Bianchi o di Cossa

Nel 1228 erano popolani di parte geremea, ma non vi lasciarono nessun' altra traccia. È però probabile che si fosse in causa delle fazioni che i Bianchi passarono ad abitar Firenze. Quando furono di là sbanditi tornaron qui e considerati come firentini vennero ascritti alla compagnia militare dei Toschi (1). Essendo tra coloro che nel 1303 tramarono di dar Bologna al marchese di Ferrara, ebbero bando, confisca e la torre abbattuta. Seguaci dei Pepoli, nella cacciata di Romeo ebbero le case incendiate e l'esilio. Insieme con i Pepoli furono tutti richiamati nel 1328, eccetto Biancolino e Giordino. Il qual Giordino si guadagnò la condanna di morte, non eseguita, per un trattato già da cinque anni ordito in favore di essi Pepoli (2).

Bianco, Berto e Jacopo furon citati dal papa nel processo sulla cacciata del cardinal Du Pojet (1337). Allettati o intimoriti votarono tre anni dopo, con altri dei loro, per la signoria papale. I Bianchi congiurarono la terza volta per i Pepoli nel 1360 e per un supposto trattato contro l' Oleggio vennero decapitati Jacopo, suo figlio Tàno, e Bornio di Tordino (1354) (3). Concorsero coll' Azzoguidi a collegare le fazioni per liberar Bologna dalla soggezione del papa, ma quando l' Azzoguidi lasciò scorgere che macchinava per i Pepoli, i Bianchi si opposero, non ostante le antiche loro simpatie (1376). Alle quali lasciarono poi libero il corso quando fu tramato d' introdurre Taddeo in Bologna e di acclamarlo signore (1386). Si associarono ai Ramponi per reprimere la soverchiante fazione maltraversa (1393) (4) e dovettero incorrer nel bando, poichè dopo, a riprese, venne loro rimesso, ad istanza del popolo (1398, 1401). Non andava però guari che Giovanni e Giordino eran nuovamente banditi dal Malaspina, governatore pel duca di Milano (5).

Fra gli uomini d'arme e di governo primeggia Alberto, al quale, come a colui che soprintendeva alle fortezze e alle castella bolognesi, fu commesso di erigere una bastìa presso Castelfranco per frenare le incursioni del marchese di Ferrara (1377); ma costui ne interruppe e ne demolì il lavoro inviandovi sopra i suoi Bretoni. Alberto andò poi commissario con le milizie spedite in aiuto di Mantova minacciata dal Visconte (1397) e vi tornò lo stesso anno comandante d' uno dei sette galeoni, detto il leone, spediti da' Bolognesi (6). I quali Bolognesi, minacciati poco prima essi stessi dal Visconti (1389), avevano inviato Pietro Bianchi a Carlo VI re di Francia per soccorso, e Pietro ne aveva riportato non solo promessa di protezione, ma un donato orifiamma che venne accolto dai Bolognesi a braccia aperte, quasi fosse calato dal cielo così come narravasi che l' archetipo era venuto giù a bear Clodoveo (7). Non è dunque a meravigliare, nè a credere clie il premio eccedesse, se il comune per gratitudine di siffatto beneficio concedette a Pietro Bianchi l' investitura perpetua del castello di Piano sull' alto Appennino, tramutata poi in contea da Clemente VII. Questo Pietro, primario della fazione scacchese, aveva partecipato alla rivoluzione fatta dall' Azzoguidi ed era stato uno dei confinati favoreggiatori dei Pepoli, ambasciatore a' Firentini ed a Urbano VI in Avignone, podestà di Perugia (1398) e de' XVI riformatori (8).

I Bianchi diedero tre professori di leggi allo studio bolognese; Pandolfo nel secolo XV, Annibale e Bagarotto nel susseguente (9). Entrarono centosessantasei volte tra gli anziani dal 1398 al 1796, e dal 1466 in poi ebbero posto in senato.

La torre loro, abbattuta per decreto pubblico nel 1303, avevala comprata nel 1280 con la casa aderente per 800 lire Cossa del già Aldobrandino di Cossa ( o de' Bianchi ) insieme con suo figlio Bianco, da un Bonaccursio del già Guaci o Guazi di Mantova che dimorava in Bologna (10). E un Opprandino detto il Rosso, già figlio di Giuliano da Modena, aveva ceduto ad essi Bianchi i proprii diritti sulla torre e sulla casa sopraddette, le quali erano situate nel popolo di s. Stefano e confinavano con gli eredi di Lamberto Bombelli ossia Brunito, Marcoaldo e Fazio del Ferro, con strada s. Stefano, con la via che dall' anzidetta conduce a strada Maggiore e con Zaccaria Liuzzi (11). Indicazioni che concordano con quelle del Guidicini (12), le quali additano la casa n. 96 in strada s. Stefano, fiancheggiata dalle vie Trebisonda e Allemagna che immettono in strada Maggiore, come la casa primitiva dei Bianchi abbandonata da loro soltanto nel 1772. E aggiungono che Filippo Bianchi l' abitava nel 1287 e Pietro ( dell' orifiamma ) e fra Bagarotto nel 1389, cioè quando la torre dei Rodaldi vi si rovesciò sopra guastando anche le case vicine dei dal Ferro e dei Cospi. Allora Francesco di Giordino Bianchi, come ministrale della parocchia, diede una denuncia per questo disastro, come dirò nell' articolo Rodaldi. Ho notato che questa casa era stata arsa l' anno 1321, nella cacciata di Romeo Pepoli. Il Ghirardacci (13) a questo proposito vorrebbe far credere, e temo non vi riesca, una supposta inimicizia tra i Bianchi ed i Rodaldi e che la torre si fosse incaricata di vendicare questi ultimi, cadendo sulle case dei loro nemici.

(1) Fantuzzi, Notiz. v. 2, pag. 177.

(2) Histor. misceli, col. 306. De Griffonibus M. Memor. hist. col. 133. Ghirardacci. Hist. v. 1, pag. 450; v. 2, pag. 13, 84, 103.

(3) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 240.

(4) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 340, 347, 405, 470.

(5) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 541.

(6) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 360, 361, 494.

(7) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 430, 431. La leggenda che attribuisce questa portentosa origine all'orftìamma risale a Hinemar vivente nel IX secolo (Vie de Saint Remy). Chi si piacesse della storia più che della leggenda potrebbe ricorrere all' Histoire du Drapeau par M. Rey, Paris 1837 : 2 volumi.

(8) Dolfi, Cronolog., pag. 153.

(9) Mazzetti, Repert, pag. 55.

(10) Docum. n. 110.

(11) Docum. n. 111.

(12) Cose Not. v. 5, pag. 63.

(13) Hist. v. 1, pag. 429.