Famiglia Pepoli

In un atto dell'Archivio della Badia di S. Stefano trovasi del 1144 Pepulus et loannes Ubertus, cioè Uberti da Salustra, lo che conferma che i Pepoli vengono da Salustra comune dell' Imolese presso Dozza; e si noti che Pepulus Ubertolli e Ugolinus Pepoli sono nomi notati nell'atto del 1178. col quale vennero a giurar fedeltà ai Bolognesi. Il Crescenzio opina venir essi da Giovanni terzogenito di Alvaredo Re d'Inghilterra.

Il Dolfi riprova l'opinione di F. Leandro Alberti, per aver attinta l'origine di questo stipite da una memoria in casa Beccadelli scritta da un Beccadelli di fazione contraria ai Pepoli, e perchè trovasi una discendenza assai più antica mediante instrumenti di matrimoni estratti dal pubblico Archivio da Annibale Gozzadini. Lo stesso Dolfi dice che alcuni la fan derivare da Pepo glossatore antichissimo, cioè circa l'ottocento.

Un ramo Pepoli abitava in Trapani di Sicilia.

Questa famiglia era divisa in più rami, e cioè:

Ramo del conte Alessandro. Possedeva porzione del palazzo nuovo e del palazzo vecchio in Bologna, scuderia e annessi, palazzo e tenuta in Raigosa con Badia annessa, tenute della Palata, della Filippina, della Guisa e Valbona, di Lagoscuro, Trecenta. Aveva palazzo sulla piazza di Ferrara, alcuni beni sparsi alla Crocetta di Crevalcore, porzione della contea di Castiglione, il Senatorato, la nobiltà veneta, romana e ferrarese. Aveva il padronato della parrocchiale di Sant'Agata, di Santa Maria delle Vergini, cappella e arca in San Domenico. L'agente che tenevano i Pepoli in Ferrara con titolo di avvocato, aveva lo stesso trattamento che avevano gli agenti dei duchi della Mirandola e della Massa. Questo ramo aveva pretensioni all'eredità Borromei.

Ramo del conte Odoardo. Aveva porzione del palazzo vecchio e nuovo, scuderie e annessi in Bologna, palazzo e tenuta della Stellata nel Ferrarese, tenute della Cà de' Cuppi, e della Crocetta, possessioni alla Palata, palazzo e tenuta a S. Lazzaro, beni sparsi, e porzione della contea di Castiglione; nobiltà veneta, romana, ferrarese; compadronato di Santa Maria delle Vergini, cappella e arca in S. Domenico.

Ramo del marchese Giuseppe. Aveva porzione del palazzo vecchio, scuderia e annessi; tenuta e palazzo a Crevalcore, tenuta di Durazzo, possessioni alla Galeazza, beni sparsi, porzione della contea di Castiglione e marchesato delle Casette nel territorio di Cesena, nobiltà veneta, con padronato di Santa Maria delle Vergini, e della cappella e arca in San Domenico.

Ramo dei marchesi Guido e Lucrezio. Aveva porzione del Palazzo vecchio, scuderie e annessi, palazzo e tenuta della Fratta nel Polesine di Rovigo, palazzo e tenuta della Galeazza, tenuta del Secco a Durazzo, palazzo e beni al Sasso, beni e valli alla Castellina, porzione della contea di Castiglione, marchesato della Preda nel Parmeggiano, marchesato delle Caselle in condominio col marchese Giuseppe, palazzo e beni allodiali a Castiglione, nobiltà veneta, compadronato di Santa Maria delle Vergini, padronato e rettoria della chiesa e benefizio di S. Vito fuori porta Castiglione, cappella e sepoltura in S. Domenico.

Ramo dei figli del conte Galeazzo, o ramo bastardo. Aveva porzione del palazzo vecchio, scuderie e annessi, palazzo e tenuta a Durazzo, palazzo e tenuta alla Palata, tenuta delle. Pausane nel modenese, beni nell' Imolese, casino e podere a Belpoggio, titolo di conti.

Avevano poi marchesato delle Caselle nel territorio di Cesena, diocesi di Sarsina, che era contea quando il marchese Taddeo del conte Fabio la comprò, e Paolo V, li 26 febbraio 1608, lo eresse a marchesato a di lui favore e de' suoi discendenti. Questo marchesato appartenne ai marchesi Guido, Lucrezio e Giuseppe discendenti del detto marchese Taddeo.

Castiglione della Gatta, contea del S. R. I,. Ne furono investlti da Carlo IV. Avevano prima avuto Baragazza e Bruscolo dai fiorentini nel 1341. Taddeo Pepoli aveva comprato questo Stato da Ubaldino dei conti Alberti di Mangone nel 1340. Consisteva questa contea nella terra di Castiglione, nella comunità di Baragazza e Sparvo, e ne' luoghi di Calvane, Muscarolo, Casaglio, Prediera, Rasone, Bruscolo, Boccadirio, ove è il magnifico e celebre Santuario della Madonna posto sull'Alpi che dividono la Toscana dal Bolognese e confinanti colla contea di Vernio dei conti Bandi. Tutte le linee legittime e naturali, e per legittimo matrimonio discendenti da Taddeo Pepoli, furono investite di questo feudo; ma la reggenza, per antico patto di famiglia, si esercitava tre anni da ciascun colonello, i quali ultimamente erano tre: 1° marchese Giuseppe, 2° marchesi Guido e Lucrezio fratelli, 3° conte Alessandro e conte Odoardo cugini. Il palazzo baronale di Castiglione era comune a tutti i condomini, usato però solamente da quello che pro tempore era reggente. Vi erano però due altri palazzi fabbricati dal marchese Paolo per uso proprio e de' suoi eredi, uno sulla piazza della terra di Castiglione, l'altro fuori in mezzo ai boschi, detto perciò il palazzo dei Boschi. Fu concesso privilegio da Leopoldo I imperatore, con diploma 20 aprile 1700, al conte Ercole Pepoli di poter batter moneta nel feudo di Castiglione. Li 18 giugno 1700 la Legazione di Bologna pubblicò un bando ad istanza dei conti Pepoli, mediante il quale la. Legazione di Bologna non accordava ricetto ai sudditi di Castiglione contumaci. La prima investitura fu assegnata ai figli di Iacopo di Taddeo nel 1360.

Preda, marchesato nei confini delle montagne di Reggio. Consisteva nel castello detto la Preda, nei castelli di Borzano, Vedriano, Compiano, colle ville di Roncovecchio, Roncovetro, Covagnolo, dell' alto dominio del duca di Parma. Il marchese Cesare comprò questo feudo dai conti della Palude nel 1594. Dopo la morte del marchese Cesare passò al marobese Taddeo di lui fratello, perciò ultimamente apparteneva al marchese Guido di lui discendente.

Nel Bolognese ebbero S. Gio. in Persiceto, Crevalcore, e Sant'Agata quando i figli di Taddeo vendettero Bologna al Visconti nel 1350, riservandosi queste tre castella, che gli furon poi tolte da Gio. d' Oleggio.

Nel Modenese e Reggiano ebbero la signoria di Nonantola, e la contea di Cerè data dal Duca di Modena al conte Ugo Giuseppe nel 1680. Il marchese Ugo nel 1611 fu marchese di Sourano nel Reggiano.

Nella Romagna ebbero il dominio di Lugo nel 1340. La signoria nel 1344. Signoreggiarono Bertinoro, Crovara, Sassatello, Montecaduno, la Libra, Castel dell' Albero, Dozza e Fiagnano.

Nell' Orvietano ebbero Seravalle, e Begne date dagli Orvietani al conte Gio. Pepoli loro Podestà nel 1300.

Nel regno di Napoli e di Sicilia, la Regina Giovanna donò a Gio. di Taddeo nel 1350 le seguenti terre, che poi perdette per le rivoluzioni di quel regno.

Bittondo, Rubbio, Terracina, Laurito contee; Ciglio di Gualdo, Campo Marino, Campo Basso contea; Capaccio, Temoli contee; Guastamini d'Ortona, Trivento contea.

Il Re Lodovico d'Angiò donò a Gio. di Taddeo nel 1350, e che poi perdettero per le disgrazie della famiglia d' Angiò, Melfi contea, e Trapani città nella Sicilia.

Vallemaggiore nel Regno di Napoli fu comprata da Taddeo di Romeo nel 1346.

Ebbero i seguenti giuspatronati:

Sant'Agata parrocchiale, già padronato dei Volta, de' quali l'ultimo, che fu Achille, ne fece donazione ai conti Ercole e Cornelio Pepoli.

Angeli, o Madonna dell'Angelo fuori porta S. Mamolo. Fu già monastero di monache edificato da Gerra Pepoli fratello di Taddeo nel 1338. Fu poi monastero di Camaldolesi ridotto in commenda, che poi Sisto V incorporò al collegio di Montalto.

Baragazza, chiesa parrocchiale nella contea di Castiglione.

S. Bartolomeo di Porta Ravegnana. L'istituzione dell'esposizione del Venerabile, discorso, e benedizione ogni lunedi dopo pranzo per i morti, fu inangurata dal marchese Ugo nel 1633.

S. Bernardino delle Pugliole. Nicolò Pepoli dottor in leggi e lettor pubblico aveva la sua casa nelle Pugliole, e la donò al B. Bernardino da Quintavalle uno dei compagni di S. Francesco, da lui mandato a Bologna, e servi di primo ricetto e di abitazione ai frati Minori sinchè fu fabbricato il convento di S. Francesco, ove poi si portarono ad abitare. In questo sito fu poi fabbricato il convento di S. Bernardino e Marta nel 1219.

Boccadirio, ossia Madonna di Boccadirio. Immagine di Maria Vergine celebre, e luogo di molta venerazione in fondo all'Alpe di Bruscolo nella contea di Castiglione. Vi è un magnifico edifizio in quel luogo alpestre consistente in un tempio, in un claustro quadrato di macigni bene architettato, con altri edifizi fabbricati con limosine di divoti e in gran parte colle contribuzioni della famiglia .Pepoli, che aveva molta venerazione per questo santo luogo, e che vi fondò offlciature ed altre pie instituzioni, oltre averne arricchito di sontuosi ornamenti la sacra Immagine, e di sacri arredi la chiesa.

Castiglione. Chlesa arcipretale della terra di Castiglione.

Cumolo della misericordia istituito dal conte Giovanni Pepoli. L' intenzione dell' istitutore fu di sovvenire i poveri in tempo di carestia.

In S. Domenico avevano: La capella del Santissimo Sacramento da loro edificata e dotata, e sepoltura per tutta la famiglia.

Al convento molti legati e donativi di fondi fatti da Tarlato fratello di Taddeo, per cui i Padri celebravano ogni anno un anniversario.

In detta chiesa dovevano cantarsi ogni sabato dopo pranzo, e ogni vigilia di solennità della B. V. le litanie in musica innanzi l'altare del Rosario, per legato del marchese Ugo fatto nel 1636.

Nella cappella dei Pepoli dovevano dispensarsi ogni anno 4 doti di L. 50 cadauna per legato del conte Filippo nel 1630.

Nel martedì sera di Pasqua di Ressurrezione si doveva dare una cena ai pellegrini nell'ospitale di S. Francesco, per istituzione di Giovanni nel 1574.

La cappella di Santa Brigida in S. Petronio apparteneva ai Pepoli del Colonello del conte Galeazzo, perchè la comprò dalla fabbrica di S. Petronio il conte Giovanni loro ascendente. Vi avevano sepoltura e vi fondarono una quotidiana officiatura.

Madonna di Porta Ravegnana, piccola chiesa a piedi della torre Garisendi, alla quale il conte Ercole fece molti benefizi e ornamenti.

Rigosa. Badia nella tenuta di Rigosa. Era del conte Alessandro.

Sasso, o Madonna del Sasso, chiesa scavata collo scalpello nel vivo sasso, dieci miglia da Bologna, lungo il Reno, ed in faccia allo sbocco di Setta. Fu padronato del ramo Pepoli che terminò nel conte Radorico, poi passò ai conti Marescalchi per le ragioni peritate nella loro casa dalla contessa Lisabetta di Rodorico Pepoli in Marescalchi.

Sparvo. Chiesa curata della contea di Castiglione.

Vergini, o Santa Maria delle Vergini, capella a piedi del campanile di Santa Margarita, fabbricata e dotata dal conte Giovanni di Romeo di Giovanni di Taddeo nel 1432, con obbligo al rettore di questo benefizio, che era assai pingue, di celebrare la messa, e recitarvi quotidianamente le ore canoniche. Il conte Giovanni che la fondò vi fu sepolto, e ne riserbò il padronato alla casa Pepoli.

S. Vito. Chiesa fuori di Porta Castiglione, rimpetto a Santa Maria della Misericordia, fabbricata dal conte Francesco detto Tarlato sopra un suo podere detto Misericordia, con fondazione di un benefizio, di un' officiatura quotidiana, e di altri suffragi, come nel di lui testamento del 1330.

Il padronato di questa chiesa era del ramo Pepoli dei marchesi Guido e Lucrezio Bartolomeo Galeotti dice che avevano un palazzo in Bologna con 200 camere da letto, ove dimoravano 180 salariati, che avevano 50000 scudi di rendita, e che 3800 persone non bastavano a coltivare i loro terreni.

In Bologna furono capi della fazione Scacchiere. La cittadinanza e nobiltà veneta fu concessa a Taddeo di Romeo Pepoli conservatore della giustizia e della pace della città di Bologna, per privilegio di Francesco Dandolo Doge di Venezia, li 15 novembre 1338.

Ebbero il senatorato nel 1506. Gio. di Taddeo nel 1329 ebbe per sè e suoi posteri il privilegio di crear cavalieri, dottori, notari, legittimar bastardi, dall'Imperator Lodovico Bavaro.

Taddeo ebbe il privilegio di batter moneta nel 1341.

I loro contadini erano esenti dal comando del Reggimento anche in tempo di guerra.

I Pepoli avevano una possessione destinata ad essere assegnata in godimento, vita naturale durante, ad un qualche famigliare o benemerito della casa, a voti unanimi di tutti i Pepoli de' rami legittimi.

II palazzo degli Anziani e la loggia del Podestà furon fabbricati da Taddeo conservatore nel 1347.

La sega dell'acqua fu fabbricata da Matteo nel 1347.

La libreria di S. Michele in Bosco fu fondata, fabbricata, e corredata di libri, poi fatta dipingere dall' Abbate D. Taddeo di Alfonso Pepoli.

Palazzo vecchio. Dicesi che l' eredità Tettalasini passasse nei Pepoli mediante il matrimonio di Romeo con Biagia Tettalasini, e che fra gli effetti di questa eredità vi fossero le case dei Tettalasini in Strada Castiglione, ove poi Romeo figlio di Taddeo e della detta Biagia fabbricò il presente palazzo dei Pepoli. Questo matrimonio ebbe luogo circa il 1300, ma molto prima i Pepoli abitavano in Strada Castiglione, poichè dal testamento di Gera o Zerra di Romeo, fatto nel 1251, si ha che sin d'allora i Pepoli abitavano in detta strada. Potrebbe essere che in Strada Castiglione abitassero tanto i Pepoli quanto i Tettalasini, e che poi le case dei Tettalasini fossero, o per eredità o per contratto, acquistate dai Pepoli. Egli è certo che molto tempo prima di Taddeo, nelle antiche autentiche pergamene, i Pepoli sono annunziati essere della parrocchia di Sant' Agata, e abitanti in Strada Castiglione nel 1223.

Certo è ancora che Gera di Romeo Pepoli fratello di Taddeo, comprò una casa nella contrada di Miola da Bonaventura Trentaquattro, nella quale abitarono i Pepoli sinchè finiti furono i palazzi cominciati da Taddeo in Strada Castiglione nel 1292.

Questa casa dicesi situata in Miola passato il palazzo Casali andando verso Strada San Stefano, che anche ultimamente era del marchese Giuseppe Pepoli, quando invece non lo fosse ove era il palazzo dei Casali, prima dei Pepoli.

Parimenti egli è certo che Bombologno di Bongiovanni Pepoli possedeva casa sotto la parrocchia di Sant'Agata, poichè ne dispose nel suo testamento fatto nel 1320, e che si conserva nell'archivio di detto Marchese Giuseppe. Tutto ciò sussisteva avanti Taddeo conservatore. Questi indubitatamente fu quegli che cominciò i due palazzi in Strada Castiglione, i quali oggi uniti insieme formano un solo antico palazzo, che è il presente palazzo vecchio dei Pepoli.

Dopo la morte di Taddeo, e dopo la vendita di Bologna fatta da' suoi flgli ai Visconti, essendo i Pepoli fuorusciti, questi palazzi furono da Papa Gregorio IX destinati per il Collegio da esso fondato a Bologna, detto perciò Gregoriano, il quale effettivamente fu in detto palazzo aperto. Alcuni dicono che i figli di Giovanni del fu Taddeo lo vendessero a questo Papa nel 1371, altri dicono che detto Papa lo assegnasse come fondo a lui devoluto per la fondazione di detto Collegio, stante la contumacia dei Pepoli. Ma dopo politici cambiamenti essendo i Pepoli ritornati in Bologna e rimessi in possesso de' loro beni, ed essendo il Collegio Gregoriano andato in decadenza, rientrarono i Pepoli nel dominio di questi palazzi. Galeazzo e Guido, figli di Gio. di Taddeo, in cui si erano consolidate le ragioni ancora dei figli di Jacopo del detto Taddeo, che eran morti senza successione, terminarono la fabbrica di questi palazzi nella forma e simetria che in oggi si vede, toltone alcune aggiunte delle quali si parlerà più avanti, e dalla casa in Miola ove abitavano si trasferirono in questi circa l'anno 1420. Tutte le famiglie Pepoli abitavano in questo pa lazzo, o vi avevano il rispettivo loro quarto, perchè i conti Alessandro e Odoardo abitavano nel palazzo nuovo, che è rimpetto a questo fabbricato dai loro antenati, ma ritenevano altresì le abitazioni di loro proprietà in questo palazzo vecchio.

Questo palazzo è vastissimo, con facciata di antica e semplice simetria, e con merli in segno di antichità e di signoria, ha quattro porte con loggie, scale comuni e particolari, molti cortili, e circa 200 stanze da letto. La parte di mezzo è quella che è composta dei due palazzi cominciati da Taddeo e terminati dai conti Guido e Galeazzo, ma che essendo stati uniti con facciata uniforme non mostrano al di fuori indizio della loro divisione, la quale però si rileva al di dentro.

Le due estremità sono state aggiunte successivamente.

L' estremità che fa angolo con Strada Castiglione, e il vicolo detto via del Luzzo che porta a Santo Stefano, e che ha tre archi di portico, era una casa dei Muzzarelli, la quale era divisa dal palazzo Pepoli mediante un vicolo che andava a metter capo nella suddetta via del Luzzo, i cui avanzi si vedono ancora, ma restano chiusi da un portone. I Pepoli comprarono la detta casa dai Muzzarelli, e l' unirono ai loro palazzi chiudendo l'imboccatura del vicolo che era in Strada Castiglione.

L'altra estremità verso i Casali fu aggiunta dal conte Gerra del conte Giovanni, il quale comprò una casa, che quivi era appartenente al marchese Orsi, la spianò e vi alzò una grandiosa fabbrica con giro di appartamenti che prendevano in mezzo un nuovo cortile nel quale si entrava per la quarta porta da esso aggiunta a questo palazzo. Tirò innanzi la facciata sino all'angolo del vicolo del Vivaio, imitando però l'antica facciata merlata onde conservarne l'uniformità. Questo Gerra sposò, li 28 novembre 1706, Olimpia Bianchini con dote di scudi 20000, e morì senza successione, benchè nel 1721 passasse in seconde nozze con Teresa Pallavicini genovese.

Il marchese Guido e il marchese Lucrezio possedevano parte di questo palazzo composta della casa che fu già dei Muzzarelli, e dal lato opposto del primo cortile annesso, che ha la porta rimpetto al palazzo nuovo.

Il marchese Giuseppe aveva i suoi appartamenti dalla parte di dietro di detto cortile, che andavano a confinare in Strada S. Stefano ove aveva una porta.

Il conte Alessandro e il conte Odoardo avevano i loro quarti in detto primo cortile a linea di quelli del marchese Guido, e in parte di faccia al palazzo nuovo.

Tutto il rimanente cominciando dalla seconda porta sino al vicolo del Vivaio apparteneva ai figli del conte Galeazzo. L' angolo poi che volta verso Strada S. Stefano, in cui vi era una bottega da speziale, poi da pastarolo, sino alla porzione che aveva il marchese Giuseppe in detta strada S. Stefano, spettava al senatore Marescalchi per eredità portatagli da Lisabetta flglia del conte Roderico Pepoli avola paterna. Le scuderie, rimesse, teggie delle famiglie Pepoli erano per la maggior parte nel predetto vicolo detto il Vivaro, ed i marchesi Guido e Lucrezio le avevano nel vicolo che dalla piazzetta di Sant'Agata va verso l' Avesa.

In questo palazzo vi sono le vestigia di una torre, che secondo il Negri, sarebbe appartenuta ai Tettalasini.

Altre case avevano i Pepoli nella via delle Pugliole come antecedentemente si è detto.

Il palazzo nuovo fu fabbricato dal senatore conte Odoardo.

Nel far la fabbrica fu trovato un pavimento antico di marmo a mosaico in sito più basso del fondo dell' Avesa, che passa sotto detto palazzo.

II conte Ercole nipote ex filio del conte Odoardo terminò la fabbrica di questo palazzo intrapresa dal detto conte Odoardo, e fece ed ornò le due facciate una in Strada Castiglione e l' altra nelle Chiavature, perchè nella divisione che fece col conte Cornelio suo fratello, a lui toccò la porzione non finita, ed egli la terminò.

I Pepoli ebbero le seguenti eredità:

Quella dei Borromei pretesa dai Pepoli del conte Alessandro per sostituzione fide-commissaria.

Il conte Sicinio iuniore sposò D. Eleonora del principe D. Marcantonio Colonna. Questi da D. Diana Paleotti sua moglie ebbe due sole figlie, D. Eleonora suddetta e D. Anna. La prima sposò il detto conte Sicinio, e l' altra il conte Riniero Aldrovandi. Il Contestabile Colonna, e per la dote delle suddette, e per le ragioni di D. Marcantonio loro padre, acquistò dalla casa Falconieri i beni che furono della casa Boncompagni, i quali, toltone il palazzo in Bologna, erano stati assegnati in pagamento di debiti dai Boncompagni alla casa Falconieri, e questi per le ragioni suddette li assegnò alle case Pepoli e Aldrovandi. Mediante questo assegno pervenne al conte Sicinio il magnifico palazzo a S. Lazzaro con possessioni e beni annessi, e con diversi stabili urbani. Questi beni ultimamente appartenevano al conte Odoardo figlio del detto conte Sicinio e di D. Eleonora Colonna.

Laura Contrari moglie del conte Sicinio seniore, essendo morto un di lei fratello, il marchese Ercole Contrari, senza figli, fu aperta la vocazione alla di lui successione Contrari a favore del conte Ercole del conte Girolamo nato del conte Sicinio e da Laura Contrari.

Erano i Contrari nobili ferraresi, e l' eredità comprese i beni che i Pepoli ebbero nel ferrarese, cioè il palazzo nella piazza di Ferrara, e lo tenute di Trecenta, Lagoscuro e Stellata. Ultimamente le prime due erano possedute dal conte Alessandro, e l'altra dal conte Odoardo, amendue discendenti dal conte Sicinio suddetto e dalla Contrari. Fu per questa circostanza che divennero nobili ferraresi.

Il conte Fabio ebbe in moglie Isabella di Gio. Paolo Manfroni generale dei Veneziani, il quale acquistò nel Polesine di Rovigo la tenuta della Fratta, che assogettò a fidecommesso nel 1545. Essendo mancata l'agnazione dei Manfroni fu aperta la vocazione fide-commissaria a favore dei secondogeniti discendenti da detta Isabella Manfroni Pepoli, e perciò il palazzo e tenuta della Fratta appartenne al marchese Guido del marchese Francesco discendente da delta Isabella. Nella suddetta linea secondogenita procede poscia con ordine di primogenitura.

L'eredità Musatti appartenne al conte Alessandro.

Il conte Francesco Ranuzzi Manzoli figlio di Girolama sorella del marchese Guido Pepoll istituì eredi i marchesi Gio. Paolo e Fabio Pepoli suoi fratelli cugini, e con tale eredità entrarono in questo ramo Pepoli i beni del Sasso e Giardino, e i beni della Castellina.

Ebbero poi i seguenti beni:

Podere nel Comune di Santa Maria degli Alemanni.

Possessione in Argile.

Prati in Bagnarola,

Palazzo con poderi, prati, orti, torri od altri edifici, che fu già fabbricato da Gio. II Bentivogli a Belpoggio. poi passò ai conti Sforza, Attendoli, Manzoli, indi al marchese Azzolini, poi acquistato per L. 30000 dal marchese Iacopo Pepoli, il quale morì senza figli nel 1710, ed allora questo fondo passò alla marchesa Teresa Pepoli sua sorella ed erede, moglie del marchese Filippo Coccapani modenese. Ultimamente apparteneva al marchese Filippo Ercolani per eredità di sua avola paterna contessa Lucrezia Orsi Ercolani, che lo comprò dal marchese Coccapani.

Palazzino con orto e podere a Belpoggio. Apparteneva al marchese Camillo Pepoli, poi al marchese Cesare suo figlio, che vi morì nel 1702. Il marchese Antonio Pepoli lo vendette ad Antonio padre del marchese Giuseppe Zagnoni.

Casino sopra Belpoggio con podere. Fu già dei conti Vittori. Il conte Giovanni figlio del conte Galeazzo lo comprò dal conte Fabio Vittori, lo rifabbricò, l'adornò ed ampliò.

Cà di Cuppi, tenuta.

Castellina, eredità Ranuzzi, valutata L. 2000 di rendita.

Possessione a Castel S. Pietro in luogo detto Collina, passata ai Guastavillani in parte di dote di Elena Pepoli sorella del conte Francesco, e moglie del senator Filippo Guastavillani.

Castenaso, palazzo e beni permutati dal conte Girolamo del conte Guido Vecchi con beni a Crevalcore, Stufinone e Ronchi, con Cesare e Francesco ed altri dei Caccianemici, nel 1534 e 1542. Questi beni erano ultimamente del marchese Francesco senator Davia, che li vendette alla contessa Silvia Bolognetti moglie del senatore conte Lodovico Savioli.

Podere nei Comuni di Ceretolo e di Gesso. Colombara Storta. Dopo la morte del marchese Gio. Paolo del marchese Cesare, passò in casa Aldrovandi pel matrimonio d'Isabella di lui sorella col conte Filippo Aldrovandi.

Palazzo e beni in Cò Lunga.

Palazzo, terreni, con oratorio dedicato a S. Gio. Battista nel territorio di Conselice nel Ferrarese.

Ampi terreni a Crevalcore, Stuffione, Ronchi, Sant' Agata. S. Gio. in Persiceto. I beni di Crevalcore erano quasi tutti enfiteutici della badia di Nonantola. Questi terreni erano divisi in tre tenute, cioè Crocetta e Guisa in Crevalcore, e Valbrona in Sant'Agata. La Crocetta di Crevalcore era dei Montecucoli, e fu acquistata dal conte Odoardo seniore.

Podere alla Croce del Biacco.

Durazzo, Paderno, Villafontana, S. Martino in Argine, Romeo di Gera li comprò da Bornio e Francesco Samaritani nel 1316 per L. 9000, ed erano affittati per L. 700 d' argento. La parte di questa tenuta, che restò nell'eredità libera del conte Rodorico, fu da sua figlia Lisabetta portata in casa Marescalchi, ed era quella parte di valli e boschi che confinava con Marmorta. In questa tenuta di Durazzo il conte Galeazzo iuniore vi fabbricò un ampio palazzo.

Farnè, o Farneto, antichissimo possedimente Pepoli fino ai tempi di Taddeo I. Il mar chese Giuseppe vi possedeva due palazzi, uno vecchio e l'altro nuovo da esso in gran parte fabbricato, amendue circondati da recinti di muri con delizioso giardino, orti, poderi, stalle, rimesse ed altri edifizi. Il detto marchese Giuseppe lo vendette al Commendatore conte Marcello Legnani per L. 60000.

Filippina, tenuta in Crevalcore, cosi detta dal conte Filippo del conte Guido il vecchio, che la possedeva. Questa tenuta consisteva in un palazzo con 10 possessioni e 12 livelli di circa 4000 torniture di terra, della rendita di scudi 2000.

Beni in Gaggio di Piano che poi passarono ai conti Sora.

Galeazza, tenuta con palazzo, botteghe, case, edifizi diversi e chiesa, così detta da Galeazzo di Giovanni di Taddeo, che vi ediflcò il palazzo con alta e bella torre nel 1436. Ai tempi di Guido il vecchio soffri grave danno negli edilìzi e nei pìantamenti per una scorreria che vi fece nel 1470 Sigismondo marchese d' Este fratello di Borso Duca di Ferrara, in vendetta di scorrerie che aveva fatte il conte Guido a danno dei Finalesi. Si calcolava di rendita Scudi 2000.

Giovannina. Il senatore conte Giovanni, strozzato nel 1585, fabbricò il palazzo che da esso prese il nome. Consisteva in otto possessioni, passate poi in casa Aldrovandi per il matrimonio d' Isabella secondogenita del marchese Cesare di Fabio, moglie del conte Filippo il vecchio.

S.Lazzaro e Bellaria. Il primo è un magnifico palazzo già Boncompagni, poi pervenuto ai Pepoli per il matrimonio di Leonora Colonna moglie del conte Sicinio. Il palazzo di Bell' Aria fu fabbricato dal conte Gera del conte Guido. Il conte Galeazzo suo nipote lo vendette a Filippo Boschi coi poderi annessi. Era poco lontano da S. Lazzaro. Il casino di Bellaria fu comprato dal conte Sicinio dallo stato Cevenini. Fu poi assegnato in parte di dote al marchese Costanzo Zambeccari, marito di Beatrice di Sicinio Pepoli.

Malalbergo e Altedo. Romeo, naturale del conte Alessandro, fabbricò il molino. Il conte Roderico, mancando i figli maschi, s' accomodò col marchese Camillo di Taddeo liquidando il fidecommesso in L. 170000, e disponendo che Lisabetta in Marescalchi si ritenesse queste tenute in prezzo di L. 14000, e cosi passarono in casa Marescalchi.

Montecalvo e Croara. Palazzo con beni, vigne, prati e boschi. Passò in eredità a Gentile Montecalvi moglie del conte Iacopo naturale del conte Gio. Pepoli.

Un podere in Monte S. Giovanni.

Palata, vastissima tenuta, che nel 1470 apparteneva al conte Guido Pepoli, il quale avendo fatto scorrerie e saccheggi nel territorio del Finale, siccome sopra fu riferito, dovette soffrire le rappresaglie del marchese Sigismondo d' Este, il quale alla testa di buona mano di gente si portò alla Palata, tagliò viti, incendiò e spianò case nello stesso anno.

Mentre una porzione di questa tenuta era goduta dal conte Giovanni, essendo questi contumace nel 1564, il Papa mandò soldati e artiglieria per occupare questi luoghi, ove detto conte Giovanni erasi trincerato, ma per interposizione di principi l'affare si accomodò. Il conte Filippo del conte Cornelio nella sua porzione vi fabbricò un palazzo assai vasto con orti e giardini nel 1619. Questo palazzo era diviso fra i figli del conte Galeazzo, il conte Alessandro ed il conte Odoardo. La porzione di tenuta dei conti Alessandro e Odoardo era composta di 20 possessioni e di altre adiacenze con casino e razza di cavalli, in tutto costituiva una rendita di scudi 8000.

La Quiete, palazzo sopra il monte rimpetto alla Madonna del Sasso. Era della famiglia Albani, e il pittore Francesco vi soggiornava spesso. Il conte Odoardo seniore lo comprò coi poderi e boschi annessi, dallo stato Albani, e il conte Alessandro suo sucessore lo vendette ai Caprara.

Rigosa, o Raigosa, tenuta. ll cardinal Guido fabbricò il palazzo e i muri circondari. Esisteva una badia che era padronato della casa. La rendita della tenuta era riputata scudi 1600.

ll molino in Castel Franco detto Riolo era di diretto dominio del conte Filippo Pepoli nel 1601.

Sasso. Palazzo detto dall'Armi perchè fu già della famiglia dall'Armi. Il palazzo non era gran cosa, ma avea bellissimi giardini, amena situazione con poderi e vigne.

Sasso e Madonna del Sasso. Lisabetta di Roderico portò i diritti della chiesa della Madonna del Sasso ai Marescalchi. Vi erano anche beni, ma si ignora come siano stati alienati.

Sesto-Casino, con podere sulla strada di Pianoro. Il marchese Giuseppe iuniore lo vendette al sig Francesco Galli erede del fu Consultore Galli, il quale morendo lasciò erede Metilde Casalgrandi sua moglie, che lo vendette ai Mazzetti oriundi da Libano, ma poi stabiliti in Bologna.

Una possessione a Sirano.

Santa Viola, ossia Borgo. Un podere assegnato dal conte Francesco del conte Iacopo in prezzo di L. 10000 per parte di dote di Elena sua sorella, maritata nel senatore Filippo Guastavillani nel 1642.

Zola, Amola, S. Lorenzo in Collina, tornature 710 di prati. Erano di Romeo di Zerra Pepoli nel 1302.

Finalmente nel Ferrarese, Modenese, Imolese o Veneziano avevano i seguenti beni:

Palazzo in Ferrara ove risiedeva l'agente di casa.

Pausame nel Modenese, ossia Mirandola.

Stellata, tenuta Contrari nel Ferrarese.

Trecenta, tenuta Contrari nel Ferrarase. Il conte Ercole del conte Filippo Candido vi fabbricò un grandioso e magnifico palazzo e un casino nei confini. La tenuta consisteva in nove possedimenti. Quivi era una reputata razza di cavalli detta della staffa rovescia. Si calcolava la rendita a scudi 7000.

Conte Alessandro del conte Guido, senator I, conte di Castiglione, marito di Ginevra Sanvitali dei conti di Fontenellato, primogenita. Nel 1506 fu fatto dei 40 da Giulio II. Nel 1511 fu segretario di Stato del Duca di Ferrara, e dei 31 senatori dei Bentivogli. Nel 1513 fu dei 40 di Leone. Nel 1507 fu accusato al Papa d'aver tentato d'insignorirsi di Bologna, e perciò fu chiamato a Roma, nel 1508, per certo trattato scoperto, fuggì a Modena; fu confinato in Inghilterra e deposto dal Senatorato. Nel 1550 fu uno dei quattro senatori ambasciatori a Pio IV per rallegrarsi della sua assunzione al pontificato. Morì li 25 gennaio 1553, e il suo posto fu dato al conte Filippo Pepoli.

Conte Camillo del conte Guido, senator II, marito d' Isabella Gonzaga. Era protonotario apostolico quando il Papa lo fece senatore in luogo del conte Alessandro suo fratello, deposto dal senatorato nel 1508. Fu poi segretario di Stato, e condottiero di fanti del Duca di Ferrara. Morì li 31 maggio 1516, e sepolto in S. Domenico. Il senatorato fu restituito al conte Alessandro. La Gonzaga era contessa di Novellara. Lasciò un figlio postumo detto Camillo che morì infante, e una bastarda per nome Isotta.

Conte Filippo del conte Guido, senator III, marito di Camilla Fantuzzi. Nel 1500 radunò 500 fanti per i Cremonesi. Nel 1511 era cameriere segreto di Giulio II. Nel 1508 fu mastro di campo nelle armate del Papa nella guerra contro Perugia. Nel 1553 fu fatto senatore in luogo di Alessandro suo fratello. Fu generale delle fortezze dell' Umbria, comandò 100 archibugieri a cavallo, e 1000 fanti nelle armate di Francia sotto monsieur Lautrech. Morì li 15 ottobre 1555, benchè alcuni pretendano che morisse li 3 maggio 1554. Ebbe tre mogli, Elena Fantuzzi, Giulia Cesarini, e Ginevra Baragazza dal Calice. Il suo posto l'ebbe suo figlio.

Conte Giovanni del conte Filippo, senator IV. Entrò senatore li 12 maggio 1554 in luogo di suo padre; altri dicono che entrasse solamente li 22 novembre 1555. Li 11 dicembre 1564 parti per Roma, dove era stato chiamato dal Papa per aver dato ricetto ai banditi, e circa quattro mesi dopo il Vice-Legato mandò alla Palata o Galeazza due pezzi di artiglieria per gettare a terra quella fortezza, come pure cavalleggieri e molti battaglioni assieme coll' Auditor del Torrone. Ma le cose poi passarono bene, essendosi interposto l' ambasciatore di Venezia col Papa a favore dei Pepoli; e il conte Giovanni li 28 giugno 1566 tornò a Bologna avendo accomodato tutto.

Ebbe vari figli bastardi da Vincenza Mamolini di Bagnacavallo sua concubina.

Nel 1568 vendette al cardinal Paleotti una casa in Strada Castiglione per collocarvi i Seminaristi, ma altri dicono che fosse il conte Cornelio.

Li 15 marzo dello stesso anno pagò alla fabbrica di S. Petronio L. 2091 per la cappella di Santa Brigida in detta chiesa, e la fabbrica si obbligò di pagare un cappellano che quotidianamente celebrasse la messa, come pure di far celebrare ogni anno un anniversario in perpetuo nel giorno della morte del detto conte. Rogito Giulio Giusti e Dionigi Rossi.

Nel marzo del 1573 fu uno dei quattro senatori assunti per determinare i confini coi ferraresi.

Li 20 marzo 1578 andò a Roma col conte Ugo suo figlio naturale. Li 19 novembre 1580 andò a Venezia per abboccarsi col conte Girolamo Pepoli, e trattare circa un'imputazione datagli dal Cardinal Legato. Comandò come colonnello 1500 fanti del Principe di Macedonia nella guerra del Papa contro il Duca Ottavio Farnese, fu presidente della fabbrica di S. Petronio, fece costruire il palazzo della Giovannina, che poi passò agli Aldrovandi. Nel 1574 instituì la cena da darsi ai pellegrini nell'ospitale di S. Francesco, fu pio e benefico, eresse il Cumulo della Misericordia. Li 14 settembre 1576 assegnò 4000 scudi ai procuratori dell'Opera dei Vergognosi acciò si comprassero 4000 corbe di grano, da vendersi negli anni di penuria al Senato, il cui prezzo dovesse di nuovo investirsi in grano negli anni facili e abbondanti. L' instrumento fu fatto in claustro secundo S. Dominici.

Li 23 maggio 1583, non avendo voluto i procuratori dell'Opera dei Vergognosi proseguire nell' amministrazione del detto capitale, parendo loro aliena dall'istituto che era di attendere solo alla causa dei poveri vergognosi, ne diedero l' amministrazione suddetta al Rettore, ed officiali dell'ospedale della vita. Il contratto fu stipulato nel palazzo di Giovanni. Rogito Annibale Rustighelli.

Nel 1619, IX Kal. augusti, Paolo V, informato che questo capitale era amministrato negligentemente, con suo breve ordinò che fosse governato da una congregazione da deputarsi dal cardinal Capponi Legato, e che dovesse dipendere e render conto ai Legati e Vice-Legati pro tempore.

Nel 1621, 22 settembre. Gregorio XV con suo breve avendo narrato che i signori dell' ospitale della Vita poco bene amministravano i detti capitali, Ugo, Riccardo e Jacopo figli di Gio. Pepoli pretesero che per tale innosservanza, dovesse esser loro devoluto detto capitale, e perciò fecero ricorso a Paolo V, il quale ordinò che, stante la difficoltà di eseguire la volontà dell'istitutore, fosse il capitale investito in terre o crediti sotto nome di Cumulo della Misericordia, imponendo perpetuo silenzio ai suddetti conti Ugo, Riccardo e Iacopo e ad ogni altro pretendente sopra dette proprietà. L'amministrazione fu data al cardinale Lodovico Lodovisi arcivescovo di Bologna, con obbligo d'impiegare i redditi in limosine ai poveri ed ai monasteri di Bologna a suo arbitrio, e dopo lui agli arcivescovi pro tempore di Bologna.

Il detto conte giovanni poi morì strozzato nell'agosto del 1585.

Conte Filippo del conte Cornelio senator V. Li 7 agosto 1603 furon posti alla subasta i di lui beni per L. 25000 in oro, ad istanza di monsignor Battista Volta. Nel 1608 andò a Firenze per le nozze di Cosimo figlio di Ferdinando I di Toscana. Nel 1614 fu complice cogli altri Pepoli dell'uccisione del senator Aurelio Armi, e porse loro aiuto a fuggire mandandogli cavalli e armi. Il Cardinal Legato gli mandò un sotto-auditore a casa esigendo una sigurtà di 20000 ducati, alla quale riuscì di sottrarsi. Gli morì poscia la moglie di parto li 31 luglio 1616, che era Laura degli Obizzi. In dicembre del 1620 partì per Roma ambasciatore ordinario in luogo di Gio. Battista Sampieri. Nel 1621 il conte Gerardo Rangoni, confinante colla Palata dei Pepoli, nell'andare a caccia spesso s' innoltrava nei beni del conte Filippo, il quale mal soffrendo tale indiscrezione, fece con serraglie chiudere alcuni capi di strada per impedirne l'entrata. Ciò saputosi dal Rangoni, un giorno armò molti uomini delle milizie ducali da lui comandate in quei contorni, e con essi si innoltrò senza riserva nella Palata, spezzando con mannaie le stanghe che chiudevano le strade. ll conte Cornelio tìglio del conte Filippo determinò di vendicarsi, perciò radunò molta gente e la compartì in modo che fosse pronta per unirsi ad affrontare il Rangoni la prima volta che avesse tentato di entrare nella Palata. Un prete che serviva in casa Pepoli avvertì il conte Cornelio che talvolta in detta caccia vi si trovava di persona il principe Alfonso di Modena, per cui avrebbe commesso grave inconseguenza movendosi contro il conte Gerardo. Simile avviso però non trattenne il conte Cornelio, che anzi avendo per mezzo di spie saputo che il Rangoni usciva alla caccia e si poteva con facilità affrontare, si dispose ad assalirlo. L'avviso era vero, come pure era vero che il principe di Modena doveva esservici, ma l'inaspettato arrivo di una forestiera a Modena, sospese la caccia. I nemici dei Pepoli colsero questa circostanza per far credere al principe che il conte Cornelio fosse risoluto di vendicarsi del Rangoni, e che la sua presenza non l' avrebbe trattenuto. Il principe credette che il conte Cornelio meritasse la sua indignazione, per cui ne informò il Duca suo padre, istigandolo a risentirsene presso la casa Pepoli. Ne seguirono molte male intelligenze, dappoichè il duca ordinò che si procedesse per via d'inquisizione contro di loro, e furon perciò mandati alcuni commissari da Modena per iniziare il processo li 9 gennaio 1621. L'inquisizione emise una lunga nota di persone alla testa delle quali erano il conte Cornelio e il conte Filippo, padre e figlio, e il marchese Ugo, che si accusavano di avere fino del 1619, nel palazzo alla Palata, tramato d' uccidere il principe Alfonso d' Este; più che il marchese Ugo, quantunque vassallo del Duca di Modena, aveva istigato gli altri a questo delitto, ed aveva esibito sicari; infine di avere deliberato darvici esecuzione nel mese di settembre 1619 sapendo che il principe Alfonso andava spesso a caccia con poca comitiva nel distretto del Finale. Questa inquisizione fu cominciata li 11 ottobre 1621, ma non ebbe seguito.

Marchese Girolamo del marchese Taddeo senator V, marito di Anna Montecucoli. ll primo figlio che gli nacque, che fu Taddeo, fu tenuto al battesimo dal Re di Francia Lodovico XIII, che gli mandò un suo cavaliere per tal funzione , ma il ragazzo non visse. Il marchese Girolamo fu ucciso da Ciro Marescotti, e la vedova si rimaritò al marchese Carlo Bevilacqua, la quale ebbe in dote L. 88000, ed era figlia del marchese Francesco.

Marchese Francesco del marchese Taddeo, senator VII, dottore in lettere e marito di Isabella Angelelli, che, rimasta vedova, sposò il marchese Costanzo Zambeccari.

Conte Odoardo del conte Ercole, senator VIII, nato li 20 novembre 1612. Sposò nel 1632 Maria del conte Filippo Pepoli, poi nel 1639 Vittoria del marchese Cesare Pepoli, vedova del marchese Gonzaga, e del marchese Filippo Capponi. Fabbricò il palazzo nuovo delle Chiavature, e morì li 27 marzo 1680.

Conte Ercole del conte Filippo Candido, senator IX. In marzo del 1707 rinunziò il senatorato al conte Cornelio suo fratello. Nacque nel 1656. Fu marito di D. Beatrice Bentivoglio d'Aragona nel 1616. Fu cavalier splendidissimo. Nel 1701, stando a Venezia, serviva col figlio il cardinale d'Estré, ma con maggior confidenza lo trattava il conte Filippo suo figlio. Il governo lo fece avvertito che si ricordasse d' esser nobile veneziano, e sorvegliasse se la condotta del conte Filippo poteva piacere al governo e produrre qualche funesta conseguenza, perciò senza indugio mandò il figlio a Bologna, ed esso andò più cauto. Fabbricò il palazzo e il casino a Trecenta. Morì li 12 marzo 1707 dopo luuga e penosa malattia, d' anni 51, d' idropisia. Lasciò 300000 lire di debiti, e L. 800000 di capitali liberi. Lasciò erede il conte Cornelio suo fratello. Li 6 novembre 1709 D. Beatrice sua moglie partì da Bologna per Roma, dove andò a stabilirvisi con monsignor Cornelio suo fratello.

Conte Cornelio del conte Filippo Candido, senator X. Ebbe per rinunzia il senatorato del conte Ercole suo fratello in marzo del 1707. Sposò Cattarina del marchese Ulisse Bentivogli nel 1680, morì li 31 agosto 1707 d'anni 49, e il suo senatorato l'ebbe il conte Alessandro suo figlio. La sua morte fu quasi repentina, perchè si ammalò di febbre terzana semplice, che si volse tosto in maligna, e in due giorni ne morì, con sommo rincrescimento di tutti. Lasciò due figli giovinetti, privati cosi del suo valido aiuto per dar sesto agli affari della casa lasciata in qualche disesto dal conte Ercole. Era versato in quelle scienze che adornano un cavaliere, essendone il più ricco di Bologna, perchè dopo morto il fratello aveva 40000 scudi di rendita. Fu sepolto in S. Domenico, allo cui esequie intervennero 120 Battuti dello spedale della Morte, quasi tutti nobili, e tutti i frati domenicani con torcia che ammotavano a 200 circa.

Mentre era ammalato aveva il dottor medico Fantini che dormiva nella camera vicina alla sua. La notte prima che gli sopravenisse la febbre maligna si alzò, recandosi alla camera dell'astante dicendo di voler dormir seco lui per distogliersi da un sogno che l'aveva turbato fortemente, e gli raccontò che stando fra veglia e sonno, si era veduto comparire innanzi la defunta sua consorte Cattarina Bentivogli vestita di bianco e bellissima, come lo era stata vivente, e che nello stesso tempo aveva veduto la sua arca in S. Domenico aperta, con teste di morto. Il Fantini lo confortò esortandolo a non dare ascolto a sogni, prodotti da vapori febbrili. ll susseguente giorno gli venne la febbre maligna che lo portò al sepolcro. Morì rassegnato, benedì i suoi figli, e li esorlò a vivere da cristiani, e a sprezzare le vanità del mondo. Aveva raccolto una bellissima libreria, che fu poi venduta dai figli.

Conte Alessandro del conte Cornelio senator XI, fu fatto senatore per rinunzia del conte Cornelio suo padre, e ne prese possesso il primo ottobre 1707. Sposò Ginevra Isolani li 10 novembre 1704 con dote di L. 70000, la quale morì nel 1753 in concetto di santa, e fu sepolta in S. Bartolomeo. La sera del primo gennaio 1709 diede una sontuosa accademia in casa sua come principe dei Gelati. Nel dicembre del 1700 parti per Roma col conte Filippo Aldrovandi suo zio, che vi andava come ambasciatore. Li 12 febbraio 1709 diede una cena con ballo al generale Daun e all'ufficialità tedesca. Li 2 aprile 1711, con universale disapprovazione, vendette a vilissimo prezzo la bella libreria raccolta dal conte Cornelio suo padre. Nel 1711 Carlo III lo creò suo coppiero. Conte Cornelio del conte Alessandro, senator XII, sposò Marina Grimani veneta, li 20 gennaio 1755 nella chiesa di Murano. Fu cavaliere di modi gentili, cultore di belle lettere e specialmente della poesia. Nel 1748 ebbe differenze colla Legazione in tempo del card. Doria per disarmo di sbirri fatto fare dal detto conte Cornelio, Morì in Venezia, ove dimorava da molti anni, alle ore 6 del giovedì 16 gennaio 1777. Il suo corpo fu trasportato a Bologna e sepolto in S. Domenico li 24 dello stesso mese.

Nel 1585 il famoso bandito detto Gratizino, della Valle di Scanello, fu inseguito dagli uomini delle Comunità di montagna, in guisa che li 3 agosto di detto anno fu fatto prigione, e condotto nelle carceri di Castiglione col fermo proposito di consegnarlo poi al governo di Bologna. Il detto Gratizino fu quello che nientemeno aveva castrato il Commissario di quella terra. Subdoratosi simile arresto dall'altro famoso bandito Battistino da Toledo, recossi con 40 compagni a Castiglione, dove chiamato il Commissario Prediera fu strettamente legato, poscia armata mano ne liberò il Gratizino dalla prigione. Li 5 agosto il Legato mandò a chiamare il senatore Gio. Pepoli, e gli chiese il Gratizino, che recisamente fu riflutato, dichiarando che egli stesso l'avrebbe punito, ma non mai consegnato, volendo rispettato il diritto che gli si competeva siccome feudatario imperiale.

Il Pepoli però ignorava la liberazione forzata che aveva avuto luogo del Gratizino. ll Legato montato su tutte le furie per tal rifiuto, intimò al Pepoli il carcere nel Torrone, che gli fu comutato nelle camere stesse già abitate da Girolamo Pepoli, che sono due sporgenti nel cortile, le di cui finestre erano state murate, avente lume da un piccolo pertuglo. Gli furono concessi due servitori essendo malatticcio e vecchio d'anni 65. Offri una cauzione di scudi 80000 per potersene rimanere nel suo palazzo, ma non fu accettata. Il Gratizino si ritirò a Firenze. Li 13 agosto il Pepoli fu esaminato, ma fermo ed irremovibile riconfermò quanto aveva già detto al Legato.