nel 1614 il Confalaniere, Anziani, e Podestà non escivano mai in pubblico il giorno che aveva luogo qualche pena capitale in Piazza. Essendo stato assegnato il Dazio Piazza al capitolo di S. Petronio ed incontrando qualche difficoltà nell' esazione , mentre il Reggimento voleva restringere i confini della piazza per la cui determinazione sorsero differenze non poche che poi si tradussero in lite formale si venne ad un componimento nel quale il Senato assunse l' incasso del dazio obbligandosi pagare ogni anno al detto Capitolo L. 6000 in ragione di L. 500 al mese per distribuirle fra detti canonici, e capitolo coi patti e forme registrate nell'istrumento fino dal 13 Febbraio 1615 con bene placito, come da rogito di Gio. Francesco Tamburini notaio.

Ai 27 novembre 1622 prima Domenica dell'avvento furono pubblicamente abiurati per eresia in S. Petronio, Costantino Saccardini distillatore romano che teneva bottega nel Mercato di Mezzo, e che era stato buffone di corte di D. Antonio Medici e del gran Duca Ferdinando I poi del cardinal Giustiniano d'anni 50 circa ed era il maggior delinquente — Bernardino suo figlio di anni 22 in 24 circa, Girolamo Tedeschi abitante in Pietralata sotto Santa Cristina detto dai Bottoni, in conseguenza del suo mestiere, d'anni 42. Pellegrino suo fratello spia dei Collegi (da alcuni cronisti creduti della stirpe nobile d'oggidì). Dalle Moline d'anni 36 circa prese l' impunità, e certo caporale Giovanni Colombino Lucchese, il quale sebbene per molti indizi fosse già giacente nelle carceri, siccome capo fu condannato a vita e messo a parte della taglia. Costantino era stato fatto poi cattolico. Costoro imbrattavano le immagini, credevano che la sodomia gli stupri, gl'incesti non fossero peccato , non digiunavano, mangiavano sempre cibi proibiti e continuarono in simili scelerataggini per anni tre senza che potessero essere scoperti. Attaccavano cartelli sacrileghi contro Dio, la Beata Vergine, ed i Santi , ridendosi delle taglie, od orazioni che s'innalzavano al Cielo quotidianamente in varie chiese onde ottenere la grazia di scoprire gli autori. Scoperti finalmente e condannati dal competente tribunale venne l'exequatur da Roma per le pene capitali, per cui la notte del 27 novembre 1622 ad ore dodici furono condotti dagli sbirri e dalla compagnia di Santa Croce in S. Petronio nelle stanze del predicatore, e di là nel dopo pranzo alle ore 21 nella chiesa su di un gran palco, nel quale eranvi il Soffraganeo Gozzadini, il vice Legato, il Gonfaloniere, gli Anziani, i Collegi, quelli della Compagnia della Croce e l' Inquisitore, ove letti i processi furono dichiarati eretici e degni di morte. La funzione durò due ore, e terminata furono condotti dal braccio secolare alle carceri del Torrone accompagnati dalle sbirraglie e dai Cavalleggieri onde evitare l' ira del popolo che temevasi potesse contr' essi irrompere. Il palco era innalzato dinanzi l'altar maggiore di S. Petronio, nella qual chiesa ebbero luogo parecchi disordini per l'immenso popolo accorsovi. La mattina del 28 furono posti sopra due carri a due per carro e condotti pel Mercato di Mezzo, per le Calzolarie, Orefici, al voltone Caccianemici , dalla Croce dei Santi, da S. Francesco per Galliera al Mercato, dove a Costantino fu prima tagliata la mano dritta , poi tutti appiccati e quindi bruciati. Furono condotti per tutte quelle strade, nelle qua li avevano commesse le loro turpitudini verso le tante immagini, che in quel di erano tutte apparate a festa. Sul palco in S. Petronio nacque una disputa fra l'auditore del torrone ed il tesoriere applicato, per etichetta di autorità e di posti scambiati.