Cazzanemici dell'Orso

(nelle antiche carte, de Cazanemicis de Urso) o Caccianemici grandi. Traggono dalla stirpe principalissima dei d' Alberto d'Orso, ed hanno a capostipite il Cazzanemico (1219) figlio di quel Jacopo d' Alberto d' Orso di cui ho narrato le vicende. Dall'avito casato presero l'aggiunto dell' Orso e un orso usarono come stemma. L' altro aggiunto di grandi faceva antitesi a quello di piccoli che distingueva una famiglia omonima. Eran nobili geremei, e Alberto tenne il primato della fazione dopo la morte di Guglielmo Galluzzi (1259) (1). Quest' Alberto era uomo di gran vaglia, benchè malvagio, e fu chiamato undici volte a reggere città, tra le quali Milano, dal 1248 al 1272 (2).Contemporaneamente Tommaso, Gruamonte detto Monte, Guido, Alberto, e Cazzanemico, tutti de' Cazzanemici andavano podestà dieci volte (3).Alberto quand' era pretore a Ravenna (1249) fu con le milizie di colà, insieme co' Bolognesi, all'assedio e alla presa di Modena (4). Ma i Ravennati turbarono la sua pretura e gli fecero danni ed offese, ond'ebbe le rappresaglie con facoltà di combattere e distenere i Ravennati, contro i quali il comune di Bologna apparecchiò una spedizione. S' interposero i Riminesi ed ottenner la pace tra i due comuni e che un arbitrato componesse con Alberto. Furon arbitri l' eletto di Ravenna e il podestà di Bologna, i quali pronunziarono un'ammenda di 900 lire ravennati in favore d' Alberto e di 500 pel suo assessore; ma fossero liberati i prigioni (5). E già nell'anno antecedente Alberto aveva conseguito un'altra ammenda, immensamente maggiore, dai Bresciani, contro i quali eziandio esercitava rappresaglie, certo per causa pubblica, imperocchè l' ammenda salì alla somma enorme di 1000 marche d' argento corrispondente a 67,200 lire di bolognini (6).

Poi Alberto fu uno degli oratori delle città guelfe i quali convennero dinanzi a Innocenzo IV° (1254) e, da facoltoso ch'egli era, festeggiò il duca di Fiandra nel suo passaggio per Bologna (7). Circa a quel tempo egli aveva trentadue servi della gleba ed altri quarantasei eran divisi fra varii Cazzanemici. E si fu per privati interessi ch'egli venne a contesa col nipote Guido Palténa figlio di Gruamonte e, poichè ne fu ingiuriato, da altiero ed iracondo ch'egli era eccitò alla vendetta i proprii figli Cazzanemico e Venetico, il primo dei quali assalito il cugino nella sua stanza l'uccise. Datosi alla fuga venne bandito nel capo, e Alberto che avevalo instigato nell'atto dell' assassinio fu solamente multato di 2,000 lire, per ingiusta deferenza alla sua dignità e al suo potere. Che più, per fino la madre dell' ucciso, compiacendo agli ufficii de' congiunti, accordò la pace per gli orfani ad Alberto e a Venetico e dichiarolli innocenti: Cazzanemico si acconciò presto col fisco (8). Ma, s' è vero ciò che narra il Ghirardacci (9), il popolo, cui meno d' ogni altro spettava d'ingerirsi in questo delitto, si sarebbe preso la cura di vendicare l' ucciso rovinando le case d' Alberto sino alle fondamenta.

Dopo avere insanguinato le case di sua gente come privato, Alberto insanguinava le vie della città come capo di parte nel 1271, per la quistione di patti rotti da' Modenesi (10), e nel 1272 per opporsi alla spedizione contro gli Aigoni guelfi principali di Modena. Nell' anno appresso era all' assedio della ghibellina Forlì, cui i lambertazzi adoperavansi di far levare, interpositore Edoardo re d' Inghilterra là di passaggio. Ma Alberto col voler vender cara la pace, la impedì (11).

Ai lambertazzi ricorreva per aiuto eziandio la fazione dei modenesi Graisolfi (1274), e la causa loro s' agitò dinanzi al nostro, comune, ove' all' autorità di Castellano d' Andalò prevalse l'influenza d' Alberto Cazzanemici, il quale non pago di questo trionfo, uscendo dalla curia vituperò i lambertazzi ed eccitò la plebe ad insultarli. Ma costoro, saliti sulle proprie torri vicine, ricambiaron gl' insulti col gittar dardi e pietre sugli offensori, ed il pretore vendicò la pubblica quiete multando Alberto Cazzanemici di 800 lire e facendo atterrar le case di due dei più riottosi di ciascuna fazione. Se non che la zuffa si allargò in una guerra civile, e i Cazzanemici con i Liazari e co' Prendiparte assalirono gli Albari e i Perticoni (12). Vedendo però i geremei di non poter prevalere, proposero frodolentemente che i capoparte Castellano d' Andalò e Alberto Cazzanemici, accompagnati da primarii, convenissero disarmati in palazzo. V'entrarono, ma solo ad Alberto ed a' suoi fu dato di uscirne. Ed ecco che i geremei vogliono assalire le casatorri e le torri de' lambertazzi ; il podestà pone ostacoli ed è forzato col fuoco alle porte a dimettersi ; gli si promette però di lasciarlo partire senza molestie, ed esce dal palagio ; ma presso la chiesa di s. Francesco è raggiunto da Alberto Cazzanemici, il quale in armi e traendo gente armata lo minaccia di morte se non gli rende la somma di che avevalo multato. Intanto Mantovano, figlio naturale d'Alberto « e chiaro per raddoppiati misfatti » vegliava intorno con una mano di scherani, di guisa che il podestà dovette cedere le argenterie ed il meglio di sue robe, onde « non era a torto, soggiunge il Savioli, (13) che Alberto Cazzanemici si denominava l' Alberto dalle iniquità. Ne fa fede Galvano Fiamma e di poco assai tralignarono i suoi figliuoli. »

Dopo la proscrizione e il ritorno, i lambertazzi sorsero in armi gridando muoiano i geremei (1280) e rigettatili dalla piazza con lungo conflitto stavano per impadronirsi anche del palazzo, allorchè Giovanni da Somma capitano della compagnia de' Beccari e Alberto Cazzanemici accorsi con duemila armati, mutarono le sorti della giornata e sospinsero i lambertazzi fuori della città (14). Ma in questa lotta furon bruciate e guaste in città e in contado ottantasette case de' geremei e centoquattro de' lambertazzi, enumerate dallo scrittore della cronaca di Bologna (15).

Nell' anno seguente pel tradimento di Tebaldello Zambrasi i geremei penetrarono in Faenza e vi misero a fil di spada i lambertazzi. Alberto vi fé' prove di valore e salvò la vita a Guidottino Prendiparte scavalcato e ferito. Le gesta di Alberto dalle iniquità si compiono coll' offerta ch' egli andò a fare a Bonifacio VIII (1297) della repubblica di Bologna, in nome della parte geremea governata da esso Alberto (16).

Figli di lui furono il Cazzanemico assassino del cugino Guido Paltèna, il complice Venetico e Ghislabella ambidue infamati dall'Alighieri. Il qual Venetico fu podestà di Modena, d' Imola e di Milano (17) e insieme con i due pacieri gaudenti racconciliò odii famigliari nel 1267. S'azzuffò, compagno al padre, co' lambertazzi (1272), andò oratore al conte della Romagna (18) e di lui narravasi, ma falsamente secondo l' antico commentatore Landino, che avesse data in mano ad Obizzo II d'Este, la propria sorella Ghislabella (e non Ghisla bella come hanno gli editori della divina commedia) moglie di Niccolò Fontana da Ferrara. Per la qual cosa Dante, incontrando Venetico in Malebolge e vedendolo battuto crudelmente di retro da dimoni cornuti, cosi racconta (19):

Mentr'io andava, gli occhi miei in uno

Furo scontrati, ed io si tosto dissi:

Già di veder costui non son digiuno.

Perciò a figurarlo i piedi affissi:

E 'I dolce Duca meco si ristette.

E assenti eh' alquanto indietro gissi.

E quel frustato celar si credette

Bussando 'l viso, ma poco gli valse:

Ch'io dissi: Tu che l'occhio a terra gene,

Se le fazion che porti non son false,

Venedico se' tu Caccianimico;

Ma che ti mena a si pungenti salse ?

Ed egli a me: Mal volentier lo dico:

Ma sforzami la tua chiara favella,

Che mi fa sovvenir del mondo antico.

I' fui colui, che la Ghisola bella

Condussi a far la voglia del Marchese.

Come che suoni la sconcia novella.

E non pur io qui piango Bolognese:

Anzi n'è questo luogo tanto pieno.

Che tante lingue non son ora aprese

A dicer sipa tra Savena e'l Reno:

E se di ciò vuoi fede o testimonio,

Recati a mente il nostro avaro seno.

Cosi parlando il percosse un demonio

Della sua scuriada, e disse: Via, Ruffìan,

qui non son femmine da conio. »

E qui mi si conceda di fare un' osservazione intorno ai limiti Savena e Reno, presi dall' Alighieri per indicare il luogo intermedio ove dicevasi sipa (o sépa; almeno adesso diciamo così) cioè Bologna e una parte del suo territorio. Ed è che anticamente la Savena, e il Reno segnavano limiti, fino ai quali era lecito di arrivare ad una sorta di confinati che dicevansi guamrnatae exteriorìs (20). Lo spazio intercluso era dunque eminentemente bolognese e forse ciò indusse Dante a designare quei due limiti per quella sua esageratissima comparazione.

Ma tornando a Venetico, dirò che un suo figlio ed un suo nipote s' imparentarono con gli Estensi e ch' egli dovett' esser bandito, da che è annoverato fra gli esuli richiamati a Bologna nel 1302 (21). I figli suoi ebbero bando e confisca nel 1305 e vennero perdonati cinque anni dopo, poi citati dall'imperatore Enrico (22). I fratelli di Guglielmo detto Pellizzone, cugini di Venetico, furono dei lupi rapaci esiliati nel 1282 e nel 1289 con confisca e devastazione di case, di torri e di fortezze (23). Il solo Jacopo fu eccettuato perchè diede cauzione. Altri de' Cazzanemici, cioè Traversano, Cazzanemico, Obizzo, fratelli ed un Venetico detto Zanza cugini nipoti del primo Venetico, erano in tal discordia tra loro che già avevano impugnate le armi, e come un conflitto in questa famiglia potev' essere pericolo pubblico, così i magistrati deputarono due cittadini a comporre, siccome fecero con un lodo (24).

Il Boccaccio novellò d' un Nicoluccio Cazzanemici e di sua moglie Gentile dei Garisendi, come ho accennato dicendo di quest'ultima famiglia.

Molti de' Cazzanemici militarono, ma troppo lungo sarebbe e poco utile il ricordare e dove e quando. Nel governo della repubblica presero poca parte, ed era dei XVI riformatori Cristoforo allorchè Braiguerra, suo figlio naturale, per vendicare un fratello uccise Jacopo del Lino (1473). Giovanni II Béntivogli che allora signoreggiava ne fu irritato, poichè i Cazzanemici avevangli promesso di non trascorrere a vendetta, e chiamato il popolo all'armi lo condusse alle case de' Cazzanemici, che furon date alle fiamme. Braiguerra cadeva trafitto, Cristoforo era espulso dal senato. Alessandro suo figlio, che scampò da morte rifuggendosi nelle stanze del legato, e gli altri Cazzanemici, furono proscritti. Ritornarono nel 1506 con Giulio II e diedero tre professori di leggi, fratelli: ma erano scaduti di autorità e di censo, di guisa che l'ultimo rampollo, Girolamo, venne a morte (1749) esercitando il mestiere di tornitore. Ne assunse il cognome l'illustre congiunto dottor Luigi Palcani, che non ebbe successione (25).

Ho detto a suo luogo che nella piazzetta di s. Ippolito ossia di s. Barbara, detta altresì corte dei Cazzanemici, presso la Dogana vecchia, probabilmente sorgeva la torre di quei d' Alberto d' Orso, la quale per concorde asserzione degli antichi scrittori fu atterrata nel 1193. Onde pare non sia la stessa quella torre dei Cazzanemici che sussisteva nel 1278 certamente nella piazzetta di s. Ippolito. I diritti sulla qual torre insieme con la casa aderente furon venduti in esso anno 1278 per 400 lire da Imelda vedova di Gruamonte (madre dell'ucciso Guido Paltèna) e da Gruamonte detto Monte (figlio d'esso Guido Paltèna) a Tommasina madre di Alberto Novello Cazzanemici (26). Cotesta vendita generò discordie e questioni tra i Cazzanemici, i quali, cioè Guido (zio di Venetico) del già Cazzanemico e i figli suoi Genesio, Jacopo, Guglielmo e Bitino da una parte, Alberto Novello (cugino in secondo grado di Venetico) del già Jacopo ed i figli Bitino, Gruamonte e Raniero, non che Gruamonte detto Monte del già Guido Paltèna dall' altra parte, elessero arbitri a terminar le quistioni Giovanni Basacomare e Beccadino Artenisi (27).

In seguito del lodo pronunziato, esso Gruamonte detto Monte cedette al suddetto Bitino d' Alberto Novello, per 93 lire, una casa presso la torre anzidetta posseduta da Alberto Novello, e i diritti sulla torre, curia e cortile vecchio de' Cazzanemici posti davanti la chiesa di S. Ippolito (28).

Per lo stesso motivo Alberto Novello vendette al Guido anzidetto al prezzo di 600 lire tutte le case dalla medesima torre, situata nel gran cortile de' Cazzanemici, fino alla casa d'Alberto (Novello) Cazzanemici, compresavi metà dell' androna frapposta alle case e torre più volte menzionate (29).

Risulta dunque da queste carte ed altre comprovano (30) che vi erano androne o chiassuoli di proprietà privata, come ve n'erano di pubbliche o strade, ad esempio l'androna o via dei Toschi ed altre ricordate nei cataloghi antichi delle strade di Bologna. La qual cosa ho notata perchè il glossario delle voci della bassa latinità dà questa scarsa definizione dell' androna: «est spatium inter duas domos. » Ma le androne e specialmente le private, dovevan essere assai sudicie e fetenti, poichè nel nostro dialetto n' è rimasto il vocabolo equivalente a luogo fetido, o a fetore: al pózza cm' una andranna, (putisce come un' androna), al pózza ch'l' andrauna (putisce (così) che amorba), che andrauna (che fetore!) I rozzi agricoltori chiamanoandrauna le matenie tratte dai pozzi neri.

La sopraddetta torre de' Cazzanemici nel 1373 era proprietà d' un certo Giacomo Cacciari e fu affittata insieme con alcune case. Ma poichè nella locazione è chiamata non più torre, ma torrazzo, pare avesse subito delle mutilazioni, le quali probabilmente avvennero in seguito alla condanna che appunto portava tal pena.(31).

I Cazzanemici avevano altresì una torricciuola da taluno male attribuita ai conti di Panico in via Galiera n. 490 (*), presso l' antica cinta, la qual torricciuola, ora in parte sussistente, fu venduta con la casa annessa per 100 lire a Giorgio Villanova, dai fratelli Braiguerra e Cazzanemico Cazzanemici nel 1399 (32). Questa torricciuola è di una costruzione affatto particolare, imperocchè consta d'un doppio muro collegato dai vólti delle gradinate in muratura che vi stanno in mezzo, cioè così come nel campanile di S.Pietro in Bologna e come in quello di s. Marco a Venezia; ed anzi per ulteriore analogìa con quesf ultimo, il muro interno della torricciuola de' Cazzanemici è fatto ad arcate aperte, nella parte più alta. La torricciuola ha un pozzo nel mezzo, è larga soltanto metri 4,39 e s' innalza attualmente un 9 metri al di sopra della casa, di guisa che si vede dai luoghi vicini: Ciascuna delle doppie pareti ha solo 33 centimetri di grossezza.

Appartenne per qualche tempo ai Cazzanemici, non so se ai grandi o ai piccoli, la torre dei Toschi, in via de' Toschi, e l' antico vólto che vi è vicino ritiene il nome di voltone dei Cazzanemici.

(1) Savioli, Ann. v. 5, pag. 337.

(2) Savioli, Ann. v. 5, pag. 214, 223, 260,278, 323, 337, 352, 386, 394, 434, 461,

(3) Savioli, Ann. v. 5, pag. 241, 249, 279, 287, 320, 435. Ghirardarci, Hist. v. 1. pag. 167, 183. 227.

(4) Savioli, Ann. v. 5, pag. 223.

(5) Savioli. Ann. v. 5, pag. 266, 267.

(6) Savioli, Ann. v. 5, pag. 262.

(7) Savioli, Ann. v. 5, pag. 273, 410.

(8) Savioli, Ann. v. 5, pag. 411.

(9) Hist. v. 1, pag. 213.

(10) Savioli, Ann. v. 5, pag. 444.

(11) Savioli, Ann. v. 5, pag. 456, 469.

(12) Savioli, Ann. v. 5, pag. 481.

(13) Savioli, Ann. v. 5, pag. 478, 482, 483, 490.

(14) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 251.

(15) Histor. Misceli, col 289. 290.

(16) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 258, 347.

(17) Savioli, Ann. v. 5, pag. 456.

(18) Ghirardacci, Hist. v. 1. pag. 231, Savioli, Ann. v. 5, pag. 400, 456.

(19) Inferno, e. 18, v. 40.

(20) Lib. confìn. ann. 1277. Veggasi Sarti, De clar. archig. v. 1, pag. 212.

(21) Savioli, Ann. v. 1, pag. 265 genealog. Ghirardacci, v. 1, pag. 557.

(22) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 567.

(23) Docum. n. 170.

(24) Ghirardacci, Hist. v. 1, pag. 603.

(25) Fantuzzi, Notiz. v. 3, pag. 5. Mazzetti, Repert., pag. 74. Guidicini, Cose not. v. 1, pag. 423, e v. 5. pag. 145.

(26) Docum. n. 105.

(27) Docum. n. 173.

(28) Docum. n. 174.

(29) Docum. n. 177.

(30) Grimoaldo del già Guidolino Bomipetri e i suoi figli vendettero una casa cum medietate androne qvam habent pro indiviso cum dicto d. Bonhioanne ecc. (Memorialium lib. 47, ann. 1289, Ibi. 111). Vendita d'una casa cum medietate androne ecc.(Memorialium lib. 88, ann. 1294, fol. 43, v. ).

(31) Guidicini, Cose not. v. 4, pag. 247.

(32) Guidicini, Cose not. v. 2, pag. 199.

(*) Il testo originario riporta 480, ma è evidente errore confermato anche dall'asserzione presso l' antica cinta.