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Papa Tawadros II - Immagine tratta da commons.wikimedia.org


Per una festa di chi non è mamma (come Papa Tawadros?)

di Stefano Sodaro


I bambini, quando sono proprio piccolini, desiderano sposare la mamma – e spesso pure le bambine -, nessun altro, lo sappiamo: non concepiscono matrimoni altri e diversi dall’assorbimento nel calore materno. Una volta diventati ragazzi, e poi giovani, e poi adulti, e poi adulti maturi, e poi anziani, si staccano – quegli ex bambini – dalla fusione materna (salvo casi patologici, non così infrequenti), ma iniziano pure ad avvertire una specie di “nostalgia per la madre” che però non ha nulla a che vedere con fenomeni regressivi di mammismo e coglie piuttosto la complessità del sentimento d’amore. Non è infatti per niente vero che sia sempre così semplice – forse nemmeno così salutare – sezionare l’amore secondo imperative tassonomie che l’ordine socioculturale ci prescrive, per cui altro è l’amore di coppia, altro quello erotico, altro quello coniugale, altro quello materno e paterno, altro quello amicale. No, non è proprio così.

C’è un “tutto/Tutto” incandescente che alimenta l’energia delle nostre vite. Un tutto ripieno di simboli, di segni, di colori, di abiti, di sensazioni, di emozioni, di linguaggi distanti dalla verbalizzazione, persino di istinti e pulsioni.

La liturgia, di qualunque confessione religiosa si tratti (od anche di nessuna…), ha molto a che fare con questo “tutto/Tutto”.

Oggi è la Festa della Mamma, ma vorremmo festeggiare, con – e in – queste righe, coloro che mamme non sono e che però, a nostro avviso, hanno pure proprio oggi la loro collocazione festiva. Perché? Perché, rovesciando i sentimenti infantili, vorremmo, per così dire, “sposare chi non è sposata/o”. 

Che significa? Una cosa alla volta.

Mentre Zelensky si trova a Roma, mobilitando quasi un esercito di polizia, a Roma è presente e pure celebra niente poco di meno che nella Basilica di San Giovanni in Laterano, Cattedrale del Papa, Vescovo di Roma, il Patriarca Copto Ortodosso di Alessandria d’Egitto, Sua Santità Papa Tawadros II, autorità ecclesiastica - riconosciamolo - del tutto sconosciuta in Italia agli italiani (ed alle italiane). Spiegare in dettaglio qui, ora, chi siano i Copti probabilmente non è il caso: diciamo che sono i Cristiani autoctoni d’Egitto, che sono appartenenti ad un’antichissima Chiesa Orientale e che, poiché non in piena comunione con la Sede di Roma, sono in assoluta maggioranza “Ortodossi”, benché esista anche una insigne Chiesa Cattolica Copta (con a capo il loro Patriarca, mons. Ibrahim Isaac Sidrak).

Qui, tuttavia, vogliamo citare piuttosto un’opera fondamentale per la conoscenza del Cristianesimo primitivo che si riconduce ad una fonte copta venuta alla luce appena nel 1999. Il riferimento è alla versione etiopica della Traditio Apostolica, attribuita alquanto grossolanamente, sino a prima di tale scoperta, ad Ippolito di Roma.

Il testo contiene molte indicazioni di ordine liturgico e canonico, tra le quali, a parere nostro, eccelle, a motivo della sua straordinaria singolarità, l’esonero dall’imposizione delle mani per l’ordinazione diaconale o presbiterale di quanti siano stati imprigionati dopo avere professato la fede cristiana. Scrive lo pseudo-Ippolito: “7 Riguardo ai confessori imprigionati. I confessori, se si trovano a essere imprigionati per il nome di Gesù Cristo, non ricevano l’ordinazione della mano né a diacono né a presbitero, poiché egli [il confessore] ha la dignità di presbitero per il credere. Se invece viene ordinato vescovo, riceverà l’ordinazione della mano. Ma se è un confessore che non è arrivato in tribunale, che nemmeno in ceppi è stato condannato, né è stato chiuso in carcere, né che è stato condannato da una sentenza, ma così occasionalmente è stato offeso dal suo padrone, o altrimenti tormentato agli arresti domiciliari, per l’ordinazione che ha meritato riceverà l’ordinazione della mano.”

Non è tanto la specifica ipotesi ad avere rilievo per noi, quanto il fatto che sia ritenuto possibile un “fatto” sacramentale privo di “atto”. Trovarsi ad essere preti senza mai essere divenuti tali in un momento rituale preciso. Possiamo chiamarla “ordinazione morale”? Spieghiamo.

Proprio nel 2023, il prossimo 3 novembre, ricorreranno i 75 anni dalla promulgazione della Costituzione Apostolica “Sacramentum Ordinis” di Pio XII, che stabilì costituire materia e forma del sacramento dell’Ordine Sacro – nei tre gradi di diacono, presbitero e vescovo – non la consegna degli oggetti liturgici propri di ogni singolo grado, la cosiddetta “traditio instrumentorum”, bensì, per appunto, soltanto ed esclusivamente l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione. E però - arriviamo al punto - si può leggere al n. 6 della Costituzione Apostolica: “Ne vero dubitandi praebeatur occasio, praecipimus ut impositio manuum in quolibet Ordine conferendo caput Ordinandi physice tangendo fiat, quamvis etiam tactus moralis ad Sacramentum valide conficiendum sufficiat.”. Il grassetto è la parte che particolarmente ci interessa. Traduciamo: “Per dissipare qualunque dubbio, stabiliamo che l’imposizione delle mani, nel conferimento di qualunque grado dell’Ordine Sacro, debba proprio fisicamente toccare il capo dell’ordinando, sebbene anche un contatto solo morale sia sufficiente a conferire il Sacramento.”. Questo “tactus moralis” sembra riproporre l’antica, antichissima questione, di un sacramento-fatto, senza corrispondente atto, che la Traditio Apostolica rendeva possibile per i confessori. Ma esistono allora “realtà morali” diverse da quelle fisiche?

Proviamo a chiudere il cerchio.

Esistono “mamme morali”? Ebbene, dobbiamo dire: sì. E “matrimoni morali”? Pure. E che cosa significa? Semplicemente che non è la sola dimensione fisico-naturalistica a determinare chi siamo e quale ruolo abbiamo ricevuto nella nostra vita.

C’è molto Altro. Un mondo, anzi più mondi, che si spalancano davanti a noi.

Ci sono “amori morali” che, per nulla assimilabili agli “amori platonici”, vivono dentro la dimensione dell’inesprimibile, avvolti da un pudore, ed al tempo stesso da una intensità, che non tollerano alcuna pubblicità, perché integrerebbe una violenza, una violazione, un abuso precisamente nei confronti dell’amore.

Dunque è oggi “Festa della mamma morale”? E perché no?

Sì. Sì. Decisamente sì.

È una battuta, ma fino ad un certo punto: forse che monache e suore oggi non festeggiano?

Il Papa Copto Tawadros non partecipa solo della paternità di Dio – sarebbe assurdo –, ma pure, se non soprattutto, della sua maternità.

Ed anche chi di noi è madre, e padre, partecipa di molteplici – forse temibili, chissà – altri ruoli “morali”.

Tutto qui. Ma non è poco, ci sembra.

Anzi, è esattamente Tutto.

Facciamoci gli auguri allora.

Poiché chi amo è pur mia madre, e mio padre.

E buona domenica.