Ildebrando Grassi

Non sarebbe questo il posto da assegnarsi a sì importante documento, uno de' più preziosi contenuti in questa nostra pubblicazione, e ciò perché Ildebrando Grassi non apparteneva alla suddetta famiglia, ma lo facciamo soltanto per difetto di spazio che non avremmo, quando parleremo della Via Ponte di Ferro o Chiesa di S. Gio. in Monte.

La famiglia Grassi fu mai sempre patrizia sino dai primi tempi siccome rilevasi da molti monumenti pubblici, e privati.

Alberto Grassi fu ambasciatore con Ugo Ansaldi presso Enrico Imperatore nel 1116 per placarlo, e gli si presentarono a Governolo sul Mantovano.

Nel 1118 il medesimo Alberto Grassi con Alberico suo fratello, ed altri della famiglia Clarissimi, sebbene di diversi cognomi ma che si ritiene fossero della stessa famiglia, donarono ai canonici di S. Vittore un vecchio monastero detto di S. Gio. in Monte colla Chiesa anticamente fabbricata, e terreno annesso, che era padronato comune dei Grassi, e Clarissimi.

Gerardo Grassi figlio d' Alberto fu da giovane fatto canonico della Chiesa Bolognese, e sotto i Vescovi Vittore ed Enrico diede saggio di probità e dottrina. Nel 1145 fu fatto Vescovo di Bologna in luogo d'Enrico, e resse il Vescovato 20 anni con molta lode.

Fra gli atti da lui compiuti si fu quello di affidare a Beatrice ed Azzolina, romitesse del Monte della Guardia nel 1160, la custodia dell'immagine della Beata Vergine che Theoclys eremita Greco portò a Bologna da Costantinopoli, e su cui era una iscrizione, che l'assicura dipinta da S. Luca Evangelista.

Ildebrando Grassi nacque da questa famiglia fatto poi Cardinale da Eugenio III. Che si chiamasse dei Grassi o Crassi di cognome si prova da uno scritto pubblicato mentre esso viveva, e ciò è indubitato, ma del padre suo nulla si sa di certo. Qualche congettura vi è che fosse figlio d'Alberico Grassi fratello del suddetto Alberto, e perciò cugino di Gerardo Vescovo. Che non fosse certamente figlio d'Alberto Grassi si rende manifesto da una carta scritta nel 1133, la quale porta che Gerardo allora canonico di Bologna, Marchesello, e Alberto juniore figli di Alberto Grassi poco prima morto, in suffragio dell' anima del padre donarono ai Canonici di S. Vittore, e di S. Giovanni in Monte uno spazioso terreno non fabbricato presso la via di Castiglione in confine del torrente Avesa, e del Clivo che ascende a S. Gio. in Monte. Se Ildebrando fosse stato figlio d'Alberto sarebbe senza dubbio stato nominato in questa carta fra i figli d'Alberto.

Quando Ildebrando era ancora giovinetto, Irnerio, e i suoi discepoli insegnavano le leggi in Bologna, e Graziano aveva cominciato in Bologna la compilazione dei decreti; si coltivavano gli studi di teologia, e delle arti liberali, onde pare probabile che Ildebrando si esercitasse in questi avendo dato prove di essere in queste facoltà versato. Ildebrando si fece canonico regolare di Santa Maria di Reno. Questa Congregazione nel 1136 assunse la regola di Sant' Agostino, si fece le sue costituzioni approvate prima da Gualtieri Arcivescovo di Ravenna, poi da Enrico Vescovo di Bologna, poi da Innocenzo II Papa. Da Santa Maria di Reno fuori di Bologna, vennero ad abitare a S. Salvatore dentro Bologna, perciò furono detti Canonici di Santa Maria di Reno, e di S. Salvatore. Questi Canonici Renani, siccome quelli di S. Vittore, ossia di S. Gio. in Monte facevano i tre voti religiosi, a differenza di quelli della Cattedrale, che vivevano bensì uniti di mensa, e d'abitazione, ma non erano astretti che ad un solo. Che Ildebrando fosse canonico Renano assolutamente vien provato da un Necrologium ossia Kalendarium parentale di S. Salvatore scritto d' antichissima mano, la cui autenticità, e fede non può mettersi in dubbio, ma è incerto l'anno in cui si desse a questa regola. Nel 1148 cioè 12 anni dopo l'approvazione di quest' ordine di Innocenzo II fu Ildebrando da Gregorio III fatto amministratore della Chiesa di Modena, allora non solo senza Voscovo, ma spogliata ben anco della dignità Vescovile.

Questa pena fa imposta alla città di Modena da Eugenio III per la seguente cagione. Anselmo Duca del Friuli fondò il monastero di Nonantola, dotato d'ampie possessioni dai Re Longobardi, dagli Imperatori Franchi, Germani, poi dai Re, o gran Signori Italiani. Fu inoltre concessa agli Abati la giurisdizione sopra il terreno man mano aumentatosi presso il monastero, e sopra un tratto di paese, che di paludoso che era, fu asciutto, e reso produttivo mercè l'industria dei monaci. I Papi inoltre esentarono il monastero dalla giurisdizione del Vescovo di Modena, concessero all'Abate la facoltà di ricevere il Sacro Crisma, e l' Olio Santo da quel Vescovo, come più gli piacesse. Sul principio del secolo XII i Modenesi, che male soffrivano questa smembrazione del loro potere temporale, e spirituale, cominciarono a molestare i Nonantolani, a promuover liti, invadere i confini, far scorrerie, e tramare l'occupazione di Nonantola (orig. occupazione Nonantola. Errore di cui il Breventani non si accorse). I Nonantolani per conservarsi nella dipendenza dell'Abate, e nel diritto di crearsi i proprii magistrati, che per loro era una specie di libertà, ricorsero ai Bolognesi. Ildebrando Abate di Nonantola, e i Nonantolani spedirono inviati a Bologna nel 1131, e fecero alleanza con patto che i Nonantolani aderissero al popolo Bolognese come se fossaro parte di esso e difendessero i Bolognesi contro chiunque, toltone l'Imperatore, e pagassero un annuo tributo ai Bolognesi di 4 denari Lucchesi per casa ed ove nascesse controversia fra i Bolognesi, o i Nonantolani fossero arbitri i Consoli di Bologna. I Bolognesi difenderebbero i Nonantolani contro chiunque, toltone l'Imperatore e il loro Abate legittimo signore suo, poscia i monaci Azzo e Andrea, inviati dell'Abate, promisero che l'Abate non riceverebbe l'Olio Santo e il Sacro Crisma che dal Vescovo di Bologna. Malvolentieri soffrirono i Modenesi simile convenzione, nemici dei Bolognesi da gran tempo per differenza di confini, ma forse temendo i di loro militari apparecchi nel 1135 si limitarono a fare un trattato mercè il quale giurarono di non più molestare l'Abate, nè il popolo di Nonantola nella giurisdizione, e nei diritti del monastero. Ma perchè questo trattato fu fatto sotto l' incubo del timore e della forza, si rinnovarono gli odi, e per far diversione ai Bolognesi affinchè soccorrere non potessero i Nonantolani nel 1142 invasero il Bolognese. Loro si fece incontro nella Valle di Lavino, Torello Console di Bologna, o li sconfisse. Dopo questo fatto le storie non ci dicono quel che ne successe per 5 anni, ma soltanto nel 1148 i Modenesi aver posto l'assedio a Nonantola. Eugenio III prese a cuore la difesa di quella Badìa, spedì monitori ai Modenesi, e ciò non giovando, esortò i Bolognesi, mediante Gerardo Grassi loro Vescovo, ad assumer la difesa dei Nonantolani, conforme esigeva l'alleanza, inibendo ai Reggiani, e Parmigiani dare aiuto ai Modenesi. Nonantola si difese, .e non cadde in mano ai Modenesi. Eugenio III intanto era giunto di Francia a Brescia, ove celebrò un Concilio di Cardinali e Vescovi, nel quale dopo essersi querelato dell'inobbediente contumacia dei Modenesi, o di Ribaldo Vescovo di Modena, che aveva invitato il popolo contro l'Abate di Nonantola con severo decreto depose Ribaldo dal Vescovato, o spogliò Modena della dignità Vescovile.

Queste cose certamente accadettero nel 1148, e non già nel 1146 come scrivono Sigonio, Ughelli, Muratori, e quasi tatti gli altri. Benchè nelle lettere che sopra questo fatto scrisse Eugenio III a Gerardo Vescovo di Bologna, e che Sigonio vide trascritte nel registro maggiore di Bologna non vi sia data di tempo, ma solo notato il giorno IX Kal Septembris, pure perchè sono date in Brescia, devesi arguire l' anno 1148, essendo certo che Eugenio III in tutto il tempo del suo papato non fu mai in Brescia, che nel 1148. Di più le lettere scritte sopra questo fatto da Eugenio III a Placido Abate di S. Pietro di Modena pubblicato dal Muratori, e che parlano di questo fatto come di cosa allora allora accaduta, notano la data dell'anno IV d'Eugenio III, e l'indizione XI con induzioni che combinano col 1148, onde è meraviglia che un uomo di noto sapere come Muratori abbia potuto cadere in simile inganno. Inoltre si trovano atti di Ribaldo Vescovo di Modena del 1148, per cui se Ribaldo fosso stato deposto nel 1146 bisognerebbe dire che nel 1148 fosse stato restituito: invece gli è certo che Ribaldo non fu mal restituito al Vescovato, o che la dignità Vescovile non fu restituita a Modena che 8 anni dopo da Adriano IV, e finalmente che gli atti di Ribaldo nel 1148 precedono di più mesi la sua deposizione. Eugenio III nella sua lettera a Placido Abate di S. Pietro di Modena, dice aver divisa la diocesi di Modena, e distribuitala ai Vescovi vicini, e riservato alla soggezione della Santa Sede la detta Badìa di S. Pietro. Ma come disponesse della Cattedrale, di S. Geminiano, e del Governo Ecclesiastico della città di Modena non lo dice in dette lettere, ne si può dedurre da verun altro documento, ma solo che la riservasse alla Santa Sede, perchè sappiamo che vi fu per rettore, ed amministratore Ildebrando Grassi Canonico di Santa Maria di Reno, probabilmente per raccomandazione di Gerardo Grassi Vescovo di Bologna suo parente.

Essendo quest'incombenza simile all'officio di Vescovo, non è meraviglia se Sigonio, Vedriani, Ughelli, Silingardi, ed altri molti scrittori Modenesi, annoverino Ildebrando fra i Vescovi di Modena, come successore di Ribaldo; ma per verità non governò questa Chiesa, che come una parrocchia soggetta al Papa, senza avere l'ordine Vescovile.

Forse non credette Eugenio III poter sradicare le discordie dei Modenesi, e loro Vescovi col- l' Abate di Nonantola, se non estinguendo quel Vescovato, ma siccome era uomo di santissima vita a poco a poco placandosi colla città di Modena pensò, come potesse render qualche onore a detta città senza restituirgli il Vescovato. Onde tenendo in gran conto la virtù, e prudenza d' Ildebrando, in una promozione che fece nel 1150 lo creò Cardinale, volendo però che proseguisse nel Rettorato della Chiesa di Modena. Lo creò adunque Cardinale di San Eustacchio nel 1150 come dice Panvinio, ed il Sigonio, mentre quelli che lo dicono creato nel 1153 sono caduti in un manifesto errore. Dopo la sua creazione proseguì Ildebrando per sei anni in Modena a coprire l'ufficio di rettore di quella Chiesa, e nella dignità di Legato Apostolico in quelle parti, non andando alla Corte Pontifìcia se non per breve tempo e per conferire qualche negozio col Papa.

Egli è certo che nel 1152 si trovò presente alla sottoscrizione di certe lettere fatte da Eugenio III, in cui conferma certi privilegi all'Ordine Cisterciense, ne si trova mentovato più per alcuni anni dopo nello sottoscrizioni d'altre lettere, e atti Pontifici. Il Muratori dice aver vedute lettere nel 1150, nelle quali Hildebrandus Cardinalis, Rector, et Procurator, Ecclesiae Mutinensis ìnscribitur. Ma se ciò ha veduto, come poi dir poteva, che molto prima del 1150 era stato rivocato il decreto d'Eugenio, e restituita la dignità Vescovile a Modena in occasione di non si sa qual scisma. Dagli atti prodotti dallo stesso Muratori si comprende che Ildebrando governò la Chiesa di Modena con giurisdizione Vescovile, benchè non fosse Vescovo, ma questi atti bisogna infallibilmente riferirli a quell'epoca.

Alcuni laici occuparono Adianum Castrum nel Frignano (sembrerebbe Castel d'Ajano) per antico diritto soggetto al monastero di S. Pietro di Modena, sopra di che si litigò lungo tempo innanzi a Dodone, e Ribaldo Vescovi di Modena, e innanzi al Sinodo di detta città, e a Richensa moglie di Lotario Imperatore, ma sempre con esito dubbioso. Alcuni anni dopo Placido Abate di S. Pietro di Modona, presentò sopra ciò memoriale al Cardinale Ildebrando, ed al consesso del clero di Modena, come si faceva ai tempi dei Vescovi; quindi si argomenta sicuramente, che sebbene nel memoriale egli intitoli Ildebrando Legato Apostolico, non però ricorso a lui come Legato, ma come giudice, che invece del Vescovo governava la Chiesa di Modena. Non abbiamo memoria sull'esito di questa lite, si arguisce però che pronunciasse sentenza giusta, e prudente, siccome fece in altri circostanze.

Guiberto Abate del monastero di S. Stefano di Bologna, e Ildebrando monaco di detto monastero, e Rettore dell'ospitale di S. Stefano della Quaderna litigavano; Guiberto pretendeva che detto ospitale fosse soggetto fino da antico tempo alla sua Badia, e Ildebrando pretendeva esserne libero e indipendente amministratore. Dopo lunga lite nel 1154 Papa Anastasio IV delegò questa causa al Cardinale Ildebrando, che venne a Bologna, ed alloggiò in S. Salvatore presso i suoi Canonici, ascoltò le parti, poi chiamò per assessori, e consiglieri i quattro celebri giureconsulti Martino Gosia, Bulgaro, Ugo Alberici, e Jacopo, quelli stessi che quattr' anni dopo l' Imperatore Federico I chiamò a se nella Dieta della Roncaglia, che decisero a favore dell' Abate. Ciò dimostra la sua riserbatezza nel sentenziare.

Nel 1156 per opera del Cardinale Ildebrando fu fatta la pace fra i Bolognesi, e Modenesi, e posto fine alla controversia di Nonantola, e così dopo 25 anni nel mese di settembre, si fece alleanza fra le due città, nella quale si pattuì che restassero gli stessi confini dal giogo degli Appennini sino al Pò, come erano anticamente e che se i Nonantolani volossoro eseguire quello che avevano promesso ai Bolognesi, non dovessero i Modenesi impedirlo; più che i Modenesi non impedissero ai Bolognesi se interpellar volessero i Nonantolani a mantenere le condizioni ed infine che i Bolognesi non costringessero i Nonantolani a dar loro aiuto contro i Modenesi. Cosi accomodate le cose di Nonantola, e provveduto alla sua libertà, fu restituita la dignità Vescovile a Modena da Adriano IV, e sulla fine del 1156 con liberi suffragi del clero fu eletto Enrico canonico di detta Chiesa, e dopo tre mesi con sacrato da Anselmo Arcivescovo di Ravenna. Così dopo otto anni avendo Ildebrando rinunciata questa amministrazione passò a Roma nel 1156, ove ai XIII Kal. Ianuar 1156, si vede sottoscritto in alcuno lettore di Adriano IV col titolo di Diacono di S. Eusebio. Pochi giorni dopo nella promozione di altri Cardinali gli mutò il titolo in quello di Prete. de' SS. Apostoli. Con questo nuovo titolo ai IV Id. Ianuar 1157 si vede sottoscritto in alcuni atti di Adriano IV, ed in altri dopo, nè finchè visse Adriano IV parti più ab ejus latere.

Morto Adriano IV insorse lo scisma, che per 20 anni lacerò la Chiesa, e fu legittimamente creato Papa Rolando da Siena detto Alessandro III; ma una piccola fazione di Cardinali creò certo Ottaviano, e lo chiamò Vittore ma illegittimamente. Quindi nacque sedizione in Roma fra i partigiani, ed Alessandro III si ritirò a Ninpham luogo 13 miglia lontano da Roma, ed ivi alli XI Kal. octob. 1159 fu consacrato. Scrisse lettere a Gerardo Grassi Vescovo di Bologna, ai Canonici di Bologna, ai Dottori, e Maestri dello Studio, al cui numero aveva appartenuto, dandogli parte della sua elezione, ed esortandoli a difenderlo contro Vittore.

Trovavasi allora in Italia con esercito l'Imperatore Federico per sottomettere le città ribelli al l'Impero, e specialmente Milano che l'anno innanzi s'era alleata con altre città, a motivo di convenzioni conchiuse colla dieta della Roncaglia contro la libertà delle città italiane. Federico pretendeva a lui spettare la Lombardia per diritto del regno Longobardico e d'Italia che era unito al regno Germanico. Sospettò che Alessandro III potesse essere contrario alle sue mire secondo le quali andava a pericolare la libertà d' Italia, e della chiesa romana, per averlo conosciuto uomo fermo e risoluto mercè i rapporti seco lui avuti due anni prima, quando da Adriano IV gli fu spedito legato a Besancon, e perciò secretamente favorì l'elezione di Vittore suo dipendente, proteggendolo senza riserbo. Quindi nel 1160 attestando essere sua incombenza il comporre le discordie della Chiesa convocò un Concilio a Pavia, chiamandovi ambedue i Papi per esaminare la loro elezione Alessandro III ricusò intervenirvi, negando riconoscere autorità nell'Imperatore di convocare un Concilio, e perchè nelle lettere di convocazione dava il titolo di Papa a Vittore, e non a lui. L'esito fu che sopra false relazioni di testimoni e di atti circa l' elezione, il Conciliabolo approvò Vittore, e rigettò Alessandro III il qual secondo temendo essere oppresso dalla forza di Federico, per estirpar lo scisma deputò suo legato il Cardinale Ildebrando che era sempre stato suo aderente, e che riputò più idoneo a tal officio. Non si può sapere dagli scrittori quando intraprendesse, e durasse questa Legazione, ma pare indubitato che cominciasse fino dal principio dello scisma, perchè alli VIII id. novembris 1159 stando Alessandro III a Ninpham il Cardinale Ildebrando si sottoscrisse nella lettera in cui questo Papa confermava i privilegi del monastero di Monte Cassino, ma però per 10 anni non si vede più sottoscritto nelle lettere di Alessandro III date in Italia, e in Francia. Credesi ancora che non potesse mai con atti pubblici esercitare la sua Legazione, stante la potenza di Federico, ma solo con segreti trattati, de' quali non resta autentico documento, perchè anche Emanuele Commeno Imperatore Greco, che voleva ritrarre qualche vantaggio dallo turbolenze d'Italia, non per pubblici ambasciatori promosse i suoi maneggi nelle città Italiane, ma per soli emissari secreti, uno de' quali fu in Bologna nel 1160, ed ebbe segreti colloqui con Gerardo Grassi Vescovo di Bologna, quale allora secondo l'uso di quei tempi aveva parte nell'amministrazione della Repubblica.

Si deduce da molti argomenti, che i Bolognesi, dopo la dieta della Roncaglia erano stati in qualche dipendenza di Federico ma che circa questi tempi si alienassero da lui in modo, che non potè mai da loro ottenere che aderissero a Vittore. Irritato Vittore, e preso coraggio dalla prospera spedizione di Federico contro i Milanesi noi 1161 radunò un Conciliabolo a Lodi coll' autorità di Federico, e depose i Vescovi fautori di Alessandro III fra i quali vi fu Gerardo Grassi Vescovo di Bologna. Questi fatti sono diversamente narrati dal Sigonio, e confermati dai nostri scrittori, quali dicono che nel 1161 Gerardo spontaneamente rinunciò il Vescovato, e in suo luogo eletto il Cardinale Ildebrando Grassi, che poco dopo cedendo il Vescovato, fosse in sua vece eletto Vescovo Giovanni, e che il Cardinale Ildebrando ritenne il Vescovato sino alla sua morte. Ma tutto ciò è falso.

Non niegherò che in quei torbidi tempi, ne' quali i Vescovi parziali d' Alessandro III erano cacciati dalle loro sedi per la violenza dell' Imperatore, il Cardinale Ildebrando come Legato Apostolico in loro assenza non s' inframettesse nel governo dei Vescovati di Modena, e di Bologna tratto tratto, e in alcuni affari per provvedere ai bisogni, e sostenervi le parti del legittimo Papa, ma che fosse Vescovo di Modena, e di Bologna, nè il Sigonio, nè altri possono provarlo con verun documento, anzi ristansi, non potendosi dubitare che allora fosse Vescovo di Modena Enrico, e che lo fosse fino al 1173, anno in cui fu fatto Vescovo di Modena Ugone negli ultimi anni della vita del Cardinale Ildebrando; nè fra i Vescovi di Bologna, che furono poi, si trova como potersi collocare il Cardinale Ildebrando.

Nel Conciliabolo di Lodi fu deposto dal Vescovato di Bjlogna Gerardo Grassi. Non potè però avere effetto questa sentenza, perchè in Bologna allora non prevaleva l'autorità di Federico. Nel 1162 vedendo Alessandro III di non essere sicuro in Italia per la debolezza delle sue forze, e di quelle de' suoi aderenti, si ricoverò in Francia mentre i Milanesi dall' armi o dalla fame rendevansi a Federico, che distrasse la loro città, ed i Bolognesi, seguendo l'esempio di Brescia e di Piacenza aprirono le porte a Federico, che accordò loro la pace con patto che abbattessero le mura della città, che dividessero l' angusto antico recinto dai borghi, pagassero una grossa somma di contanti, e deposti gli antichi magistrati ricevessero un Podestà a sua scelta. Il Podestà che loro diede l' Imperatore Federico fu Bosone Tedesco, uomo di pessima fama.

Passò poi l'Imperatore Federico in Borgogna per abboccarsi con Lodovico Re di Francia, e spedì poco dopo in Italia il luogotenente Rinaldo Arcivescovo di Colonia, e Arcicancelliere dell' Impero in Italia. Questi cominciò a far eseguire i decreti del Conciliabolo di Lodi, o in conseguenza scacciò dalle loro Sedi i Vescovi fautori di Alessandro III, e ne sostituì altri seguaci di Vittore. Fra gli espulsi vi fu senza dubbio Gerardo Vescovo di Bologna che fu surrogato da Samuele canonico, e diacono di Bologna per autorità di Vittore.

Nè si può credere che allora accadesse in Bologna, quant'era accaduto ottant'anni prima per lo scisma di Enrico Imperatore, cioè, che ambedue i Vescovi delle due fazioni proseguissero a risiedere in Bologna, tenendo ciascuno il governo di quella parte di città, di borghi, e della diocesi, che rispettivamente a ciascuno obbediva, perchè allora fu tale la potenza di Federico in Bologna, che la parte contraria a lui, non poteva in verun modo opporre resistenza.

Si congettura ancora che, durante i due anni che Bologna fu in potere di Federico, il Vescovo Gerardo Grassi stasse presso i canonici di S. Vittore a lui devoti per benefici ricevuti, e per vincolo fraterno di religione.

Certamente nel 1164 XVII Kal. Ini. stando privatamente in S. Vittore, e solo ritenendo il titolo di Vescovo si vedo sottoscritto come testimonio nel testamento di un Alberto da Monzone. Essendo poi tornato Federico con poche forze in Italia, cominciarono molte città di Lombardia a sprezzarlo; i Padovani e i Veronesi furono i primi a ribellarsi, ed i Bolognesi stanchi della tirannìa di Bosone, prima del mese di luglio 1160 ? lo cacciarono, e lo uccisero, eleggendo cinque Consoli, e ponendosi in libertà. Federico non avendo forze per opporsi a tanto sollevazioni, ripassò in Germania per radunare nuove forze. Non vi ha dubbio alcuno sull'abolizione effettuata dai Bolognesi allora di tutti gli atti fatti da Federico, e che cacciato Samuele, non riponessero nella sua Sede il legittimo Vescovo Gerardo.

Nel 1165, concordano, e convengono tutti i nostri annalisti, che nel mese di agosto morisse il Vescovo Gerardo Grassi, e vi fosse sostituito il Vescovo Giovanni, sul di cui conto non vi è alcuna ragione che ci costringa a credere fosse Vescovo di Bologna quattro anni prima come alcuni hanno riferito fra i nostri storici. Nell'elogio di Gerardo Grassi inserto nel Necrologio di S. Vittore, ora serbato nell'archivio di San Giovanni in Monte, si legge: 1165, Gerardus beatae memoriae episcopus, et frater noster migravit ad Dominum. Gemma sacerdotum, et decus ecclesiae, vivat, et oh vivat Christo nunquam moriturus. Ad sortem summi capitis flos ipse futurus.

Decaduta in questi tempi la potestà di Federico in Italia tornò di Francia Alessandro III, benchè durasse lo scisma perchè sebbene morto Vittore, due Cardinali del suo partito gli sostituirono Guido da Crema detto Pasquale. L'Imperatore Federico per difendere questo nuovo Antipapa, e per ricuperare le città d'Italia fece nuova spedizione nel 1166, che sul principio ebbe sorte propizia ricuperando molte città. Sui primi del 1167 entrò nel territorio Bolognese, solamente ne saccheggiò una parte per vendicare la morte di Bosone, progredì fino a Roma da dove Alessandro III fuggì recandosi a Benevento, e pose Pasquale sulla Sede pontificia. Ma per la peste scoppiata nel suo esercito ne dovette indebolire di forze, e retrocedere in Lombardia, le cui città contro lui cospirando armarono un esercito di ventimila nomini, e lo costrinsero a tornar fugittivo in Borgogna, e di là in Germania, avendogli inoltre nel passaggio i popoli di Susa, tolti di mano gli ostaggi delle città italiane, ove Alessandro III avevalo già da più anni scomunicato, e dichiarato deposto dall'Impero, ma egli essendo d'animo intrepido si dié a preparare nuove forze per scendere in Italia. Le città di Lombardia, cioè Milano, Piacenza, Parma, Brescia, Bergamo, Verona, Padova, Bologna, Mantova, Reggio, Modena, Faenza, Ferrara, ed altre non ricusavano riconoscere la sovranità dell'Impero, ma volevano vivere coi propri Magistrati, e con le proprie leggi, nè volevano più dure condizioni di quelle che avevano subite ai tempi di Enrico IV, e di Lotario Corrado Imperatore.

Federico però le voleva soggette, come lo furono sotto i primi Re, ed Imperatori sino ad Enrico III. In queste circostanze le suddette città fecero giurata alleanza per loro difesa, assistendo ai loro congressi, e trattati il Cardinale Ildebrando legato d'Alessandro III che incoraggiò e favorì questa Lega, ben conoscendo che se Federico avesse prevalso in Italia, avrebbe del pari prevalso lo scisma, e perduta la libertà della Chiesa. Così allora più che mai l'Italia fu divisa in due partiti o fazioni, le quali erano già cominciate sotto Enrico III, dette l'una della Chiesa, l'altra del l'Impero, quali fazioni nel successivo secolo furono poi dette dei Guelfi, e dei Ghibellini con eccidio che sgominò l'Italia.

Vennero più volte alle mani negli anni seguenti le città alleate con Federico stesso, e co' suoi capitani con svariata fortuna, della quale non narreremo se non le poche fasi in cui fu interessato il Cardinale Ildebrando, benchè di tanta legazione pochi documenti ci restino. Ma perchè in questi tempi fu anche legato in Lombardia Galdino Cardinale fatto Arcivescovo di Milano, città riedificata dai Milanesi, che poi dopo morte fu annoverato fra i Santi, sembra potersi congetturare, che fra essi fossero divisi gli uffici della legazione in modo che Galdino l'esercitasse nella regione Transpadana, e Ildebrando nella Cispadana, e nell'Emilia.

Pare che il Cardinale Ildebrando fosse non lontano da Modena nel 1168, quando contendendo Enrico Vescovo di Modena, od Alberto Abate di Nonantola non già sui diritti dell'Abbadia, ma pel dominio di certa selva, ed avendo Enrico Vescovo appellato al Papa, questi mediante Ottone Cardinale di S. Nicolò confermasse la sentenza d'Ildebrando. Poco dopo il Cardinale Ildebrando passò alla Corte Pontificia, che allora era in Benevento, e si trovò presente all'atto celebrato postridie Kal. Jannuarj 1169, quando gl'inviati della città d'Alessandria in Lombardia allora edificata dalle città di Lombardia alleate promisero fedeltà ad Alessandro III.

Tornato nell'Emilia fu giudice d'una controversia fra due Abati nel Reggiano, Marolensis, et Canusinus, circa certo fondo presso Bibianello nel Reggiano del patrimonio della contessa Matilde che si chiamava: Terra Sortis de Fano. Matilde contessa, figlia del Duca Bonifacio, oltre il dominio di molte città in Toscana, e in altre parti d'Italia, l'aveva ancora sparso in vari luoghi, castella, ed ampie possessioni, specialmente noi territori di Mantova, Parma, Reggio, Modena, Ferrara, e Bologna per diritto dicevasi di Allodio, de' quali poteva disporre per atti inter vivos, e per ultima volontà. E però, ancora vivente con replicati atti ne fece donazione alla Chiesa Romana, riservandosene il godimento finchè viveva. Ma dopo la di lei morte insorsero per questa do nazione gravi controversie fra il Papa, e l'Imperatore, il quale non si sa per qual ragione pretendesse a quest'ampio patrimonio.

In questo tempo possedeva dette terre Guelfo Duca di Baviera, zio materno dell'Imperatore Federico, con diritto feudale non solo ottenuto dal detto Imperatore, ma ancora dal Papa. Che Guelfone riconoscesse queste terre in feudo anche dal Papa, si vede manifestamente dagli atti di questa controversia agitata dinanzi il Cardinale Ildebrando, benchè non si sappia, quando gliene fosse data investitura. Sul finire del 1160 il Duca Guelfo, che stava in Germania diede il patrimonio di Matilde in amministrazione a Guelfone suo figlio, che stava in Italia. Questi diede por una somma di danaro la mentovata Terra Sortis de Fano all'Abate Marolense. Poco dopo mori Guelfone, ossia Guelfo il figlio, e tornò l'amministrazione a Guelfo, o Guelfone il padre, che senza curare la cessione suddetta fatta dal figlio, diede detta terra all'Abate Canusino alle stesse condizioni. Nacque perciò controversia fra i due Abati sopra la poziorità di diritto, e fu portata innanzi Alessandro III, il quale annullò amendue le alienazioni fatte dai due Guelfoni suoi feudatari perché loro non era lecito di alienare senza il beneplacito del supremo padrone. E come cosa fatta ex-integro concesse detta terra all'Abate Marolense per un annua tenue pensione. L'Abate Canusino pretese che al Papa non fosse stata esposta la questiono qual convenivasi, provocò ed ottenne la revisione della causa, che fu commessa al Cardinale legato Ildebrando allora in Bologna nel monastero di S. Salvatore, che intese le parti in detto monastero, e fatti venire da Reggio a Bologna i testimoni, i difensori, fra i quali quelli da Baisio, o Baese, riconfermò la sentenza del Papa.

Nell'anno 1170 trovavasi il Cardinale Ildebrando a Veroli col Papa, e seco pure nel 1171 a Tuscolo, come lo attestano le sue sottoscrizioni, che si leggono nelle lettere del Papa. In Veroli nell'anno 1170 si tenne colloquio sopra le proposizioni di pace, che fece fare Federico mediante Eberardo Vescovo di Bamberga. Sembrava che Federico non agisse in buona fede, volendo trattare separatamente col Papa, escludendo le città alleate, e che anzi piuttosto con questi trattati volesse rendere il Papa sospetto alle dette città, perciò il Papa non volle assentire pei Congressi qualora non fossero chiamati, e intervenuti gì' inviati di dette città. Ma perchè Federico in questi Congressi mostrò molta varietà, e incostanza, furono rigettate le condizioni, ed Eberardo tornò in Germania senza aver nulla conchiuso.

Ildebrando spedite le facende, che era andato a trattare col Papa, tornò nell'Emilia, e già essendo per scendere in Italia Cristiano Arcivescovo di Magonza con grosso esercito, fu mestieri che Ildebrando attendesse a mantener ferme nella Lega le città alleate, e provvedere alla difesa delle più esposte, poi specialmente a comporre le inimicizie insorte fra le stesse città alleate.

Erano già state, come si è detto, pochi anni prima inimicizie fra i Bolognesi, e i Modenesi per Nonantola, nè il trattato già fatto per la mediazione d'Ildebrando, aveva prodotto intera tranquillità. Mal volentieri avevano i Bolognesi accordato ai Modenesi il diritto di poter costringere i Nonantolani a mantenere i patti loro promessi, perchè questi toglievan loro ogni speranza d' impadronirsi di detta terra. Si congettura che nel 1172 vi fosse qualche movimento per concordia trovandosi che il magistrato di Bologna ordinò che fosse fatto un pubblico autentico transunto del trattato d'alleanza firmato 16 anni prima coi Nonantolani. Temette però Ildebrando, che questo diffido potesse mettere sossopra la Loga, e renderla più debole a resistere a Federico, però con lettera esortò i Bolognesi ad assolvere dal patto i Nonantolani. Negli stessi termini scrisse Alessandro III ai Bolognesi, e a Giovanni Vescovo di Bologna in data del 1179. Sigonio riferisce il ristretto di queste lettere, che non si sa daddove attinte. Che queste portassero effetto si comprende dalla concordia serbatasi fra queste due città per molti anni dopo, e più dell'alleanza fra esse stabilita nel 1179 dopo la morte del Cardinale Ildebrando, nella quale fu pattuito che i Modenesi dovessero dare aiuto ai Bolognesi, quando avessero guerra dentro il loro territorio, e specialmente se assediassero Monteveglio. (Monteveglio era una forte Rocca, o Castello nei confini del Bolognese, che ai Bolognesi non obbediva, ma sebbene a Federico). Che i Bolognesi non s'intromettessero caso che i Modenesi volessero ricuperare il dominio di Nonantola, nè dassero aiuto ai Nonantolani contro i Modenesi, e se qualche privato Bolognese a ciò controvenisse fosse esigliato dalla città. Cosa accadesse non si rileva con certezza dalle storie. Certamente i Nonantolani o di buon o di mal grado, si sottomisero ai Modenesi cedendo gli Abati il loro diritto , che difendere non potevano per una somma di denaro, come scrive il Muratori. Cosi dopo lunghi contrasti Nonantola venne in potere di Modena.

Neil' anno 1173 VI Kal. Oct. vi fu gran Congresso in Modena e fra gì' inviati delle città alleate intervenne por i Bolognesi Ospinello Carbonesi. Fu ivi confirmata la Lega contro Federico con nuovo giuramento, con promessa di non ricevere sue lettere, nè inviati, e di non firmar seco la pace, o trattato senza consenso degli altri alleati sotto gravi penalità. Furono presenti a questo Congresso, e ne confirmarono gli atti due Cardinali, Ildebrando Cardinale legato in Lombardia, e Tordino P. Cardinale di S. Vitale legato nella regione Transalpina di là allora tornato, ed inoltre Albricone Vescovo di Reggio falsamente dal Sigonio, e da altri creduto Cardinale.

Ferveva allora in Ravenna una celebre questione intorno al luogo, ove fosse sepolto S. Appolinare fondatore di quella Chiesa, e primo predicatore del Vangelo nell'Emilia, e nei paesi vicini. All'opinione che il corpo di detto Santo fosse sepolto nella chiesa di Classe, si opponevano i monaci di S. Appoliuare in Coelo Aureo, ricantando un'antica favola che Giovanni VIII Arcivescovo di Ravenna nel secolo IX temendo certi ladroni per essere la chiesa di Classe lontana da Ravenna facesse trasportare dentro Ravenna il corpo di detto Santo con altre reliquie, e lo collocasse nella chiesa di S. Martino, che fu poi detta di S. Appolinare. I monaci Camaldolesi di Classe ciò negavano, e dicevano che il corpo di S. Appolinare, e quelli d'altri Santi rimasero in Classe, sebbene in luogo occulto, e lo provavano con molti argomenti. Ciò nonostante Gerardo Arcivescovo di Ravenna favoriva l' opinione dei monaci di S. Martino. Ricorsero i monaci di Classe ad Alessandro III che ordinò al Cardinale Ildebrando di portarsi a Ravenna per comporre tale divergenza. Egli vi andò accompagnato dal Cardinale Teodino, spiegò le Commissioni Apostoliche, convocò nella Chiesa di Classe buon numero di Vescovi, Abati, il Clero ed il popolo. Due monaci solamente possedevano il segreto con giuramento di non violarlo, se non con autorità Apostolica interrogati. Questi essendo colla detta autorità assoluti dal giuramento dichiararono essere le sante reliquie sotto l'aitar maggiore. Ivi per due giorni cavata la terra furono trovati in due Conditorj , in uno essendo un corpo di meravigliose fragranze con lamino d' argento sul capo su cui era scritto esser quello il corpo di S. Appolinare. Di là fu levato da Giovanni eremita Camaldolese uomo di pietà insigne, e posto nelle mani del Cardinale Ildebrando, che lo sospese in alto a vista di tutto il popolo, poi asceso sul Tribunale pronunciò esser quello il corpo di S. Appolinare, fulminando scomunica contro chi asserisse altrimenti, decretando che la festa di questa invenzione si celebrasse ogni anno in detto giorno che fu ai V Kal. Novem. 1173.

Queste memorie furono scritte da Rodolfo monaco Camaldolese già priore, poi Vescovo d'Ancona, scrittore di quei di secondo ne crede il Muratori, perchè asserisce tali essere le parole inserte nel sermone che detto Rodolfo in congratulazione di quest'evento pronunciò, senza però si sappia ove lo fosse. Ma qualunque sia stato l' autore di detto scritto, da esso abbiamo irrefragabile testimonianza, che il Cardinale legato Ildebrando, era di cognome Grassi o Crassus. Ecco le sue parole: Sed ne forte contingeret id neglectum iri scripsit (D. Papa Alexander) Domno Ildebrando Cardinali, legationis officio in iisdem partibus fungenti, qui cognominatur Crassus, non tam pro pinguedine corporis, quam pro ubertate honestatis, et sapientiae, ut episcoporum, Abatum, aliorunque fidelium convocata multitudine colamniantium compesceret ausus. Può essere, che il primo di questa famiglia detto Crassus o Grasso dall'obesità del corpo ricevendo il cognome, lo, tramandasse ai posteri, ma Rodolfo alludendo al cognome della famiglia, volle riferirlo alla pinguedine del corpo, ed all'abbondanza delle virtù dell'anima sua.

La Chiesa mentre era occupata a rendere onore alle ossa di S. Appolinare, era ancora intenta al culto di un martire recente, cioè S. Tommaso arcivescovo di Cantauria, che per difesa dell'Immunità ecclesiastica fu ucciso in Inghilterra da alcuni malvagi per far la corte al Re Enrico. Perciò Alessandro III spedì due Cardinali legati in Normandia dov'era per condursi il Re Enrico, che furono il suddetto Cardinale Teodino, e Alberto Cardinale Prete di S. Lorenzo per indurre quel Re all'espiazione del delitto. E mosso da miracoli accaduti al suo sepolcro, dopo due anni e due mesi dal dì della sua morte, nel giorno IX KaL Martias 1173 in Anagni alla presenza di tutti i Cardinali, che erano in Curia, lo dichiarò martire e lo collocò nel numero dei Santi, ordinando in tutta la Chiesa la festa nel giorno V Kal Januari in cui fu martirizzato.

Appena ciò seguito il Cardinale Ildebrando pensò a propagare il culto di questo Santo in Bologna sua patria, forse ancora perchè come si ha dalla cronaca Bromptoniana detto S. Tommaso mentre era chierico della chiesa di Cantauria d'ordine di Teobaldo arcivescovo di detta Chiesa si portò allo studio in Bologna, e per un anno vi studiò legge civile. Il Cardinale Ildebrando dunque a proprie spese innalzò un altare a detto Santo nella chiesa di S. Salvatore in Bologna, ma non se ne conosce l'anno, che però fu certamente dentro i cinque dopo la detta canonizzazione di Alessandro III, perchè più oltre non visse il Cardinale Ildebrando. Dopo la di lui morte gli scuolari studenti in Bologna di Nazione Inglese, che allora erano molti, presero quest' altare sotto la loro protezione, e nel 1203 lo dilatarono in forma di cappella in modo che sembrava una chiesetta unita alla Chiesa maggiore, e vi fecero l'altare adattato a questa cappella, che Innocenzo III ordinò fosse consacrato da due Vescovi di Bologna, e di Modena. Ma Gerardo Ariosti Voscovo di Bologna fu renitente a fare questa consacrazione, forse perchè egli aveva dedicato a questo santo un altro altare in Paradiso - seu porticu - di S. Giovanni in Monte fabbricato da Jacopo da Bertinoro medico, assai frequentato dal popolo. Venutone a conoscenza Innocenzo III, con nuove lettere ordinò, che se Gerardo Ariosti Vescovo di Bologna perseverasse in tale renitenza, il solo Vescovo di Modena Egidio Garzoni Bolognese, venisse a Bologna, e consacrasse l'altare. Nacque così controversia fra i canonici Renani, e gli scuolari Inglesi sopra il possesso di questa cappella, e della sacra sua suppelletile. Nel 1234 Tommaso priore di Santa Maria di Reno che fu poi Vescovo d'Imola ed il preposto (orig. proposito. Errore di cui il Breventani non si accorse) degli scuolari inglesi convennero che due fossero lo chiavi della cappella, una restasse in mano del priore, l'altra del preposto, e suoi successori in perpetuo.

Nel 1305 si rimise in piedi la lite, e fu dalle parti eletto arbitro Baldredo Biset Scozzese vicario di Uberto Vescovo di Bologna, e fu convenuta previe certe condizioni, ma essendo diminuito il numero degli scuolari inglesi, tutto il gius fu devoluto ai canonici, perchè nel 1353 Riniero Ghisilieri priore di Santa Maria di Reno volendo ornare detta cappella, concordò solo, senza intervento degli scuolari, il prezzo della pittura, con Vitale De Equis celebre pittore di quel tempo nella somma di scudi 60 d'oro. Sembra che detta cappella così restasse sino al principio del secolo XVII, nella qual epoca fu magnificamente rifabbricata la chiesa di S. Salvatore.

Ma proseguiamo le gesta del Cardinale Ildebrando, riferiteci da Romualdo Arcivescovo di Salerno, delegato di Guglielmo Re di Sicilia.

Essendo nel 1174 (orig. 1184. Errore di cui il Breventani non si accorse: dovrebbe essere il 1174) venuto l'Imperatore Federico in Italia con grande esercito ebbe a subire alternata fortuna nell'armi per due anni, ma poi vinto in grande battaglia a Marignano dai Milanesi, e dalle città alleate, ebbe seriamente a pensare pacificarsi col Papa, sperando dopo esserselo fatto amico di soggiogare facilmente le città di Lombardia; non disprezzò le sue proposizioni Alessandro IIL e determinò, che si facesse un congresso a Bologna fra esso, e l'Imperatore.

Sui primi del 1177 partì il Papa d'Anagni sul principio dell'anno, si portò a Benevento, ed indi ad un porto dell'Adriatico detto Apenestensis, seu Vestensis portus con alcuni Cardinali, fra quali il Cardinale Ugo Bolognese nomo chiarissimo, da esso alcuni anni prima creato Cardinale di S. Eustacchio. Della famiglia del quale benchè non abbiamo date certe non possiamo però consentire col Ciacconio e coll' Ughelli, che lo fanno fiorentino, e della famiglia Ricasoli senza l' appoggio d' alcun idoneo documento. Senza dubbio ad essi deve prevalore la sentenza di Romualdo Arcivescovo di Salerno, il quale non una ma più e più volte lo chiama Ugo Bolognese. Da quel porto essendosi molti Cardinali inviati per terra in Lombardia, navigò Alessandro III fino a Zara in Dalmazia, poi giunse a Venezia. Ivi giunsero ambasciatori di Federico, pregando il Papa a stabilire altro luogo per il Congresso perchè molti de' baroni della sua corte non si tenevano sicuri in Bologna, e specialmente Cristiano Arcivescovo di Magonza, che quando negli anni passati, comandò l'esercito di Federico in Italia, aveva crudelmente devastate le campagne del Bolognese. Non voleva il Papa assentire essondo giunto fino a Ferrara, ma ivi vinto dalle preghiere delle città Lombarde, condiscese a tenere il Congresso in Venezia. Mandò dunque due Cardinali cioè Ugo Bolognese Cardinale di S. Eustacchio, e Riniero Cardinale di S. Giorgio in Velabro a Venezia, per chiedere di poter ivi fare il Congresso, e chiedere salvacondotto a tutti gli intervenuti. Quali cose ottenute ritornò Alessandro III a Venezia, e vi entrò ai V Kal. Junii 1177. Colà prima dell'arrivo di Federico molto si disputò sulle condizioni di pace fra gli inviati. Era più facile l' accomodo fra il Papa, e l'Imperatore, che fra le città alleate, e l' Imperatore, perchè queste volevano ritenere la loro libertà, o non consentivano sott' altre condizioni, che quelle che scemavano la potestà, e autorità dell'Imperiale. Fu adottato di far la pace fra il Papa, o l'Imperatore, e una tregua di sei anni fra le città, e l' Imperatore.

Cosi essendo accordato l' Imperatore si portò a Venezia, abiurò lo scisma, prestò obbedienza ad Alessandro III, promise di non dar aiuto a Calisto Antipapa, che già da dieci anni era succeduto a Pasquale defunto, e cosi fu assolto dalla scomunica nel giorno di S. Jacopo dallo stesso Alessandro III nella basilica di S. Marco, e restituito ai primitivi titoli, ed onori. Pochi giorni dopo rattificò la tregua dei 6 anni colle città Lombarde già stabilita da suoi ambasciatori, e confirmò le condizioni dell'accordo col Papa.

Egli è certo, che in tutto ciò prese parte il Cardinale Ildebrando, esistendo una, o due sottoscrizioni sue alle lettere di Alessandro III spedite in Venezia, per cui è a creder che molto si adoprasse per ridurre le città Lombarde, e specialmente Bologna sua patria, ad acconsentire previe condizioni oneste essendovi stato tanti anni legato per identici interessi. Partì prima l'Imperatore da Venezia, poi nel mese d'ottobre Alessandro III imbarcandosi per l'Adriatico, sbarcò a Siponto indi per Benevento tornò ad Anagni, ove era solito risiedere.

In questo stesso anno 1177 morì in Benevento il Cardinale Ugo Bolognese, che molto si era adoprato, ed utilmente nel trattato di questa pace, e Romualdo Salernitano rimpiange la sua morte siccome una calamità che rattristò la Chiesa dopo la conclusione di questa pace. Restava a maneggiarsi una stabile pace fra l'Imperatore, e le città di Lombardia, affinchè non passasse il tempo della tregua, senza che fosso conchiusa , o così evitare la guerra. Ciò prese a cuore Alessandro III, anche por non accreditare le calunnie di quelli che dicevano che nel Congresso di Venezia non avesse pensato che alle cose sue, sacrificando gli alleati, che con tante spese, e pericoli l' avevano aiutato. A questo fine prorogò la legazione al Cardinale Ildebrando nome conosciuto da lui per prudente e di provata esperienza nei negozi ed attissimo in questo grande affare. Ma mentre il Cardinale Ildebrando aveva cominciato ad applicarsi a sì scabrosa impresa, girando per le città di Lombardia a fine di disporle, per le applicazioni, e fatiche si ammalò in Vicenza, e morì ai VI Id. Novem. 1177, nel postridie del detto giorno e nella basilica di Santa Maria Primaria in Vicenza fu sepolto.

Quanto grande uomo egli fosse lo dimostrano quanto su di lui fu narrato e la scelta, che di lui fecero a trattare difficilissimi negozi i Papi Eugenio, Anastasio, Adriano, e Alessandro per trent'anni. I suoi beni pervennero ai canonici Renani della sua Congregazione, ma non si sa se per testamento, o se per successione religiosa, fra quali alcuni poderi, e vigne, gli arredi della sua cappella, e alcuni vasi d'argento, e 200 bizantini in contanti. Perciò i canonici stabilirono celebrargli un annuo anniversario, com'è notato nel Necrologio, che così si esprime:

Novemb. VI Idus. D. Ildebrandus Cardinalis, et canonicus Santcae Mariae de Rheno dequo habuimus ducentos bizantinos cum cappella ejus, cum quibusdam vasis argenteis deputatis tam ad divinum opus, quam ad humanum cum vineis etiam, et terris, quas nam pro anima ejus . habemus, et possidemus pro quo canonici Sanctae Mariae de Rheno tam presentes quam futuri dev.me, ac districte orare debent. - V Idus A. D. MC septuagesimo octavo. D. Ildebrandus sopultus est Vicentiae in Ecclesia Majori.