Fratta (dalla)

Ebbero tre volte il consolato: Enrico lo tenne nel 1165 e nel 1170. Egli era stato con altri due bolognesi oratore a Francoforte, ove celebravansi i comizii germanici, che riconobber re Enrico di Corrado, e riportò la conferma delle ragioni e delle immunità del comune (1147). Accompagnò il podestà di Bologna al parlamento di lega intimato a Piacenza nel 1183 (1). Venne ucciso da Ferraresi e pare che non solo ne seguissero rappresaglie, ma eziandio inimicizia tra il comune di Bologna e quello di Ferrara, poichè, nel parlamento tenuto a Dugliolo nel 1193, furono condizioni di pace tra questi due comuni che gli offesi e loro congiunti, sì maschi che femmine dai dodici anni ai sessanta, giurassero d' attener la pace; e se qualcuno o Bolognese o Ferrarese, e specialmente se i figli e gli eredi dell' ucciso Enrico della Fratta ricusassero prestare o violassero il giuramento, fosser puniti di bando e di confisca fino ad ammenda compiuta (2).

Un altro Enrico dalla Fratta fu assunto al vescovado di Bologna nel 1213 e presto cominciò ad aver discordie col comune per un malfattore imprigionato dal podestà nel distretto di s. Giovanni, in cui il vescovo pretendeva aver giurisdizione. L' anno appresso le discordie si riaccesero per la stessa cagione, e, per non essere stati risparmiati gli ecclesiastici, le censure furono lanciate, ma poi ritratte (3). Dopo un altr' anno insorsero nuove questioni per l' elezione del podestà nelle terre del vescovado, che a sè medesimi attribuivano tanto il vescovo quanto il comune. Arbitrarono i due maestri Bagarotto e Ugolino, favorevolmente pel comune (4).

Frattanto Enrico erasi recato al quarto concilio lateranense (1216) e poscia si mise al seguito di Federico imperatore, il quale, con codazzo di vescovi e di magnati oltramontani, mise le tende sul picciol Reno (1220) (5).

Ma l' irrequieto vescovo si bisticciò anche con l' abazia di Nonantola, sì che a far cessare i litigii veniva legato Ugo vescovo d' Ostia a pronunziare un lodo (1221 ) (6). Poi lo stesso Enrico, per le stesse cause, ebbe nuovi dissidii col comune, il quale citato dinanzi al papa e non comparve, e gravò anzi la mano sulle pretese del vescovado. Il vescovo rispose con le censure, ma dovette rifuggirsi a Reggio. Furono interposti dei legati pontificii che non riuscirono a comporre, di guisa che Gregorio IX fece interdir Bologna e privarla dello studio dai vescovi di Parma e di Mantova (1232) (7).

Dopo qualche mese riuscì al conciliatore di Paquarà di ridurre a concordia vescovo e magistrati e fu tolto l' interdetto. Ma alla perfine Enrico depose il pastorale e si ridusse a vita privata nei chiostri suburbani di s. Vittore (1240), ove tosto trovò pace, nel sepolcro (1241 ) (8). Ma no, che furono turbate e di là tolte le sue ossa nel 1868, perchè quell'antica basilica correva rischio d' essere manomessa.

Un terzo Enrico, menzionato in una carta di cui sto per valermi, andò oratore a Roma nel 1255 per chiedere la liberazione del concittadino Brancaleone d' Andalò senator di Roma, minacciato di morte, e per intimare in pari tempo che gli ostaggi distenuti a Bologna avrebbero seguìta la stessa sorte di Brancaleone (9).

Esulava in quel tempo da Bologna Galvano dalla Fratta con i figli Sicherio, Niccolò, Pietro e Zanusio e stabiliva in Ferrara la propria famiglia, che poi si disse de' Gonfalonieri e ch' ebbe il feudo di Maneggio o Castel Guglielmo (10). Al tempo stesso ai rimasti in Bologna fu pagato il riscatto di ottantotto servi, di cui dodici appartenevano a Gruamonte che fu podestà di Faenza nel 1270 e di Ravenna nel 1271; cinquantacinque a Odorico e ad Enrighetto suo figlio; sette a Grimaldo di Gualando; quattro a Ginevra moglie di Guido; undici ad Alberto ed a Guiduzzo.

I dalla Fratta furono di parte lambertazza e unitamente ai Maccagnani, loro vicini, cominciarono ad azzuffarsi nel 1247 con i Guido d' Ostia e i Galluzzi. Costretti a desistere, compromisero nel podestà e negli anziani (11). Nel 1260 si commisero con i Lobia e nel 1271 si segnalarono nella guerra civile dei lambertazzi e geremei ed in quella più accanita del 1274, uniti con gli Andalò, con i Carbonesi e con gli Abaisi, combatterono i Galluzzi (12). Convenuti alla pace del 1279 e concorsi a compromettere in Matteo Visconti ed in Alberto della Scala (1289), vennero citati dall'imperatore (1313) Varisio, Napoleone, Jacopo e Cingolo. Gherarduccio fu de' 400 banditi dall' Oleggio (1355), Giovanni dei molti espulsi dal pauroso Leonardo Malaspina, che teneva Bologna pel duca di Milano ( 1403), ordinando loro di presentarsi al duca pena la testa (13).

Nel 1416 furono pagati 40 ducati d'oro a Giacomo della Fratta per la ricuperazione del castello della Pieve di Cento, che insieme con altre fortezze fu tolto da' Bolognesi, parte per forza parte per riscatto, ad un fratello e ad un zio del deposto e malvagio Giovanni XXIII (14). Giacomo era dunque al soldo dei Coscia e li servì come meritavano. D'allora in poi i dalla Fratta si oscurarono, ma vi sono superstiti di questo nome.

Un documento del 1270 fa conoscere una torre loro, non indicata da alcun scrittore, in quella parocchia di s. Simone (perocchè ve n' eran due di simil titolo) che comprendeva la via Valdaposa superiore. Parte della casa munita di questa torre era posseduta da Giulia d' Enrico dalla Fratta, moglie di Zanusio Ramisini, da Enrichetto e Grimalda dalla Fratta, da altri consorti, e fu venduta nell' anno sopraddetto a Useppe del già Enrico dalla Fratta insieme con tutte le case della medesima Giulia ch' erano situate nel broilo vicino de' Maccagnani (15).

Contemporaneamente Grimaldo del già Gualando dalla Fratta vendette per 300 lire al suddetto suo congiunto Useppe d'Enrico una casa situata in essa cappella di s. Simone, presso Gruamonto altro congiunto, e presso Pier Torello, la cui casa era ov' è la chiesa di s. Paolo; ne fu rogato il contratto in casa d' Alberto consanguineo anch' esso di Grimaldo, onde risulta che i dalla Fratta avevano molte case nella parocchia di s. Simone (16).

La torre sopraddetta non dev' esser confusa con una di quelle possedute in altri tempi dalla stessa famiglia e notate dall' Indicatore, perchè queste erano da s. Sebastiano, cioè in tutt' altro luogo che nella parocchia di s. Simone e perchè queste torri appartenevano nel secolo XIII ad un' altra famiglia. — Vedasi Geremei.

(1) Savioli, Ann. v. 1, pag. 278; v. 3, pag. 108.

(2) Savioli, Ann. v. 3, pag. 195.

(3) Savioli, Ann. v. 3, pag. 350, 351, 359.

(4) Savioli, Ann. v. 3, pag. 367,

(5) Savioli, Ann. v. 3, pag. 354, 394.

(6) Savioli, Ann. v. 5, pag. 394.

(7) Saviolì, Ann. v. 5, pag. 92.

(8) Ghirardacci, Ann. v. 1, pag. 163.

(9) Savioli, Ann. v. 5, pag. 285.

(10) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 182.

(11) Savioli, Ann. v. 5, pag. 204.

(12) Savioli, Ann. v. 5, p.ig. 341, 444, 481.

(13) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 361, 565, 566, 568; v. 2, pag. 226, 541.

(14) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 609.

(15) Docum. n. 50.

(16) Docum. n. 50 sopraccitato.