Beccadelli
Così detti da un Beccadello staccatosi dagli Artenisi, che intervenne come membro del consiglio generale, nel 1216, al giuramento dei patti stabiliti dal comune co' Fiorentini e nel 1219 alla conferma della lega con i Reggiani (1). Ebbero il consolato, il grado senatorio tardi, e l' anzianato, fino al 1795, trecento tredici volte. De' molti che militarono due diconsi crociati, e Pietro, Mino, Napoleone, Gozzadino, Bartolo, Colaccio e Tarlato furono capitani nel secolo XIV. Carlo militò in Francia e con l' esercito condotto dal maresciallo Lautrec fu all'assedio di Napoli (1528), che costò la vita al maresciallo. Imbarcatosi per tornare in Francia, venne preso da corsari e tradotto a Tunisi, ove stette sedici mesi in potere di Mulei-Assen, famoso per crudeltà. Paolo, circa allo stesso tempo capitano « delle squadre de' soldati vecchi » di Ferrante Gonzaga vicerè di Sicilia, combattè valorosamente nella spedizione d' Algeri fatta da Carlo V ( 1541 ) (2).
I Beccadelli erano geremei popolani nel 1228 e affermarono con la fazione la pace del 1279. Come buon geremeo e buon nemico de' lambertazzi, Bernardino fu graziato nel 1297, senza che sia detto perchè fosse in bando (3). Ma nel 1303, scopertasi una congiura in favore d'Azzo d'Este, furono confinati come complici Jacopino e Bornio suo figlio, confiscati i loro beni e fattene demolire le torri. Il popolo seguendo i proprii istinti incendiò le case degli espulsi, ma dopo di averle saccheggiate (4). Scorsi tre anni, per un altro trattato in favore de' lambertazzi, d' onde risulta un volta faccia de' Beccadelli, il podestà Ferrapecora, fatta accendere una candela del costo d' un denaro sulla ringhiera del palazzo, citò i capi della congiura a comparire prima che la candela fosse consunta. Compiuta questa formalità, i citati non comparsi, fra i quali una decina di Beccadelli, furono dichiarati contumaci e banditi, col solito accompagnamento della confisca, del saccheggio e degl' incendii (5).
Dopo sei anni d' esilio i sopraddetti Beccadelli furono richiamati e dal consiglio vennero loro, assegnati i possedimenti di Jacopo da Ignano ribelle. È una riparazione, che porta a credere ingiusta la condanna anteriore. Ma poco poi Enrico imperatore diede anch' egli de' guai a' Beccadelli, citandone sedici (6). Sapevan però rifarsi sugli altri, e da schietti maltraversi andarono nel 1321 ad assalire l' opulente e in trigante Romeo Pepoli nelle sue case, aizzando contro lui la bordaglia. Non poterono però averlo nelle mani, chè prese il largo; ma allorchè l' anno dopo tentò di tornare a Bologna co' suoi partigiani e già vi era entrato per porta Maggiore, fu combattuto e respinto dal popolo e dai nobili tra i quali eran de' Beccadelli (7).
L' avversione ai Pepoli portava a seguire i Gozzadini, sì che quando Brandoligi capo di questi ultimi salì con la spada insanguinata sulla ringhiera del palazzo, chiamando il popolo alla riscossa contro il legato cardinal Du Pojet (1334), colui che voleva disperdere le sacre ossa di Dante, Colacclo Beccadelli con un grosso drappello s' impadronì della porta d' esso palazzo, d'onde poi la citazione del papa. Se non che, espulso il legato, le fazioni invece di conciliarsi si azzuffarono, prevalendo la scacchese o dei Pepoli. I Beccadelli si raccolsero sulla piazza di s. Stefano, poi scorsero sino alle case dei Sorgi (8) mettendole a fuoco, così come altre di avversarii.
I perturbatori non andarono però impuniti, chè i maschi di alquante famiglie dai tredici ai settant' anni furono messi al bando e pochi dei Beccadelli ne andarono eccettuati. I quali vennero poi espulsi l' anno appresso, come complici de' fuorusciti nel tentativo fatto di rientrare in Bologna (9). Oltre di che in onta loro fu abbattuta una quercia antichissima che sorgeva in mezzo del piazzale di s. Stefano, detto anche Trebbo de' Beccadelli, sotto la quale erano soliti di convenire i primarii cittadini. Di che fu talmente esasperato Vannino Beccadelli da partirsene il giorno stesso per la Sicilia, ove i suoi discendenti detti i Bologna, de' quali il celebre Antonio Panormita, ebbero dominii e titoli, e sono tuttavia de' maggiorenti (10). Il ceppo bolognese sussiste altresì.
Circa questo tempo era Napoleone, o Polione, pel quale i libri delle riformazioni secondo che è riferito dal Ghirardacci (11) hanno parole molto onorifiche, che voltate in italiano son di questo tenore : « Poichè è notorio al popolo bolognese che Polione Beccadelli commendevolmente e con grande sollecitudine e fatica, esponendo la vita e riportando gravi ferite, si adoperò a ricuperare la libertà di esso popolo contro coloro che la impedivano; e poichè il popolo bolognese è solito di retribuire i meriti, perciò ecc. » Questo Napoleone era stato capitano in Lombardia e per il papa e pel re di Napoli. Andò nel 1326 podestà a Padova affranta da guerre esteriori, ma pronta alle interne, come in breve fu manifesto. Imperocchè Ubertino de' Carraresi e Tartaro da Lendinara avendo ucciso Guglielmo Dante congiunto d' Ubertino, furono banditi capitalmente ed ebbero i palazzi atterrati. Si rifuggirono presso Cane della Scala e inveleniti gli offrirono di dargli nelle mani quella Padova ch'egli agognava: ma i rimasti Carraresi che la volevan per loro, conosciuto il pericolo blandirono Ubertino e accrebbero l' odio dei Dante, i quali subornarono il Beccadelli malcontento dei Carraresi. E, avutane promessa li assisterebbe con le milizie del comune per iscacciare que' loro avversari e tutti i ghibellini, cominciarono la sollevazione al grido muoiano i traditori Carraresi. Polione chiamò con la campana il popolo in arme sotto le insegne del comune, ma i Carraresi sbucando dalle proprie case minacciate, appiccarono e poi rinnovarono fierissima zuffa, e benchè quattro di loro rimanesser feriti, pure combatterono sì valorosamente che prevalsero ed anzi guadagnarono il principato. Rientrarono allora i micidiali Ubertino e Tartaro avidi di vendetta e levato rumore corsero con torme armate la città e fecer impeto contro il palazzo del podestà, nel quale penetrarono furiosi trucidando tutti quelli che vi trovarono. Polione Beccadelli che s' era intanto ridotto sul tetto si gettò giù, non avendo altro scampo, ma i seguaci d' Ubertino gli furono sopra e con più colpi l' uccisero (12).
I Beccadelli ottennero di ripatriare durante la signoria dell'arcivescovo Visconti (1350), benchè alcuni di loro avessero pubblicamente lamentata la vendita di Bologna fatta dai Pepoli. Poscia, non più buoni patriotti, favorirono l'Oleggio che agognava questa città (1355). Poi con foga versatile dieder mano all' Azzoguidi per liberarla dal dominio papale (13) e a Niccolò d' Este per tentare di farla sua (1376). Ma il tentativo non riuscito costò la testa a due Beccadelli, Matteo e Lippo, ad altri due fruttò il bando. L' ebbe anche Tarlato per sospetto che meditasse d' impadronirsi di Bologna e non volle profittare del successivo indulto (1391), se non dopo sei anni e dopo che Carlo Zambeccari signoreggiante fece richiamare tutti gli espulsi. Questo Tarlato fu rinchiuso in fortezza durante il breve dominio su Bologna di Giangaleazzo Visconti, finito il quale fu liberato (1403) (14).
Nel secolo XVI tre Beccadelli insegnavano nel nostro studio: Galeotto la filosofia e la medicina, Lodovico e Vincenzo la legge. Nello stesso tempo un altro Lodovico, distinto cultore delle lettere, che aveva famigliarità con molti letterati insigni, fu nunzio a Venezia e inviato a Federico imperator de' Romani, quando Lutero cominciava ad agitarsi (15).
Le case torrite de' Beccadelli ' erano in via s. Stefano (n. 85, 86) e facevano angolo con Borgonovo a sinistra di chi entra in quest' ultima strada. Furon arse e ruinate dal popolo nel 1303 e nel 1305, e nel primo di tali anni atterrossi anche la torre in punizione d' una congiura per Azzo d' Este. Il guasto ov' erano state le case fu venduto dai Beccadelli a Burnino Rustigani nel 1398 e perdurò in gran parte fino al secolo XVII (16).
(1) Savioli, Ann. v. 4, pag. 265, 395.
(2) Dolfi, Cronolog., pag. 100, 102.
(3) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 249, 250.
(4) De Griffbnibus M. Memor. col. 133. Ghirardacci, v. 1, pag. 450.
(5) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 487, 490.
(6) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 557, 566.
(7) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 30.
(8) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. Ili, 115.
(9) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 115, 116.
(10) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 128. Savioli, Ann. v. 3, pag. 6.
(11) Hist. v. 2, pag. 56.
(12) Ghirardacci, HiSt. v. 2, pag. 63. Verci, Stor. della Marca, v. 2, pag. 41-46.
(13) Ghirardacci, Hist. v. 2. pag. 204, 206, 225, 340.
(14) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 258, 547.
(15) Fantuzzi, Notiz. v. 2, pag. 5.
(16) Guidicini, Cose not. v. 5, pag. 54.