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Gerusalemme Vecchia, madre e figlia in Batei Mahase street - autore Peter van der Sluijs - foto tratta da commons.wikimedia.org








Gesuina Di Nazaret, che festeggia la Pasqua a Gerusalemme




di Stefano Sodaro


Mentre terminano oggi i festeggiamenti ebraici di Pesach, inizia la Pasqua dei Cristiani che seguono il calendario gregoriano.

Che cosa si festeggia però?

Un miracolo, cui alcuni possono certamente non prestare credito alcuno, sia che riguardi l’apertura del Mar Rosso sia che annunci la resurrezione di un uomo morto?

È la festa dell’incredibile, dell’inverosimile, dell’inimmaginabile, forse si potrebbe pur dire dell’assurdo?

Intanto sarebbe opportuno e necessario considerare che l’ultra-famoso Gesù di Nazaret venne a Gerusalemme per festeggiare, per appunto, Pesach.

E l’altrettanto celeberrima “Ultima Cena” era, senza dubbio alcuno, un pasto della tradizione ebraica, anche se i teologi sin dai primi secoli si sono accapigliati per dimostrare se fosse proprio esattamente il Sèder di Pesach oppure no.

Il pane e il vino parlano di un simbolismo che accomuna memoria cristiana e memoria ebraica, benché diversi ne siano i significati.

Ma la questione è appunto questa: abbiamo proprio bisogno di continuamente precisare le distinzioni identitarie? Ci fa bene? Ci aiuta a comprendere chi noi siamo in profondità? Mangiare assieme non è più importante dello spiegare, con dotte didascalie, perché lo si fa?

Noi siamo molto di più di quanto pensiamo di essere in base ad appartenenze e professioni d’ogni tipo, confessionali, ideali, filosofiche, politiche.

Nella seconda Pasqua in emergenza sanitaria, esausti, sfiniti, spossati, divenuti quasi intolleranti nonostante le sale rianimazione ancora piene ed il numero impressionante di decessi, ciò che ci manca, proprio come il pane e il vino, è lo stare assieme, il potere abbracciarci, stringerci, guardarci negli occhi, baciarci, accarezzarci, tenerci per mano, camminare stando vicini e non a debita distanza.

Gesù di Nazaret “sale” a Gerusalemme, ma ne abbiamo fatto una figurina devozionale per processioni che rischiano di alienarci dalla nostra vita concreta, in cui le processioni si fanno quotidianamente per osservare il metro, o i due metri, entrando in panetteria o in farmacia.

Eppure a Gerusalemme, proprio in questi giorni, in queste ore, potrebbe celarsi, mescolato ad un popolo che finalmente riesce a tornare alla normalità – lì in Israele -, qualcuno, “Un tal Jesús”, direbbero i latinoamericani (https://radialistas.net/serie-un-tal-jesus/).

Però quel “qualcuno” sempre declinato al maschile torna a tramandarci una storia di esclusione, sarebbe finalmente venuto il momento di riconoscerlo. La storia della Chiesa che nasce a Pasqua – o a Pentecoste come si premurerebbero di precisare scrupolosi ecclesiologi – non può più essere una storia di uomini maschi.

Abbiamo, dunque, chi ci rappresenta in questi giorni a Gerusalemme.

Sì, non è una battuta od una provocazione.

Proviamo a leggere i testi evangelici – mi prendo la responsabilità di simile proposta – cambiando il nome maschile di “Gesù” con un italianissimo, per quanto poco diffuso, “Gesuina”. L’effetto, ci ho provato, è sconvolgente.

Rileggiamo gesti ed angosce di chi la Chiesa confessa come il Cristo sostituendo il nome maschile, presente nei sinottici ed in Giovanni, con “Gesuina”, di cui “Di Nazaret” potrebbe essere semplicemente cognome, come, per dire, “Di Giorgio, “Di Marco”.

Gesuina Di Nazaret, almeno a me, suscita un’immediata simpatia. Anzi, molto di più. Che cosa di più? Pudore, propriamente religioso, impone di non rispondere, ognuno ed ognuna ha le proprie evocazioni (e vocazioni).

Abbiamo un Dio Padre, fratello, amico, sposo.

Ci manca un Dio Madre, sorella, amica, sposa, nonostante avvenuti recuperi piuttosto letterari, dal sapore soltanto omiletico.

Allora affermare che “Gesuina Di Nazaret” è risorta potrebbe non essere più vaneggiamento fideistico di cui dubitare per dovere di sanità mentale.

Gesuina Di Nazaret potrebbe essere risorta perché è riuscita a fare il vaccino, lei e la sua famiglia.

Gesuina Di Nazaret potrebbe essere risorta perché è riuscita e liberare, se stessa e gli altri, le altre, da ogni paralizzante dipendenza affettiva, spesso tossica non meno di un ricorso obbligato ad allucinogeni.

Gesuina Di Nazaret potrebbe essere risorta perché non si è posta più il cruccio di obiettivi da realizzare, famiglie da formare ad ogni costo, legami da mantenere pure ad ogni costo, magari anche al costo di violenze subite.

Gesuina Di Nazaret potrebbe essere risorta perché ci accorgiamo che tutte le nostre teologie, pur validissime, non bastano più, perché abbiamo bisogno di celebrare la vita e solo dopo il culto.

Gesuina Di Nazaret potrebbe essere risorta perché ha destrutturato il culto da ipoteche maschiliste, nei suoi officianti e nelle sue liturgie.

Gesuina Di Nazaret potrebbe essere risorta perché ci è diventata compagna di casa, di cena, di tempio, di chiesa, di cuore.

Forse il suo cognome – Di Nazaret – sta anche negli elenchi telefonici: ah, ma già che non esistono più! Allora sta su Skype, su Facebook, su Whatsapp, ad un indirizzo email, ad un numero di cellulare, su Telegram.

Scrive Alberto Dal Maso, sul n. 1 del 2021 di Concilium, dedicato al tema Chiesa e teologia di frontiera, in un contributo dal titolo Cos’abbiamo imparato, in liturgia, uscendo dalla comfort zone?: «Fra le altre criticità dell’epoca pre-covid, è emersa la messa come gesto obbligato-e-scontato, come automatismo clericale, come logoro “tic” ossessivo. Come forma pressoché unica di ritualità cristiana, anziché suo vertice somme (culmen, punto d’arrivo di un lungo percorso comune, non solo fons). (…) rito pervasivo inflazionato dalla routine, moltiplicato in serie, ha eclissato tutti gli altri elementi di una vita liturgica cristiana, al punto che senza messa essi sembrano non avere dignità.» (pp. 165-166).

Gesuina Di Nazaret è risorta perché ci indica la ricchezza celebrativa dell’intera nostra esistenza, a prescindere da codici, canoni e ossessioni religiose.

Ma in questa Domenica di Pasqua l’uovo virtuale che il nostro settimanale vorrebbe offrire alle proprie lettrici ed ai propri lettori contiene una sorpresa che speriamo gradita: sabato 17 aprile, assieme all’Associazione Culturale “Casa Alta”, organizzeremo un confronto online, sulla piattaforma Zoom, con Andrea Grillo e Donata Horak sul Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede che ha negato la possibilità di benedire l’unione di coppie omoaffettive. Trovate il depliant illustrativo su questa pagina.

Da parte mia, nostra, esprimiamo, davvero di cuore, i più sentiti ed intensi auguri di Buona Pasqua.

L’amore non finisce mai. Mai.

Buona vita a tutte e a tutti.