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Battesimo di Cristo, dipinto in Daniel Korkor (Tigray, Etiopia) - immagine tratta da commons.wikimedia.org


Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati



di Dario Culot


Da come si recita la formula del Credo, sembra che il battesimo serva per eliminare il male del peccato originale[1] (se il battezzato è un bambino) e comunque tutti i peccati commessi (se il battezzato è un adulto che ha consapevolmente peccato). Ci hanno infatti insegnato che il non battezzato è perduto per sempre. Non ci hanno però insegnato che i battezzati possono essere incredibilmente malvagi anche quando credono in Dio (pensiamo solo ai sacri inquisitori; pensiamo all’attuale guerra fra cristiani in Ucraina). Non ci hanno neanche fatto presente che, se dopo la venuta di Gesù, il battesimo è un passaggio obbligato per chi aspira alla salvezza eterna, la sua venuta avrebbe in realtà ristretto di molto la possibilità di salvezza. Se nella Chiesa cattolica si salva infatti solo il battezzato, che per di più obbedisce all’insegnamento ufficiale, vorrebbe dire che la venuta di Cristo non è stata affatto una Buona Novella perché ha ristretto, e non ampliato, il raggio dell’azione salvifica, e vorrebbe anche dire che Dio non vuole salvare tutti; ma questo è il contrario di quanto dicono le Scritture (Gv 6, 39; 1Tm, 2, 4).

Recitava l’art.3 del vecchio Catechismo di Pio X che ancora io ho studiato da piccolo: vero cristiano è colui che è battezzato, che crede e professa la dottrina cristiana[2] e obbedisce ai legittimi Pastori della Chiesa. Questo criterio era veramente conforme al Vangelo? Applicando questo stesso criterio alla Chiesa ortodossa, se i legittimi pastori della Chiesa russa non hanno nulla da eccepire di fronte ai massacri, agli stupri, alle distruzioni in Ucraina, chi può credere che quella Chiesa si fondi sul Vangelo? Troppo spesso la Chiesa ha parlato di un Dio che non corrisponde a quello manifestato da Gesù nei vangeli, e quindi non ha insegnato la verità. E non è che noi cattolici possiamo sentirci superiori agli ortodossi. Ad esempio, richiamo questo episodio avvenuto durante la I Guerra mondiale: “un giorno si è consegnato a noi un austriaco che parlava italiano, ed essendo domenica l’ho portato con me a messa perché mi era stato consegnato, e perché sia gli austriaci che gli italiani erano cattolici. Quando il prete ha detto che pregava affinché Dio ci facesse la grazia di scacciare il potente nemico (l’Austria) lui si è messo a ridere, e ha detto che la domenica prima il prete austriaco aveva detto esattamente le stesse parole, solo che il potente nemico era l’Italia. Ha allora chiesto se forse ci sono due Padrieterni, uno in Italia e l’altro in Austria, e noi non si capiva più niente, ma visto che continuava a ridere il prete si è innervosito e ha gridato di portare via quel tipo che andava contro la religione. Ce ne siamo andati e l’ho portato al campo di concentramento, ma era uno che diceva la verità”[3]. Insomma, questo semplice soldato stava intuendo qualcosa di evidente: non sempre i legittimi pastori insegnano la verità.

Comunque, è assodato che permane la convinzione per cui senza battesimo non si è cristiani e non si può essere salvati, sì che il battesimo è ancora visto come una specie di consacrazione, di marchio invisibile ai nostri occhi ma visibile per Cristo, che servirebbe per essere riconosciuti nel giorno del Giudizio:[4] qualcosa che ricorda il sangue dell’agnello pasquale sulle porte delle case degli ebrei, in Egitto, per farsi riconoscere dall’angelo della morte sceso nella notte oscura a sterminare tutti i primogeniti degli egiziani, che invece non avevano segnato le loro porte[5] perché non avevano ricevuto la soffiata[6].

Come quello di oggi anche il magistero di allora, già disturbato per la condotta di Giovanni Battista che condonava i peccati col battesimo, ma nel deserto (luogo profano) e non nel sacro Tempio, di fronte al condono dei peccati concesso gratuitamente da Gesù al paralitico, taglia corto: ‘quello sta bestemmiando!’ (Mt 9, 3; Mc 2, 7). Il magistero di oggi, certo di aver perfettamente interpretato il vero pensiero di Gesù, insegna – con pretesa di infallibilità - che Gesù non stava bestemmiando e che sbagliava il magistero infallibile di allora, però poi afferma (art.1441 Catechismo) che in virtù della sua autorità divina Gesù ha dato solo agli apostoli il potere di perdonare i peccati; dagli apostoli questo potere è passato solo al magistero, per cui solo la Chiesa può far risorgere la relazione con Dio, ogni qualvolta l’uomo l’ha troncata peccando (e, sfortuna vuole, che l’abbia troncata già per il solo fatto di nascere, stante il peccato originale[7]). Invece la folla presente a quel lontano episodio, - come il soldato sopravvisto che aveva in consegna il prigioniero ma aveva capito che era il suo nemico e non il prete a dire la verità - intuisce che questa capacità non è una facoltà esclusiva di Gesù ma è estendibile a tutti gli uomini, sì che «rende gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini» (Mt 9, 8); non ai soli apostoli e quindi ai loro successori. Con queste parole viene sottolineata dall’evangelista la corresponsabilità di tutti i seguaci di Gesù nell’opera di salvezza. Per di più, il tutto avviene senza battesimo, per cui sorge qualche legittimo dubbio sulla dottrina insegnata secondo cui chi muore senza battesimo va all’inferno, perché il peccato non cancellato impedisce la salvezza.

In effetti la Chiesa, per circa un millennio, aveva tranquillamente destinato all’inferno tutti i bambini non battezzati, condividendo l’idea di sant’Agostino. Poi, intorno all’anno 1300, aveva finalmente accettato l’idea di Abelardo, il quale si era reso perfettamente conto dell’assurdità cui portava la tesi secondo cui senza battesimo non c’era altro che l’inferno, per cui aveva elaborato la teoria del limbo (di cui non c’è traccia nelle Scritture). Secondo questa teoria i bambini non battezzati non potevano andare in paradiso perché non erano appunto battezzati (e questa era una verità di fede e chi la contestava finiva a sua volta all’inferno perché scomunicato); non potevano andare neanche in purgatorio, perché il purgatorio aveva un termine, e dopo essere stati bruciacchiati per un po’ questi bambini sarebbero dovuti andare in paradiso, ma senza battesimo era proprio impensabile che potessero godere del cospetto di Dio; però, eccezionalmente, posto che Dio è tanto buono, ci si rendeva conto che non potevano neanche finire all’inferno, perché si riconosceva che questo sarebbe stato leggermente in contrasto con la bontà infinita attribuita a Dio, visto che il neonato non aveva alcuna colpa personale. Ecco allora il limbo, luogo dove non si soffriva, ma neanche si godeva. Una noia mortale per i bimbi. Di qui l’urgente necessità per i genitori di battezzare subito il proprio bambino,[8] stante il terrore inculcato dal magistero che, in caso di morte prematura, quel bambino non avrebbe meritato il premio eterno, sì che genitori e figlio non si sarebbero mai più potuti rincontrare, visto che i genitori sarebbero finiti o in paradiso o all’inferno[9].

Oggi, consapevoli che i riti, gli insegnamenti, le proposte religiose che abbiamo ricevuto da bambini non reggono alla sfida della vita moderna, si comincia a pensare in maniera diversa. Se è stato sant’Agostino a proclamare che il battesimo serviva per il perdono dei peccati (e la sua idea ha retto per secoli), in tempi recenti si è cominciato a pensare che, a differenza di Giovanni Battista[10] (Mc 1, 4; Lc 3, 3) Gesù non ha mai collegato il battesimo al peccato. Quando Gesù ascende in cielo abbina il perdono dei peccati alla conversione (Lc 24, 47), non al battesimo: cioè per essere perdonati basta cambiare l’impostazione della propria vita[11]. Il vero battesimo di Gesù è l'amore[12]. Questa radicalità non ci porta a cancellare tutto il resto, ma a relativizzarlo, come Gesù ha insegnato quando ha voluto indicare come modello di credente non già una persona pia e religiosissima, non una persona battezzata da Giovanni Battista, ma un samaritano, cioè un impuro peccatore eretico secondo la religione, neanche mai battezzato.

Alla fine del Vangelo di Giovanni (Gv 21, 15ss.) non viene chiesto al discepolo amato se ama Gesù, perché egli già vive nell’Amore. A Pietro, invece, viene domandato se ama, e - se ama,- gli vien detto di portare al pascolo le pecorelle: cioè prendersi cura degli altri, cioè convertirsi. Dunque, fin dall’inizio, una parte di cristiani ha amato, un’altra ha creduto che amare fosse introdurre nell’amore dogmatismi coercitivi, strutture piramidali della Chiesa con al vertice il pontefice sovrano. Una porzione di cristiani (il cui prototipo è Pietro) è rimasta fedele alla legge e alle sue strutture; un’altra senza cercare strutture sociali e dottrinali ha costruito la sua dimora nell’Amore sì che vive una nuova realtà spirituale[13]. Pietro è il rappresentante di coloro che hanno mantenuto viva la lettera; il discepolo amato è il rappresentante di coloro che hanno mantenuto vivo lo spirito. Probabilmente solo questi ultimi possono dirsi cristiani, perché in piena sintonia con Gesù, visto che Gesù si muove senza essere mai inquadrato in schemi, ma intervenendo liberamente ogni qualvolta vede che la vita di un altro è spenta o calpestata. Questo è il suo concetto di amore, che noi – come Pietro – pensiamo subito di dover incasellare in schemi, mentre Gesù ci ha promesso solo lo Spirito che soffia dove vuole (Gv 14, 26;3,8), e basta ad ispirarci.

L’idea del battesimo come remissione dei peccati è poi indissolubilmente legata all’insegnamento secondo cui Gesù Cristo è morto per i nostri peccati. Ma se leggiamo i vangeli (e non Paolo) risulta piuttosto evidente che è stata la casta sacerdotale a uccidere Gesù perché metteva in pericolo i loro privilegi e i loro interessi economici. Gesù aveva presentato un’immagine di Dio che non combaciava affatto con quella presentata dal clero. Il Tempio di Gerusalemme si reggeva sulle imposte, sulle offerte, e soprattutto, sui rituali per ottenere – a pagamento – il perdono di Dio. Quando Gesù perdona gratuitamente, senza invitare ad andare al Tempio a portare le offerte, i teologi ufficiali dicono che sta bestemmiando (Mt 9, 3). Quando Gesù caccia i mercanti e gli acquirenti dal Tempio, la classe sacerdotale decide che il vaso è ormai colmo e che Gesù deve essere eliminato.

Va anche ribadito che quest’obbligo di pagare il fio è tipicamente umano, ma non viene da Dio. Siamo noi uomini che, se qualcuno ci offende, pretendiamo che chieda perdono e ripari l’offesa. Perciò su questo passo del Credo, proprio non ci siamo. Infatti, parlando di Dio creatore si è detto che – accettando il modello evolutivo e abbandonando quello statico del passato - viene a cadere il peccato originale, viene a cadere la caduta dell’uomo, viene quindi a cadere anche l’obbligo di espiazione[14]. “Perdonate e sarete perdonati” (Lc 6,37); convertitevi e sarete perdonati (Lc 24, 47): questo è l’annuncio sconvolgente di Gesù, che continua a sconvolgere anche la nostra Chiesa[15]. A conferma di questo innovativo principio Gesù racconta che Dio ci perdona sempre e in anticipo, senza chiederci nulla: basta leggere la parabola del grande creditore (Mt 18, 27-33) dove s’insegna che per usufruire di questo perdono gratuito basta offrire a nostra volta perdono a chi ci ha offeso. Il bello è che recitiamo questo principio in continuazione anche nel Padre Nostro (rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo), ma poi ce ne dimentichiamo. Se invece, dopo aver gratuitamente ricevuto il condono dell’intero nostro grande debito, non siamo capaci di rimettere i piccoli debiti che altre persone hanno verso di noi, anche il perdono che Dio ci ha anticipato diventa inefficace.

Si può anche aggiungere che perfino san Paolo non chiama più i cristiani peccatori (Rm 1, 7; 1Cor. 1,2; 6, 1; 2Cor 1, 1) perché grazie allo Spirito essi rimangono fondamentalmente fedeli a Dio, procurando il bene degli uomini, pur attraverso numerosi inciampi:[16] ma allora, a quel punto, si potrà parlare di colpe, di errori, di mancanze, ma non più di peccati;[17] e in ogni caso, anche se volessimo ancora chiamare peccati queste debolezze, esse sono solo delle ferite proprie della lotta per la fedeltà all’impegno di conversione,[18] e non sono più peccati di morte (1Gv 5, 17), tant’è che vengono tutti automaticamente sanati (perdonati, cancellati) nel momento in cui il singolo “peccatore” cancella le mancanze degli altri nei suoi confronti, come si è appena detto sopra. Lo stesso Paolo, lo ripeto, afferma che «non c’è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù» (Rm 8, 1) e nei quali Cristo vive (Gal 2, 20).

Nel Credo, che non ha seguito questa rivoluzionaria innovazione, è stata inserita invece la frase estrapolata da Matteo 26, 28, il quale però si riferiva al battesimo di Giovanni Battista (Mt 3, 6 e Mc 1, 4). Ma noi sappiamo che non è quello il battesimo di Gesù. Gesù, dopo il battesimo ricevuto da Giovanni Battista inizia la sua missione cambiando definitivamente vita. Fino a quel momento era stato un modesto e invisibile artigiano, mai entrato nei radar della classe dirigente politica e/o sacerdotale. Cambiando vita presto stupirà i suoi compaesani (Lc 4, 14), la sua stessa famiglia (Mc 3, 31ss), ed entrerà in lotta di collisione col magistero di allora. Come ha detto il prof. Castillo, di certo Gesù non si è battezzato per cambiare vita; ha cambiato vita perché ha deciso di farlo. Allora è da tener presente che un rituale religioso di per sé solo – anche se lo amministra un santo come Giovanni Battista – non cambia la vita di nessuno. Per cambiare occorre la propria volontà, il proprio impegno.

Ora, il battesimo di Giovanni Battista si spiegava alla luce del profeta Ezechiele: Israele per vivere nuovamente in relazione con Dio, dopo il peccato verso Dio che gli ha fatto meritare l'esilio, doveva essere purificato. Questa azione sul fiume Giordano era simboleggiata dell’acqua, «vi aspergerò con acqua e sarete purificati» (Ez 36, 25). Ma con Gesù il battesimo non sarà più un atto di purificazione, quanto piuttosto di vera e propria rinascita in virtù della venuta in ognuno dello Spirito di Dio.

Il Battista chiedeva a tutti un cambiamento di vita, predicava “un battesimo di penitenza” (Lc 3,3), che richiede, da parte di chi lo riceveva, “frutti degni della penitenza” (Lc 3,8), altrimenti, come ogni albero che non fa buon frutto, sarebbe finito nel fuoco distruttore (Lc 3,9).

E lo stesso Giovanni Battista, dal carcere, aveva a un certo punto mandato una richiesta urgente a Gesù perché non era più così sicuro che fosse lui il vero Messia, visto il suo modo di comportarsi: ma come! Lui aveva predetto l’ira funesta di Dio conseguenza al rifiuto della proposta di vita (Gv 3, 36), aveva predetto un battesimo in Spirito per coloro che avrebbero accolto il Messia, ma un battesimo in fuoco distruttore per coloro che lo avrebbero respinto (Lc 3, 16), aveva profetizzato un Messia con la scure in mano (Mt 3, 10-12; Lc 3, 9: ogni albero che non porta frutto lo taglia e lo brucia), e invece questo Gesù va in giro dicendo che anche se l’albero non dà frutto deve essere zappettato e concimato (Lc 13, 8).

Da allora sono passati quasi duemila anni, eppure lo stesso turbamento di Giovanni Battista davanti al rapporto Gesù-peccatori lo sperimentano ancora oggi tante persone pie quando sentono che qualcuno usa il nome di Dio non per minacciare i peccatori, ma per compiere opere di misericordia: al pari del sacerdote e del levita che scendevano da Gerusalemme, loro non esiterebbero ad abbandonare per strada un ferito pur di arrivare puntuali e non contaminati alla santa messa, perché credono che la verità religiosa vada difesa prima di tutto. I diritti di Dio vanno al primo posto. Per tutte queste anime pie, ciò che conta è sempre e solo la relazione con Dio, cioè il peccato come offesa a Dio. Ma viene da chiedersi: come mai tanti bravi cattolici credono che mangiare prosciutto di venerdì offenda Dio; eppure Dio, nessuno l’ha mai visto. Perché allora non credono con altrettanta convinzione che Dio sia offeso e non sopporti veder soffrire un essere umano, cosa che invece tutti noi possiamo vedere?

In realtà, il fuoco del battesimo resta valido anche con Gesù, e non ci sarà solo un segno esteriore come l’acqua. Però il fuoco di Gesù è un invito pressante a cambiare vita qui, su questa terra, per votarsi all’Amore. Questo è reso possibile dallo Spirito santo, quello stesso che in Atti “battezza” discepoli/e impauriti/e rinchiusi nel cenacolo, e con il fuoco li/le spinge fuori dal cenacolo, a predicare nel mondo e perfino a perdere la loro vita per salvarla (Mc 8,35). Esattamente come ha fatto Gesù. È il discepolato dell’Amore[19]. Non siamo davanti a un fuoco distruttore, ma all’amore che infiamma i cuori per prendersi cura degli altri

Il frutto “degno” è la conversione, il cambiamento di vita; il segno dell’acqua versata sul capo resta semplicemente una pubblica dichiarazione di impegno e, allo stesso tempo, richiesta di aiuto e sostegno da parte della comunità. In questo non c’è differenza tra Giovanni e Gesù: entrambi hanno predicato la conversione, entrambi vedono nel battesimo una dichiarazione pubblica d’impegno, entrambi aspirano al sostegno della comunità battezzata.

Tuttavia il battesimo cristiano non è un rito che smacchia il battezzato da una macchia personale che non esiste,[20] e neanche purifica l’individuo che ha peccato. I vangeli sinottici fanno vedere chiaramente la differenza radicale fra il battesimo di Giovanni e il battesimo cristiano. Quello di Giovanni è un battesimo “con acqua”, mentre quello di Gesù è un battesimo “con Spirito Santo” (Mc 1,8; Mt 3,11; Lc 3,16). Quindi, il Battista predicava un battesimo di conversione per essere purificati e ottenere il perdono dei peccati (Mc 1, 4; Lc 3, 3). Per questo profeta, la conversione consiste nello smettere di peccare; l’acqua è un mero rituale di purificazione per il perdono dei peccati e tornare così ad essere degni di avvicinarsi a Dio, e questo concetto è stato inserito nel Credo. Il battesimo cristiano, così come ce lo presenta Gesù, è invece il battesimo dello Spirito che porta con sé una conversione, cioè una “nuova nascita”, come lo stesso Gesù spiega a Nicodemo. Colui che nasce di nuovo (Gv 3, 7), è un’altra persona, nuova e diversa, perché ovviamente è appena nato. Ossia, diventa “come un bambino” e di conseguenza vive in un altro modo. Gesù, al quale non interessano molto i peccati,[21] intende la conversione in funzione del regno di Dio che si avvicina (Mc 1, 15). Conversione è cambiare modo di pensare e di agire; parlare del regno di Dio è parlare della vita e della dignità delle persone, tant'è che con le sue guarigioni Gesù dà nuova vita a coloro la cui esistenza era limitata. L’interesse primario di Gesù non è mai il peccato, ma è far stare meglio le persone. Il Dio di Gesù non ci chiede di non peccare, ma di comportarci di continuo con amore. Solo così l’uomo viene alla luce e diventa umanamente completo[22]. Questo comportamento basta per somigliare a Dio e per potersi avvicinare a Lui.

Tanto Giovanni Battista aveva incentrato la sua predicazione sul peccato, tanto Gesù l’incentra sull'alleviare la sofferenza della gente. Infatti, alla domanda chiara e diretta dei messaggeri del Battista, Gesù risponde non chiarendo se è o non è l’atteso Messia, ma solo invitando a guardare cosa fa (Mt 11, 4). E Gesù elenca tutta una serie di condotte utili ad alleviare la sofferenza della gente: sta facendo esattamente le cose indicate da Isaia, pure lui unto come Messia (Is 61, 1: portare il lieto annunzio ai miseri, fasciare le piaghe, proclamare la libertà degli schiavi, ecc.). E ricordiamoci che anche nel giudizio finale (Mt 25, 31-46) il criterio scelto da Dio per giudicare gli uomini non sarà il peccato su cui tanto batte il Battista (e ancora oggi la Chiesa), ma sempre e solo la sofferenza degli altri e come ci siamo relazionati con le altre persone che abbiamo incrociato nella nostra vita e che erano in sofferenza. Ancora oggi molti credenti pensano che più si soffre personalmente e più crescono le probabilità di salvarsi. Non è così. È l’amore diffuso o meno attorno a noi che mette in gioco la nostra salvezza[23]. Anche se pensando di fare cosa gradita a Dio abbiamo indossato il cilicio e ci siamo fustigati tutti i giorni, non potremo salvarci se non ci siamo interessati agli altri.

La conclusione è allora chiara: il cristianesimo non si spiega a partire dal rituale religioso di purificazione, bensì a partire da un nuovo modo di vivere, che è possibile solo con la forza dello Spirito[24]. Dimentichiamo una volta per tutte il battesimo inteso come quel bollo messo sul carnet che san Pietro controllerà per farci entrare o meno in paradiso.

Il vero battesimo di Gesù non è stato dunque il rito al Giordano, ma il suo stile di vita quotidiano da quel momento in avanti: l’andare a mangiare con i peccatori, il non giudicare e condannare chi ha sbagliato, difendere i diritti degli orfani, delle vedove, degli emarginati. Quando anche noi, come Gesù, ci mettiamo in fila con i più deboli, ci prendiamo cura di chi ci sta accanto, non rimaniamo indifferenti di fronte alle ingiustizie, anche per noi “i cieli si aprono” perché diventiamo più umani e quindi cominciamo a diventare cristiani[25]. In quel momento, allora, viviamo concretamente il battesimo e forse riusciamo anche a fare esperienza del divino che è già dentro di noi,[26] ma che non si manifestava. Il battesimo di per sé solo non ci fa diventare più umani, e quindi non ci fa neanche diventare cristiani.

Il grosso problema di oggi è che la maggior parte delle persone percepisce i sacramenti come dei semplici riti (magici?) sacri ai quali bisogna assistere e partecipare; essi sono visti essenzialmente come obblighi, a volte anche pesanti, cui è giocoforza sottostare per non trovarsi in peccato mortale[27]. I sacramenti, allora, sono visti prevalentemente come segni di obbligo, ma non come segni di grazia. Insomma anche il battesimo viene visto come un obbligo che il cristiano deve adempiere e al quale deve sottomettersi, se proprio vuole essere a posto con Dio e in pace con la coscienza. Solo in quest’ottica si spiega come alcuni adulti vogliono s-battezzarsi, perché sarebbe assurdo intendere il rito dello s-battezzo come un impegno per il futuro a non interessarsi degli altri, ma solo a sé stessi.

E allora? Allora si ha ben diritto di mettere in dubbio la capacità automatica di santificazione e salvezza attribuita ai sacramenti insegnataci dai teologi[28]. Questo travisamento è accaduto forse perché il sacramento ci è stato spiegato come un rito che comunica grazia, non come un simbolo che dovrebbe esprimere un’esperienza[29]. E tutti i sacramenti (pensiamo principalmente all’eucaristia) dovrebbero allora nutrirci spiritualmente, e non essere visti come obblighi per sentirsi a posto con Dio.

Ma a questo punto qualcuno domanderà: perché si battezzano i neonati che non hanno alcuna capacità di impegnarsi e non hanno alcuna consapevolezza? Se col battesimo si è incorporati nella chiesa, si appartiene a Dio e non più a sé stessi e ciò avviene inconsapevolmente, si può capire perché tanti, da adulti, vogliono s-battezzarsi non volendo né appartenere a Dio, né far parte della Chiesa cattolica. La spiegazione di don Carlo Molari mi ha ancora una volta convinto[30].

Possiamo continuare a dire che il battesimo dona la grazia. Ma in che senso? Nel senso che l’azione della comunità (chiesa) alimenta la vita, cioè introduce il battezzato alla vita con la sua testimonianza, lo avvolge d’amore e lo fa crescere, perché è l’amore il dono che fa crescere le persone. Così come, quando un bambino nasce, l’amore dei genitori e di quelli che gli stanno vicino lo introduce alla vita e gli consente di crescere, nell’ambito spirituale è la comunità che assume questo impegno di far crescere figli di Dio, lo accoglie nel suo interno dove inizia questo processo. Naturalmente questo processo può esserci a prescindere dal rito del battesimo: il rito è semplicemente il momento in cui la comunità ecclesiale esprime pubblicamente questo impegno di inserire il battezzato in questa trama di relazioni che poi dovrebbero costituire l’ambito della vita del nuovo accolto. Si battezza un bambino perché l’ingresso nella vita ecclesiale deve avvenire quando si comincia a vivere. Perché non si lascia la scelta al bambino quando sarà adulto e consapevole? Perché è come se i genitori non insegnassero al figlio nessuna lingua aspettando che cresca e sia lui a scegliere quale lingua parlare oppure decidere se camminare o meno. I genitori non possono aspettare che sia il bimbo a scegliere la lingua quando sarà adulto, perché se si aspetta gli si toglie in realtà la capacità di decidere, visto che il cervello si deve strutturare da subito in modo che il bambino possa parlare. Anche affinché riesca in seguito a parlare lingue diverse è necessario che al bambino si insegni da subito una lingua base. Poi crescerà, ma fin da piccolo deve sentire il suono, deve creare nel suo cervello delle sinapsi nuove che svilupperanno la parte del cervello relativa al linguaggio[31]. Certo con la consapevolezza del limite, non dicendogli “guai se parli un’altra lingua” come a volte si dice delle religioni, ma con un’educazione aperta. È importante perciò che il bambino, quando viene al mondo, sia amato e inserito in un linguaggio, in una tradizione culturale (anche religiosa), perché solo così, procedendo nello sviluppo, la persona potrà fare in seguito le sue scelte con consapevolezza. Se introduciamo un bimbo alla vita dobbiamo introdurlo in tutte le dimensioni della vita, anche quella spirituale. Altrimenti, invece di aiutarlo, invece di renderlo libero di scegliere, gli precludiamo varie possibilità future.

Scontato, infine, che nel battesimo del bimbo non c’è nessun impegno da parte sua: l’impegno lo prendono la comunità, i genitori e i padrini, che dovrebbero avvolgere il nuovo nato in un flusso d’amore che lo fa crescere. Se guardiamo alla realtà, si vede che questa accoglienza non avviene sempre in modo adeguato, ma l’ideale è chiaro.

Altrettanto chiara, perciò, è l’assurdità di s-battezzarsi, perché da una parte il battezzato non ha preso alcun impegno, per cui non può rinunciare a un impegno che non ha preso; dall’altra parte, raggiunta l’età della consapevolezza, potrà sempre decidere autonomamente della propria vita spirituale e potrà anche rifiutare di far parte della comunità che – per i propri limiti - non ha saputo evidentemente testimoniargli il proprio affetto, la propria vicinanza e la propria solidarietà come si era impegnata pubblicamente a fare.

Finché invece il battesimo assomiglia più a un ‘falso in atto pubblico’, perché lo s’intende come quel rito liturgico (misto a una festa pagana[32]) attraverso cui si ottiene da Dio la garanzia di venire salvati, allora hanno ragione anche coloro che si s-battezzano, perché con quell’atto intendono proprio dire che non credono a questo ‘falso’.


NOTE

[1] Col peccato originale siamo caduti in una fossa dalla quale non riusciamo a uscire da soli, per cui abbiamo bisogno di salvezza esterna. Ci è stato inculcata l’idea che siamo colpevoli e peccatori a prescindere dalle colpe soggettive che ognuno può aver compiuto (Scquizzato P., Dalla cenere la vita, Paoline, Milano 2019, 48).

[2] Condizione per il battesimo era inizialmente la fede, non la catechesi. All’origine la confessione di fede non era articolata in senso trinitario, ma circoscritta alla sola persona di Gesù, riconosciuto come Figlio di Dio. Ciò risulta evidente da At 8, 26-39. Quando l’eunuco domanda cosa gli impedisce di essere battezzato, Filippo gli risponde che basta credere con tutto il cuore, al che l’eunuco fa la sua professione di fede: «Io credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio» (At 8, 37).

[3] Rabito V., Terra matta, Einaudi, Torino 2007, 58.

[4] Inoltre va opportunamente ribadito che la Costituzione dogmatica sulla Chiesa – Lumen Gentium § 16, del 21.11.1964 - ha concluso che anche senza il battesimo le persone possono accedere alla vita eterna presso Dio, volendo Dio che tutti gli uomini siano salvi (1Tm, 2, 4), e San Pietro ha visto con i suoi occhi come lo Spirito Santo non chiedeva il previo battesimo per intervenire. Dunque, questo bagno sacramentale che toglie il pregresso sudiciume, è sicuramente un segno esterno dato a terzi di voler aderire a Gesù (facendo proprio il modo di pensare di Gesù), ma poi quello che conta è la vera rinuncia personale alla sporcizia, cioè all’egoismo, al male: questa è la conversione, la quale non ha nulla a che fare con l’accettazione dei dogmi insegnati dal magistero. Il cristianesimo o lo si vive, o non è.

[5] A leggere Paolo (Gal 3, 28) il battesimo sembra invece generare un’umanità nuova: si abbattono i muri creati dalla cultura (libero-schiavo; uomo-donna; giudeo-pagano), tutti muri di disuguaglianza ed esclusione, e resta solo la figliolanza divina: tutta l’umanità ha diritto di essere messa in questa relazione di figliolanza, a prescindere da come uno viene considerato nella società. Tutti siamo allo stesso livello davanti a Dio.

[6] Curioso, però, come in altra parte della Bibbia, Dio parlando al popolo di Israele dica: «Non siete voi per me come gli Etiopi, Israeliti? Non ho fatto uscire Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da Caftor.» (Am 9,7). Dio sta dicendo che Lui sta sempre dalla parte degli oppressi per liberarli dall’oppressione. “Se ho liberato voi, israeliti, dall’Egitto, non è perché siete il mio popolo prediletto, ma perché l’azione di Dio è sempre quella di liberare i popoli”; ecco perché ha liberato Israele, ma ha liberato anche i Filistei. Quindi non c’è un Dio che sceglie un popolo al di sopra di tutti gli altri popoli, ma c’è un Dio che è sempre a favore di coloro che in quel momento sono oppressi.

[7] Perché Darwin è stato visto dalla Chiesa come una minaccia? Perché la Chiesa aveva insegnato (e insegna) che la creazione era inizialmente perfetta, è seguita una caduta nel peccato che richiedeva allora un’operazione di salvataggio, affidata da Dio a Gesù con il suo apice nella croce che ha prodotto l’affermazione “Cristo è morto per i nostri (quindi anche miei) peccati. Ma Darwin faceva capire che non c’è mai stata una perfezione originale da cui noi esseri umani siamo caduti (Spong J.S., Incredibile, Mimesis, Milano-Udine, 2020, 101).

[8] Vedasi Domanda 62 del Catechismo Maggiore di Pio X: tutti nasciamo col peccato originale. Il nuovo Catechismo, al n. 1261, è più vago, ma di questa necessità – per evitare il Limbo - è rimasta traccia evidente ove si dice che, in caso di urgenza, chiunque, anche un non credente, può battezzare validamente se intende dare al suo gesto il significato che gli verrebbe dato da un credente (art.260 Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica). Non mi sembra esatto, allora, sostenere che mai il magistero della Chiesa cattolica ha fatto proprio il concetto di Limbo (Dianich S., La fede e il desiderio, “Famiglia Cristiana” n.7/2009, 15) sia perché non sarebbe altrimenti logicamente spiegabile questa facoltà di battezzare estesa a chiunque se non con la paura di non avere accesso al paradiso, sia perché lo stesso papa Ratzinger, ne ha parlato come di ipotesi ancora plausibile. Del resto, se il magistero non avesse fatto proprio il concetto di Limbo, avrebbe dovuto confermare che i bimbi non battezzati andavano all’inferno, oppure che ci si poteva salvare anche senza il battesimo.

[9] Solo abbastanza recentemente il Limbo è stato messo in discussione dalla Commissione teologica internazionale costituita all'interno della Congregazione per la dottrina della fede, già Santo Uffizio (con un documento ufficiale approvato da papa Benedetto XVI e pubblicato il 20.4.2007, in cui si dice che il tradizionale concetto di Limbo riflette, forse, una «visione eccessivamente restrittiva della salvezza».

[10] Che comunque, predicava nel deserto sì che il perdono dei peccati non si otteneva al Tempio, con un rito sacerdotale, ma con la conversione personale. Già col Battista, dunque, occorreva staccarsi da quello che insegnava la religione.

[11] Osserva Alberto Maggi, nel suo commento sull’Ascensione, che – ancorché nella versione della CEI in Lc 24 47 si legga che a tutti i popoli si dovrà predicare la conversione e il perdono dei peccati, come fossero due cose separate - il testo originale greco usa sia in Lc 3, 3 che in Lc 24,47 la preposizione εìς che significa “per” e non kaì che significa “e”. Mentre il Battista parla di battesimo per il perdono dei peccati, Gesù parla di conversione per il perdono dei peccati. Per questo sembra non serva allora né il battesimo, né la confessione.

[12] Se è per questo, di remissione dei peccati nell’eucaristia parla solo Mt 26, 28, mentre non ne parlano Mc 14, 22-24; Lc 22, 19s.; 1Cor 11, 23-25. Ma se eucaristia, di per sé, vuol dire rendere grazie, il rendere grazie vuol dire diventare capaci di donare gratuitamente, quindi siamo davanti all’assunzione di un impegno a favore degli altri, esattamente come Gesù ha dedicato la sua vita agli altri; con questo gesto rituale c’impegniamo ad aprirci all’azione di Dio, per testimoniare la forza di vita, per testimoniare il suo amore e trasmetterlo ai fratelli (Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 503ss.). Se non c’è questo atteggiamento di servizio, siamo solo davanti a un rito vuoto che di per sé non cancella nessun nostro peccato. Come ha detto la teologa Adriana Zarri, il bussare è l’iniziativa di Dio; l’ascoltare e l’aprire è risposta dell’uomo (Zarri A., Nostro Signore del deserto, ed. Cittadella, Assisi, 1978, 102).

[13] Vannucci G., Pellegrino dell’Assoluto, Cens, Liscate (MI), 1985, 59ss.

[14] Quando Darwin, dopo trent’anni di studi, concluse che la creazione è un processo evolutivo in corso e mai finito, non intendeva confutare la religione, ma la religione subì un colpo durissimo: infatti, senza una perfezione originale dell’uomo non ci può essere la caduta col peccato originale, quindi non serve il battesimo per la remissione del peccato, quindi Dio non può aver mandato Gesù per superare la caduta, né Gesù può essere morto per i nostri peccati (Spong J.S., Incredibile, Mimesis, Milano-Udine, 2020, 65).

[15] Cfr. l’articolo Riconciliazione al n.609/2021 di questo giornale.

[16] Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo, Cittadella, Assisi, 1989, 76.

[17] Maggi A., Roba da preti, Cittadella, Assisi, 2007, 67.

[18] Arias J., Il dio in cui non credo, Cittadella, Assisi, 1997, 50.

[19] Pavan B., Che cosa dobbiamo fare? Commento 9.1.22 al battesimo di Gesù.

[20] E in effetti, finalmente lo stesso peccato originale viene ormai spiegato come un racconto simbolico della responsabilità generazionale, e non più come peccato con cui ciascuna persona già nasce.

[21] Nella parabola del padre misericordioso abbiamo visto che chi si ritiene giusto (il fratello maggiore) non vuole entrare nella casa del Padre, dove è entrato il fratello minore che ha peccato (Lc 15, 25ss.). Nell’episodio della donna adultera vediamo che quelli che si ritengono ‘giusti’ si allontanano, cioè se ne vanno dalla casa del Padre, lasciandola completamente alla ‘sorella’ che ha peccato (Gv 8, 1-11). Dunque, la Buona Novella ci dice che la casa del Padre è per i peccatori e la Buona Notizia – che si ricava dai due racconti,- è che Dio va incontro ai peccatori.

[22] Scquizzato P., Dalla cenere la vita, Paoline, Milano 2019, 11.

[23] Gesù non ci salva perché ha espiato i nostri peccati al posto nostro, ma perché ci ha ricordato che figli non si diventa per singolare privilegio magari attraverso il battesimo, ma solo attraverso la somiglianza al Padre. Allora sì, Dio in Gesù ci salva dal peccato, ma solo se reputiamo il peccato come atrofia della vita, un rimpicciolimento del cuore, un fallimento esistenziale, perché peccato è tutto ciò che rende piccola la vita, la persona, dove non c’è spazio per niente e per nessuno, tranne che per il proprio egoismo. Gesù ha operato la salvezza mostrandoci che vivendo invece il suo stesso stile di vita viviamo da viventi, cioè da risorti (Scquizzato P., Dalla cenere la vita, Paoline, Milano 2019, 52ss.).

[24] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 168.

[25] Sia Bonhoeffer sia Guardini hanno invitato gli uomini a diventare umani per diventare cristiani, perché cristiani si diventa, non si nasce e non lo si diventa col battesimo. Inoltre Gesù non ci chiama ad una nuova religione, ma alla vita e nell'umanità di Gesù c'è il modello dell'uomo che vive il trascendente.

[26] Romano Guardini diceva: «Diventare cristiani vuol dire diventare umani» Umani e cristiani non si “è”, ma si “diventa” ogni giorno! (richiamato da Don Vinco R., Non è il battesimo a renderci cristiani, ma il nostro stile di vita, 13.1.2019).

[27] Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 200 s. e 385 s..

[28] Idem, 201.

[29] Idem, 525.

[30] Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 482ss.

[31] Per lo stesso motivo non può essere storico il miracolo dell’uomo paralizzato da 38 anni (Gv 5, 5), per il semplice fatto che chi non ha mai camminato non ha sviluppato né il senso dell’equilibrio né ha muscoli che gli permettono improvvisamente di camminare.

[32] Guardate come sono felici i padrini e le madrine quando il bimbo è battezzato: offrono ninnoli d’oro, un libretto in banca e il rinfresco ai partecipanti. Dio in queste cerimonie è morto (Vannucci G., Pellegrino dell’assoluto, Cens, Liscate (MI), 1985, 92).