Bentivogli

Famiglia di cui le nostre carte non fanno motto prima del secolo XIII; è però favola che derivi dagli amori del prigioniero re Enzo con una Lucia di Viadagola e che il cognome s' improntasse sul ben ti voglio spesso ripetuto dal regale amante.

Come partigiana, questa famiglia si trova tra le geremee popolane solo nella pace del 1279 e non figurò nel corso di tal secolo per conto alcuno (1). Nel seguente si distinse come seguace dei Pepoli avidi della signoria di Bologna e fu perseguitata e tutta quanta bandita dall' Oleggio, tranne Giacomo e Michele cui fu mozzo il capo. Si fu soltanto nell' ultimo decennio del secolo XIV che comparve sulla scena politica Giovanni d' Antoniolo, il quale fu quasi il fondatore d' una dinastia. Uomo valoroso ed accorto si unì a Nanni Gozzadini per abbattere il dominio scaltramente usurpato da Carlo Zambeccari, ma venne relegato in Dalmazia e il suo furtivo ritorno costò la vita a molti de' suoi parziali. Morto il Zambeccari di peste (1399) ed espulsi i suoi aderenti prevalsero il Gozzadini e il Bentivoglio, quegli favorendo il popolo, questi lusingando gli ottimati, la fazione maltraversa, i signori di Faenza e di Milano. Poi scelto il momento diè mano alle armi, e dopo aver sparso di molto sangue s' impadronì della città ( 1401 ) e se ne fece nominar signore dal consiglio. Ma tosto ebbe nemici alcuni della sua famiglia, parte de' Bolognesi, il condottiero Alberigo da Barbiano e lo stesso duca di Milano.

Di questi suoi congiunti il principale fu Bente, uomo versatile che mandato da Giovanni a chieder soccorso ai Veneziani contro il Visconti, andò invece dal Visconti ad eccitarlo contro Giovanni e tornò poi a Bologna tra le file dei viscontiani. Devoto a Bonifacio IX, n' ebbe la contea di s. Giorgio e il senatorato di Roma. Da tali inimicizie germinarono congiure, e Giovanni le domò col patibolo, traendovi eziandio un altro suo congiunto. Il Duca e i fuorusciti vennero minacciando Bologna, e Giovanni, meglio secondato dai Carraresi e dai Firentini di quello che da' Bolognesi, accettò la battaglia a Casalecchio ma fu sbarragliato. Cercò rifugio in Bologna e vi trovò una sollevazione, contro la quale lottò inutilmente nella notte. Inutilmente Nanni Gozzadini cercò di salvargli la vita, chè Alberico da Barbiano lo fece tagliare a pezzi da' soldati per vendicare un nipote (1402).

Antongaleazzo figlio di Giovanni visse inosservato fino a che il concilio di Costanza s' adunò per giudicar di tre papi, e quello parve ai Bolognesi opportuno momento (1416) di liberarsi dalla soggezione pontificia, in cui eran caduti alla morte del duca Giangaleazzo Visconti. Antongaleazzo fu dei principali insorgenti e de' primi XVI riformatori dello stato di libertà che allora vennero eletti. Ma la memoria del padre, anzichè fargli abborrire, gli faceva agognare il sommo potere ed arrivò a conseguirlo nel 1420, accresciute le file de' suoi partigiani e versato un po' d' altrui sangue. Sbandì tosto i Canetoli potenti emuli e nemici, che si rifuggirono presso Martino V, il quale non tardò a stringer Bologna con armi celestiali e terrene per farla sua. Difese sè ed essa il Bentivoglio, poi capitolò vantaggiosamente per ambidue (1420) e ritirassi a Castelbolognese ottenuto in feudo, ma presto toltogli per odio dei Canetoli e per malafede del legato pontificio.

Antongaleazzo diventò allora condottiero di ventura e Martino V lo volle a' suoi stipendi col figlio, per sorvegliarli. E quando i Canetoli scacciarono il legato cardinale che ave vano attirato, Martino inviò di nuovo contro Bologna un esercito, facendone commissario Antongaleazzo. La ottennero a patti egli e il legato (1429), il quale dovette l'anno appresso voltar le calcagna come molti altri suoi predecessori e successori. Se non che con insistenza di tafani presto tornavano, ed un ne tornò nel 1431 seguìto da gran copia di soldatesche condotte da Jacopo Caldora, nè altro patto poterono ottenere i Bolognesi che la conferma dell' antico bandimento d' Antongaleazzo, accordato dalla curia romana perchè conforme alle sue mire.

Dopo un' altra fuga ed un altro ritorno di legati, ed espulsi i Canetoli, Antongaleazzo ottenne da Eugenio IV la sospirata concessione di rimpatriare nel 1435. Incontrato dall' immemore popolazione fu condotto quasi in trionfo al suo palazzo messo a pompa ed a festa da' suoi partigiani. Ed ecco qual pro ebbe di questa popolarità. Diciannove giorni dopo il suo arrivo udì messa alla corte del governatore papale Aleman, dal quale con atto cortese fu alcun poco trattenuto in parlari. Accomiatatosi poi, nell' uscire dall' appartamento fu circondato da venticinque sgherri che gli fasciaron la bocca come masnadieri e trasserlo a' piedi della scala, ove in fretta gli fu mozza la testa, mentre la pubblica attenzione era richiamata sulla piazza da frastuono di tamburi e di trombe. E si che i Canetoli, benchè nemici, avevan detto ad Antongaleazzo « non fidatevi de' monsignori ».

Narrasi che Antongaleazzo ed un Malvezzi ricorressero ai dadi per decidere a cui spettasse un giovinetto Annibale e che la sorte lo dichiarò un Bentivoglio (2). Solo è certo che Francesca Gozzadini, moglie d' Antongaleazzo, lo allevò con amor di madre. Adulto, militò quasi ostaggio per Martino V, poi sotto Micheletto Attendolo guerreggiò nel reame di Napoli per Renato d' Anjou. Ed era tuttavia lontano, allorchè i Bolognesi, che s' eran dati al Visconti per liberarsi dai papi, volevano liberarsi anche del Visconti, il quale come suol succedere mancava ai patti della dedizione. Invitato reiteratamente, Annibale venne e fu accolto con gioia, siccome quello che poteva ripristinare un reggimento autonomo. Ma il Visconti, a tener vive le discordie, oppose a lui i Canetoli facendoli rientrare in Bologna, e benchè gli omicidii, le congiure e le esecuzioni capitali secondassero poi la tattica del Visconti, venne a sturbarla la necessaria, proscrizione dei Canetoli, addivenuti insopportabili. Piegò allora il Visconti verso Annibale e gli diede in isposa la propria cugina Donnina Visconti, col feudo della terra di Grenozzo sul novarese; ma poichè vide che la fazione d' Annibale vie più ingrossava e v' era pericolo, ordinò a Niccolò Piccinino, che per lui teneva Bologna, d' impossessarsi d' Annibale e di rinchiuderlo nella rocca di Varano su quel di Parma (1442). Ne seguì in Bologna grande costernazione, aumentata dal mal governo del Piccinino e venne giurata la liberazione d' Annibale, che fu assunta e con grande audacia e valore effettuata da Galeazzo e da Tideo Marescotti.

Il ritorno d' Annibale a Bologna fu il segno della sollevazione che rovesciò il governo viscontiano e d' allora in poi Annibale fu considerato capo della repubblica; ne accrebbero il prestigio l' alleanza de,' Veneziani e de' Firentini, e segnatamente la vittoria da lui riportata a s. Giorgio sulle armi del Visconti.

Intanto fu proposto di levar di bando i Canetoli e suscitaronsi gravi contese. Annibale perorò generosamente per questi suoi nemici e gli si associarono tanto coloro che speravano con la riconciliazione delle due famiglie la quiete pubblica, quanto gli altri che volevano frenare la prevalenza del Bentivoglio: la proposta fu approvata, e Annibale andò ad incontrare i Canetoli quando rientrarono. Passaron due anni in apparente concordia, ma i Canetoli, irreconciliabili, profittarono dell' imbaldanzire de' Marescotti e dell' indulgenza che loro usava Annibale riconoscente, per ordire contro di lui e di loro una congiura, offerendo Bologna al duca di Milano, se aiutava.

La congiura doveva scoppiare il giorno di s. Pietro (1445), ma i Canetoli impazienti l' anticiparono di cinque giorni. Il loro complice Francesco Ghisilieri pregò Annibale d'essergli padrino nel battesimo d'un figlio e fu compiaciuto, perchè Annibale profittava di tutte le occasioni per far dimenticare gli odii antichi e per rendersi accetto. Ma preso a braccio dal Ghisilieri per andare alla chiesa, fu da lui impedito a difendersi allorchè Baldassarre Canetoli gli fu sopra e con una pugnalata nel petto vilmente l' uccise. Sbucarono i congiurati dalla chiesa di s. Isaia e trucidarono tre fratelli Marescotti. L' altro fratello Galeazzo, sottrattosi e raccolto al quanto di popolo, piombò' sopra i congiurati ed uccise tutti i Canetoli che potè avere nelle mani. Battista capo della costoro famiglia fu massacrato dalla plebaglia, che ne confisse il cuore nella porta del palazzo Bentivogli e ne diede la carogna in pasto a cani ed a porci. Cinquanta case furono saccheggiate ed arse, e il Sanseverino, il Coleoni e il Gonzaga, spediti successivamente contro Bologna dal duca di Milano, nulla poteron fare.

I Bolognesi, ammaliati dal nome dei Bentivogli, offrirono allora il primato a Lodovico lontano parente d' Annibale, uomo che per grande probità, per valore politico e militare era tenuto il più illustre e benemerito cittadino. Ma la probità appunto, poichè egli era schiettamente repubblicano, gli fece rifiutare l' offerta. Come rispettò allora la libertà del suo paese, così ne salvò di poi l'indipendenza; imperciocchè fu inviato nel 1455 a Niccolò V risoluto di sottommetter Bologna, e fu sì destro da far desistere il papa e da renderglisi ad un tempo molto accetto. Onde fu donato dello stocco benedetto che soleva essere inviato a principi e che i suoi discendenti conservano. La città accolse lui al suo ritorno quasi trionfalmente e gli offerse un vessillo con lo stemma della repubblica.

Il rifiuto di Lodovico fece prendere la risoluzione molto strana di chiamar da Firenze un Sante, figlio naturale d' Ercole Bentivogli, che là a ventidue anni viveva oscuramente attendendo all'arte della lana, affinchè tutelasse e preparasse alla futura grandezza l'orfanello d'Annibale, tenendo frattanto il primato. Sante, che conosceva di non aver altro merito che quello d' essere il solo parente, ma naturale, di Annibale, stette perplesso all' inaspettata richiesta, poi consentì per consiglio di Cosimo de' Medici (1446). Ed era un arduo incarico, che involgeva in una lotta continua co' papi bramosi del dominio assoluto di Bologna, e con le fazioni che sempre cercavano di soppiantarsi.

Ma Sante, anzichè curare il bene del pupillo e del paese, pensò a sè stesso, e lasciandosi trascinare dall' ambizione favorì gli aderenti con disprezzo delle leggi, onde, i disordini, gli omicidii e le ingiustizie durante il suo governo abbondarono. Non consentì al legato pontificio di richiamare i fuorusciti avversarii ai Bentivogli, e poichè il legato strepitava, minacciollo di farlo balzare dalle finestre, sicchè questi da uomo accorto preferì di uscir tosto per una porta, non solo dal palazzo ma eziandio dalla città. I fuorusciti allora, a capo dei quali erano i Pepoli, i Canetoli e i Ghisilieri, perduta la speranza di ripatriare per accordi, credettero di riuscire con le armi. E spalleggiati da' Veneziani s' introdussero furtivamente e nottetempo in Bologna pel valico del canale di Reno, poi misero gridi di strage. I magistrati atterriti fuggirono con la sola camicia, ma Sante tenne testa, rintuzzò l' assalto, e impossessatosi di Francesco Ghisilieri e di Baldassarre Canetoli, assassini d' Annibale Bentivogli, li mise a morte (1451).

Se non che per questo rischio e per questo successo Sante impeggiorò, e senza curarsi di processi, fece strozzare alla chetichella nelle carceri coloro che man mano furono accusati di cospirare. Lo sopportavano i Bolognesi per timore di ricadere sotto la protezione dei papi, dalla quale egli potè tanto meglio preservarli, quanto che riuscì ad amicarsi, e sposando Ginevra Sforza a imparentarsi, con i duchi di Milano. Ma fu colto da morte non ancora quarantenne nel 1463, avendo tenuto il primato di Bologna diciasett' anni e cominciato ad erigere quel palazzo che fu poi uno de' più cospicui d' Italia.

Sante avrebbe voluto gli succedesse il proprio figlio Ercole e perciò aveva mendicato pretesti per allontanare il pupillo designato da' Bolognesi, il quale s' era per soprapiù invaghito della moglie di lui; ma venendo prematuramente a morire, furono tronche le sue file, perchè il figlio aveva solo quattr' anni. Pertanto Giovanni, figlio d' Annibale, che poi s' in titolò secondo e che sedicenne era stato ammesso nel senato dei XVI riformatori, fu salutato capo della repubblica (1462). Ed anzichè aver molestie da Paolo II n' ebbe favori, perchè Paolo, veduto come i suoi predecessori non avessero ottenuto nulla con la forza, ricorse all' astuzia, credendo di far Giovanni segno all' invidia e al malcontento. E accrebbe i senatori da sedici a ventuno, nominando de' bentivoglieschi ; ne stabilì l' ufficio a vita ed ereditario, capo perpetuo Giovanni con doppio voto ne' scrutinii. Ma lo stratagemma non riuscì ad altro che ad accrescere ed a consolidare la riputazione ed il potere di Giovanni, sicchè i principi d' Italia lo considerarono com'un dei loro. Veduta la mala riuscita, Paolo II cambiò tattica ma non fortuna, di guisa che Sisto IV ed Innocenzo VIII si tennero a conceder grazie e privilegi a Giovanni, fra i quali principalissimo la successione del figlio Annibale, allora quinquenne (1474), nella dignità di capo perpetuo del senato. Ordinarono in pari tempo ai legati recalcitranti di rimanere a Bologna e di contentarsi di esservi tollerati. Finchè i papi esercitavano così i diritti che pretendevano avere, Giovanni lasciava fare.

Spacciato dalle brighe con Roma, estese le sue relazioni politiche e propenso ai Medici, che camminavano di pari passo, soccorse Piero minacciato da' fuorusciti condotti da Bartolommeo Colleoni ( 1466), e Lorenzo il Magnifico dopo la congiura de' Pazzi. In nome del duca di Milano suo alleato e parente, chè Giovanni aveva sposato Ginevra Sforza vedova di Sante Bentivogli, scacciò Carlo Manfredi da Faenza per porvi il fratello Galeotto (1477). Ma poi Giovanni, tornato colà dopo che Francesca sua figlia aveva assassinato esso Galeotto suo marito, il popolo sollevossi per timore d' esser dato al duca di Milano e poco mancò non ispacciasse Giovanni, il quale fu ditenuto, e solo per intromissione del duca e di Ferdinando re di Napoli venne poi rilasciato (1488). Conservò ai Riario Forlì allorchè vi fu trucidato Girolamo (1488), ed in ricambio ed in segno d' affetto ebbe dal duca di Milano il feudo comitale di Covo, d' Antignate, del ponte di Pizzighettone, di Monguzzo, di s. Nazaro e di Roncarolo. Dal re di Napoli fu donato del cognome e delle armi di Aragona, cose rimbombanti e vistose. Da' Veneziani ascritto al patriziato con la famiglia e da Lodovico il Moro dichiarato governator generale delle sue milizie.

Giovanni allargava il suo potere altresì in Bologna e col potere l'arbitrio; diminuiva l'autorità de' magistrati, ma aumentandone però la pompa, ed opprimeva la repubblica. Abbagliava i nobili imparentandosi con i regoli d' Italia sminuzzata, con splendidi torneamenti e con sontuosi conviti; baloccava il popolo con larghezze, con feste, con abbellire la città, col favorire le arti. Ma la congiura de'Malvezzi (1488) fu il primo scherno alla fortuna del Bentivoglio, e, poichè la congiura tu scoperta, Giovanni Malvezzi per età venerando rinfacciò a lui in pieno senato la servitù in cui aveva ridotta la patria. Susseguì inesorabile la vendetta, e morti, proscrizioni, confische involsero, rei ed innocenti, tutti quanti i Malvezzi ed i loro aderenti. Poi Carlo VIII veniva a. metter sossopra l' Italia, ed Alessandro VI avrebbe voluto che Giovanni gli contendesse il passo ; ma questi se ne astenne per piacere a Lodovico il Moro, che stoltamente aveva fatto cadere quella valanga sul bel paese. E quando costui pentito formò una lega contro l' invasore francese, vi trascinò il Bentivoglio, allettandolo con la contea di Gallarate.

Lodovico XII venne anch' egli a' nostri danni; e il Bentivoglio, rimasto privo dell' appoggio del Moro sconfitto e prigioniero, sobillato da Alessandro VI si salvò sborsando somme esorbitanti, che gli valsero la protezione reale per sè e per la famiglia, salvo le ragioni della chiesa, cioè una protezione che non proteggeva. Ed infatti nella lega tra Alessandro VI e Lodovico XII fu stabilito che l' Emilia diventerebbe appannaggio del buon Valentino, cui Giovanni dovette dar l' offa di Castelbolognese per torselo dalle porte di Bologna. E scontentò il popolo che presto fu esasperato dal massacro de' Marescotti e d' altri cittadini, fatto dai figli di Giovanni, i quali supponevano intelligenze col Valentino. Pertanto le due famiglie dei Malvezzi e de' Marescotti, che avevano elevato i Bentivogli, vennero da costoro perfidamente rimeritate.

Alessandro VI citò a Roma Giovanni, ma il popolo minacciò di massacrarlo insieme con i figli se avessero voluto partire, perchè temeva cadere più facilmente sotto gli ugnoni del Valentino. Ne ottenne un accordo Giovanni che non era altro che una dilazione; e una dilazione fu altresì la morte d' Alessandro VI, che parve la salvezza di Giovanni. Poichè Giulio II, il quale alzava la destra tanto per benedire quanto per maledire, sollevolla minacciosa contro Giovanni per rancori privati da quando era vescovo di Bologna, per istigazione de' superstiti Malvezzi e Marescotti e per disegni ambiziosi. Alle scomuniche tenne dietro un esercito pontificio ingrossato dalle armi di Lodovico XII protettore de' Bentivogli e di Bologna, al quale esercito dopo breve resistenza i Bolognesi aprirono la città, impedendone però con le armi alla mano l' ingresso ai Francesi.

Dopo averla dominata quarantatrè anni Giovanni ne partì con la famiglia il 2 novembre 1506 e, perseguitato dagl' interdetti, si ridusse a Milano ove Lodovico XII lo fece distenere in castello, allorchè i figli suoi tentarono di ricuperare Bologna (1507). L'anno dopo morì. Come gli erano stati prodigati servilmente i titoli di padre della patria e di divino quand' era potente, fu gridato tiranno, scellerato, spogliatore e peggio poichè fu esule. Sempre i calci dell' asino al leone morente. Giovanni ebbe trentadue figli, ripeto, trentadue perchè il numero è sì grande che potrebbesi credere sbagliato. Di molti non fu madre Ginevra Sforza sua moglie e sua rovina. Ambiziosa e veemente, da lei provennero le stragi de' Malvezzi, de' Marescotti e il mal governo di suo marito. Voleva restare a Bologna per gettarsi ai piedi di Giulio II, ma costui nol permise. Si rifuggì a Busseto dai Pallavicini ed eccitò i figli a muovere contro Bologna, ma questa prova fallita, la prigionia del marito e l' atterramento della reggia bentivogliesca la fecero morire subitamente di crepacuore. Era scomunicata e fu respinta dai cimiterii consacrati.

Di tutti i figli di Giovanni quattro soltanto, i legittimi, presero parte agli avvenimenti del tempo loro. Il primogenito Annibale, cui era stata conferita la successione nel primato del senato, guadagnò fama di valoroso capitano combattendo per e contro i Fiorentini (1494-1496), per i Medici fuorusciti (1493), contro i Francesi (1494-1496) e contro il Valentino (1505). Esule con la famiglia si ritirò alla corte d' Ercole d' Este di cui aveva sposata una figlia naturale e la sua discendenza tuttavia sussistente diventò ferrarese. Di questa è il cardinal Guido, autore della storia delle guerre di Fiandra.

Annibale macchinando per aver Bologna fece un tentativo nel 1508; venne sconfitto e gli fu messa una taglia di quattromila ducati. Ma quando Giulio II disertò la lega di Cambrai per unirsi a' Veneziani (1510), Lodovico XII prese a protegger davvero i Bentivogli perchè ne aveva d' uopo ed ordinò di ricondurli a Bologna. Il Chaumont non riuscì in quell' anno, riuscì il Trivulzio nel susseguente senza colpo ferire, però i Bolognesi vollero promessa da Annibale di non far vendette e intanto se la presero contro la statua di Giulio II, opera di Michelangiolo, e contro il castello di Galiera che per la quinta volta fu spianato. Ma le fazioni non rinsavivano, e l' omicidio d' un Lodovisi decise i Malvezzi, Malvezzi, i Marescotti e gli altri nemici d' Annibale a mettersi nelle file dell'esercito pontificio, ingrossato da Veneziani e da Spàgnuoli e condotte dal Cardona che lo spinse verso Bologna. Il Bentiyoglio lo rintuzzò in Romagna e combattè allato a Gastone di Foix, che vinse ma fu ucciso nella giornata di Ravenna (1512). Se non che i Francesi avendo poi abbandonato il Bentivoglio, i Bolognesi rifiutarono di combattere per lui che dovette lasciar Bologna e il dominio. Tentò, ma indarno, di ricuperare il perduto nel 1513, poichè il nuovo papa Leone X pareva propenso ai Bentivogli, nel 1522 all' elezione di Adriano VI, nel 1527 dopo il sacco di Roma. Disilluso, visse ancora tredici anni.

Antongaleazzo, secondo figlio di Giovanni, benchè prelato sostenne molte missioni pel padre, condusse milizie ed ebbe alquanti figli. Pellegrinò di nascosto de' suoi a Gerusalemme e tornato si fece dipinger crociato e con barba prolissa da Francesco Francia, in un quadro per la chiesa della misericordia. Accumulò moltissimi benefizii ecclesiastici che perdette quando il padre fu proscritto. Rientrato co' fratelli a Bologna, forzò i canonici a nominarlo vescovo, ma poi non difese la sua elezione. Morì arciprete di Casteggio nel 1525.

Alessandro terzogenito è lodato per qualità egregie di animo, ed è l' unico che assistette il padre nella sventura. Citato alla corte di Francia pel tentativo del 1508, dopo la seconda partita da Bologna si ricoverò presso gli Sforza parenti di sua moglie, che avevano ricuperato la ducea di Milano. Fu uno dei principali condottieri che sconfissero i Francesi a Novara e liberarono la Lombardia nel 1513. Ritornati nel 1524, Francesco I mentre assediava Pavia spinse il Pallavicino a tentare un colpo di mano su Cremona; il Bentivoglio gli fu contro, lo sbarragliò e lo fece prigione, contribuendo così alla vittoria di Pavia ed alla cattività di Francesco I. Andò viceduca a prender possesso del ducato di Milano e ad ordinarvi il governo allorchè Carlo V lo restituì allo Sforza. Il duca lo fece senatore e lo rinvestì di Covo, d' Antignate e di Pizzighettone. Morì a Milano nel 1532. Sua moglie Ippolita Sforza piacque al monaco Bandello, che scrisse le sue novelle nel parossismo di questa passione.

Ermes, anch' egli di Giovanni, pronto al sangue, è l' esecutore del massacro de' Marescotti e primeggiò nelle altre iniquità dei Bentivogli. Reintegrò i Riario spodestati dal Valentino, partecipò ai tentativi di ricuperare Bologna e fu ferito in quello commesso al Chaumont. Combattè insieme con Gastone di Foix alla battaglia di Ravenna e nel 1511 avrebbe voluto rimanere in Bologna per imporre a' cittadini ed a Giulio II. Morì a Vicenza nel 1513 combattendo tra i collegati contro papa Giulio e gli Spagnuoli.

Non essendo mio assunto d' occuparmi dei Bentivogli di venuti ferraresi, accennerò qui da ultimo che si ha un ducato d' oro però rarissimo di Giovanni I, e molte monete fatte coniare da Giovanni II per privilegio dell'imperatore Massimiliano (1494), le quali si stiman opera del Francia. Una moneta d' argento col nome di Giovanni II e il titolo R. (ei) p. (ublice) bonon (ie) princeps fa credere ch'egli la coniasse per propria autorità, anzichè per quella concedutagli dall' imperatore. Altre monete incerte recano lo stemma dei Bentivogli ed una, pure del Francia, che fu in copia gettata al popolo nell' entrata trionfale di Giulio II, ha l' epigrafe bon (onia) p (er) Iul (ium) a Tirano liberat (a).

Nell'espulsione della famiglia Bentivogli Giulio II eccettuò il ramo di Lodovico detto dallo stocco, esigendo però che più non usasse fino alla quarta generazione lo stemma della sega, comune co' proscritti, e assumesse invece il di lui stemma roveresco. Inutile a dire che la sega proscritta fu cancellata ovunque trovavasi. Giulio II istituì allora un nuovo senato di quaranta membri, ma in guisa da esautorarlo; se non che tutti i nuovi senatori, compreso Ercole Bentivogli, risolutamente rifiutarono. Il focoso trionfatore fu scosso da questa protesta e si volse a rispettare le convenzioni de' suoi predecessori.

Un pronipote d' Ercole, nomato Ulisse, ebbe in moglie una figlia della notissima Bianca Cappello, il cui marito, Francesco I de' Medici, che non aveva e avrebbe voluto aver successione, s' appigliò a profittare della gravidanza di questa figliastra per simulare un parto di Bianca. Ma il cardinale designato successore del fratello granduca impedì con la propria vigilanza la frode, che l' avrebbe privato della corona toscana. Colei fu degna figlia di Bianca Cappello e delle avventure di lei il Brusoni tessè il romanzo la fuggitiva.

Tre professori sorsero in questa famiglia, Bente, il senatore di Roma, che insegnò leggi nel secolo XIV; Andrea che tenne cattedra di lettere nel XVI e Carlo anch' egli professor di legge nel secolo susseguente.

Domenico fece le campagne napoleoniche dal 1808 al 1815, riportandovi ferite, il grado di capitano e la decorazione della corona di ferro. Passato nelle truppe pontificie vi fu generale.

I Bentivogli ebbero tredici senatori fino al 1796 e dugentottantadue anziani. Comprarono il marchesato di Montevecchio e Sambucetto.

Sventata la congiura de' Malvezzi e sparso di molto sangue e fatte di molte preci solermi e voti, fra i quali il quadro del Costa in s. Giacomo con i Bentivogli a' piedi della Madonna (3), Giovanni II pensò di prepararsi una specie di rocca per rifuggirvisi in qualche altro brutto momento, ma immaginò una rócca di buon genere, artistica, e che non offendesse la suscettibilità degli assoggettati concittadini. Perciò compre ed atterrate alcune case nella via Castagnoli, a breve tratto dal palagio ch' egli aveva compiuto e reso uno de' più belli d'Italia; consultati gli astrologi, i cui oroscopi avevano allora gran peso, e scelto il punto da essoloro assegnato, nel 3 novembre 1489 Giovanni ed i figli fecero con pompa la cerimonia di levare un po' di terra per preparare le fondamenta di una torre (4). Intrapresosi poi davvero e progredito lo scavo, fu trovato il terreno sì molle e cedevole che convenne munirlo di palafitte, il che, come vedrassi dappoi, non bastò a raggiungere la necessaria saldezza. Ed è quindi tanto più incomprensibile che le fondamenta venissero profondate soltanto piedi bolognesi 20 ossia met. 7,60, come attesta nel suo diario l' architetto o capomastro Gaspare Nadi, che vi operò coadiuvato dai due mastri Pietro Alberti e Bartolommeo da Novellara, e che lasciò minuti ragguagli del suo operato (5). Il lavoro delle fondazioni non ostante le incontrate difficoltà fu condotto con tale sollecitudine, la paura incalzando, che il dì 18 del seguente Gennaio il Bentivoglio vi depose solennemente la prima pietra, in cui era scolpito il suo stemma. Altre pietre vi misero successivamente i figli Annibale, Antongaleazzo, Alessandro ed Ermete, e il codazzo de' cortigiani. Quindi Bartolommeo Rossi, segretario, recò quattro vasi ceramici alti più d' un palmo e colmi di medaglie in oro, in argento ed in bronzo, all'effigie di Giovanni II, col suo stemma e con iscrizione (6), i quali furono da lui collocati negli angoli dell' edificio, sovrapponendo ai due vasi dinanzi due tavolette di piombo con iscolpite queste epigrafi:

« Anno salutis MCCCCLXXXX. Ioannes Bentivolus II Reipublicae Bononiensis Princeps, ac columen, Mediolanensisque militiae ductor, Turrim hanc extruxit, annum agens duo de quinquaginta, in matrimonio habens decus matronarum Ginebriam Sfortiam, et ex ea liberos numero XI, foeminas septem, mares vero quatuor: Annibalem equitem aureatum primogenitum, Antonium Galeatium Protonotarium Apostolicum, Alexandrum et ipsum equestri dignitate decoratum, novissimum Hermem. »

« Monimentum hoc conditum a Ioanne Bentivolo II patriae Rectore, cui virtus, et fortuna, cuncta quae optari possunt bona, affatimi praestiterunt » (7).

La torre finita di murare nell' ottobre 1495, cioè dopo cinque anni di lavoro, ebbe due lati di 32 piedi bolognesi o di metri 12,16 di larghezza, gli altri lati di piedi bolognesi 28 o di metri 10,64 e il basamento fatto a scarpa (8). Il Burselli (9) e l' Alberti, i quali vivevano a quel tempo, narrano che la torre fu costrutta senza i soliti fori per i ponti, ed il secondo aggiunge (10) « conciossiachè con grande artificio avevano drizzato per ciascun cantone una vite di legno che sostentavano tutte le armature e alzavansi secondo il bisogno nel voltar la vite ».

L' accesso alla torre non era in fondo, chè là eravi un pozzo e conserve di provvigioni e di munizioni, per poter star chiusi lungo tempo. L' accesso era in alto ed in comunicazione coll' appartamento del Bentivoglio, mediante un ponte levatoio che attraversava la via Castagnoli. In sette piani a volte con magnifiche stanze fu divisa la torre e coronata da un ballatoio merlato, con in mezzo una torricciuola che accolse una grossa campana coll' immagine di santi e di Giovanni II (11), ed al fine di chiamare a raccolta. Esternamente, attorno al ballatoio, vennero scolpiti e messi a colori e ad oro gli stemmi dei principi e dei baroni parenti dei Bentivogli cioè gli stemmi dei Visconti, Sforza, Gonzaga, Este, Malatesta, Manfredi, Torelli, Rangoni, Pio, Orsini, accollati con la sega bentivogliesca. E per testimonianza del contemporaneo Zili (12), non che di altri, questa torre vinceva in altezza ogni altra nostra, eccetto l' Asinelli. Ma ciò che la rese più ammirabile furono le pitture di che venne impreziosita. Imperocchè Giovanni II, miglior mecenate che principe, ( onde ben poteva esser detto munificentissimo ma non padre della patria nè divino) aveva chiamato da Ferrara e da Modena i più valenti pittori. Ai quali e poscia all' esimio Lorenzo Costa ed a Francesco Francia, che meglio d' un cattivo principe potev' esser detto divino, Giovanni aveva. fatto pennelleggiare molte storie nella reggia bentivogliesca, alcune delle quali s'ebbero le lodi di Raffaello. Ora tra le pitture che questi egregii maestri condussero nella torre, alcune ritraevano il celebre torneo dato da Giovanni II l' anno 1470 in Bologna (13), del quale non ci rimane che la descrizione in un rarissimo e prezioso opuscoletto stampato in que' primordii dell'arte tipografica; ed eran del Francia segnatamente alcuni fregi messi a oro (14).

Questo ammirato edificio non fu sì tosto compiuto che venne colto dalla folgore, la quale dopo avervi squarciato un vólto (15) drizzossi nella camera del palagio ove soleva stare Giovanni e vi spezzò un grandissimo specchio d' acciaio, e buon per lui che la chiragra lo tenesse in quel tempo nella stanza da letto (16). Ma la percossa di quest' ignea meteora sarà ella stata considerata come in antico una consecrazione, per vero troppo gagliarda, o una minaccia di maggiori sciagure? Se vi fu dubbio, i cortigiani piaggiatori non avranno mancato di rassicurare, ma per poco, giacchè, otto mesi dopo, il tremuoto del 1505, che parve il finimondo, conquassò il palazzo bentivogliesco e ne adimò la torre sì che sovr' esso minacciava di rovinare.

Non si stette allora dal consultare gli astrologi che diedero disparati responsi, e mal ne incolse a Luca Gaurico, il quale, da gonzo e da guastamestieri, vaticinò la rovina della dinastia e della reggia de' Bentivogli. Avvegnachè, a istigazione di Cristoforo Poggio segretario di Giovanni II ed uomo di lettere, fu rimunerato con quattro tratti di corda e con venticinque giorni di carcere atroce. Onde imprecando al suo martoriatore nel Tractatus astrologicus (17) esclamò « Itaque misello vati veritas nocuit ».

Ma Ginevra Sforza moglie di Giovanni II, donna fiera ed avvezza a far piegare davanti alla propria ogni altra volontà, si atterrì vedendo piegarsele sul capo minacciosa quella torre che lei avrebbe dovuto proteggere e riparò al monistero delle clarisse, protestando che non sarebbe più rientrata nel palazzo fino a tanto che la torre non fosse stata mozzata. E così avvenne, da che Giovanni, cedendo sempre alle esigenze della moglie ed incalzato dall'evidenza del pericolo, fece diroccare più che mezza la torre, onde Ginevra tornò dopo quaranta giorni al proprio tetto (18).

Ma già s' appressava l' ultim' ora della dominazione e della reggia dei Bentivogli, chè nell' anno appresso costoro presero la via dell' esiglio. E quando tentarono la prima volta, ma non riuscirono, di riacquistar la signoria (1507), il popolo esasperato e condotto da un Gozzadini, che non ha discolpa se non nel massacro del padre commesso dai Bentivogli, proruppe sopra il loro palazzo rabbiosamente, lo arse ed in un mese lo ridusse un monte di maceria. Il qual monte in parte fu asportato nello scorso secolo per dar luogo al teatro comunale, in parte ancora rimane ridotto a giardino, e il luogo è detto tuttavia il guasto.

In quella vandalica distruzione fu diroccata ulteriormente la torre « fino a quel termine, scriveva l' Alidosi nel 1621 (19), che si vede al presente. » Poi fu atterrata del tutto dal conte Cammillo Malvezzi, allorchè nel secolo scorso rifabbricò la fronte e il fianco della sua casa (20). Nel 1866 ho veduto venire all' aprico la metà circa della periferia di questa torre nell'abbassare il piano della via Castagnoli presso il portone dei Malvezzi, restandone l' altra metà dentro un muro di cinta della casa loro. Osservai che un ovolo di macigno attorniava quei ruderi e ne feci staccare un pezzo e recarlo al museo municipale.

(1) Attingo le notizie di questa famiglia dal Litta, Famiglie illustri d' Italia. Bentivogli.

(2) II racconto fattone dal Ghirardacci nel terzo volume della sua Historia di Bologna, che corre manoscritto, fu ostacolo alla stampa ed alla pubblicazione di esso volume, come può vedersi distesamente in Gozzadini, Lettera di fra Cherubino Ghirardacci e notizie riguardanti la stampa del suo terzo volume ecc.

(3) Questo gran quadro non che le altre pitture e le sculture che sono nella cappella Bentivoglio in s. Giacomo, le monete bentivogliesche e novantacinque documenti relativi a Giovanni II possono vedersi nelle Memorie per servire alla vita di Giovanni II Bentivogli, raccolta da G. Gozzadini.

(4) Nadi, Diario delle cose di Bolog. dal 1418 al 1503, ms. pag. 62.

(5) Nadi, Diario, ms. pag. 62.

(6) Non sono da confondere con le monete fatte coniare da Giovanni II dopo il privilegio imperiale del 1494.

(7) De Bursellis Hier. Annales bononiens. col. 909.

(8) Nadi, Diario ms., pag. 62, 78.

(9) De Bursellis Hier. Ann. col. 909.

(10) Histor. di Bologna ms. all' anno 1490.

(11) Ghiselli, Memorie antiche di Bologna, ms. v. 10, pag. 44.

(12) Zili, Cron. ms. fol. 16.

(13) Ghirardacci, Hist. v. 3, ms. Ann. 1507.

(14) Ghirardacci, Hist. v. 3, ms. Ann. 1507.

(15) Cosi ha il sincrono continuatore del Diario di Gaspare Nadi, il quale merita maggior fede del Ghirardacci da cui è raccontato (Hist. v. 3, ms. Ann. 1504) che lutti i sette vòlti ne furono rotti.

(16) Ghirardacci, Hist. v. 3, ms. Ann. 1504.

(17) Opera omnia, v. 2, pag. 1618.

(18) Zili, Cron. ms. pag. 16. Ghirardacci, Hist. v. 3, ms. Ann. 1505.

(19) Alidosi, Instrut., pag. 282.

(20) Guidicini, Cose not. v. 1, pag. 260.