Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Il colle Aventino oggi (da Wikipedia) – vedi richiamo nota 4 


Chiesa e governo

di Dario Culot


Ogni nuova esperienza collettiva (religiosa e non) passa da una fase in cui è vissuta unicamente da una comunità ristretta a una in cui s’ingrandisce e, specialmente quando scompare la prima generazione, l’istituzionalizzazione diventa inevitabile, sì che nascono a quel punto tensioni attorno all’interpretazione delle origini;[1] ma soprattutto nasce un enorme problema nuovo: si deve stabilire chi detiene l’autorità e come si esercita il potere[2]. Infatti è l’autorità che esercita il potere che decide chi può stare dentro e chi deve restare fuori, che stabilisce le regole, che condanna chi non vuole sottomettersi e premia chi obbedisce[3].

Come ogni istituzione, anche la Chiesa ha seguito questa stessa strada, ed è assodato che se potere e autorità restano ancora oggi concentrati nella gerarchia ecclesiastica, nella comunità iniziale di credenti nata dal Vangelo, come comunità distinta dalla sinagoga,[4] non era così: il potere non era in mano a pochi, infatti si votava inizialmente per alzata di mano (At 14, 23); il greco dice cheirotonésantes, tradotto con “designanti”, ma composto dalle parole cheir (“mano”) e teíno (“stendere”), e quindi tutti democraticamente partecipavano alle decisioni. Del resto, se la questione riguarda tutti, perché solo uno o pochissimi dovrebbero effettuare la scelta? Anche nel primo concilio, quello di Gerusalemme, è chiaro che la decisione non venne presa dal solo Pietro, che non era affatto il monarca assoluto come oggi il papa; ma nemmeno dai soli apostoli (At 15, 22: agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora scegliere…). Quindi l’idea che il popolo gregge debba obbedire in silenzio, sottomesso a una gerarchia che comanda e gode di una considerevole superiorità rispetto alla comunità stessa, è chiaramente una situazione venuta a crearsi successivamente[5]. Non è stata certo imposta da Gesù. Anzi, a quel punto, coloro che, secondo la volontà di Gesù (così come risulta nel Vangelo[6]), dovevano essere i servitori della comunità, collocandosi sul gradino più basso, si sono presto auto-posizionati su un gradino più alto, diventando membri privilegiati, e da allora hanno dominato imponendosi sulla stessa comunità.

A poco a poco, la costruzione della Chiesa ha finito per assumere la forma piramidale che ancora oggi conosciamo, trasformando il vescovo di Roma in un monarca assoluto. In questo è stato facilitato dalla lontananza dell’imperatore che abitando a Costantinopoli aveva perso potere in Occidente,[7] dal frammentarsi delle posizioni di potere in Occidente, e dalla mentalità del tempo visto che, nelle concezioni monarchiche originarie, il capo di uno Stato godeva di una posizione superiore per legittimazione di tipo divino; e per ciò che concerne la responsabilità, essa era esclusa nella monarchia assoluta.

Certo, sempre nella Chiesa vi sono stati anche tanti che non cercavano il potere, ma il servizio ai più emarginati e indifesi. Tuttavia il papato si è presto avvalso del potere e si è appropriato dei relativi vantaggi.

Indubbio che le strutture non sono qualcosa di definitivamente prefissato, perché si costruiscono e si modificano, ma è altrettanto certo che più la struttura viene organizzata, e più manca lo spirito iniziale che le ispirava.

Ci hanno insegnato che Gesù è Salvatore e Liberatore, ma pochi ci hanno insegnato che salvezza implica – per chi vive sulla terra,- condivisione e vicinanza; il che oggi vuol dire innanzitutto essere più umani. Infatti, oggi ci siamo resi conto che ciò che più distingue il Dio di Gesù è la sua umanità. Il Dio che si è fatto conoscere in Gesù lo troviamo innanzitutto nell’umano, prima che nel sacro e prima che nel religioso[8]. In altre parole, se vogliamo essere somiglianti a Dio dobbiamo comportarci come Gesù, e così diventare finalmente veri uomini. E i veri uomini fatti di carne calpestano la terra ed entrano in contatto con altri uomini, non volano in cielo come puri spiriti. Dunque l’esperienza di Dio la si fa innanzitutto nell’ambito terreno e profano, non in quello sacro o religioso[9]. La maggior parte del clero ha preferito esercitare sulla terra il potere e non il servizio; ha preferito giudicare dall’alto anziché ascoltare scendendo al livello della gente comune. E anche se d’ora in avanti nominassimo solo papi esemplari, fin tanto che l’autorità e i poteri ecclesiastici non si eserciteranno come li esercitò Gesù, la Chiesa non troverà nella nostra società quel posto che le compete.

Ci hanno sempre insegnato che la Chiesa è fondata su Cristo, ma Cristo non aveva previsto simile struttura. Infatti i termini ordo e ordinatio (da cui l’ordine sacerdotale) erano concetti chiave nell’organizzazione e stratificazione della società laica e dell’Impero[10], perché esprimevano i concetti classici per designare la nomina dei funzionari imperiali. Se invece stiamo ai vangeli, emerge subito che l’importante non è la religiosità, bensì il comportamento. Il decisivo non sono cioè la gerarchia, i riti e i dogmi, ma lo stile di vita. Per questo Gesù non ha mai organizzato un clero, una classe superiore o comunque speciale di dignitari religiosi, affinché fossero poi essi a dirigere la Chiesa, facendo carriera in essa e pretendendo obbedienza dai sottoposti. Ed ecco perché oggi si può senz’altro affermare che, coloro i quali dovevano essere i seguaci di Gesù e i servitori degli altri, si sono auto-nominati maggiorenti nella società, contro il parere di Gesù. Perché mentre Gesù, come si è detto, si è manifestato nel profano, il clero[11] si è posizionato nell’ambito del sacro, pretendendo con ciò il riconoscimento immediato di una maggior dignità rispetto ai laici.

La Chiesa, come succede a tutti i gruppi umani di questo mondo, ha sicuramente bisogno di alcune forme di organizzazione e di persone che s’incaricano di questo; però tutto questo si dovrebbe fare in modo tale da aiutare i cristiani a vivere in sintonia col Vangelo, mai in modo che li allontani da esso, come  (sfortunatamente) è avvenuto troppe volte anche a causa di tanti presbiteri[12] e teologi. Solo vivendo in un certo modo si può essere testimoni efficaci di Gesù. Ed essere testimoni con la propria vita è molto più di difficile che cercar di elevare la propria anima verso il cielo, senza occuparsi di chi vive attorno a noi sulla terra.

Forse ancora poche persone si soffermano a pensare che nei vangeli mai si menziona che Gesù abbia raccomandato di andare in luoghi sacri (i templi, le chiese), di frequentare persone sacre (i sacerdoti, i vescovi), di predisporre oggetti sacri (gli altari, i canti religiosi), di pensare a tempi sacri (giorni di precetto, feste religiose), a norme sacre (alimenti che non si possono mangiare, giorni in cui si deve digiunare, proibizioni relative alla vita sessuale, al lavoro, al riposo, eccetera; tutto in vista dell’elevazione della propria anima); men che meno Gesù ha organizzato atti religiosi o assemblee di culto sacro. Mai e poi mai. Gesù andava invece per le strade, nei villaggi, andava a casa degli ammalati, e se lo si vedeva nella sinagoga non era mai per pregare o dispensare verità celesti e vincolanti, mai si limitava a parlare alla gente, e soprattutto ad ascoltarla. È fondamentale affermare e ribadire che Gesù non ha mai chiesto obbedienza, né tollerato che, fra i suoi discepoli ed apostoli, qualcuno cercasse di porsi sopra gli altri per comandare e, ancor meno, che qualcuno sottomettesse gli altri (Mc 10, 41ss.). Nemmeno ha chiesto che ci si potesse avvicinare a Dio solo attraverso certi riti[13]. Nel Nuovo Testamento il sacerdozio sparisce completamente. Perché? Per il semplice fatto che nella nuova Gerusalemme non ci sarà più buio (Ap 22, 5) e manca il Tempio (Ap 21, 22); se manca il tempio manca il sacerdote, la cui funzione di intermediario è del tutto inutile, visto che ormai Dio è costantemente presente. Dunque il Nuovo Testamento aveva chiuso la porta in faccia a tutti i rituali sacri intesi come mediazione tra Dio e l’uomo. Il messaggio di Gesù aveva superato la distinzione fra sacro e profano, perché tutto è profano, o meglio, tutto è stato santificato da Dio[14].

Se le cose stanno così, inevitabilmente sorge una duplice domanda:

(1) siamo sicuri che Dio abbia voluto (e vuole) che nella Chiesa ci sia un clero come quello che abbiamo? Tenete poi presente che nei vangeli neanche esiste la parola ‘clero’.

Fin dai tempi di Costantino, però, con la cessazione delle persecuzioni e il riconoscimento ufficiale della Chiesa, c’è stato un meschino do ut des, ovvero un mutuo scambio:[15] l’imperatore ha riconosciuto vari privilegi ai rappresentanti della Chiesa, e in cambio questi rappresentanti hanno promesso di rispettare e ossequiare l’autorità imperiale (il cui rifiuto aveva in precedenza scatenato le persecuzioni), di accettare la struttura patriarcale di quella società, come del resto aveva da subito iniziato a fare Paolo proprio per non scontrarsi con la cultura dominante, il che gli ha in effetti permesso di diffondere il nuovo verbo nell’impero romano[16]. Accettare il patriarcato è stato forse ciò che ha lasciato il segno più profondo nella Chiesa, perché le donne sono state rapidamente estromesse dai gangli vitali della comunità ecclesiastica visto che proprio questo prevedeva la società patriarcale romana, mentre molte erano le donne che seguivano Gesù (Lc 8, 1-3), in parità di condizione rispetto agli uomini.

E dopo l’iniziale impostazione di Paolo è bastato qualche secolo per poter dire che il cristianesimo religioso non era più il «movimento di Gesù» che accoglie tutti, bensì è diventato una vera religione che non è più motivo d’incontro con tutti gli esseri umani, bensì motivo di conflitto con coloro che non si sottomettono alla potente idea di una Verità unica e assoluta la quale esclude e perfino condanna gli altri. Perciò, quando il 28 febbraio del 380 l’imperatore Teodosio il Grande aveva firmato l’editto in cui ordinava «che tutti i popoli governati dalla moderazione della nostra clemenza restino nella religione che il santo apostolo Pietro ha trasmesso ai romani», l’inevitabile passo seguente, fatto il 30 luglio 381, è consistito nel dire che erano «espulsi come manifesti eretici» tutti coloro che non si sottomettevano in obbedienza ai vescovi legalmente costituiti. Il vangelo di Gesù si era convertito nella religione di Stato, e questo potere dello Stato era stato prontamente usato contro gli eretici e gli ebrei. Fino al punto che il nominato imperatore Teodosio, alla fine del suo regno, nel 392, decideva di imporre «la proibizione generale, irrevocabile, di tutti i culti e riti sacrificali pagani, ponendo quanti avessero agito contro il decreto sotto la minaccia della condanna per lesa maestà».

Da Costantino a Teodosio erano bastati meno di cento anni per trasformare la Chiesa da «perseguitata» in «persecutrice». E in questo arco di tempo la comunità di Gesù aveva smesso di essere uno spazio umano di accoglienza e d’incontro. Il nemico della Chiesa era, da allora in poi, anche nemico dello Stato[17].

In sintesi, la religione cristiana è diventata presto un insostituibile supporto al potere politico sempre pronto a ricambiarla e a gratificarla. Infatti, cosa sono ancora nel 1900 i vari concordati fra Stati e Chiesa se non scambi di favori tra due poteri forti, con la Chiesa che chiude un occhio sulla teoria e prassi politica, cioè le importa poco o niente che lo Stato sia fascista o comunista, democratico o autoritario?

Si è dovuto aspettare papa Francesco[18] per sentirsi dire che nella Chiesa si parla “più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio”. Ma proprio per questi forti richiami questo papa ha trovato feroci resistenze e fieri oppositori dottrinali, politici ed economici che lo etichettano come eretico, mentre essi, seguendo la tradizione, si vedono come i veri e puri guardiani della religione, attaccati ai bei tempi quando la religione faceva paura esercitando un grande potere.

Insomma, dovremmo chiederci se, quando parliamo di “Dio” intendiamo il Dio che ci ha trasmesso Gesù di Nazareth nei Vangeli o il Dio mostratoci dalla religione. Perché non andiamo a vedere di persona (leggendo i vangeli) come Gesù ha presentato questo Dio? Lui che non è stato un potente di questo mondo, non si è presentato come un maestro della Legge, non si è identificato con i giusti, non si è soffermato sulla colpa e sul peccato, non ha chiesto di pensare principalmente alla nostra anima, ma agli altri.

(2) da dove Paolo ha tirato fuori questo modello di ecclesia autoritaria e patriarcale che poi è giunto fino a noi? Non certamente dal Vangelo di Gesù, posto che non lo poteva conoscere perché non era stato ancora scritto. E allora, da dove? Necessariamente, in buona parte dalle sue proprie tradizioni farisaiche assimilate in sinagoga. Poi, soprattutto, dalla cultura nella quale era nato e vissuto, la cultura dell’Impero di Roma, essendo anche cittadino romano per nascita. La sua forma di intendere e praticare l’autorità, i rituali che ha subito imposto alla religione domestica (celebrata nelle case dove comandava in maniera assoluta il pater familias) era ispirata necessariamente dalla religione che già si praticava nell’impero: una religione caratterizzata dall’autorità e dal dominio del pater familias; una religione preoccupata fino alla minuzia dell’osservanza dei riti, che erano innanzitutto i riti domestici[19].

Ma ricordiamoci che Paolo non aveva conosciuto il Gesù terreno, sì che non poteva aver assimilato il di lui messaggio terreno. Non sapeva, dunque, che il Gesù storico non aveva né accettato, né dato alcun privilegio nella sua piccola comunità di discepoli. Anzi si era decisamente opposto a tutto questo, come quando Giovanni e Giacomo aveva espressamente chiesto i primi posti (Mc 10, 35ss.); e la sua avversione per il potere e l’autorità l’aveva dimostrata chiaramente all’ultima cena con la lavanda dei piedi (Gv 13, 12ss.). Quindi i suoi discepoli, e poi la Chiesa, sarebbero dovuti andare nel mondo non come privilegiati, ma come servi al servizio degli altri (“sono venuto per servire, non per essere servito” - Mc 10, 45). Piuttosto evidente, allora che Gesù NON aveva previsto una comunità cristiana in cui i chierici si separavano dai laici e si ponevano al di sopra del popolo per il potere e le dignità, con pretesa di comando.

Allora, da una parte è inevitabile che la Chiesa, ingrandendosi sempre di più, si sia istituzionalizzata, perché altrimenti avrebbe smesso di esistere. Ma istituzionalizzandosi, sono necessariamente emersi vari fattori che Gesù non aveva minimamente previsto, come:

a) l’inquadramento dentro una dottrina ben precisa, sì che la fede è venuta sempre di più a definirsi come l’assenso intellettuale a un insieme di verità dottrinali imposte dal clero;

b) la costituzione di una struttura gerarchica piramidale sfociata nei vari dicasteri vaticani, dove molti sono convinti che lo Spirito santo operi solo fra i chierici addetti a quei dicasteri;

c) l’adattamento alla società e alla cultura romana.

Dunque, già pochi secoli dopo la morte di Gesù, le cose erano radicalmente cambiate per il cristianesimo nascente. Ma, ci si deve chiedere: oggi la Chiesa può continuare così com’è, o si deve ritornare al Vangelo, e ricostruire una Chiesa dove i responsabili delle comunità non sono né consacrati, né detentori di privilegi? E se si arrivasse a questo, i fedeli riuscirebbero ad abituarsi a una Chiesa del genere, più vicina al Vangelo, ma così diversa da quella cui sono ormai abituati?

È assodato che la Chiesa oggi fatica a convincere la gente della validità delle sue posizioni morali in una società sempre più laica e sempre più de-cristianizzata, anche se a volte alcuni suoi dirigenti cercano ancora di influire sulle leggi dello Stato. I seminari si sono svuotati, i sacerdoti sono anziani e una volta morti non vengono rimpiazzati, le parrocchie sono semi-deserte, il numero di matrimoni e battesimi cattolici e crollato, e infine il numero di cattolici praticanti regolari e diventato marginale.

La domanda che dobbiamo allora porci è: come sarà la Chiesa del futuro? Difficile prevederlo. Immagino che l’unica strada sarà quella propugnata da papa Francesco: un ritorno al Vangelo e un ritorno a un cristianesimo essenziale, più intimo, più spirituale, più misericordioso nei confronti della gente che soffre. La Chiesa dovrà dimagrire perdendo il peso di tutte quelle inutili sovrastrutture che nel tempo l’hanno appesantita.

Difficilmente si potrà mantenere la sua struttura economica e territoriale troppo estesa, con un patrimonio immobiliare che eccede le attuali necessità della comunità e la cui manutenzione ha costi esorbitanti. Chiaro che la struttura economica va rivista perché insostenibile. La riduzione, con conseguente vendita di immobili oggi desolatamente vuoti (in passato destinati a seminari, monasteri, ecc.), troppo a lungo posticipata, dovrà – anche se dolorosamente - essere affrettata. Probabilmente dovranno essere chiuse anche molte chiese, oggi vuote e mantenute aperte per forza d’inerzia[20].

Probabilmente resisteranno solo le chiese con parrocchie vive; quelle fin qui sopravvissute in maniera striminzita dovranno chiudere definitivamente; impegnare infatti tante forze solo per offrire un servizio sacramentale, senza il supporto di una comunità laica locale è sterile. Sopravvivranno solo piccole comunità emancipate, capaci di andare avanti con propri dirigenti. Solo dove ci sarà una comunità viva, con laici corresponsabili del funzionamento, le chiese continueranno a funzionare[21]. La – o meglio - le comunità di credenti torneranno ad essere un piccolo gregge, non una comunità universale e unica al mondo.

E il clero? Anche i laici dovranno essere ammessi nella Chiesa ai posti di comando, se non altro perché mancheranno i presbiteri. Per di più, com’è facile capire, è diverso se si decide che la legittimità alla funzione arriva dal battesimo e quindi è uguale per tutti, oppure dalla consacrazione episcopale e quindi vale per pochi nominati a Roma; o addirittura dal solo papa che delega chi gli pare, visto che – in una monarchia assoluta qual è ancora oggi la Chiesa,[22]- solo al lui spetta infine la decisione finale. E se è il papa a delegare una frazione del suo potere assoluto, è chiaro che lo stesso papa può revocare a sua discrezione quanto ha concesso. Ma sarebbe bene ricordare che in un lontano passato era la comunità a scegliere il proprio presbitero e il proprio vescovo. Ricordiamoci anche, come aveva detto sant’Ambrogio, che la nuova fede era stata trasmessa a dei pescatori, non a degli studiosi cultori di teologia, [23] ed i grandi pensatori teologici sono arrivati ben più tardi.

Un ulteriore dato da tener presente mi sembra questo: la globalizzazione, lungi dal portare alla commistione delle culture, ha evidenziato ancor più le differenze. In passato in Europa, in nome di una presunta superiorità culturale, si era convinti che tutta l’umanità, presto o tardi, sarebbe stata assimilata e sarebbe arrivata al suo stesso livello; ci si aspettava che il resto del mondo abbandonasse la propria identità, e diventasse come noi nativi europei, i migliori! Per molto tempo la stessa Chiesa è andata avanti nella convinzione che una sola cultura (la sua) fosse sufficiente per abbracciare e capire tutto lo spettro della esperienza umana. Il cristianesimo ha assorbito questa mentalità che ha portato anche al colonialismo europeo, e forse ha anche contribuito al suo consolidamento.

Oggi si comincia a capire che l’assimilazione non ci sarà mai[24]. Oggi forse sarebbe da de-occidentalizzare e de-vaticanizzare anche il messaggio di Gesù perché esso possa essere accettato a livello universale (visto che cattolico vuol dire, appunto, universale). Papa Francesco, venuto dall’altra parte del mondo, ha cominciato a farlo. Oggi, sicuramente si può essere cristiani e africani in profonda sintonia con la propria cultura (del resto, anche il cristianesimo si è all’inizio inculturato nel mondo romano ed ellenistico), mentre il Vaticano resta una potente macchina di occidentalizzazione. Come è stato osservato, è difficile preparare preti disposti a camminare con le loro povere comunità quando vengono preparati dentro i palazzi, nelle zone belle della città e li ricevono (almeno in via subliminale) il messaggio che la loro cultura è inferiore a quella occidentale[25]. Come potrebbe un prete tornare alla sua chiesetta fatta di canne di bambù o tavole di legno, quando ha visto san Pietro?

La figura di Gesù non dovrebbe produrre altro effetto che quello dell'avvicinamento e dell'unione delle persone, e dei popoli. Ma abbiamo invece dovuto constatare che la realtà del cristianesimo è stata diversa, e ha portato spesso alla divisione e allo scontro: inevitabile quando si pretende di avere il monopolio della Verità. Scontro non solo all’interno della Chiesa, ma anche nel mondo esterno. Molti popoli sentendo minacciate le loro culture proprio dal mondialismo politico e dalla globalizzazione economica, sono divenuti consapevoli di una diversità di tradizioni che li distingueva da ogni altro popolo. Di queste culture, di queste tradizioni la religione autoctona è un cardine essenziale. Dunque, i nazionalismi, che paradossalmente l'utopia della mondialità ha risvegliato, si sono fatti difensori, a volte anche con le armi, della fede dei loro antenati, intesa come elemento di coesione politica per la salvaguardia della diversità. Il cristianesimo, lungi dall’unire, è stato ed è avvertito come un corpo estraneo, ostile, e assolutamente non universale. È cresciuta l’intolleranza e l’ostilità nei suoi confronti.

L’intolleranza non ammette e non sopporta il diverso, e questo può degenerare in atteggiamenti sommamente pericolosi per la convivenza.  Soprattutto se si tiene in conto che si tratta di una convivenza forzata, in un mondo ogni giorno più pluralista nel quale si vedono obbligate a convivere genti di origine assai diversa, di educazione completamente differente e, in particolare, con credenze e convinzioni frequentemente messe a confronto. È un dato di fatto che oggi le religioni che pretendono di essere le uniche vere fanno paura a molta gente, perché da gente molto religiosa spuntano sempre i fanatici che in nome del loro Dio pretendono che tutti si adeguino ai loro precetti, pena anche l’uccisione, o comunque il disprezzo di interi gruppi, come avviene con le donne, con gli omosessuali e altra gente che viene vista come marginale o esclusa. Tutto questo è violenza. Perché non dire che spesso questa violenza trova la sua fonte proprio nella religione?

La reazione più violenta al dialogo e alla relativizzazione della propria religione si è avuta nelle frange integraliste. Come diceva Woody Allen in uno dei suoi film, “non ho nulla contro Dio, è il suo fans-club che mi spaventa”. La preoccupazione di oggi non è tanto se Dio c’è o non c’è, ma quali sono e conseguenze del comportamento collettivo dei fans-club. Oggi emergono tradizioni religiose che non danno speranza a tutti, ma solo a sé stessi; siamo davanti a una umanità che deve fare i conti con l’alterità, e sembra che manchi una forza per recuperare una comunione globale. Forse ciò che manca per fare il primo passo è il riconoscimento dell’altro come uomo, con pari nostra dignità. In conclusione, o ci si chiuderà costruendo muri (Trump, Salvini, patriarca Kirill) o ci si aprirà costruendo ponti (papa Bergoglio): tertium non datur (non c’è una terza via), e finché non si vive questa apertura all'umano, non vedo grandi prospettive per il futuro.


NOTE

[1] http://confini.blog.rainews.it/2020/06/03/il-caso-bose-intervista-a-riccardo-larini/.

[2] Com’è gerarchicamente costruita la Chiesa oggi lo sappiamo tutti. Pochi vescovi sembrano ricordare il monito evangelico: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (Mc 9, 35).

[3] Pensiamo all’espulsione da un partito politico di iscritti che non avevano voluto seguire la linea della direzione di quel partito.

[4] La sinagoga ebraica si caratterizzava per l’osservanza della legge e il culto del Tempio gestito dai sacerdoti. Ma i cristiani non avevano né templi, né sacerdoti e si definivano come ekklesia, termine greco che significava assemblea del popolo, dove tutti partecipavano liberamente per prendere le dovute decisioni, senza sottomissione ad alcun monarca assoluto. La conferma si ha ripetutamente negli Atti degli apostoli: quando si tratta di sostituire Giuda, l’elezione di Mattia avviene democraticamente (At 1, 15)  e di nuovo non decide Pietro, che pur c’insegnano essere stato il capo degli apostoli e primo papa. Oggi è il papa a nominare i nuovi vescovi, successori degli apostoli. Insomma, all’inizio non esisteva un apostolo privilegiato al quale obbedire.

Anche quando Paolo parlava di ‘corpo’ (Rom 12,1ss; 1Cor 12,12-27) l’idea era quella di un’assemblea composta da membra diverse, come nella famosa parabola di Menenio Agrippa rivolta alla plebe romana offesa e ritiratasi sull’Aventino.

[5] Il cambiamento irreversibile e definitivo, che dura fino ad oggi, è avvenuto ai tempi di papa Gregorio VII, il quale nel secolo XI concentrò ogni potere a Roma, e a poco a poco tutti si convinsero che il potere viene al papa da Dio (dall’alto) e non dal popolo (dal basso). Ed ecco che il papa, non più il popolo, sceglie i vescovi. Se il potere viene da Dio è un potere sacro, e i laici sono ovviamente tagliati fuori.

[6] Pensiamo solo a ciò che Gesù intendeva far capire ai discepoli con la lavanda dei piedi.

[7] Ma non dimentichiamo che finché vi era stato un imperatore anche in Occidente, la maggioranza delle persone era convinta che l’imperatore – non certo il vescovo di Roma - fosse effettivamente il capo della Chiesa (Simonetti M., La crisi ariana del IV secolo, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma, 1975, 565), tanto che i concili venivano convocati dall’imperatore, non dal papa.

[8] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 235.

[9] Naturalmente non tutti sono ancora d’accordo su questa visione del cristianesimo, per cui vedono l’attuale papa come l’Anticristo: per molti di costoro, se si perde l’idea del sacro, se non è più centrale l’uomo interiore e il rapporto della sua anima con Dio, ma la dimensione delle sue opere esteriori, il cristianesimo si risolverebbe in un fatto sociale; non è più la grazia di Dio a portare la salvezza, e allora tutte le religioni potrebbero portare salvezza (Bazet Bozzo G., L’Anticristo, Mondadori, Milano, 2001, 27, e Profezia. Il cristianesimo non è una religione, Mondadori, Milano, 2002, 14s.). Ma c’è da chiedersi: come mai Gesù non ha mai imposto a nessuno di cambiare religione, e anzi ha additato persone di religioni diverse (pensiamo al centurione romano: Mt 8, 10) come veri credenti? L’età della religione è finita o comunque la religione non è più condizione della fede (Bonhoeffer D., Resistenza e resa, Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1988, 19, 31, 402).

[10] Fransen P., voce Ordo, in Lexicon für Theologie und Kirche (LThK), VII, 1212-1220.

[11] Durkheim E., Le forme elementari della vita religiosa, Comunità, Milano, 1971, 39ss.: La divisione del mondo in due domini, che comprendono l’uno tutto ciò che è sacro, l’altro tutto ciò che è profano...Le cose sacre sono superiori per dignità e potere alle cose profane, e particolarmente all’uomo...I due mondi, non sono soltanto separati, ma anche ostili e gelosamente rivali l’uno dell’altro.

[12]  Castillo J.M., Teología popular (III), Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 59. E diceva Ernesto Balducci che gli faceva spavento il risorgere del razzismo ideologico, che non è semplicemente una ripugnanza per il colore della pelle, ma è il disprezzo per coloro che non appartengono al nostro sistema di potere, lo minacciano e lo fanno scricchiolare. Allora noi prestiamo agli esclusi i volti terribili del terrore, li giudichiamo con categorie estreme, malvagie. Questa frattura ci porta pian piano a farci solidali con la logica del potere.

[13] Durkheim E., Le forme elementari della vita religiosa, Comunità, Milano, 1971, 43: I riti sono le regole di condotta che prescrivono il modo in cui l’uomo deve comportarsi col sacro.

[14] Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 526.

[15] Da quel momento la Chiesa ha presentato Dio non come il grande Inquisitore, ma come il gran Contabile. Tenendo lei la contabilità delle azioni umane ha preteso di distribuire castighi e premi in nome dell’Altissimo; ha preteso di sequestrare a suo nome il principio del bene e del male, che invece – come afferma il filosofo Galimberti (Galimberti U., Cristianesimo, Gedi News Network Spa, Torino, 2023, 35) è il segreto che Dio da sempre cela e che il serpente aveva promesso invano di svelare ad Adamo ed Eva (Gn,3, 1-5).

[16] Difficile pensare che Gesù abbia voluto fondare una nuova religione, visto che nell’unico comandamento che ha lasciato, non menziona neanche Dio (Gv 13, 34s.), e visto che nell’incontro col ricco angosciato di nuovo tralascia completamente la prima tavola dei dieci comandamenti, che riguarda Dio ((Mt 19,16ss., Mc10,17ss., Lc18,18ss.).

[17] Cfr. Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 329s (con gli autori ivi richiamati).

[18] Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, del 24.11.2013, §38.

[19] Castillo J.M., Teología Popular (III), ed. Descelée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 110.

[20] Nell’Europa occidentale è finito il tempo per costruire nuove chiese, e occorre piuttosto confrontarsi sulla questione del destino delle chiese non più in uso (Bianchi E., Perché fra i frutti del Concilio Vaticano II le più incomprese sono le nuove chiese, “Tuttolibri,” 4.2.2023, XVIII).

[21] Credo corretta la previsione del monaco Enzo Bianchi, il quale ha detto: “Io sono convinto che siamo al tramonto della Chiesa così come l'abbiamo vissuta. Fra qualche anno non ci sarà più, le Parrocchie spariranno e l’unica maniera di continuare, per il Cristianesimo, saranno reti o piccoli centri dove si spezzerà la Parola e si continuerà un cammino di fede”.

[22] E questo crea un grosso problema in Occidente, abituato alla secolarizzazione e alla democrazia.

[23] Riportato da Ratzinger J., Quid est veritas?, “Micromega,” n.3/2000, 207.

[24] Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, del novembre 2013: non possiamo pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti, nell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia, perché la fede non può chiudersi dentro i confini della comprensione e dell’espressione di una cultura particolare. È indiscutibile che una sola cultura non esaurisce il mistero della redenzione di Cristo (n.118).

[25] Zanotelli A., Korogocho, ed. Feltrinelli, Milano, 2003, 82.