Carbonesi
Originarono dai figli di Carbone e quindi ebbero anch' essi a capostipite Alberto conte di Bagnacavallo. La loro schiatta secondo l' osservazione del Savioli (1) ebbe nel secolo XII « in Ravenna e nella Romagna dovizia di parentele e giurisdizioni, ed in seguito conobbe poche uguali in Bologna per possanza e dignità. » E in fatti sin dai primordi della repubblica bolognese salirono senz' altro esempio quindici volte al consolato e ventidue volte andaron rettori di città (2).
Uspinello mentr' era console andò al parlamento della lega in Modena (1173) a deliberar le difese da opporre a Federico imperatore e ad Enrico suo figlio (3), e Dotto fu dei consoli ai quali venne dato pieno potere quando la città era partita in causa dell' ambizioso vescovo Gerardo ( 1193), e fu travolto da cavallo nelle zuffe che seguirono. Lo stesso Dotto, procuratore pel comune nel 1204, ricevette il giuramento del podestà di Modena per concertar la pace co' Bolognesi (4).
A que' tempi i Carbonesi dovevan essere doviziosissimi, poichè sei di loro, cioè Piero di Lovello, Piero d' Alluserio, Jacobello di Mario, Munsarello, Lugarisio e Bartolommeo, detto Naso, fecero malleveria per l' egregia somma di quindicimila lire in pro degli ostaggi dati dai Forlivesi e da' Faentini, indotti a tregua dal podestà di Bologna (1208) (5). Ed in quel torno (1219) lo stesso Pier Lovello fornì domicilio in s. Pier delle Vigne, suo patronato, ai monaci predicatori e segnatamente al Reginaldo (poi beato) e al loro institutore Domenico Guzmano. Maio di Guinicello con alcuni suoi consorti aveva dotato di terre l'eremo di Camaldoli (1195) (6) e nel 1257 i Carbonesi contavano fino a centosessantaquattro servi della gleba.
Il suddetto Maio dopo essere stato console in patria resse in Rimini (1204) e con una parte delle milizie andò a riporre in Cesena gli espulsi, che avevano ricorso a quel comune; non furono però risparmiati nè incendii, nè stragi. Prorogatagli tre anni la pretura, nel 1205 venne col podestà di Rimini da quello di Bologna per obbligarsi al lodo che a questi era stato devoluto sulla causa che inimicava que' due comuni (7). Ma nell' anno seguente, allorchè Maio tornava dalla pretura venne ucciso e depredato su quel di Rimini. Bologna ne fu commossa, e i figli di Maio fecero valere l' autorità e le aderenze loro. Onde il nuovo podestà di Rimini, seguito da primarii cittadini e accompagnato dal podestà e dai legati di Ravenna intercessori, venne a dirsi pronto a compromettere nel podestà di Bologna. Il quale prescrisse l' ammenda di 800 lire a pro dei figli di Maio, il bando degli offensori e il divieto di assolverli finchè gli offesi non si dichiarassero risarciti; in fine la restituzione delle cose involate, di cui è rimasta la magra enumerazione nel codice pandolfesco. « Una guarnaccia di scarlatto con due di bigio foderate l' una di pelle d' agnello, l' altra di cuoi, formarono col palafreno la miglior parte di questo bottino... Una borsa che Maio aveva seco, cum istrumento, ci fa suppor ragionevolmente che messo a sindacato, riportasse l' assoluzione di quel comune » (8).
Poco prima Jacopo di Bernardo Carbonesi era stato chiesto a podestà dai Vicentini, in preda anch'essi alle fazioni (1194); e poichè favoreggiò apertamente quella dei conti di Vicenza o maltraversi, l' altra dei signori di Vivaro fu costretta d' esulare col feroce suo capo Ezzelino il monaco. Il quale rientrato poscia in Vicenza e i due partiti avendo fatto compromesso per l'elezione del podestà in Salinguerra giudice pe' Vivaresi, e in Pilèo da Celsano pe' conti, Pilèo destreggiossi così, che la scelta ricadde sul Carbonesi. Costui aveva giurato con atto notarile di favorire la parte dei conti se veniva eletto e non mancò di far proscrivere Ezzelino, ma non potè compire il suo ufficio mercanteggiato e parziale, chè un tumulto popolare obbligollo a dimettersi (9).
Non guari dopo Jacopo di Fradalberto Carbonesi, rettore pel comune di Bologna, diede giuramento per la rinnovazione della lega (1226). Bartolommeo, podestà di Milano, intervenne al parlamento ivi adunato per provedere alla continuazione della guerra contro l' imperatore Federico ( 1229). Poscia Arriverio percorse le città di Romagna e andò all' altro parlamento di Ravenna per pacificarle (1284) (10).
Tranne Munsarello che andò crociato nel 1217, forse preceduto da Bartolommeo (11), i Carbonesi non conobbero altra milizia che quella sciagurata delle faziosi, in cui furono de' più accaniti lambertazzi. Anteriore al 1177 fu l'inimicizia loro verso i Cattanei da Vetrana ed in tal anno, ad istanza di alcuni patrizii composero con Marchesello e se lo vincolarono con alleanza e col patto di erigere una torre in consorzio (12). Non guari dopo, l' erezione d' un' altra torre, ed un patto di famiglia per la comune difesa e per escludere le paci e le parentele con i figli d' Ariberto d' Arimanno e con i Galluzzi, mostrano come i Carbonesi stimavano di doversi munire contro i proprii nemici (13) e come antico fosse l' odio che nutrirono per i Galluzzi.
Si sa d'una pace fatta tra queste famiglie nel 1244 e si può dire che durò molto avendo durato quattr' anni. Poi nacque un azzuffamento, ch' ebbe causa dall' uccisione di Guiduzzo Lambertazzi, cui vollero vendicare i consorti (14).
Sei anni dopo (1254) i Mendoli, avvalorati dai più irrequieti lambertazzi, rinnovarono in Imola le discordie ch'erano state acquetate dal comune di Bologna. Ed ecco che Uspinello Carbonesi con un consorte de' Savioli parteggiando, congregarono nelle proprie case uno stuolo d' armati ed altrettanto fecero i geremei. Ma il podestà, chiamati Uspinello e il Savioli, impose loro il disarmamento e di astenersi dal prender parte nelle cose d' Imola (15). Nè corsi eran quattr' anni quando il giovine Malatesta de' Carbonesi mise a cimento i Galluzzi, inducendo Virginia di loro schiatta a nozze vietate. Ed eglino lavarono quest' onta col sangue di Malatesta, e la sposa, trovata cadavere appeso ad una finestra, inflisse loro nota d'infamia. Storici, novellatori e poeti narrarono romanticamente sì pietosa avventura (16).
Ne seguì un fiero azzuffamento di quelle due famiglie e de' Lambertini co' Scannabecchi, e de' Torelli co' Delfini, e degli Artenisi con quei da Castel de' Britti, e de' Pier Beccari con i Poeti, e degli Orsi con altri Orsi, rafforzati da congiunti, da amici e da clienti, e non si pose modo al furore se non pei validi ufficii di Lambertino Ramponi, cittadino di somma autorità. Molti di costoro vennero posti a confine e de' Galluzzi furono quindici. Il pretore impose multe fino a tredicimila lire e vennero ringagliardite le leggi repressive (17).
Con tutto ciò i partiti si riaccesero due anni appresso a cagione dell' interdetto lanciato da papa Alessandro. Nel giorno di Pasqua e nel seguente « fuit magnum proelium inter Gallucios et Carbonenses » (18) presso le case di questi ultimi, poi il conflitto si diffuse per la città, rinfocolato da' Scannabecchi, Ramponi, Lambertini, Radici, Prendiparte, Fratta, Lobia, Castel de' Britti, Artenisi, Macigni, Coltellini e avvennero molte uccisioni, e guastaronsi torri e palagi. Finalmente la pubblica autorità potè contenere i fratricidi, poi ne confinò cinquanta per ciascuna fazione e multò fra le altre le case e le torri de' Carbonesi in lire 600 di bolognini (19), sicchè può dedursi che da quelle torri e da quelle case erano stati tratti sugli avversarii o freccie, o sassi, o travi, o liquidi bollenti.
Nel 1260, gli odii traboccando di nuovo, le fazioni si dieder di cozzo, e i Carbonesi si attaccarono con i loro acerrimi nemici i Galluzzi (20). E poichè alcuni de' Carbonesi si furono banditi, Zeno e i suoi figli Corselino e Bitino, nonchè Bonfigliuolo ed Enrico suo figlio, ottennero dopo quattr' anni di ripatriare, ripudiando la fazione fin allora seguita e giurando pe' geremei. Di guisa che nella pace generale del 1279 v' eran de' Carbonesi in ambedue le fazioni (21).
Ma prima di questa pace era avvenuto un altro scontro de' Carbonesi con i Galluzzi, per rissa insorta tra Alberto e Giovanni incontratisi in festeggiamenti nelle case de' Magarotti. La quiete pubblica pericolava, ma il podestà e gli anziani vigilanti l' assicurarono. Era eziandio avvenuto che Uspinello, uno dei capiparte assembrati nelle case de' Carbonesi (1274), aveva avvalorato col suo assentimento la proposta di Castellano Lambertazzi d' abbandonare la città (22).
Bartolommeo di Maio Carbonesi fu tra i citati a Ravenna dal conte della Romagna per la pace non mantenuta dalle fazioni (1280) e diede ostaggi. Pietro di Gosio era con i fuorusciti lambertazzi in Forlì, allorchè furonvi scelti arbitri a comporre col comune di Bologna (1298) (23) e Cardellino fu de' quattrocento geremei proscritti dall' Oleggio, ma tosto richiamati per timore d'una sollevazione (1388) (24). Frattanto Bonifacio insieme col fratello Egidio era stato dichiarato conte di s. Giovanni in Persiceto, e donato dello stemma imperiale, da Lodovico il Bavaro (1338) (25). Poi fu miseramente assassinato su quel di Ferrara (1354) ed ebbe pubblico compianto in Bologna. Ma il Ghirardacci (26) farnetica aggiungendo che « Lazzaro Bonamico dottore padovano disertissimo nelle lettere greche e latine, che già aveva letto pubblicamente in Roma e Bologna, intendendo la morte di Bonifacio che grandemente amava, compose sulla sua morte una dotta e bellissima orazione. » Farnetica dico perchè il Buonamici nacque un secolo dopo la morte di questo Bonifacio.
Oltre la contea di s. Giovanni i Carbonesi ebbero quella di Persena nel secolo XIII e d' Aiano nel XV (27). Ma la famiglia loro, che potrebb' essere additata come tipo delle magnatizie medioevali, aveva perduta tutta la sua vigorìa col cambiare dei tempi e poscia stette pressochè inerte. Non entrò che due volte in senato, non ebbe se non pochi anziani, e all' ultimo suo rampollo, conte Giuseppe morto nel terzo decennio di questo secolo, venne meno assai prima il retaggio degli avi che la vita.
I Carbonesi avevano case torrite che davano in via s. Mammolo (n. 103, 104) e Trebbo de' Carbonesi, comprendendo la parocchiale gentilizia di s. Giacomino de' Carbonesi. Ne avevan altre parimente torrite di contro alla cattedrale, volgenti in Galiera. E per buona e rara sorte ci rimangono due carte del secolo XII, le quali riguardano l' erezione di codeste torri. In quanto alle case, il Ghirardacci (28) racconta che una gran parte (ma non dice se delle prime o delle altre) cadde per vetustà nel 1228, mentre si rifabbricava l' episcopio.
La torre in via s. Mammolo fu costrutta nel 1177 in consorzio, per vincolo della pace stabilita da Pietro di Lovello (il consolo), da Manfredino e Pietro di Lugarello, da Marescotto e Azzo fratelli, da Uspinello, tutti de' Carbonesi, e da Marchesello da Vetrana. Come ho riferito in principio distesamente fu convenuto che la torre fosse fabbricata a spese comuni fino a venti ponti, con porta da basso verso la piazza, e perciò il Vetrana dovesse sborsare 30 lire imperiali (ossia 90 lire di bolognini) e cedere quel tanto della propria tubata che occorresse per la fabbrica; libero ai Carbonesi d' innalzare ulteriormente la torre a proprie spese. L' uso della torre comune a loro e a' discendenti, sì di giorno che di notte, tanto per offendere quanto per difendere. Vietata qualsivoglia alienazione della torre, fuorchè all' una delle due parti contraenti, vietate le parentele dannose all' altra parte. Si obbligarono di far giurare questo patto ai figli e ai nipoti quando avrebbero quindici anni e di rinnovare il giuramento al compiersi d' ogni decennio. Chi vi mancasse pagherebbe 100 marche d'argento (ossia 6,720 lire di bolognini) e perderebbe i diritti sulla torre (29).
La metà d' una delle case contigue a questa torre (se pur non è un' altra appartenente alla stessa famiglia) (30) fu venduta per 60 lire nel 1270 da Alberto d' Alluserio de' Carbonesi (il rettore di lega lombarda) a suo cugino Glagesio d' Uspinello, rettore anch' esso di lega lombarda: acconsentirono Gualdradina e Anselmana, una moglie, l' altra nuora del venditore (31). Nello stesso anno Pietro del già Arriverio Carbonesi vendette al suddetto Glagesio, per 300 lire, la quarta parte d' una di tali case contigue alla torre (32) la qual torre doveva sussistere almeno in parte nel 1582, poichè è notata dall' Indicatore, ma adesso non v' è più.
L'altra torre di contro alla cattedrale fu fatta fabbricare collettivamente nel 1196 da nove Carbonesi, nipoti e pronipoti di Carbone capostipite, e cioè Jacopo (il consolo) e Guidotto ambidue di Bernardo, Uspinello (il consolo), Marescotto (il consolo), Bernardo, Dotto (il consolo), Pietro di Lovello (edificatore dell'altra torre), Pellegrino, Rolando, e Bisio. E non sarà inopportuno ripetere ch' essendosi costoro adunati prestarono giuramento, tranne uno, e con atto pubblico si obbligarono di stare all' arbitrio di due reggitori da eleggersi fra loro per la costruzione della torre, secondo che sarebbe più onorevole pel parentado. La torre e la casa dovevano essere in comune, ma se la torre fosse necessaria a un di loro gliene darebbero l' uso gli altri. Le compere di edificii nelle vicinanze non potessero farsi se non di comune accordo. Nè a verun di loro fosse lecito far parentela o amicizia o giuramento con i figli d' Alberto d'Arimanno (33), nè con quelli di Rolandino (Galluzzi), se pur non fosse col consentimento della maggior parte de' congiuranti. I reggitori eletti non potranno rifiutarsi di governare per un anno e se chiederan consiglio dovranno darglielo gli altri congiuranti, che obbediranno ad ogni ingiunzione concernente l' onore e il bene del parentado. Se nasceranno scissure fra loro, i reggitori esigeranno la concordia e dovrann' essere obbediti. Il patto sarà rinnovato dai congiuranti ogni quinquennio e giurato da' loro figli prima che abbiano quindici anni (34).
Codesta torre era passata ai Rustighelli allorchè fu in dicata dall'Alberti (35) cioè nel 1541, e continuava ad essere di questa famiglia al tempo dell' Indicatore ossia nel 1582. Ma nel 1621, secondo ch' è detto dall' Alidosi (36), era degli Scala. La si scorge in una veduta panoramica del 1702 (37) emergere all' incirca come la torre dei Galluzzi e coll' indicazione errata di torre Rusticani. Venne atterrata nel 1733 perchè nell' allargamento della strada e nella fabbrica del seminario il portico di questo edificio, e precisamente gli archi quinto e sesto cominciando da Galliera, dovevano prendere il luogo della torre. Nell' abbassare il pavimento di esso portico nel 1872 si sono scoperte vestigia della torre, la quale era larga per ogni lato piedi bolognesi 17 (met. 6 e 46) siccome è indicato in un disegno del secolo XVI, da me posseduto.
Sopra una di codeste torri de' Carbonesi stava una scolta a spiare gli avvenimenti, quando la fortuna aveva volto le spalle ai lambertazzi. L' abbiamo da un antico verseggiatore che narrò le guerre intestine di Bologna con tali particolari e con evidenza tale da far conoscere ch' egli aveva vedute quelle stragi, onde il suo racconto abbonda d' interesse e di allettamento (38). Dopo la disfatta de' lambertazzi (1274) così dice del soccorso di armati ferraresi recato dal marchese d'Este e come togliesse ogni speranza ai lambertazzi:
Ma lo Marchese, ch' è pro' e valente,
Si fece armare tosto la sua gente
E disse: cavalca tosto fiermente
fino al mercato.
Come li Germi aveano ordinato
Entro la mezzanotte fo arrivato
Lo Conestabil, suso lo mercato
pose la bandiera.
Zascuno avea in mano una lumiera
Gridando a vose: ov' è sta gente fiera?
Ancoi è 'l giorno che perderan la seda
del paese.
La guarda della torre Carbonese
Quando vide la gente del Marchese
Disse alla parte sua senza contese:
avem mal fato;
.L'alturio di Germi è retornato,
E han preso la piazza in ogni lato,
E suso il palazzo hanno portato,
lo confalone.
(1) Ann. v. 3, pag. 33, 36.
(2) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 191. Savioli, Ann. v. 3, pag. 196, 272, 279, 284, 285, 286, 373; v. 5, pag. 22, 26, 69, 116, 125, 260, 268, 272, 279, 383, 284, 352, 366, 435.
(3) Savioli, Ann. v. 3, pag. 34.
(4) Savioli, Ann. v. 3, pag. 274.
(5) Savioli, Ann. v. 3, pag. 377.
(6) Girardacci, Hist. v. 1, pag. 127. Savioli Ann. v. 1, pag. 386, 391; v. 3, pag. 205.
(7) Savioli, Ann. v. 3, pag. 272, 279.
(8) Savioli, Ann. v. 3, pag. 283, 284, 285. Lo stesso annalista nel v. 4, pag. 280, 281 pubblicò due atti, col primo dei quali il comune di Rimini ratificò l'obbligo incorso a suo nome dal pretore e dagli oratori suoi in seguito dell'uccisione di Maio de' Carbonesi, col secondo atto i figli ed eredi del suddetto Maio fecero pace col comune di Rimini nella persona d'Alberto da Casale suo podestà.
(9) Savioli, Ann. v. 3, pag. 200. Sismondi, Hist. des rep. chap. 12.
(10) Savioli, Ann. v. 5, pag. 32, 69, 282.
(11) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 100. Savioli, Ann. v. 3, pag. 364.
(12) Savioli, Ann. v. 3, pag. 70. Docum. n. 1.
(13) Docum. n. 3.
(14) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 165. Savioli, Ann. v, 5, pag. 177.
(15) Savioli, Ann. v. 5, pag. 275.
(16) Da notarsi specialmente Sabbadino degli Arienti, che ne fece soggetto della nona di sue novelle porrettane stampate in Bologna per Enrico de Colonia, regnante lo inclito Cavaliere Zoane Bentivoglio II, 1483 e ristampate quattro volte nel secolo successivo.
(17) Savioli, Ann. v. 5, pag. 321.
(18) Villola, Cron. ms. fol. 41. Savioli, v. 5, pag. 340.
(19) Cosi l'autore della Cron. bologn. (Histor. misceli, col. 271). Il Villola sopraccitato dice che furono 6,000 lire, e ve ne ha altro esempio.
(20) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 199.
(21) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 208, 248.
(22) Savioli, Ann. v. 5, pag. 485.
(23) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 252, 360.
(24) Ghirardacci, Hist. v. 2, pag. 226.
(25) Diploma nella collezione Gozzadini,
(26) Hist. v. 2, pag. 219.
(27) Savioli, Ann. v. 3, pag. 36 genealog.
(28) Histor. v. 1, pag. 148.
(29) Docum. n. 1.
(30) Le case dei Carboncsi, con torre fabbricala in consorzio col Vetrana, erano nella dizione,delia chiesa parocchiale contigua di s. Giacomino de'Carbonesi; in vece queste altre case, contigue esse pure ad una torre de'Carbonesi, eran nella parocchia di s. Maria, cioè certamente di s. Maria de' Guidoscalchi in Valdaposa, perché confinavano con frate Catalano (Catalani), che appunto aveva casa e torre in quella parocchia; onde la diversità dei luoghi fa dubitare che si tratti di una sola torre.
(31) Docum. n. 47.
(32) Docum. n. 55.
(33) Probabilmente della consorteria de' Galluzzi.
(34) Docum. n. 3.
(35) Histor. deca 6. lib. 1.
(36) Instrut., pag. 194.
(37) Disegno dell' alma città di Bologna ichnoscenografia di Filippo Gnudi bolognese 1702.
(38) Frammento storico nella guerra tra i guelfi e ghibellini di Bologna nel 1264 (dovrebbe dire 1274) e 1280 — poesia del secolo XIII. Fu pubblicata dal tipografo Ulisse Guidi per le nozze Gozzadini — di Serego Alighieri.