Abbadia (via dell')

Via dell'Abbadia.

da Via San Felice a Via Riva di Reno.

Quartiere Porto.

Prima documentazione dell'odonimo: 1635 (Burghett dla Badia).

L'odonimo di questa via ha sempre fatto riferimento all'antichissimo monastero e chiesa dei Santi Naborre e Felice, detto Abbadia.

Il Banchieri, chiamò questa via Burghett dla Badia, analogamente al Salaroli (Borghetto dell'Abbadia), mentre nella pianta dell'Aretusi (1636) venne indicata come Via dell'Abbatia.

Va detto che sia per il Banchieri (che scrive nel 1635), sia per il Salaroli (che scrive nel 1743), il Borghetto dell'Abbadia andava da via San Felice alla piazzetta davanti al convento, sulla quale piazzetta confluisce anche via Otto Colonne (per gli altri autori invece la via arrivava a via Riva di Reno).

Altri autori (Monari, Guidicini, Origine, etc.) furono concordi nel chiamare questa via Via dell'Abbadia. Il solo Sebastiano Giovannini (Indicatore Bolognese) usò una forma lievemente diversa: Via della Badia.

Fortunatamente anche con la riforma toponomastica del 1873/78 l'odonimo rimase Via dell'Abbadia, lasciandoci intatto il nome di questa via.

Fonti citate in questo articolo.

Banchieri: Origine Delle Porte, Strade, Borghi Contrade, Vie, Viazzoli, Piazzole, Salicate, Piazze, e Trebbi dell'Illustrissima Città di Bologna con i loro Nomi, Pronomi, e Cognomi, di Camillo Scaligeri della Fratta (pseudonimo di Adriano Banchieri), pubblicato da Clemente Ferroni nel 1635.

Aretusi: Origine di Bologna. Pianta di Bologna di Costantino Aretusi, pubblicata nel 1636.

Salaroli: Origine di tutte le strade sotterranei e luoghi riguardevoli della città di Bologna di Ciro Lasarolla (Pseudonimo di Carlo Salaroli), pubblicato nel 1743.

Monari: Città di Bologna posta in pianta in esatta misura con la distinzione de portici che sono in essa, Pianta di Gregorio Monari, pubblicata nel 1745.

Guidicini: Cose Notabili della Città di Bologna ossia Storia Cronologica de' suoi stabili sacri, pubblici e privati, di Giuseppe Guidicini (scritto prima del 1837, ma pubblicato nel 1868).

Origine: origine della denominazione delle 334 strade che compongono la città di bologna, di Goldini e C.. Pubblicato a Bologna nel 1843

Indicatore: Indicatore Bolognese riferibile a ciascun edifizio componente la città, di Sebastiano Giovannini pubblicato nel 1854.

Lato destro di Via dell'Abbadia, entrando da via San Felice.

N.1 Ospedale militare, già chiesa e convento dei Santi Naborre e Felice.

Della primitiva costruzione, che risalirebbe ai primi vescovi di Bologna, Zama e Faustiniano, non rimane alcuna traccia. Molto probabilmente fu distrutta con l'invasione degli Unni (903 d.C.). I monaci benedettini furono gli artefici della rinascita di questo complesso nel 1110.

Da alcuni documenti del 1185, che il Guidicini ricorda in possesso della famiglia Loiani, si capisce che i monaci benedettini, stabilitisi in questo monastero, controllavano anche la chiesa della Madonna del Monte e molto probabilmente avevano anche il monastero di Santo Stefano, come viene successivamente comprovato da alcuni documenti del 1298.

Tra il 1371 ed il 1384 l'abate di San Felice Bonacursio Raimondi, che fu anche vescovo di Bologna, fece costruire il chiostro e il campanile.

Il famoso canonista Graziano, fu monaco di questo monastero, e qui scrisse il suo decretorum.

Altro famoso monaco fu Bartolomeo di Carlo Zambeccari, che, dopo esser stato abbate dal 1409 al 1410, divenne vescovo di Bologna dal 1430 al 1431, dalla cui carica si dimise poi per difetto di legittima nomina.

Successivamente l'Abbadia, abbandonata dai mnaci benedettini fu eretta in commenda.

Eugenio IV, mentre era cardinale e commendatore, diede questo locale ai Benedettini di s. Giustina di Padova. Divenuto Papa, li trasferì i Benedettini di Santa Giustina a s. Procolo, ripristinò la commenda, alla quale nominò Bartolomeo di Nicolò Albergati e assegnò la chiesa della Madonna del Monte ai benedettini di San Procolo e smembrò da questa la chiesa della Madonna del Monte, la quale poi assegnò , ad istanza dei Benedettini traslocati, a quella di s. Procolo.

Il primo - premonitorio - cambio di destinazione d'uso del monastero fu decretato da Giulio II, il papa che scacciò i Bentivoglio, che con sua bolla pontificia, data in Viterbo il 15 marzo 1506, decretò la soppressione dell'abbazia di s. Felice e ridusse il monastero ad ospedale per infermi di peste, rimpiazzando così l'ospedale di San Giovanni Battista del Mercato, distrutto per fabbricare la rocca di Galliera.a similitudine di quello che era in Bologna a s. Battista del Mercato, distrutto per fabbricare il Castello o la Rocca di Galliera. All'amministrazione di questo ospedale furono dapprima delegati gli stessi battuti confratelli dell'Arciconfraternita della Morte che avevano l'ospedale di San Giovanni Battista, poi con altra bolla del 24 settembre 1507 designò che fossero i senatori di Bologna a scegliere gli amministratori del nuovo ospedale.

Il 16 ottobre 1512 il monastero fu assegnato dal senato alle monache Clarisse, dette di s. Francesco, che non potevano più abitare il loro convento situato subito a destra fuori Porta S.Stefano (dove oggi esiste una via S.Chiara) a causa delle guerre con i Bentivoglio. Presero possesso del monastero il 16 gennaio 1513 con l'abbadessa Giacoma Gozzadini.

Un rogito di Giovanni Battista Buoi del 4 ottobre 1512 ci dice che queste monache si impegnarono a sostenere le spese per la cura d'anime della chiesa di San Felice.

La chiesa era divisa in una chiesa superiore, che fu restaurata nel 1634, ed una inferiore o sotterranea, restaurata nel 1641.

Nel 1683, a causa di controversie tra il curato ed il confessore delle monache, le monache stesse ottennero da Innocenzo XI, il 3 dicembre, la soppressione della parrocchia e la concessione della cura d'anime alla vicina parrocchia di Santa Maria della Carità. Incaricato della soppressione fu il cardinale Girolamo Boncompagni, che però morì improvvisamente il 24 gennaio 1684, così che il Papa rinnovò l'incarico il 18 aprile successivo al cardinal legato Gastaldi. Finalmente il 19 maggio 1684 la parrocchia fu soppressa, dividendo la sua giurisdizione in parte a Santa Maria della Carità, in parte a S. Lorenzo di Porta Stiera e in parte a San Nicolò di San Felice.

Dopo l'ingresso dei francesi (12 giugno 1796), precisamente il 29 giugno 1798 vennero qui trasferite le monache dei Ss. Lodovico ed Alessio. Sia le monache Clarisse, sie le monache dei Ss. Lodovico ed Alessio furono soppresse il 31 gennaio 1799.

L'ex monastero, espropriato servì dapprima a caserma , poi ad ospedale militare, riunendovi quello di S. M. della Carità.

Nel 1817 fu destinato a Lazzaretto per gli attaccati da febbre petecchiale, prodotta dalla carestia e dai cattivi cibi con cui si nutrivano i poveri della montagna, i quali, per non essere spenti dalla fame, discesero al piano propagando nei contorni e nella città stessa quella contagiosa malattia, che costò la vita ad un gran numero d'ogni ceto di persone.

Il 7 settembre 1822 furono qui trasferiti gli accattoni e i discoli (condannati dal governo, o per volere dei parenti, sottoposti a correzione), tutti ospitati in via Centotrecento nell'ex collegio Ungaro. Al monastero dell'Abbadia fu attribuito il nome di Discolato.

La funzione di Ospedale Militare continuò dal 1868 anche con il nuovo Stato Italiano. La chiesa fu devastata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e dell'antico complesso monastico sopravvive all'interno dell'Ospedale Militare un chiostro del XV secolo.

Lato sinistra di Via dell'Abbadia, entrando da via San Felice.

N.4 Casa che era li 29 agosto 1588 di Lorenzo Chiavarini, al quale fu concesso di fare il portico alla sua casa sotto s. Nicolò presso la via delle otto Colonne lungo metri 83,6 largo m.3,04, con colonne di pietra; nel 1715 era di un Girolamo Pasi.

N.6 Nel 1716. Questa casa era del dottor Antonio Felice Fantini, discendente d'antica famiglia , medico e lettor pubblico di logica e di medicina , morto senza figli, lasciando una sorella maritata in seconde nozze con Pierantoni Arselli.

Questa casa fu comprata da Francesca Bertoli romana, celebre cantante, moglie di Vincenzo Corazza, bolognese. più che mediocre letterato, e figlio di Sebastiano Corazza chincagliere. Appartenne ai figli di Giovanni Scarani mercante ferrazziere poi ad altri possessori di cognome Cuzzani.

N. 10,12 Orto che li 29 ottobre 1579 era di Vincenzo e di Annibale Farroni , ai quali fu concesso dal Senato di chiuderlo con muro, dicendosi nel decreto, essere nella via che dalla Ripa di Reno va al monastero di s. Felice e che arriva fino alla casa di Ambrogio Vignani.

Nel 1716 era di Andrea Calvi, e sugli ultimi tempi apparteneva a D. Ignazio Natali, qual proprietario del numero 132 di strada s. Felice; ora è dei figli del fu Giovanni Antonio Astolfi.