Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Mura perimetrali esterne di Cà Sassino, ultimo eremo abitato da Adriana Zarri a Crotte di Strambino - foto del direttore (29.07.2021)

Sorella Amasia, Fratel Amasius

di Stefano Sodaro


Chiesa monastica di Bose - foto del direttore (01.08.2021)


Quel luogo era rinato dopo decenni di incuria ed abbandono grazie ad una donna, che si era insediata lì, tra la fine del bosco e l’inizio della pietraia, verso le cime, semplicemente per lavorare – diceva -, per respirare e per guardare. Ma guardare che cosa? Lei lo ripeteva in tono sbrigativo a chi, di passaggio, chiedeva che cosa ci stessa a fare lassù tutta da sola: «Guardo». E non aggiungeva altro e con ciò scoraggiava eventuali prosiegui di inopportune domande.

Null’altro si sapeva della sua misteriosa presenza, neppure se avesse famiglia oppure no, se fosse sposata oppure no, se avesse figli e figlie, oppure no.

Quanto al suo lavoro, la si vedeva scrivere ed a volte come danzare al suono di musica chissà da chi eseguita, tra gli alberi e i massi. Tanto che si sparse la voce che una strega fosse tornata.

La ritrovarono, a mezzogiorno, in una certa data, distesa supina tra il muschio, appena fuori casa, con le mani conserte e rilassate poggiate sul ventre, gli occhi chiusi, un cenno di sorriso.

Nella casa restaurata, dentro un cassetto, trovarono un assai strano suo appunto autografo: “Il cavalier servente guarda la sua dama e la sua dama guarda il suo cavalier servente.”.

Sullo scrittoio di legno comparivano due riviste ed un volume: il n. 9 della Rivista Quadrimestrale Storica, Anno III, 1997, Donzelli Editore, con il segnalibro posto all’inizio del saggio del Professor Roberto Bizzocchi intitolato Cicisbei. La morale italiana, pagine 63-90 del numero; il n. III/1 del 2004 della Rivista della Società Italiana delle Storiche Genesis, con una parte interamente sottolineata, dalla pagina 125 alla pagina 167, corrispondente ad un ulteriore saggio, sempre del Professor Bizzocchi, intitolato questa volta Vita sociale, vita privata in un diario femminile fra Sette e Ottocento e, da ultimo, il volume Cicisbei. Morale privata e identità nazionale in Italia, Editori Laterza, 2008, ancora di Bizzocchi.

La perplessità, prossima alla stupefazione, degli scopritori li convinse ad inviare tutto all’altrettanto strano indirizzo di una Certosa ancora attiva, con monaci e monache residenti in due antichi complessi architettonici piuttosto famosi, di foggia gotica e posti uno di fronte all’altro, indirizzo che era indicato a matita in un piccolo foglietto riposto dietro la copertina della prima pagina del volume.

I possibili intrecci di tutta la storia si facevano curiosi, bizzarri, persino stravaganti. Le domande al riguardo difficili da formulare. Era dunque una specie di eremita la donna morta in solitudine? Certo, la locuzione “cavalier servente”, del suo appunto, aveva invece molto a che fare con quella storica faccenda di cicisbei e accompagnatori ufficiali di signore, “terzi” che si mettevano in mezzo a marito e moglie nei secoli che furono, trecento anni fa almeno, ma che non erano affatto “incomodi”, anzi ricercati dalle coppie di nobili e riveriti per la loro importanza pressoché strategica, irrinunciabile, necessaria.

Anche il vescovo del luogo sapeva della donna, che aveva a lungo temuto e ammirato. Ritenne fosse suo dovere verificare i motivi per cui la defunta aveva indicato una Certosa quale destinazione dei suoi pochi e poveri beni e chiese dunque di assistere alla ricezione, da parte del padre priore e della madre priora, di documenti, carte, libri e materiale vario proveniente dall’eremo. Poteva esservi infatti – riteneva – pericolo per la fede. Si raccontava che la signora avesse molto amato prima di ritirarsi lassù e che folle di ammiratori l’avessero inseguita ovunque fosse giunta per il suo lavoro, del quale tuttavia risultava impossibile conoscere i precisi dettagli, con conseguente aumento di sospetti episcopali.

Il monaco e la monaca, invece, apparivano distesi e addirittura rasserenati. Sua Eccellenza li conosceva: Fratel Amasius e Sorella Amasia, anche se gli dava un po’ fastidio che il religioso, pur prete, invece dell’ecclesiastico “padre”, preferisse il laicale titolo di “fratello”.

«Vede, Vescovo: per colei che ci ha lasciato Dio era cavalier servente dell’umanità, del mondo, dell’universo e non già noi Suoi servi e Sue serve.»

Sotto il pilleolo rosso – lo zucchetto d’uso comune per i gerarchi cattolici – le prelatizie ciglia s’inarcarono. «Mi pare opinione ardita e per nulla raccomandabile. Nessuno può ritenere Dio al proprio servizio. Con analogie, per di più, del tutto impudiche ad un costume biasimevole di tempi provvidenzialmente andati.»

La madre priora reagì: «Pensiamo di sapere tutto sull’amore e su Dio. Invece non sappiamo niente né dell’uno né dell’altro. Lei non ha letto, Eccellenza, il Cyrano de Bergerac?». Il Vescovo non sapeva neppure chi fosse.

Il priore non ebbe pietà ed infierì: «Io e la Sorella siamo sposati a Dio, ma abbiamo bisogno di stare vicini, di volerci bene, di frequentarci, parlarci, di pregare assieme, pure di guardarci silenziosamente negli occhi. Dio non è sostituto di nessun amore umano.»

Il Vescovo trasalì, ma giunse implacabile l’affondo finale: «Vostra Eccellenza lo saprà certamente, ma “Amasius” e “Amasia” sono i due termini in latino per designare il cavalier servente e la dama che riceva i suoi servigi. Ecco, di un Dio dama si può essere devoti cicisbei.»

Era troppo. Il congedo del presule fu immediato e le parole di commiato, di pura circostanza, sbrigative e pronunciate a fatica, pressoché bofonchiate.

Lassù tornarono rondini, corvi e poiane a nidificare. E i fischi delle marmotte si unirono al gregoriano, intonato modo suo, di Sorella Amasia e Fratel Amasius, finalmente liberi di amare. Come la strega, come la santa.

Buona domenica.