Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano


Ucraina, ancora



di Dario Culot

Il 23 febbraio 2023 quasi trequarti degli Stati, 141 Stati su 193, hanno votato alle Nazioni Unite perché la Russia si ritiri dai territori invasi: tutti lacchè degli Stati Uniti, direbbe Putin. Ma se guardiano ai soli 6 che hanno votato a favore della Russia (Bielorussia, Corea del Nord, Siria, Eritrea, Nicaragua, Mali), scopriremmo che questi Stati non sono proprio il massimo nel campo dei diritti delle persone, il che dovrebbe far sorgere in tutti almeno qualche dubbio. Il primo dubbio dovrebbe riguardare il fatto di non poter effettuare a Mosca dimostrazioni a favore della pace, visto che tutte quelle effettuate sono state represse, dalla polizia in piazza e dai giudici col carcere.

Va anche aggiunto che ben 32 Stati si sono astenuti, fra cui Cina e l’India, che insieme fanno circa il 40% della popolazione mondiale. Eppure la Cina aveva in precedenza dichiarato che l’integrità territoriale deve essere rispettata e i principi della carta Onu vanno parimenti rispettati. Dunque ci si sarebbe aspettati che la Cina, con la sua proposta di pace, avesse insistito per il riconoscimento dei confini pregressi. Ma quello proposto da Pechino il 24.2.2023 non è un piano di pace, ma solo un elenco di principi, visto che la Cina chiede, sì, di «mantenere razionalità e moderazione», ribadisce che «il dialogo e il negoziato sono l’unica via d’uscita praticabile» alla crisi, e afferma chiaramente che «non si può combattere una guerra nucleare». Però la domanda principale è rimasta senza risposta: per arrivare alla pace Pechino chiede che la Russia lasci immediatamente tutti i territori dell’Ucraina illegalmente annessi, sì o no?  Sul punto Pechino tace, ma essendosi astenuta all’Onu, ed essendosi rifiutata di firmare il documento finale G20 in data 25.2.2023 che parlava di guerra e aggressione, sembra che propenda per la tesi negativa. Allora, però, la scelta sembra in contraddizione con quanto dichiarato nella proposta.

La dura realtà è che gli Stati Uniti sono oggi il principale nemico per la Cina, e la Russia lo è stata a lungo,[1] avendo un confine comune per migliaia e migliaia di chilometri, anche se pochi giorni prima dell’inizio dell’invasione la Cina ha siglato una partnership «senza limiti» con la Russia. Certo, il nemico (la Russia) del mio nemico (gli Stati Uniti) è il mio amico (la Russia). Ma guardando le cose dal suo punto di vista, perché mai la Cina dovrebbe attivarsi pesantemente per la pace, quando con la guerra solo gli altri si stanno logorando, e più a lungo dura la guerra più i due si logorano?[2] Una Russia ulteriormente indebolita sarebbe un partner di sicuro non alla pari, ma subordinato alla Cina. E non è neanche male se l’Europa si logorasse e andasse in recessione con l’economia, così da poter più facilmente essere penetrata con i prodotti cinesi. La Cina avrebbe vero interesse ad attivarsi per la pace solo se, perdurando la guerra, rischiasse un danno economico ai suoi commerci superiore rispetto a una situazione di pace[3].

Di fronte a questa ambiguità, e sembrando la situazione sul fronte russo-ucraino in stallo, appare abbastanza evidente che la scommessa di Pechino sia analoga a quella di Mosca: puntare per intanto sullo sfaldamento del fronte occidentale. Quand’anche non arrivasse sul campo una vittoria russa in Ucraina, lo sfaldamento (cui direttamente o indirettamente in Europa danno un valido contributo anche i vari movimenti pacifisti) riuscirebbe a dimostrare agli altri Paesi dell’Africa, Asia, Medio-oriente e America latina che è arrivato il momento di salire sul carro dei vincitori e abbandonare quello dei perdenti occidentali. Se solo l’Italia (e ricordo che l’Italia è sempre stata indicata come il ventre molle dell’Europa, e quindi la prima pronta a cedere), la Francia, la Germania abbandonassero l’Ucraina al suo destino, a breve sarebbero seguiti dall’India, e poi dai Paesi industrializzati più lontani (Giappone e Sud Corea, Brasile), e forse alla fine dagli stessi Stati Uniti che non si sentirebbero in grado di continuare da soli a spendere miliardi, soprattutto quando il loro interesse principale è ormai nel Pacifico e non nell’Atlantico. Se l’Ucraina non interessa all’Europa, perché dovrebbe interessare a Paesi molto più lontani? Tutto il mondo avrebbe la prova che l’Occidente non è più in grado di sostenere i propri interessi, e sarebbe più facile guardare alla Cina come il nuovo number one di questo secolo. Dunque solo il costante aiuto militare all’Ucraina[4] impedisce a Cina, Russia, – e forse anche Iran che fornisce armi alla Russia - di affermare con successo, davanti al resto del mondo che sta a guardare alla finestra, che essi stanno ormai vincendo, che essi sono il futuro. Ma se accadesse questo, il prossimo passo della Russia sarà quello di occupare la Moldavia,[5] e per la Cina cercar di occupare Taiwan, fidando che sarà lasciata al suo destino come gli Stati Uniti hanno mollato l’Ucraina.

Se le cose cominciassero ad andare avanti su questa linea, e visto che l’appetito viene mangiando, forse noi non saremo neanche così vecchi da non poter vedere che questi nuovi signori verranno a piantare le loro bandiere anche nel nostro Paese.  E - come già detto nel n. 668 del luglio 2022 di questo giornale (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-668-3-luglio-2022/dario-culot-ancora-sullucraina-considerazioni-etico-politiche) - la cosa ancor più paradossale per noi è che escludere oggi da parte nostra l’invio di armi[6] non eliminerebbe comunque il rischio di allargamento della guerra, perché l’escalation non la decide l’Italia che, a livello internazionale, conta come il due di picche. In cambio, però, una decisione del genere darebbe un chiaro segnale a tutto il resto del mondo: avremmo fatto intendere che, anche se un domani l’Italia venisse attaccata da un altro Stato, non opporrà resistenza armata perché noi siamo contro la guerra e a favore del disarmo: bandiera bianca oggi, bandiera bianca domani. Ovviamente non potremmo aspettarci di essere soccorsi da altri, perché non sarebbe dignitoso invocare o anche solo sperare che altri accorrano armati in nostro aiuto e facciano per noi quello che noi oggi riteniamo sbagliato fare per altri. Ci limiteremo a far marce per la pace, se gl’invasori ce lo permetteranno. Se no, neanche quello.

E per i pacifisti nostrani, che insistono solo sul tasto ‘niente armi all’Ucraina e lavorare per la pace’, potrebbe essere istruttivo leggere allora qualche articolo dell’agenzia governativa russa Ria Novosti.

Il 26 febbraio 2022, con L’attacco della Russia e il nuovo mondo, si annunciava non solo la vittoria lampo della Russia, ma il fatto che l’Ucraina era finalmente restituita alla Russia. Previsione disattesa perché la guerra lampo non c’è stata, a differenza di quanto accaduto in Georgia e in Crimea.

Il 2 aprile 2022, Timoféi Srguéiitsev ha pubblicato l’articolo Cosa deve fare la Russia con l’Ucraina. L’articolo è ancora reperibile in russo per chi conosce quella lingua, ma qui riporto un estratto tradotto dal quotidiano spagnolo “El Pais” del 24.2.2023: «bisogna procedere a una pulizia totale. La denazificazione della massa della popolazione consiste nella rieducazione, che si ottiene mediante la repressione ideologica (soppressione) della attitudini naziste e una severa censura: non solo in politica estera, ma necessariamente anche nella sfera della cultura e dell’educazione…Il nome Ucraina non può essere mantenuto perché è l’Occidente che l’ha elaborato nel suo insieme, dando alla luce e patrocinando il nazismo ucraino…L’espiazione per aver trattato la Russia come un nemico può effettuarsi solo appoggiandosi alla Russia nei processi di ricostruzione, rigenerazione e sviluppo. Non si deve permettere nessun Piano Marshall per questi territori… la denazificazione sarà inevitabilmente una de-ucrainizzazione…  (Come) l’Ucraina è una costruzione artificiale antirussa senza contenuto di civiltà, un elemento subordinato di una civilizzazione straniera, la denazificazione dell’Ucraina è pure ed inevitabilmente una sua de-europeizzazione».

Mi sembra che il testo spieghi con sufficiente chiarezza cosa può aspettarsi la popolazione ucraina se la Russia dovesse vincere la guerra: le fosse comuni di Bucha e di altre località, i bambini portati arbitrariamente in Russia per essere deprogrammati e trasformati in veri cittadini russi, la manifestata volontà di non riconoscere la sua identità al popolo ucraino, non fanno che confermare questa convinzione.

Mi sembra allora che qui in Italia si confonda la pace con l’essere lasciati in pace. Certo che tutti vogliamo la pace. Certo che tutte le guerre sono assurde, esecrabili, e sono stragi inutili. Finita la guerra nessuno si ricorda perché sono morti in tanti. Non ci sarà mai nessuna strada di nessun miserabile paese che porterà il nome di nessuno di loro. Il problema è come e cosa fare, perché come già diceva Gabriel García Márquez «Non immaginavo che fosse più facile iniziare una guerra che concluderla»[7].

L’Ucraina chiede quanto meno il ritiro dei russi alla linea del 24.2.22. Ma se Putin lo fa, perderebbe il potere perché sarebbe uno zar perdente, e uno zar perdente non può restare al potere. Non può farlo. La Russia chiede quanto meno il riconoscimento delle conquiste territoriali ancora in mano sua. Ma questo significherebbe non solo per l’Ucraina, ma per tutto il mondo, affermare che l’uso della forza bruta, anche in spregio alle regole internazionali, alla fine conviene perché fa portare a casa un buon bottino. Non lo si può concedere. E allora, come risolvere il dilemma? Neanche i pacifisti lo sanno.

Un mero immediato cessate il fuoco – come suggerito dalla Cina,- sarebbe già qualcosa, ma darebbe a Putin il tempo per rifiatare e ricostruire un esercito più efficiente, prima di ripartire. Per questo è stato subito visto con scetticismo dall’Occidente perché ritenuto squilibrato a favore della Russia, soprattutto non avendo la Cina condannato all’Onu l’invasione russa. Certo, se gli ucraini si fermano, la guerra si ferma, ma che prezzo pagherebbero? Non è neanche detto che togliere ogni aiuto militare all’Ucraina salverebbe le vite degli ucraini. Semplicemente li condannerebbe a morte sicura se intendessero opporsi comunque alla ‘denazificazione’ una volta a corto di armi per difendersi. E quindi, nella situazione attuale, non è che fermarsi sia più pericoloso che non fermarsi?

E non è poi curioso che scopo della guerra russa sia de-nazificare il regime ucraino, e che – a quanto pare,[8]- 4 cittadini russi su 5 concordano su questo? Siamo davanti a un personaggio che si comporta da nazista e che chiama i propri nemici con l’espressione che in realtà definisce proprio lui. Infatti, non è nazista semplicemente chi si comporta da nazista? Perciò gridare ‘No alla guerra!’ va benissimo, ma sarebbe più coraggioso farlo nelle strade di Mosca che a Roma o ad Assisi, dove non si paga alcun pegno. E comunque, quali concrete soluzioni sono riusciti a proporre in un anno i pacifisti? Nulla! Nada de nada! al di fuori di invocare generici sforzi diplomatici per mettere finalmente fine alla guerra[9]. Come se nessuno avesse finora mosso un dito, a cominciare dal papa che si era offerto perfino di andare in Russia, ma non lo hanno nemmeno degnato di una risposta. Vuol dire che i governi belligeranti ritengono che le Chiese non abbiano voce in capitolo.

Neanche la religione è cioè riuscita a ottenere qualcosa. Del resto Dio non sta lì ai nostri ordini per fare quello che noi non abbiamo fatto e dovevamo fare. Dio non ovvia alla nostra inerzia. Se poi pensiamo a un Putin che deforma il Vangelo di Giovanni (Gv 15, 13: non c’è amore più grande di chi dà la vita per i propri amici), applicandolo ai soldati russi che combattono contro gli ucraini oppure al patriarca Kirill che assicura il paradiso ai soldati russi (non a quelli ucraini) che muoiono in combattimento, è forse il caso di dire con forza che è un bene se simile cristianesimo strumentale sta il più lontano possibile dal mondo.

Nel lontano 1985 Milan Kundera aveva scritto che, l’Europa (centrale) segue la regola della massima diversità nel minimo spazio, mentre la Russia segue la regola opposta: minima diversità nel massimo spazio. Ogni piccola nazione in (centro) Europa deve allora sempre stare all’erta e lottare perché costantemente minacciata nella sua esistenza, che viene sempre messa in discussione. Ogni popolo vuole che la sua identità sia riconosciuta dagli altri, ma fa fatica a far accettare questo principio da chi è più grosso: la Russia ha circa 150 milioni di abitanti, l’Ucraina meno di un terzo. Kundera è stato un profeta inascoltato: ciò che è avvenuto per Armenia e Georgia rispetto alla Russia, avviene oggi con l’Ucraina.

Ora, se i Paesi centro europei possono scomparire senza che l’Europa muova un dito o faccia sacrifici, vuol dire che non interessano all’Europa. Il triste dato di fatto è che l’Europa, pur essendo maggiormente coinvolta nella vicenda e quindi maggiormente coinvolta nelle conseguenze (pensiamo al problema dell’energia che non ha toccato gli Stati Uniti, autosufficiente sul punto), non ha assunto un ruolo e ha lasciato agli Stati Uniti il ruolo di leadership.

È logico gridare che vogliamo a tutti i costi la pace e che la vittoria o la sconfitta dell’Ucraina, non ci riguarda? Purtroppo ci riguarda, eccome, non solo perché siamo solo a 1000 km di distanza dall’area di conflitto,[10] ma per un motivo ancor più che evidente: l’ordine internazionale in cui siamo vissuti da quando siamo una Repubblica, con le sue regole e le sue istituzioni, ci riguarda o no? Se la risposta, come immagino, è positiva, se l’ordine internazionale dentro cui abbiamo potuto crescere e prosperare è fondato,[11] allora non possiamo pensare che questi valori, queste regole e queste istituzioni democratici che sono alla base delle nostre società, possano rimanere a lungo in vita solo limitandoci a riempire la bocca della parola ‘Pace’. La pace, come la guerra, non si fa mai da soli. Gridare che la soluzione è semplice e facile (basta fare la pace unilateralmente) quando invece la soluzione è difficile è pura demagogia, e con la demagogia si offrono solo risposte effimere e inefficaci.

La Russia di Putin ha ripetutamente ed espressamente detto che considera i nostri valori dei veri disvalori da combattere; aggredendo l’Ucraina che intendeva abbracciarli, minaccia chiaramente di travolgere quell’ordine internazionale cui siamo vitalmente legati. Ecco perché la resistenza Ucraina ci riguarda direttamente: quando armiamo gli ucraini, consentendo loro di difendersi, difendiamo anche noi stessi.

Non c’è niente da fare. Finché i pacifisti tacciono su chi ha iniziato la guerra,[12] su chi ha minacciato di fare uso di armi nucleari, su chi si è annesso un territorio di un altro Stato sovrano dopo averne garantito per iscritto (nel 1994) la sua integrità e in palese violazione del diritto internazionale, fa solo il gioco di Putin, anche se non volesse farlo.

“No” dirà il pacifista. “La colpa è degli americani che hanno provocato i russi spingendoli ad agire per primi”. Ma scusate la domanda: i civili uccisi, in particolare le donne e bambini, sono ucraini o russi? Sono tutti ucraini. E allora, anche se l’Occidente avesse provocato, uccidere indiscriminatamente i civili mette automaticamente dalla parte del torto. Come dimenticare le immagini del neonato ferito a morte in braccio ai genitori a Mariupol?[13] Come dimenticare quei teli sopra i cadaveri di una famiglia che cercava di scappare, e solo il trolley è rimasto lì vicino intatto? Come detto nell’articolo della settimana scorsa, prendere di mira i civili nelle aree urbane (anche facendoli morire di freddo o di sete, colpendo le strutture che danno energia e acqua potabile) è un crimine di guerra, e mette automaticamente dalla parte del torto.

Insomma questi pacifisti parlano di pace, ma NON fanno la pace. Chi non vuole inviare armi in Ucraina fa finire l’Ucraina e concede la vittoria all’aggressore, perciò fa finire la guerra senza però raggiungere una pace giusta.

Ricordo allora in proposito quanto era stato scritto alla fine della Prima Guerra Mondiale, dopo milioni di morti. Ogni conflitto crea sempre violenza, iniquità, sopraffazione; ma una pace senza giustizia è degradante e umiliante, perché impone un ordine che produce risentimento, desiderio di riscatto e di vendetta. Papa Benedetto XV, che era intervenuto con una lettera ai capi dei popoli coinvolti nella Prima guerra mondiale definendola «inutile strage» (1° agosto 1917), e creando con ciò irritazione nei molti convinti belligeranti, poco tempo dopo la firma dell’armistizio finale scrisse: «se sono stati firmati alcuni patti di pace, restano tuttavia i germi di antiche inimicizie; e voi ben comprendete come nessuna pace possa consolidarsi, come nessuna convenzione possa valere ... se contemporaneamente non si placano gli odi e i rancori per mezzo di una riconciliazione fondata sulla vicendevole carità ... L’umanità andrebbe incontro ai più gravi disastri, se, pur concordata la pace, continuassero tra i popoli latenti ostilità ed avversioni» (Enciclica Pacem, Dei munus pulcherrimum, 23 maggio 1920).

E recentissimamente è stato di nuovo ribadito che «non può essere riconosciuto come trattato di pace quel trattato che porta con sé le radici di una nuova guerra: qualsiasi testo, qualsiasi pace che neghi lo spazio dell’altro, anche del mio nemico, non è un trattato di pace» (Macron parlando alla comunità di sant’Egidio a Roma, il 24.10.2022).

Queste parole sono sempre attuali. Nessuna pace si può costruire umiliando o la Russia o l’Ucraina. Il problema è come si fa a trovare la quadratura del cerchio per arrivare a una proposta che scontenti entrambe le parti, ma anche soddisfi entrambe le parti. Finora nessuno (né fra i guerrafondai, né fra i pacifisti) è stato capace di mettere sul tavolo proposte concrete, suggerire soluzioni accettabili. Quando non si è agito in anticipo per prevenirle, alcune guerre diventano purtroppo inevitabili. Per questa guerra abbiamo ormai perso il momento opportuno per cercare di disinnescarla. Adesso siamo impotenti e non possiamo fare quasi nulla, come ci stanno dimostrando gli avvenimenti. Anche per il soldato cristiano (perché russi e ucraini sono cristiani) è difficile, a questo punto, abbandonare il campo di battaglia dove già sta combattendo, ed è anche tardi per parlargli di disobbedire e tornarsene a casa.

“Ma così si andrà avanti per anni” dirà il solerte pacifista. Non è detto, perché la guerra, come ogni guerra, a un certo punto finisce per esaurimento di almeno uno dei contendenti. Prima di arrivare all’esaurimento si tratta di vedere se c’è una ragionevole via d’uscita. Perciò se un qualsiasi pacifista ha idee concrete da sottoporre, lo faccia subito. Idee concrete, ho detto, non parole vuote, senza peso che non aprono alcun orizzonte di vera pace e che non fanno altro che rimarcare la grande distanza fra la dura realtà e le nostre grandi idee su come dovrebbe andare il mondo. Purtroppo permane sempre una netta contraddizione fra gli ideali universali proclamati (come la pace e la fratellanza universale) e la capacità pratica di realizzarli.


 

 

 


NOTE

[1] Ancora ai tempi del comunismo c’erano stati scontri armati lungo la frontiera.

[2] Nulla di nuovo sotto il sole. Poco prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, Hitler si dichiarava apertamente uomo di pace, mentre Stalin – consapevole che ormai la guerra sarebbe scoppiata - si augurava che Germania e Francia-Inghilterra si logorassero a lungo fra di loro, rafforzando la possibilità che la Russia diventasse l’ago della bilancia nella politica europea.

[3] Il che non sembra accadere. Anzi perfino la Russia avrà l’anno prossimo una crescita superiore a quella degli Stati Uniti e dei Paesi occidentali dell’Europa, nonostante le sanzioni che hanno evidentemente causato effetti assai deboli (Fubini F., Il rebus sanzioni, “Corriere della sera”, 2.5.2023, 1-38, che si rifà alle previsioni del Fondo monetario internazionale). Come mai? Ma perché gli affari sono affari e tutti, Italia compresa, hanno continuato ad aggirare legittimamente le sanzioni con le triangolazioni verso Paesi che non applicano le sanzioni e poi rivendono e acquistano in Russia. Dunque, anche le previsioni degli Stati Uniti secondo cui si sarebbe troncata una connivenza economica fra Russia ed Europa si è rivelata sbagliata. Il bello è che mostriamo al mondo intero come continuiamo a litigare in Europa ogni volta che c’è da decidere un nuovo pacchetto di sanzioni.

[4] Perché gli ucraini sono gli unici che combattono sul terreno, e possono farlo solo finché saranno armati dall’Occidente, anche se risentono principalmente sulla loro pelle gli effetti della guerra.

[5] Visto che Putin l’altro giorno ha revocato il decreto del 2002 che riconosceva la piena sovranità della Moldavia, indicando con ciò chiaramente già quali sono le sue intenzioni future.

[6] Come ripetuto per l’ennesima volta alla marcia della pace Perugia-Assisi, i partecipanti vogliono che l'Italia e l'Europa abbandonino la scorciatoia pericolosa e a senso unico delle armi (“Avvenire” 25.2.2023).

[7] García Márquez G., in Cent’anni di solitudine, cap. 9.

[8] Ma è difficile avere dati affidabili in un Paese dove la voce del dissenso viene duramente soffocata fra manganellata in piazza e prigione.

Però dovremmo anche meditare sul fatto che se la percentuale è vera (o comunque approssimativamente vera) ci dovremmo interrogare sul perché tanti russi pensano che l’Occidente stia muovendo guerra a loro. Sicuramente l’allargamento dell’alleanza Nato agli ex Paesi dell’Urss o sotto l’influenza dell’Urss può aver fatto nascere questa convinzione di accerchiamento. Ma nel 2000, non era Putin che avrebbe voluto far entrare la Russia nella Nato, seppur come partner alla pari? Perché poi ha cambiato idea? Questo non ce lo spiegheranno mai.

È indubbio che nella Nato comandano gli americani (il capo di stato maggiore, di tutti i Paesi che ne fanno parte, è sempre americano), che gli USA non hanno alcun interesse nel rendere l’Europa sempre più potente e unita perché diventerebbe un pericoloso concorrente, sì che per aiutare economicamente i Paesi del centro Europa usciti dalla sfera d’influenza dell’Unione sovietica, era scontato che non si poteva farli solo entrare nella UE, ma era meglio farli entrare anche nella Nato per mantenere un certo controllo su di essi. Del resto, tutti gli Stati europei erano a loro volta ben contenti di occuparsi solo di economia e di lasciare la gran parte delle spese militari (anche per la loro difesa) sulle spalle degli USA. Dovremmo però anche ricordare che se i Paesi occidentali hanno potuto godere di ampia libertà è perché gli Stati Uniti sono entrati con tutto il loro peso nella Seconda Guerra Mondiale. Nei Paesi in cui sono entrati i russi (es. Polonia, Ungheria, ecc.) i loro cittadini non hanno mai potuto godere delle nostre libertà fino al dissolvimento dell’Urss.

[9] Ad es., le pur nobili parole del vescovo di Perugia, che era presente alla partenza della marcia della pace sono queste: “Sostenere la causa della pace è sinonimo di resistenza, di non-violenza attiva, che alimenti – come un cordone ombelicale – una cultura e una politica impegnate a non rassegnarsi all’ineluttabilità della guerra, alla logica della contrapposizione, in cerca di spazi di dialogo e di negoziato” (Avvenire, 25.2.2023). Pensate che dopo queste parole la guerra si fermerà? Lo stesso per le altre parole riportate da alcuni partecipanti alla marcia, sempre sullo stesso quotidiano.

[10] Se a Trieste ci si preoccupa di cosa avviene a Lampedusa, che è circa alla stessa distanza, perché non dovremmo preoccuparci di cosa avviene in Ucraina?

[11] Anche se vi sono indubbiamente delle cose che devono essere cambiate.

[12] Ricordate ai tempi della guerra del Vietnam lo slogan “Yankee go home!”? Avete mai sentito in un corteo pacifista di oggi lo slogan: “Russia go home!” Non a torto, allora, si dice che nel pacifismo nostrano prevale l’antiamericanismo, nella convinzione che se non si arriva alla pace è colpa degli Stati Uniti, e non della Russia che ha invaso un Paese indipendente. In tal senso l’editoriale di “Avvenire” del 24.2.2023, dove si dice che Stati Uniti e Occidente sono responsabili della guerra (per fortuna non si dice anche dei bombardamenti su scuole e ospedali e zone civili in Ucraina) “non di meno” della Russia.

[13] E se uno vuol cercare su internet, guardi pure anche le foto successive, dell’attesa angosciosa di questi giovani genitori in ospedale e della tragica disperazione alla notizia della morte del loro bimbo.