Mio padre

di Paola Franchina

Lasciamoci condurre dal racconto di Genesi in una vicenda senza tempo, che ha affascinato intere generazioni, un pastiche narrativo in cui tutta la densità dell’umano trova spazio: la vicenda di Giuseppe e dei suoi fratelli. Ecco l’incipit: «Questa è la storia della discendenza di Giacobbe. Giuseppe all’età di diciassette anni pascolava (רֹעֶ֤ה) il gregge con i fratelli»[1].

Fin dal principio possiamo notare qualcosa di peculiare, il verbo רעה è transitivo, pertanto, tale versetto potrebbe essere così tradotto: Giuseppe all’età di diciassette anni governava i fratelli. Questo dettaglio genera un effetto straniante: il fratello più piccolo vuole comandare sui fratelli.

Il racconto biblico prosegue: «Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica dalle lunghe maniche. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non potevano parlargli amichevolmente»[2].

Impossibile non simpatizzare, almeno in parte, con i fratelli. Il padre Giacobbe, infatti, predilige Giuseppe a motivo del fatto che quest’ultimo, non solo è il figlio della vecchiaia, ma è anche figlio di Rachele. Per comprendere l’importanza di questo dettaglio, è opportuno compiere un breve affondo nel passato di Giacobbe. Il patriarca, dopo aver sottratto ad Esaù il diritto di primogenitura, è costretto a fuggire presso lo zio Labano per sottrarsi all’ira del fratello. La vicenda narra che lo zio avesse due figlie, Rachele, «bella di forme e avvenente di aspetto» e Lia dagli «occhi smorti»[3]. Ça va sans dire: Giacobbe si innamorò perdutamente della prima. Per poter ottenere la mano di Rachele, il giovane patriarca dovette servirla per sette anni, ma l’amor rendeva il giogo soave: «gli sembrarono pochi giorni tanto era il suo amore per lei»[4]. A seguito di un tranello, Labano consegnò a Giacobbe Lia in luogo dell’amata: il patriarca, pertanto, dovette prestar servizio altri sette anni per poter coronare i suoi sogni.

Questo breve excursus nel passato di Giacobbe ci aiuta a comprendere quanto fosse importante per lui Rachele e il motivo della sua predilezione per Giuseppe.

La preferenza del patriarca non viene mascherata, tant’è che Giacobbe dona al figlio una tunica lunga, suscitando nei fratelli indivia e gelosia: «i suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non potevano parlargli amichevolmente»[5].

Da questo momento in poi la parabola del male prende abbrivio. L’intensità dell’odio covato dai fratelli giunge ad un punto di non ritorno e trova espressione in una catena di peccato.

La storia di Giuseppe permea la memoria collettiva: a tutti è noto lo sviluppo di tale drammatica vicenda: i dieci fratelli maggiori, dopo averlo spogliato dalla sua tunica, lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna vuota, vendendolo come schiavo ad una carovana di Ismaeliti, mediante la quale il giovane giunge in Egitto.

A seguito di una serie di peripezie, Giuseppe viene riconosciuto dal Faraone per la sua intelligenza e nominato vice-Re d’Egitto. In seguito, a motivo di una carestia, anche i fratelli giungono in Egitto per acquistare il grano. Giuseppe, dopo aver accusato i fratelli di spionaggio, ne arresta uno e ingiunge gli altri di tornare nuovamente con il fratello minore, Beniamino.

Siamo giunti al culmine narrativo, i fratelli, come da richiesta, tornano con il piccolo di famiglia e Giuseppe tende loro un tranello: fa mettere di nascosto una coppa d’argento nel sacco di Beniamino e lo accusa pubblicamente. La narrazione è incalzante e il lettore è sospeso: il seguito della storia è a tutti noto. Tuttavia, il nostro interesse è quello di mettere in rilievo un dettaglio degno di nota. Nel turning point della vicenda, Giuda interviene, supplicando che sia risparmiato il fratello con le seguenti parole: «Abbiamo un padre vecchio e un figlio ancor giovane natogli in vecchiaia, suo fratello è morto ed egli è rimasto il solo dei figli di sua madre e suo padre lo ama»[6] .

Struggente questo discorso, nel quale si rivela il cammino interiore compiuto da Giuda. Il figlio racconta il padre senza ometterne le debolezze. Egli, infatti, è capace di guardare con amorevolezza il limite del padre: non viene taciuta la particolare predilezione di Giacobbe verso i due figli avuti da Rachele: per il padre esistono solo Beniamino e Giuseppe, mentre gli altri sono una cornice. Il discorso prosegue:

Ma il tuo servo si è reso garante del giovinetto presso mio padre: Se non te lo ricondurrò sarò colpevole verso mio padre per tutta la vita. Ora, lascia che il tuo servo rimanga invece del giovinetto come schiavo del mio signore e il giovinetto torni lassù con i suoi fratelli! Perché, come potrei tornare da mio padre senz’avere con me il giovinetto? Ch’io non veda il male che colpirebbe mio padre[7]!

La predilezione di Giacobbe per Beniamino non è più motivo di odio, perché Giuda ha imparato a guardare con amore le proprie radici, sia pur con la consapevolezza di quello che sono, perché esse non minano più la sua identità: il capitolo 44 di Genesi si chiude, infatti, con אָבִֽי: mio padre.


[1] Gen 37,2

[2] Gen 37,4

[3] Gen 29,17

[4] Gen 29,20

[5] Gen 29,4

[6] Gen 44,20

[7] Gen 44, 32-34