Il canone (2)
di Dario Culot
La Bibbia nella St. Viktor Church, Dülmen, North Rhine-Westphalia, Germany (2018) - foto di Dietmar Rabich, tratta da commons.wikimedia.org
Si è detto che il Cristianesimo dei primi secoli non vantava né un Credo unico e definitivo, né un insieme certo e concordato di testi cui fare riferimento, proprio perché Gesù non aveva scritto nulla, e fra i vari gruppi di cristiani circolavano numerosi vangeli,[1] tutti con ampia possibilità di emergere e affermarsi, che per di più venivano tranquillamente modificati alla luce delle esperienze delle comunità.
Nei primi decenni dovette perciò prevalere una fede viva, ma vaga e mobile, che si concentrava più in uno stato d’animo, in una disposizione sentimentale, che in un’attività intellettuale, quale è presupposta in ogni precisazione dottrinale: insomma, un movimento religioso al suo interno estremamente variegato, nel quale convivevano molti gruppi;[2] ed è anche piuttosto scontato che queste molteplicità ha presto cominciato a creare conflitti. È parimenti evidente che se la Chiesa non fosse passata a un certo punto da uno stadio liquido a uno stadio solido, l’elemento liquido si sarebbe potuto dissipare in mille rigagnoli di piccole sette senza avvenire[3]. Ogni setta, infatti, tende a separarsi dalle altre, mentre l’idea della religione è quella di unire tutti. È stato dunque il sorgere e l’imperversare di movimenti fra loro diversi a far emergere l’esigenza di elaborare, fissare e dettare i criteri fondamentali di una statuizione autoritaria della fede.
Da notare che si è cominciato a parlare di eresia appena verso il 160-190 d.C. Gesù era ormai morto da quasi un secolo e mezzo. Ma non sarebbe stato possibile riconoscere l’eresia se già prima non fosse stato delineato un determinato indirizzo, se in via di massima la fede non fosse già stata concepita (come aveva fatto Paolo, il quale aveva esposto la sua dottrina come un complesso di disposizioni stabilite) come un dato autoritario: l’eresia non è possibile se prima non esiste, almeno tacitamente, l’ortodossia[4]. E l’ortodossia da dove arriva? Per tutti vale la Tradizione, la quale denota che la Rivelazione costituisce un dato che deve essere tramandato e conservato senza mutamenti, onde coloro che pretendevano di averla avuta direttamente, cioè gli apostoli,[5] dovevano comunicarla come un insegnamento facente autorità, e coloro che avevano ricevuto l’insegnamento dagli apostoli a loro volta non potevano pensare che a trasmetterlo autoritariamente. Dunque, fin dall’inizio, non si deve uscire da questo tracciato comune.
Come ha osservato papa Benedetto XVI, c’è una frase molto interessante nel primo libro di Ireneo da Lione Contro le eresie: «La Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, custodisce con cura [la fede degli apostoli], come se abitasse una casa sola; allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo proclama, insegna e trasmette queste verità come se avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della Tradizione è unica: le Chiese fondate nelle Germanie non hanno ricevuto né trasmettono una fede diversa, né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni orientali o in Egitto o in Libia o nel centro del mondo» (1,10,1-2)[6]. In realtà non era proprio così, perché il Vangelo insegnato da Paolo era già abissalmente diverso dal vangelo insegnato dagli apostoli giudeo-cristiani[7]. Comunque, per confutare una trasmissione apostolica segreta, Ireneo si richiamava all’unanimità e universalità della fede nelle diverse chiese cristiane come prova della vera tradizione apostolica che esse realmente posseggono, mentre la mancanza di unanimità e universalità dimostra, a suo parere, la non apostolicità e quindi l’ereticità delle tesi sostenute[8]. Tradizione apostolica significa allora solo che nessuna dottrina, nessun messaggio cristiano poteva raccomandarsi se non in forza della sua provenienza apostolica, vera o supposta, diretta o indiretta. Nessuno era autorizzato a parlare in nome proprio[9]. Solo Paolo l’aveva fatto, ma assumendo di essere stato indottrinato direttamente da Cristo (Gal 1, 11-12). In particolare. nella lettera di Giuda (Gd 17) e nella seconda lettera di Pietro (2Pt 3, 2s.),[10] emerge chiaramente la preoccupazione per l’integrità della dottrina apostolica. Proprio in questa seconda lettera di Pietro, i frequenti riferimenti alla figura storica dell’apostolo (2Pt 1, 1; 3, 1), l’appellarsi all’autorità di Pietro come norma di verità (2Pt 1, 12-21) sono in netta contrapposizione alle deviazioni dottrinali dei falsi maestri che ormai circolavano fra le comunità.
Qualche secolo più tardi, Vincenzo, monaco vissuto a Lerins[11] nel V d.C., scrisse nel suo Commonitorium[12] I, 23: «La Sacra Scrittura, per la sua sublimità, non viene interpretata da tutti nello stesso senso: uno ne spiega i detti in un modo, l’altro in un altro (…) Ma per questo, per tante tortuosità di vario errore, è necessario che la linea interpretativa degli scritti sia guidata dalla norma del senso ecclesiale e cattolico. Nella stessa Chiesa cattolica dobbiamo curare con grande attenzione di attenerci a ciò che è stato creduto dovunque, sempre e da tutti (…) Ciò avverrà solo se ci si atterrà all’universalità, all’antichità e al consenso. Ci atteniamo all’universalità se professiamo come vera solo la fede che tutta la Chiesa professa su tutto l’orbe; ci atteniamo invece all’antichità se non ci allontaniamo dalle concezioni che i nostri santi predecessori e padri hanno chiaramente professato; e ci atteniamo infine al consenso, se, all’interno delle dottrine antiche, seguiamo il parere di tutti, o almeno quasi tutti, i vescovi e i maestri».
La formula di Vincenzo da Lérins del 430 d.C. (“si deve trasmettere ciò che si è sempre creduto, dovunque e da tutti”) è diventata poi il criterio per affermare cosa è conforme alla Tradizione. Da allora in avanti il progresso teologico non potrà essere concepito come novità o come cambiamento, ma solo come ramificazione che si sviluppa dalla pregressa interpretazione: una gemma che nasce dal ramo preesistente.
Un chiaro esempio che dimostra già la forza della tradizione fin dal II secolo si ha con Taziano, il quale aveva cercato di ridurre i quattro Vangeli a un solo scritto, ovviamente con riduzioni, omissioni e aggiustamenti[13]. Le comunità cristiane reagirono in quanto avevano capito che in tal modo si distruggevano le diverse teologie dei quattro vangeli, e presto s’impose non lo scritto unico per certi aspetti sicuramente più comodo, ma lo scritto quadriforme (e a volte contraddittorio) originale.
Un altro chiaro esempio si ha col movimento docetista gnostico, dal greco gnosi, che significa conoscenza[14]. È difficile catalogare il variegato movimento che oggi chiamiamo gnostico. In estrema sintesi, questo movimento partiva dall’idea che Dio non può fare il male; dunque, devono esistere per forza due principi contrapposti fra di loro: un Dio-spirito da cui deriva solo il bene, e il Demiurgo – un dio inferiore - da cui deriva il male; oppure, non credendo a un secondo dio del male, visto che ormai si crede all’esistenza di un Dio unico, la materia da cui deriva il male.
La divinità buona, per gli gnostici, può essere spiegata con l’immagine del sole, lontano e immobile. I raggi luminosi e trasparenti rappresentano la purezza dello spirito, ma più ci si allontana più questa luce si corrompe, fino a che si trova la materia, impenetrabile alla luce. Solo lo spirito è bene, mentre la materia è male. Sapendo questo (gnosi vuol dire conoscenza) la scintilla di spirito che c’è in ciascuno di noi deve farci staccare dalla materia e occorre attivarsi per tornare alla fonte della luce.
Dunque l’uomo, parte spirito e parte materia, si trova in mezzo a questa lotta fra il bene e il male. Dio avrebbe allora inviato suo figlio nel mondo per elevare gli uomini oltre la materia e portarli nell’area spirituale della salvezza. Ma essendo Gesù puro spirito, perché facente parte del settore del bene, non poteva avere un corpo materiale (che è male),[15] per cui non poteva essere uomo ed aveva solo una parvenza corporea (greco: dokéo, che significa “sembro”, da cui anche il nome di docetismo dato a questa corrente di pensiero). Ne consegue che la scuola docetista, in cui si può ricordare il ricco mercante Marcione, cominciò a manipolare i testi sacri rifiutando in blocco l’Antico Testamento (dove emergeva chiaramente un dio che faceva del male, e che non poteva essere il vero Dio, ma solo la caricatura del vero Dio creativo), e togliendo dai vangeli tutti i riferimenti alla corporeità di Gesù, che come puro spirito non poteva aver fame, essere stanco, soffrire, morire, eccetera[16]. Naturalmente Marcione non si riteneva eretico, né si autodefiniva gnostico, ma era convinto di trasmettere il messaggio originale di Gesù[17]. Contro questo movimento vi fu una forte reazione da parte delle stesse comunità cristiane, che:[18]
a) cominciarono a fissare un elenco di libri ufficiali (in seguito detto canone),
b) affidarono ai vescovi il controllo, essendo ormai scomparsi i testimoni attendibili, capaci di risolvere con la loro autorità eventuali dispute sulla dottrina. I nuovi libri dovevano essere conformi a quelli che il vescovo già aveva e già usava (in seguito nacque il cosiddetto imprimatur, il nulla osta alla stampa).
Verso il 140-150 d.C., dunque, iniziarono le dispute su quali scritti erano di origine apostolica, e quali no. Sappiamo che Ireneo aveva cercato di dare per primo al cristianesimo una raccolta ordinata di scritti dottrinari: sentendosi assediato dalle versioni diverse che non condivideva, aveva imposto regole o dogmi che frenassero il proliferare delle interpretazioni dissidenti, ed aveva parlato di 4 vangeli[19]. Sappiamo che ai tempi di Eusebio (318 d.C.) erano ancora in discussione 7 testi oggi facenti parte del canone cattolico: la lettera di Paolo agli Ebrei sicuramente non di Paolo, la lettera di Giacomo quasi certamente di nessuno dei tre Giacomi dei vangeli, la lettera di Giuda, le due lettere di Pietro sicuramente non di Pietro, 2 su 3 lettere di Giovanni, e l’Apocalisse[20] che attribuiamo sempre all’apostolo, ma certamente non scritta da lui. Storicamente risulta che Atanasio di Alessandria, appena nel 367,[21] fu il primo, in oriente, a redigere un vero e completo elenco degli scritti oggi compresi nel Nuovo Testamento. Di lì a qualche anno il suo elenco venne ratificato e adottato in via ufficiale dalla Chiesa cattolica attraverso le decisioni dei concili africani di Ippona (393 d.C.) e Cartagine (397 d.C.). Nonostante gli atti del concilio di Ippona siano andati perduti, esiste il loro sommario, approvato a Cartagine quattro anni dopo[22]. Comunque, fu solo verso il 460-470 d.C. che le discussioni finalmente si placarono e il canone del Nuovo Testamento si fissò definitivamente[23] nella Chiesa cattolica con i suoi attuali 27 scritti[24] che oggi conosciamo (n. 120 Catechismo).
La questione tornò ad infiammarsi con Lutero il quale, seguendo Paolo e proclamando che solo la fede e non le opere portano alla salvezza, si vedeva smentito platealmente dalla lettera di Giacomo. Allora tornò a sollevare la questione della canonicità di tutti e sette i documenti ancora contestati ai tempi di Eusebio: troppo partigiano sarebbe sembrato contestare solo la lettera di Giacomo. Il Concilio di Trento, nella IV sessione dell’8.4.1546, li riconfermò in blocco, con il decreto De canonicis Scripturis: “Chi non accettasse come sacri e canonici tutti i libri, per intero, con tutte le loro parti, come v’è usanza di leggerli nella Chiesa Cattolica e come si trovano nell’antica edizione latina della Vulgata, sia scomunicato”[25]. Questo decreto fu in realtà solamente la ripetizione dell’elenco dei libri canonici contenuto nel Decretum pro Iacobitis del precedente Concilio di Firenze (4 febbraio 1441), il quale coincideva a sua volta con l’elenco approvato dai citati concili di Ippona e Cartagine.
Poi, a ben vedere, l’edizione latina in uso fino al Concilio Vaticano II non era proprio la Vulgata originale di san Girolamo. Nel 1586, infatti Papa Sisto V aveva promulgato una sua revisione curata personalmente da lui dopo aver ritenuto insoddisfacente il risultato ottenuto dall’apposita commissione di studio. Questa traduzione era piuttosto deludente, per non dir pessima, sì che a distanza di pochissimi anni, nel 1592 sotto il nuovo papa Clemente VIII, venne edita una nuova edizione riveduta e corretta, giunta fino a noi col nome di Bibbia sisto-clementina, in cui il cardinal Bellarmino, per salvare il prestigio del papa precedente, fece scrivere che la nuova edizione interpretava perfettamente proprio i pensieri e i desideri di papa Sisto[26]. All’epoca i fedeli trangugiavano senza obiezioni tutto ciò che il magistero infallibile insegnava loro.
In ogni caso, anche se oggi la questione del canone appare definitivamente sopita, è evidente che lo sforzo di arrivare a un elenco condiviso durò a lungo, cominciò a dare i suoi primi frutti non prima della seconda metà del II secolo, ma ci volle un altro secolo ancora – dalla metà del II alla metà del III - per far prevedere che di lì a poco sarebbe prevalsa la “verità” del gruppo che potremmo definire “ortodosso”. Solo a quel punto è stata definitivamente lasciata fuori una notevole quantità di vangeli che, col passare del tempo, sono stati per lo più dimenticati,[27] perché riuscendo ad imporre la propria verità sugli altri gruppi, i perdenti sono stati bollati di ereticità. Forse dovremmo accettare l'affermazione di Oscar Wilde secondo il quale, nella religione, la verità è semplicemente l’opinione sopravvissuta[28].
Ma la spiegazione logica di questo oblio è ragionevolmente dovuta, almeno all’inizio, non tanto a un vero e proprio ostracismo, ma al fatto che gli scrivani avevano smesso di copiare a mano testi che non venivano più ordinati e pagati (e il costo di un libro scritto a mano, allora, era molto, ma molto elevato)[29].
Invece verso la fine del XIX secolo, e quindi abbastanza recentemente, sono stati riscoperti e si stanno rivalutando moltissimi di quegli scritti proto-cristiani che erano finiti in oblio[30].
Dunque, è pacifico che i nostri 4 vangeli non sono stati gli unici ad essere scritti e adoperati come testi religiosi dai cristiani dei primi secoli:[31] fino al III secolo alcune chiese usavano ad esempio il vangelo degli Egiziani, mentre era piuttosto malvisto il vangelo di Giovanni. Di vangeli ce ne sono stati molti, e i 4 canonici non sono neanche più antichi degli altri[32]. Un fatto, allora, è sicuramente certo: il primo cristianesimo ha attribuito a Gesù molte parole di più di quelle contenute negli scritti che oggi usiamo:[33] basta leggere la prefazione del vangelo secondo Luca (scritto circa verso l’anno 80),[34] ove si legge espressamente che molti altri avevano già scritto prima di lui (e quindi non i soli Matteo e Marco); oppure Giovanni (Gv 21, 25) il quale dà atto che esiste una quantità enorme di parole di Gesù tramandate solo oralmente. Va, però, sottolineato come né Luca, né Giovanni hanno mai affermato che quello che è stato scritto o tramandato da altri fosse del tutto sbagliato, per cui lo si doveva destinare al macero.
E allora persuade la ricostruzione di chi afferma che la stesura dei vangeli che oggi leggiamo è avvenuta per tappe[35]:
(a) la trasmissione orale delle parole di Gesù è antecedente a quella scritta[36];
(b) l’esistenza di uno o più vangeli non aveva all’inizio conseguenze rilevanti sulla trasmissione orale[37];
(c) ogni vangelo aveva una sfera d’influenza limitata a un’area geografica piuttosto delimitata;
(d) le cose han cominciato a cambiare quando i portatori della trasmissione orale sono usciti di scena ed in ogni comunità si è affermato un proprio scritto, differente a seconda delle diverse correnti e dei diversi luoghi (alcune comunità usavano il vangelo di Pietro, altre quello di Tommaso, altre quelle di Matteo, altre quelle di Giovanni, ecc.);
(e) a partire dalla seconda metà del II secolo, in un numero maggioritario di chiese ha cominciato a diffondersi una collezione dei 4 Vangeli, senza però togliere ancora autorità alla tradizione orale e agli altri vangeli che continuarono a esistere ed essere considerati autorevoli presso altre comunità.
(f) solo verso il IV e V secolo è divenuta definitiva e completa la lista dei ventisette scritti oggi compresi nel Nuovo Testamento, e i 4 Vangeli canonici hanno finito per imporsi con condanna all’oblio per tutti gli altri scritti[38].
Possiamo trarre qualche conclusione. La prima: il cristianesimo dei primi due secoli era sicuramente assai diverso dal cristianesimo che conosciamo oggi. Traccia evidente di ciò la si ricava nitidamente ancora adesso. Ad esempio, Giovanni Battista definisce espressamente Gesù come uomo (Gv 1,30: «Dopo di me viene un uomo»). Oppure, leggendo gli Atti degli apostoli, risulta piuttosto evidente che anche Pietro pensava tranquillamente a Gesù come uomo, non come Dio, visto che se Gesù fosse stato considerato Dio non poteva essere servo di sé stesso: «il Dio dei nostri Padri che ha glorificato il suo servo Gesù, da voi, consegnato e rinnegato davanti a Pilato» (At 3,13). Oppure: «Gesù il Nazareno fu uomo accreditato da Dio presso di voi…Dio…ha permesso vi fosse consegnato: e voi… l’avete ucciso… Ma Dio l’ha risuscitato» (At 2, 22-24) (non è resuscitato da sé[39]). Dunque, Cristo è soggetto passivo dell’azione di Dio, che resta il protagonista principale, per cui anche accettando che Gesù è il Figlio di Dio,[40] il Padre resta sempre dotato di una priorità nascosta. Occorre un intervento diretto da parte di Dio per resuscitare un uomo, e come Dio fa che il chicco di grano si trasformi in spiga (Gv 12, 24), così opera una nuova creazione nell’individuo, e non lo rianima per farlo continuare nel vecchio stato. Faccio anche notare che mentre per il termine “fratello” di Gesù la Chiesa ha sostenuto che in realtà si trattava di cugini, per questo termine “uomo” non ha potuto trovare alcun sostituto, per cui non ne ha sostanzialmente parlato: al più ci si dice stupiti dell’ignoranza teologica di Pietro (ma forse è di Luca), o si aggiunge che forse si voleva solo sottolineare che Gesù era anche uomo[41].
Seconda conclusione: il fatto che, intorno all’anno 80, i vangeli fossero molti e che per lungo tempo si sia continuato a scriverne dei nuovi significa che gli odierni 4, all’inizio, non erano affatto considerati come punto di riferimento unico ed esclusivo,[42] come i più oggi pensano. Circolavano sicuramente non solo scritti risalenti direttamente o indirettamente agli apostoli, ma sicuramente anche dei falsi, come ammette già san Paolo (2 Ts 2, 2), o come riconosce Giovanni nella sua lettera 2Gv 7.
Ecco perché oggi ha ripreso vigore anche lo studio dei tanti vangeli apocrifi, anche perché possediamo criteri scientifici e storici molto più raffinati per stabilire ciò che deve essere pacificamente abbandonato e ciò che invece è interessante e può essere utilizzato.
NOTE
[1] Krosney H., Il Vangelo perduto, ed. National Geographic-White Star Spa, Vercelli, 2006, 175 s. e 261.
[2] Gentile P., Storia del Cristianesimo dalle origini a Teodosio, ed. Rizzoli, Milano, 1969, 191.
[3] Idem, 207.
[4] Idem, 192.
[5] Gli undici da Gesù; Paolo direttamente da Dio e da Gesù risuscitato (Gal 1, 12).
[6] Benedetto XVI, udienza generale 28.3.07, in www.vatican.va.
[7] Per rendersene conto, basta appunto vedere il feroce contrasto fra Paolo ed i predicatori giudeo-cristiani (Gal 1, 6).
[8]Vagaggini C., Il senso teologico della liturgia, ed. Paoline, Roma, 1965, 582.
[9] Gentile P., Storia del Cristianesimo dalle origini a Teodosio, ed. Rizzoli, Milano 1969, 194 s.
[10] Che la Chiesa cattolica ha inserito nel canone, ma che altre Chiese cristiane ritengono apocrife.
[11] Che si trova sull’isola di Saint-Honorat, proprio davanti a Cannes.
[12]Commonitorium (sussidiario della memoria), IV,2,5: «id teneamus quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est... eodem tamen sensu, eademque sententia» (teniamo ciò che sempre, da tutti e ovunque è stato creduto, conservando lo stesso senso e la stessa portata), in www.documentacatholicaomnia.eu, sotto la voce Vincentius Lerinensis.
[13] AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion, Torino, 1993, 128; l’Enciclopedia Treccani richiama sul punto la sua opera Diatessàron, in www.treccani.it/enciclopedia/taziano.
[14] Per un approfondimento sullo gnosticismo rinvia al mio articolo al n. 486 del 6.1.2019 di questo giornale (https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-486---6-gennaio-2019/gnosticismo).
[15] Anche nell’Islam c’è un’idea analoga: in cielo si trova tutto ciò che può essere attualizzato nella creazione; la terra è il luogo dove si trovano le forme, ed il male ed il bene stanno all’interno delle forme; in mezzo sta l’uomo, che fa da ponte nella creazione fra cielo e terra.
[16] Contro questo movimento che aveva cancellato la carne di Cristo, negando la stessa incarnazione, vedasi già la presa di posizione di Giovanni (2 Gv 7: «molti seduttori si sono introdotti nel mondo: essi non confessano che Gesù Cristo è venuto nella carne»).
Il merito di Marcione fu, comunque, quello di far scoppiare il dilemma se il Nuovo Testamento doveva essere aggiunto all’Antico Testamento, oppure se doveva sostituire in toto la vecchia Bibbia (Haag H., Da Gesù al sacerdozio, ed. Claudiana, Torino, 2001, 102).
[17]Dizionario storico del papato, diretto da Levillan P.,vol.I, ed. Bompiani-RCS, Milano 1996, 549.
[18] Tertulliano, Contra Marcionem, in The Ante-Nicene Fathers, ed. EErdmans Publishing Company, Grand Rapids, Michigan (USA) 1993, vol.III, 269 ss. Corso audio, lezione n.3, a cura di don Piero Ottaviano, reperibile in www.didaskaleion.murialdo.org.
[19] Krosney H., Il Vangelo perduto, ed. National Geographic-White Star Spa, Vercelli, 2006, 183 ss.
[20] Gli studiosi non sono ancora d’accordo su chi sia veramente l’autore dell’opera (Maggioni B., L’apocalisse, ed. Cittadella, Assisi, 2012, 20).
[21] Augias C. e Pesce C., Inchiesta su Gesù, ed. Mondadori, Milano, 2006, 16. Krosney H., Il Vangelo perduto, ed. White Star Spa, Vercelli, 2006 193.
[22] Denzinger H. e Schönmetzer A., Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, ed. EDB, Bologna, § 186.
[23] Corso audio, lezione n. 3, a cura di don Piero Ottaviano, reperibile in www.didaskaleion.murialdo.org. Ma questo vale per la Chiesa cattolica: ad esempio, quella armena riconosce una terza lettera paolina ai Corinzi che noi cattolici abbiamo escluso considerandola un falso. Anche la Chiesa etiope riconosce come canonici libri che per noi sono apocrifi, mentre – seguendo san Crisostomo - alcune Chiese orientali hanno escluso dalla canonicità la seconda lettera di Pietro, la seconda e terza lettera di Giovanni e quella di Giuda: in sintesi, pur non potendo spiegare perché alcuni testi sono stati accettati o rifiutati da alcune Chiese, è indubbio che mentre le varie Chiese prendevano decisione sui testi, i testi plasmavano le varie Chiese, sì che – per fare un esempio,- se invece della lettera paolina a Timoteo fossero diventati canonici il vangelo di Maria (Maddalena, di cui ho parlato ai nn. 758 del 24.3.24 (https://sites.google.com/d/1bCt4gWC4QNW4CEUPtjBoGrdp9q6QnZvM/p/1zUneUnn7nMFlXuGpOBgPBcVqEHBBnEUD/edit) e 777 del 5.8.24 (https://sites.google.com/d/1bCt4gWC4QNW4CEUPtjBoGrdp9q6QnZvM/p/10NoR9Fl2Iq7IUcsb2OQnAJ-CXk2P0sho/edit) di questo giornale) e gli atti di Paolo e Tecla, la posizione della donna nella Chiesa sarebbe nettamente cambiata a favore dell’uguaglianza. In altre parole, è indubbio che le scelte dei testi hanno determinato l’atteggiamento cristiano verso le donne fino al giorno d’oggi (Harari Y.N., Nexus, Giunti, Firenze-Milano, 2024, 136ss.).
[24] Nell’Apocalisse (Ap 4, 4-6) si parla di 24 anziani e 4 esseri viventi. Secondo un’interpretazioni accreditata, i 24 uomini glorificati sarebbero i 24 autori della Bibbia d’Israele e i 4 esseri viventi sarebbero gli evangelisti. Ma così si arriverebbe a 28, numero che non corrisponde ai nostri riconosciuti 27 testi canonici. Però questo dimostra come il relativismo sbuca sempre fuori da tutte le parti.
[25] Denzinger H. e Schönmetzer A., Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, ed. EDB, Bologna, § 1504. Vedi anche in www.totustuustools.net; cliccare poi su documenti di tutti i concili, e selezionare IV sessione Concilio di Trento.
[26] Martini C.M., Il messaggio della salvezza. Corso completo di studi biblici, I, Elle Di Ci-Leumann, Colle di Bosco (AT) e Torino, 1964, 177 s.
[27] Augias C. e Pesce C., Inchiesta su Gesù, ed. Mondadori, Milano, 2006, 17.
[28] Wilde O., L’anima dell’uomo sotto il socialismo, in Aforismi mai scritti, ed. Stampa Alternativa, Roma, 1992, 72s.
[29] Krosney H., Il Vangelo perduto, ed. White Star Spa, Vercelli, 2006, 195.
[30] Vedasi in proposito una corposa raccolta di oltre 750 pagine (fra cui il Vangelo degli Egiziani, il Vangelo di Pietro, il Vangelo degli Ebrei e l’ormai piuttosto noto Vangelo di Tommaso, usato per secoli da monaci siriaci e asiatici, di cui alcuni frammenti in greco erano stati scoperti alla fine del XIX secolo, ma il cui testo intero, in copto, venne scoperto in Egitto alla fine degli anni ’40 del XX secolo) in Pesce M. Le parole dimenticate di Gesù, ed. Mondadori, Milano, 2004.
Krosney H., Il Vangelo perduto, ed. National Geographic-White Star Spa, Vercelli, 2006: nel 1945 a Nag Hammadi vennero rinvenuti 13 codici scritti in copto (rilegati e non srotolati) fra cui il Vangelo di Tommaso e di Filippo. I rotoli del Mar Morto (di Qumram) furono trovati un anno e mezzo dopo (id., p. XIV e 122). Il Vangelo di Giuda Iscariota venne trovato presso Al Minya (p.124), verso il 1975 (id., p.139).
[31] Gentile P., Storia del Cristianesimo dalle origini a Teodosio, ed. Rizzoli, Milano, 1969, 210 s.
[32] Pesce M. Le parole dimenticate di Gesù, ed. Mondadori, Milano, 2004, XVII s..
[33] Idem, XIII;
[34] Augias C. e Pesce C., Inchiesta su Gesù, ed. Mondadori, Milano, 2006, 15.
[35] Pesce M. Le parole dimenticate di Gesù, ed. Mondadori, Milano, 2004, XIX ss. La Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione – Dei verbum – del 18.11.1965 prevede al § 19 tre tappe: predicazione di Gesù, sua trasmissione orale, redazione dei testi.
[36] Anche il papa è d’accordo sul punto: Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 239.
[37] Pensiamo a come Paolo, cronologicamente anteriore ai 4 Vangeli canonici, faccia gran uso di parole di Gesù, anche se non dice espressamente che lo sta facendo (Pesce M. Le parole dimenticate di Gesù, ed. Mondadori, Milano, 2004, XXII s.).
[38] Augias C. e Pesce C., Inchiesta su Gesù, ed. Mondadori, Milano, 2006, 16.
[39] Dio è soggetto attivo dell’azione (At 2, 24; 3, 15; 4, 10; Rm 4, 24; 8,11) o Gesù è il soggetto passivo dell’azione di Dio (Rm 4, 25). Quando si scrive che Gesù “è resuscitato” (Mc 8, 31; Gv 2, 22; At 10, 41; 1Cor 15, 4) non lo si dà in forma riflessiva, ma lo si dà come dato di fatto, un qualcosa che è già avvenuto.
[40] Come ha detto più volte Ortensio De Spinetoli, si può continuare a ripetere che è Figlio di Dio, ma prima ci si dovrebbe domandare che cosa potesse intendere un ebreo di quell’epoca con simile titolo, visto che esso compare anche nel linguaggio di altri popoli, e valeva comunemente per uomini importanti (come i faraoni), e anche per uomini carismatici, e sapienti (Platone).
[41] AA.VV. Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion, Torino, 1993, 160.
[42] Augias C. e Pesce C., Inchiesta su Gesù, ed. Mondadori, Milano, 2006, 22.
Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/