Foto di Paola Cazzaniga




Bimeherà beyamenu, Imshallah!


di Miriam Camerini



“Speriamo di invitarti presto a parlare nella nostra Moschea costruita!” Mi dice l’Imam; “Bimeherà beyamenu” (= presto ai nostri giorni) rispondo, con l’ottativo ebraico dedicato alla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme in era messianica. “Imshallah!” risponde l’Imam.

Esco.

Questa è stata la conversazione con cui mi sono accomiatata dall’Imam Tchina una sera di qualche anno fa, dopo aver trascorso alcune ore splendide.

Ma facciamo un passo indietro…

Io arrivo sempre troppo troppo di corsa alle cose... impreparata, senza aver letto i volantini e le comunicazioni degli eventi, neppure quelli che parlano di me, intendo. Non avevo capito dove stavo andando, che cosa stava per succedere.

Avevo appena finito di ricordare Rav Laras al Centro Culturale San Fedele a Milano centro, commentando il passaggio del mar rosso come descritto nel Libro dell’Esodo e nei commentari. Assieme a me un gesuita belga, Jean Louis Ska, distinto ed elegante.

Ho preso la metropolitana al volo, accompagnata da mia madre che tornava a casa, in metro ho scritto a un amico che stavo avventurandomi a Sesto San Giovanni..

“Hic sunt leones!”, mi prende in giro l’amico giocando sulla mia scarsa consuetudine con ciò che è fuori dalla cerchia dei Bastioni.

In effetti al Centro Islamico c’era anche un prete di nome Don Leone, che mi ha accolta e stretto la mano.

E lì ho iniziato a capire: il Decanato di Sesto e il Centro Culturale Islamico avevano invitato un’ebrea, per di più donna, a studiare con loro, a insegnare a centinaia di convenuti, cattolici e islamici, la figura di Abramo, il patriarca Avraham.

Le soprascarpe non bastavano perché nel contare le presenze previste nessuno aveva pensato che quelle “presenze” avrebbero avuto due piedi l’una.

Avevo in mano una rosa bianca, donatami da una signora a San Fedele. L’ho posata sul tavolo dei relatori e chiesto un vaso: qualcuno l’ha portato. Ho piantato la mia rosa lì davanti a tutti e parlato di Abramo, e ascoltata una teologa musulmana e un prete e teologo cattolico.

Ho volato, ho pensato di essere in una biblica Terra di Canaan, prima di tutto, prima di ogni lite, se mai è esistita una umanità che non litiga.

Un signore mi ha rivolto una domanda faticosa: che cosa rappresenta per me Israele, e che cosa rappresenta per “l'ebraismo”... Ho spiegato che è una terra che amo, che Gerusalemme è la mia città, che Israele è una terra che “divora i suoi abitanti”, come è scritto nella Torah. Abbiamo poi divorato assieme dolci e delizie di ogni genere, le signore che li avevano preparati mi parlavano delle ricette “israeliane” che sono le stesse di tutto il Mediterraneo, o almeno del Medio Oriente.

Abbiamo bevuto the alla menta e scambiato sorrisi, anche il signore che mi aveva posto la domanda su Israele è venuto ad abbracciarmi, così una signora cui un mio racconto aveva fatto scendere lacrime di commozione.

La rosa se ne stava sul tavolo e profumava in silenzio. Sono tornata a casa mia con la sensazione di essere una sorta di Alice nel Paese delle meraviglie che non sempre capisce in che buco si sta cacciando, ma a volte finisce su vette sublimi e può solo ringraziare il Bianconiglio che ha seguito senza far domande.

Foto di Paola Cazzaniga