Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

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Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org










16. Domande e risposte su Chi è Gesù?


di Dario Culot



30. Visto che sta smontando tutto quello che ci è stato insegnato col Catechismo, supponga che non le vada bene neanche la storia dei dodici apostoli. Cioè Lei crede o non crede che Gesù ha affidato i fedeli a Pietro e alla Chiesa? Cosa mi dice al riguardo?

Ormai dovrebbe essere chiaro che non tutto quello che è vero è anche storicamente avvenuto. I vangeli non ci raccontano sempre cose realmente accadute, ma vogliono darci una verità teologica. Per noi è difficile pensare che senza oggettiva verità storica si possa parlare di verità, ma basta un esempio per capirci: a Washington, nel Lincoln Park, c’è una statua che ritrae il presidente Abramo Lincoln nell’atto di liberare l’ultimo schiavo fuggitivo, tale Alexander Archer catturato in base al Fugitive Slave Act del 1850. Una statua che raffigurasse il presidente mentre firma la legge che pone fine alla schiavitù sarebbe vera e anche corrispondente alla realtà storica. Invece non risulta che mai il presidente abbia spezzato veramente le catene di uno schiavo, né che abbia incontrato in vita sua Archer Alexander: storicamente è un falso; realmente non è mai accaduto, eppure è indubbio che la statua trasmette un messaggio vero, perché fu il presidente Lincoln a porre fine alla schiavitù negli Stati Uniti e a liberare tutti i negri.

Ora, nella maggior parte dei popoli antichi del Mediterraneo la geometria e anche i numeri erano sacri, assumendo un significato simbolico[1]. Non c’è da stupirsi se anche nei vangeli i numeri assumano un significato simbolico, figurato[2]. Perciò non dobbiamo pensare che le cose siano realmente accadute come raccontato dai numeri.

Allora, i vangeli ci parlano di dodici apostoli, e noi siamo portati a pensare a un gruppo di dodici uomini, veramente esistiti. Teniamo in primo luogo presente che il termine greco ‘apostolo’ non indica affatto un titolo, una carica, ma è un’attività. La parola greca apostolo significa semplicemente inviato[3]. Quando Gesù manda i 12 in missione sono apostoli (Mc 6, 7), ma quando ritornano non sono più apostoli, sono normali discepoli che hanno terminato la loro missione (Mc 6, 30-36). E che i 12 apostoli siano discepoli è confermato negli altri vangeli sinottici che riportano lo stesso episodio: Matteo (Mt 14, 15) parla di loro come discepoli, mentre Luca (Lc 9, 12) parla di apostoli. Quindi, i due termini – apostoli e discepoli - sono da considerare sinonimi.

L’ipotesi che gode di maggior credito afferma che il numero dodici ricorda semplicemente il mitico numero delle tribù d’Israele: il gruppo dei dodici - l’unico su cui ha messo l’accento la dottrina ufficiale,- sta a indicare che questi discepoli provengono dalla tradizione ebraica (Mt 10, 1; Mc 3, 14; Lc 6, 13 scelta dei dodici; Mt 10, 5; Mc 6, 7; Lc 9, 2 missione dei dodici), ma siamo certi che non sono stati solo dodici gli individui che Gesù ha scelto fra i discepoli da mandare in missione. I 12 fanno parte di un gruppo ben più ampio e numeroso. Ci sono i dodici, ma ci sono altri gruppi che fanno parte di altre culture: la folla, il gruppo dei 72, le donne (Lc 8, 3), perché molti erano i suoi seguaci e non tutti provenienti dal giudaismo (Mc 2, 15)[4].

Luca, in particolare, ci riferisce che Gesù era seguito da molte donne (Lc 8, 3). Inoltre, è presente un secondo gruppo di discepoli composto da settanta (o settantadue) (Lc 10, 1-12) non provenienti dall’ebraismo, pure essi mandati in missione parallela. E questo secondo gruppo capisce Gesù[5] molto meglio dei 12 che ancora oggi, invece, continuiamo a considerare gli unici eletti. Ma neanche 70 era l’esatto numero dei discepoli non ebrei: infatti 70 erano i popoli conosciuti della terra, perché in Gn 10, 1-32, si racconta come sono nate tutte le nazioni del mondo, e si arriva a 70 (o 72 nella versione tradotta dei LXX)[6] che significa quindi tutto il mondo; 70 non è un numero reale, ma vuol dire universalità, esattamente come il numero 4 indica i quattro punti cardinali (per cui di nuovo significa tutto il mondo), e 3 la completezza. Quando l’evangelista dice che Pietro tradì Gesù 3 volte, significa che il tradimento è stato totale. Ma siamo sempre davanti a un numero simbolico, per cui il rinnegamento di Pietro potrebbe anche essere avvenuto in realtà anche con un solo diniego. Così i 70 potrebbero essere di più o di meno, proprio come i dodici. Dunque, dopo aver mandato i 12 in missione (Lc 9, 1) col potere di curare le malattie e cacciare gli spiriti maligni, Gesù manda anche i 70 non ebrei (Lc 10, 1) e solo questi ultimi riescono a cacciare gli spiriti maligni (Lc 10, 17; Lc 9, 6 e soprattutto 40). Come mai? Proprio perché gli apostoli ebrei, non essendo ancora liberi, non riescono a liberare. Mentre gli ebrei fanno fatica a riconoscere l’innovazione liberatoria portata da Gesù (Mc 6, 3),[7] a credere che gli altri popoli siano uguali a loro e non masse d’impuri, a convincersi che il Messia tanto atteso non è venuto per renderli ricchi e padroni del mondo (Is 14, 2; Is 60, 5-6; Is 61, 5-6), i pagani recepiscono e accolgono la novità più facilmente, privi come sono dei pregiudizi degli ebrei (vedasi anche Mc 7, 30).

Anche Maria Maddalena viene inviata: «va’ e di’ ai miei fratelli che sono risorto» (Gv 20, 17), e per questo incarico San Tommaso d’Aquino ha riconosciuto a Maria Maddalena il titolo di apostola degli apostoli (apostolorum apostola)[8]. Papa Giovanni Paolo II ha ripreso l’appellativo di “apostola degli apostoli”: “Maria di Magdala è stata la testimone oculare del Cristo risorto prima degli apostoli e, per tale ragione, è stata anche la prima a rendergli testimonianza davanti agli apostoli”[9]. Anche papa Benedetto XVI è ritornato sul titolo di apostola degli apostoli[10].

E che dire di Paolo? Paolo non era sicuramente uno dei dodici, eppure egli stesso si auto attribuisce la qualifica di apostolo sostenendo di essere stato chiamato direttamente da Dio (Rm 1,1; 1Cor 1, 1; 2Cor 1,1; Gal 1,1). Per Paolo, “apostolo” sembra essere colui al quale è apparso il Signore risorto (1Cor 15, 5ss.), perciò colui che poteva rendere una testimonianza pienamente valida dell’avvenuta risurrezione; pertanto anch’egli può qualificarsi pienamente come “apostolo,” visto che si inserisce nella lista di 1Corinzi 15 come l'ultimo testimone del Risorto. In quest’ottica, il titolo di apostolo spettava allora anche a Giacomo, il fratello di Gesù (Gal 1, 19), perché anche a lui, secondo l'elenco dei testimoni della risurrezione stilato in 1Corinzi 15, 5 ss., era apparso il Risorto; e poi anche a “tutti gli apostoli nominati nella lista subito dopo Giacomo” (1Cor 15, 7), che rappresentano - con tutta evidenza - un gruppo del tutto diverso e assai più vasto di quello dei dodici che già conosciamo e ai quali Gesù era già apparso (1Cor 15, 5). Dunque, fin dagli inizi della Chiesa gli apostoli non erano sicuramente solo i 12. Per la Chiesa anche Paolo e Barnaba sono apostoli, ma sono apostoli mandati dalla Chiesa di Antiochia. Lo stesso Paolo chiama apostoli uomini che sicuramente non facevano parte del ristretto gruppo dei dodici, e perfino delle donne. Ad es. nella lettera ai Romani (Rm 16, 7) si legge: “Salutate Andronìco e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me”. Lei capisce che, se la Chiesa prendesse in considerazione anche le donne come apostoli, dovrebbe rivoluzionare la sua struttura maschilista.

Ma mi dica, se è in grado di farlo, dove e quando Gesù ha fondato un magistero come quello che abbiamo, fatto di soli maschi e che continua a insegnarci che Gesù non ha mai ordinato alcuna donna. Ma quando mai ha ordinato degli uomini? Mi risponderà: “nell’ultima cena, quando erano presenti solo uomini?” È una deduzione molto indiretta, perché espressamente non c’è alcuna parola che faccia pensare all’istituzione di una nuova comunità (chiesa). E allora, se decidiamo in base ai soli elementi indiretti, chi serviva a tavola questi uomini? Ovviamente le donne, come sottolineato dal teologo spagnolo Pagola[11]. E allora mi dica: per il vangelo è più importante servire o essere serviti? Se è più importante servire, visto che Gesù ha detto di essere venuto per servire e non per essere servito (Mt 20, 28), perché mi esclude le donne? Ma soprattutto, sempre con i vangeli alla mano, mi dica dove Gesù parla di un collettivo di gerarchi, che devono godere di privilegi e superiorità, ai quali dobbiamo sottometterci, e che avrà la sua base a Roma[12]. Nei vangeli non c’è nulla del genere, e allora l’ovvia conseguenza è che se c’è una gerarchia che pretende di comandare il nostro pensiero e la nostra coscienza, il Vangelo di Gesù difficilmente potrà trovare spazio (“Perché non giudicate da soli ciò che è giusto fare?” Questo, invece, sta scritto nel vangelo - Lc 12, 57).

Se poi ci soffermiamo sul verbo “mandare” Gesù, come si è visto, non invia solo i 12 che conosciamo, ma invia (Lc 10, 1: ἀπέστειλεν = apeisteilen della stessa radice di apostolo) anche i 72 esattamente come ha inviato i dodici (Lc 9, 2: si usa sempre lo stesso verbo apeisteilen). Curioso che di questi 72 non si dice né che sono apostoli, né che sono discepoli; si dice semplicemente che sono stati nominati (Lc 10, 1). Nominati che cosa? Il testo greco non lo dice, e la spiegazione ufficiale si affretta a dire che sono discepoli designati, non apostoli. Il testo greco dice che Gesù nominò costoro, ma ha senso “nominare,” proclamare uno discepolo? E come mai, al catechismo, quasi nessuno di noi ha mai sentito parlare di questi 72, che pur riescono dove i 12 inviati (apostoli) falliscono (Lc 9, 1.6.10 - 10, 17)? Non è che selezionare solo i 12 è più congeniale allo schema dottrinale che si è voluto imporre in seguito? Non è cioè un caso se, quando si parla di apostoli, noi pensiamo automaticamente solo ai 12. Ma se dovessimo invece pensare alla successione apostolica in base a tutti coloro che sono individuati come apostoli nel Nuovo Testamento, dovremmo avere anche vescovi donne, perché anche le donne sono espressamente indicate come apostole nel Nuovo Testamento.

I dodici apostoli, dunque, in ricordo delle 12 tribù israelitiche ormai scomparse, rappresentano semplicemente il nuovo Israele, gli appartenenti al popolo d’Israele che abbandonando la vecchia alleanza hanno scelto di andare dietro a Gesù; tant’è che Giovanni nemmeno si cura di darci tutti i nomi, e oltre agli ormai arcinoti Pietro, Giovanni e Giacomo, parla solo di Tommaso (Gv 20, 24) e ovviamente di Giuda Iscariota (Gv 6, 71). Il numero dodici, allora, non rappresenta necessariamente dodici uomini ben individuati ed individuabili selezionati e scelti da Gesù per poi seguirlo. Se in effetti guardiamo con una certa attenzione questa lista dei dodici nei Vangeli sinottici, essa ci viene normalmente rappresentata cosi: ci sono tre che sono i più tenacemente ambiziosi e testardi, che vogliono essere i leader del popolo e sono: Pietro, Giacomo e Giovanni. Sono quelli che Gesù prende sempre in disparte[13] con sé nelle sue iniziative, perché, se riesce a convincere questi, il resto seguirà. Poi, l’ultimo è sempre Giuda, il traditore[14]. Gli altri formano la massa degli otto, praticamente anonima; anche se hanno un nome, salvo qualche marginale eccezione, non compiono nessuna attività degna di nota. Eppure la Chiesa c’insegna che per tutti c’è la successione apostolica. Inoltre, cosa ancora più strana, gli evangelisti non concordano con precisione neanche sui loro nomi, il che appare inconcepibile visto lo specialissimo rilievo che è stato poi dato a quelli che sono indicati come gli unici fondatori della Chiesa; qui sembra veramente che il numero simbolico conti più dei nomi: Marco e Matteo indicano fra i 12 Taddeo e Simone il cananeo (Mc 3, 16-19; Mt 10, 3), mentre Luca non indica Taddeo ma indica un secondo Giuda figlio di Giacomo (come anche At 1, 13), e al posto di Simone il cananeo c’è Simone lo zelota (Lc 6, 13-16). Mentre si può sostenere che vi è identità fra Simone il cananeo e Simone lo zelota,[15] più difficile è affermare, come invece fa san Girolamo, che Giuda di Giacomo, in un altro vangelo chiamato Taddeo, siano la stessa persona, perché la stessa persona può essere chiamata con più nomi:[16] è strano, infatti, che nessun evangelista, sempre così oculato nell’uso delle parole, dica che Giuda era detto Taddeo o viceversa, quando si specifica che Simone era detto Pietro (Mc 3, 16; Mt 10, 2; Lc 6, 14), che Giacomo e Giovanni erano soprannominati Boanèrghes (Mc 3, 17), che Simone era soprannominato zelota (Lc 6, 15), che Tommaso era detto Didimo[17] (Gv 11, 16), che Giuseppe fu soprannominato Barnaba dagli stessi apostoli (At 4, 36). Attraverso questo schema sembra che gli evangelisti vogliano semplicemente dire che l’Israele, che ha seguito Gesù, è composto da un piccolo gruppo di seguaci condizionati soprattutto dalla loro ideologia: comunque tutti, da buoni israeliti, pensano di seguire il Messia trionfatore, tant’è che litigano in continuazione su chi di essi sarà il più grande, e avrà il posto d’onore accanto a Gesù.

Ma, lo ripeto, oltre al gruppo dei dodici che provengono dalla tradizione ebraica, c’è quest’altro gruppo dei 70 (o meglio 72) che rappresentano l’intero mondo pagano. In Luca, tutti e due i gruppi sono convocati e vengono presentati su uno stesso piano: i 12 non sono più importanti né degli altri inviati, né della folla anonima, altro gruppo che pure segue Gesù; tant’è vero che Gesù si rivolge a tutti in maniera individuale, e dice all’intera folla, non ai dodici: «Se qualcuno di voi vorrà (Mc 8, 34), rinneghi sé stesso, sollevi la sua croce e mi segua», dovendo ogni suo discepolo rispondere alle condizioni che Lui sta ponendo. Qui ognuno fa una scelta personale, senza che nelle parole di Gesù ci sia una qualche costrizione, o una qualche predilezione; c’è solo una possibilità paritaria aperta a tutti, come al giorno d’oggi: “Se qualcuno vuol venire dietro a me”.

Che la sequela di Gesù non sia un’esclusiva o un privilegio dei soli 12, come se tutti gli altri fossero secondari, è confermato da una serie continua di episodi. Solo per metterne in evidenza qualcuno (a parte il clamoroso fallimento già visto nel cercar di cacciare i demoni da parte dei 12):

(a) i 12 stanno litigando, come sempre, su chi di essi è il più importante. Una volta a casa Gesù, che li precedeva, chiede loro di cosa stavano parlando lungo la strada. È interessante analizzare questo versetto: Gesù, il quale già si trova in casa, li deve chiamare. Si chiama chi non sta accanto (Mc 9, 33-35). Vuol dire che questi apostoli sono (mentalmente) lontani, non stanno vicino a Gesù: se stessero vicino, non avrebbero avuto bisogno di essere chiamati. Vuol dire che li deve distogliere da quella strada che stanno percorrendo da soli, per riportarli nella sua. Il piccolo ragazzino, che invece Gesù mette al centro, già si trova nella casa: Gesù non lo deve chiamare, né deve andare a prenderlo. La vicinanza simboleggia la sua adesione incondizionata a Gesù: dunque Gesù indica come modello un ragazzino che non solo è l’ultimo di tutti per l’età, ma soprattutto per la sua giovane età è anche servitore di tutti, posto che la parola greca usata (paidìon) significa sia garzone, sia piccolo servo, sia bambinello[18]. Va sottolineato che Gesù non prende un bambino inteso nel nostro senso sentimentale, affettivo, romantico, mentre così erroneamente spesso pensano in tanti leggendo il vangelo. Prende uno che nella società dell’epoca era considerato all’ultimo posto: una persona senza diritti, una persona senza importanza, una persona che veniva schiacciata da tutti quanti, e fa vedere che questa è la persona più importante e più vicina a lui[19]. Il piccolo è più importante degli apostoli litigiosi.

(b) Gesù sale verso Gerusalemme per scontrarsi con l’istituzione (Mc 10, 32): l’evangelista dice che gli apostoli sono stupiti; ma gli altri che erano dietro hanno paura. Che significa? Qui sta tutta la differenza tra accompagnare e seguire. Accompagnare significa andar dietro fisicamente a Gesù: è quello che stanno facendo i 12. Ma gli apostoli non sono i soli, perché altri seguono Gesù, e seguire significa avere accettato non solo la figura di Gesù, ma anche il suo messaggio. La reazione di coloro che lo seguivano è di paura, perché hanno già capito tutto. I dodici – nonostante la specialissima formazione di cui ci ha sempre parlato il magistero - non hanno capito ancora niente, anche se Gesù ha detto ripetutamente che va a morire. Quelli che lo seguono, da anonimi, ed hanno accettato il messaggio di Gesù, hanno paura perché sanno che se Gesù va ad essere ammazzato, anche loro corrono lo stesso rischio. I dodici, ancora sordi e ciechi, si chiedono perplessi come avverrà lo scontro, come Gesù riuscirà a prendere il potere; non hanno le idee ben chiare per cui sono solo sconcertati. Ancora una volta Gesù separa i due gruppi. Questa volta prende con sé tutti i dodici (Mc 10, 32), e non solo i noti tre, e comincia a ripetere quello che sta per accadere: e quando Gesù prende qualcuno in disparte, la chiave di lettura è - come si è detto - sempre negativa. Più volte Gesù aveva denunciato che i 12, come tanti altri, hanno orecchi, ma non intendono, hanno occhi ma non vedono; insomma, i 12 non capiscono niente (Mc 8, 21).

(c) In Mc 14, 9 (l’unzione di Gesù da parte di una discepola anonima, nella casa del lebbroso Simone, con gran quantità di costosissimo nardo) si legge: «In verità io vi dico, dovunque sarà proclamato il vangelo per il mondo intero in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto». C’è un solo gesto in tutto il vangelo che Gesù chiede che venga ricordato a beneficio di tutti i posteri. L’unico gesto che Gesù vuole che venga ricordato è questo di una donna anonima. Perché? Perché questo gesto – come spiega Alberto Maggi - è prova della sua resurrezione (cfr. Mc 14,8), che non è una questione da risolvere a livello storico o razionalmente logico, ma è qualcosa che si può vedere solo attraverso la fede della comunità: come può la comunità rendere presente Gesù nella storia? Come se fosse un profumo che si espande nella casa e che tutti possono percepire,[20] e questo avverrà solo quando la comunità sarà pronta a spendere la vita per gli altri, in piena imitazione di Gesù.

Qui c’è una parte minoritaria dei discepoli che dà adesione a Gesù in questa sua intenzione di donare la vita (e si tratta di donne). I discepoli maschi (compresi i 12) invece continuano a non capire l’utilità di questa morte, infatti dirà: “cos’è questo spreco per il profumo, e abbandonerà Gesù al suo destino.

Da notare che Marco afferma che quella donna è entrata nella casa di Simone, il che sottintende appunto che non apparteneva al gruppo dei discepoli più stretti che già erano con Gesù in quella casa e che s’indignano per lo spreco di denaro (Mc 14, 4); quella donna anonima sta seguendo Gesù, e non si identifica affatto con la comunità rappresentata da Pietro e gli altri apostoli. Quindi Marco ci sta dicendo che questa donna sta rappresentando un gruppetto di discepoli che ha capito quello che Gesù sta per fare (sta per morire), è pronto a condividere la sua stessa sorte perché sono ormai in grado di vivere il messaggio radicale che Gesù ha trasmesso con la sua vita, cosa che né Pietro né gli altri apostoli hanno ancora capito.

Nel Vangelo di Giovanni la donna non è anonima, ma è Maria; ma anche il quarto evangelista ripete qualcosa di analogo a proposito degli apostoli: «Non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (Gv 20, 9). C’è sempre questa incomprensione fra Gesù e il gruppo dei dodici che pur l’hanno seguito da vicino.

Inoltre, leggendo questo brano dovrebbe suonare nell’orecchio un campanello d’allarme, perché in memoria di lei (Mc 14, 9) fa da pendant con la frase eucaristica (Lc 22, 19: “fate questo in memoria di me,”[21] e parimenti Cor 11, 25). Dunque, è stato argutamente osservato[22] che nei vangeli abbiamo in realtà due memorie: vi è la memoria di Gesù (quello che lui ha fatto per tutti), che tutti conosciamo perché ce l'hanno insegnato in riferimento ai 12 presenti all’ultima cena; ma vi è anche la memoria della donna anonima, vera credente (ciò che la donna ha fatto per Gesù), di cui quasi nessuno ha mai sentito parlare, perché non ce lo hanno mai insegnato. E mentre i vangeli intrecciano queste due memorie, la storia della Chiesa ha presto separato queste due memorie. La memoria di lei è stata espunta e presto dimenticata, e la grande novità portata da Gesù è finita nell’oblio. Conseguenza di ciò? Nella Chiesa la donna ha rapidamente perso quella posizione che le aveva conferito Gesù, e la forza dello Spirito Santo non è ancora riuscita – dopo duemila anni – a rovesciare questa barriera maschilista eretta dai maschi.

(d) Nell’ultimo capitolo di Giovanni c’è questo gruppetto di sette (fra apostoli e discepoli) – rappresentativo della prima comunità che segue Cristo - che cerca prima di pescare da solo, su iniziativa di Pietro, e non pesca nulla; poi fa una pesca ricca dopo essere stato rimandato in acqua dal Risorto. Dopo la pesca Gesù, che ha già preparato il fuoco, invita tutti con un: “Venite a mangiare”. L’evangelista ci sta dando un’indicazione dell’eucaristia diversa da quella degli altri evangelisti, ma prendere il pane e distribuirlo indistintamente a tutti richiama l’eucarestia perché vengono usate le stesse parole adoperate dagli altri evangelisti per l’ultima cena. Di più: mentre nella traduzione italiana si mantiene il passato remoto (“Gesù prese il pane e lo diede loro”) per mantenere la giusta consecutio temporum ma così dando l’impressione di una fatto storico ormai passato, il testo greco passa inopinatamente dal passato remoto (Gesù disse loro: “Venite a mangiare”) al tempo presente (“prende il pane e lo dà”). Di nuovo, non si tratta di un grossolano errore grammaticale da parte di uno scrittore poco istruito: non ci sono errori di questo tipo nei vangeli. L’evangelista fa presente che ogni volta che Gesù si incontra con la sua comunità rinnova gli stessi gesti; ogni volta, quindi ieri come oggi, in ogni tempo, in ogni comunità, quando Gesù si manifesta si fa pane e si comunica come alimento di vita. Questo è il significato dell’eucaristia: un amore ricevuto da Dio, che viene accolto e si trasforma in amore comunicato per gli altri, perché quanti lo accolgono e lo assimilano, siano poi capaci di farsi a loro volta pane, alimento di vita per gli altri, diventando tutti figli dello stesso Dio[23]. Chi mangia il pane senza condividerlo, tenendolo solo per sé stesso, commette sacrilegio.

Anche in questo episodio viene rimarcata la stessa distanza dal centro del cerchio (Gesù) fra apostoli e discepoli; non c’è una gerarchia piramidale: più in alto gli apostoli, sotto gli altri discepoli. Non c’è nessun primato, neanche per Pietro che è lì presente.

(e) Nel Vangelo di Giovanni appare più volte la figura del discepolo amato. Ci è stato insegnato, e ancora oggi si continua spesso a sentir dire in chiesa che questo discepolo si identifica con l’evangelista Giovanni. Questa identificazione è antica risalendo a Ireneo di Lione e a san Girolamo[24] e hanno continuato a ripetercelo per secoli[25]. Si giustifica logicamente l’abbinamento sostenendo che i discepoli prediletti erano Pietro, Giacomo e Giovanni perché venivano spesso presi in disparte (però oggi sono in molti a sostenere che essere presi in disparte non è affatto una connotazione positiva, ma è indice di testardaggine e incomprensione, per cui si ha bisogno di ripetizioni supplementari). Poi si dice che Pietro non può essere il discepolo amato perché nominato nel vangelo assieme a questo discepolo (Gv 20, 2); Giacomo non può essere perché martirizzato ben prima della stesura dello stesso vangelo; resta allora solo Giovanni, che evidentemente avrebbe mantenuto il silenzio sul suo nome per modestia[26]. Al contrario, mi sembra pregnante il giudizio negativo di un ateo criticone,[27] il quale giustamente fa notare che si dovrebbe sostenere che Giovanni doveva essere gravemente ammalato di protagonismo e narcisismo cristico se oltre a presentarsi nel proprio vangelo come il discepolo prediletto di Gesù, pretende anche di essere stato il primo ad aver accolto la sua chiamata, il primo a essere arrivato al suo sepolcro vuoto ed aver capito tutto, eccetera, eccetera.

Dal Concilio Vaticano II in poi, si è cominciato seriamente a dubitare che il quarto evangelista sia una sola persona, e che il quarto evangelista possa essere il discepolo prediletto[28] e oggi buona parte della dottrina ritiene che il discepolo amato corrisponde semplicemente al prototipo dei discepoli, nel quale ogni lettore può riconoscersi[29]. Un punto essenziale per ribaltare la vecchia convinzione è che non solo non si dice mai che questo discepolo è apostolo, ma soprattutto non ha nome, per cui non è lecito identificarlo, così come non si deve identificare nessun personaggio anonimo dei vangeli (si pensi alla prostituta perdonata in Lc 7, 37ss., o al lebbroso primo divulgatore della Buona Novella in Mc 1, 45). Ogni qualvolta manca il nome, l’evangelista vuole figurare un personaggio rappresentativo ideale, nel quale ogni lettore, ogni ascoltatore si può identificare; allora è chiaro da una parte che identificando il discepolo prediletto con Giovanni si svilisce l’importanza di questo personaggio; dall’altra, quando si dice che questo discepolo è amato da Gesù, non significa che egli è il prediletto, il cocco di Gesù. A differenza dell’islam, dove Maometto è l’amato di Dio, non ci sono discepoli “cocchi di mamma”, visto che l’amore è la normale relazione che Gesù ha con tutti i suoi discepoli. Ad esempio, di Lazzaro, le sorelle dicono che era “amato da Gesù” (Gv 11, 3), eppure nessuno si è sognato di identificare l’anonimo discepolo amato con Lazzaro, ancorché l’espressione sia stata abbinata nel Vangelo di Giovanni solo con Lazzaro. L’evangelista ci vuol solo dire che quello è il modello di discepolato: colui che accoglie pienamente Gesù, gli è intimo nel seguirlo e nel donarsi come lui.

Ma allora cosa se ne può dedurre? Che di nuovo non sono i 12 apostoli, seppur identificati con il loro nome, il massimo della sequela. È triste anzi notare come i 12, che ci vengono presentati nell’insegnamento come i più intimi e veri seguaci di Gesù, tanto poi da elevarli a unici rappresentanti di Cristo mentre si sorvola su tutti gli altri discepoli, nei vangeli collezionano di continuo figure meschine: i dodici non capiscono proprio il messaggio di Gesù perché sono ancora immersi nella loro religione. Al contrario, il gruppo che proviene dal mondo pagano, al di fuori della legge mosaica, ha capito per primo. Nuova dimostrazione del perché si è detto che i vangeli ci stanno dicendo che più uno è immerso in una atmosfera religiosa e più gli è difficile comprendere il messaggio di Gesù e seguirlo. Più uno è lontano dalla religione e più e facile capire e seguire Gesù. E siccome i vangeli sono sempre attuali, questo vale ancora per oggi.

f) Infine c’è un punto nel Vangelo di Giovanni che mi sembra di per sé solo tranciante. A chi Gesù affida i suoi seguaci al momento finale? Forse a Pietro, ai 12 apostoli, ai vescovi loro successori, cioè al magistero della nostra Chiesa cattolica? No. Nel momento cruciale in cui pronuncia le parole di commiato (Gv 17, 9ss.), a differenza di quanto ha fatto Mosè che aveva espressamente nominato Giosuè suo successore (Dt 34, 9), Gesù non li affida a Pietro che non viene affatto nominato suo successore e vicario; non li affida a nessun apostolo; non li affida al magistero infallibile della Chiesa (cfr. invece n. 85 Catechismo) che succede agli apostoli, non li affida ad una dottrina o a leggi divine insegnate dal magistero romano, non li affida nemmeno a sé stesso. Invece «Affida coloro che crederanno in lui al Padre, cioè a quella realtà misteriosa che è al di là di tutte le cose, che è all’origine e al termine di tutte le cose e che noi uomini non possiamo mai nominare senza ridurlo alla nostra piccolezza mentale di uomini. “Li affido a Te, consacrali nella verità, siano una sola cosa, come Io e Te siamo una sola cosa”; e vedete, in queste parole di Cristo, egli stesso scompare: noi siamo stati affidati alla presenza invisibile del Dio vivente»[30].

Ecco perché, in base a tutti questi motivi, sulla tesi da Lei espressa, mi permetto di sollevare più di qualche dubbio.



NOTE


[1] In Armenia, nell’unico Tempio di stile greco, a Garni, una tabella spiega dettagliatamente il significato sacro che i numeri assumevano fino a quella ragguardevole distanza dalla Grecia, patria di Pitagora ed Euclide.

[2] Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, ed. Cittadella, Assisi, 75.

[3] Il Nuovo Catechismo olandese, ed. Elle Di Ci, Torino, 1969, 167.

[4] Quindi molteplici sono le forme di partecipare alla causa di Gesù, di collegare la propria vita a Gesù. C'erano i Dodici. C'era il gruppo più ampio dei discepoli. C'erano gli aderenti stanziali che mettevano a disposizione le loro case. C'erano individui che avevano aiutato in una determinata occasione, fosse solo porgendo un bicchier d'acqua. Non appartenere al gruppo vero e proprio dei discepoli non è affatto indizio di mancanza di fede. Ciascuno può contribuire a modo suo e secondo le sue possibilità alla costruzione del regno di Dio. Nessuno è di seconda categoria (Lohfink G., Gesù di Nazaret, ed. Queriniana, Brescia, 2014, 120ss.).

[5] Mateos J. e Camacho F., Il Figlio dell’Uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 318.

[6] Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, ed. Cittadella, Assisi, 80.

[7] C’è chi sostiene che Giuda abbia tradito Gesù proprio perché non accettava il tradimento di Gesù rispetto alla Torah; Giuda era ancora attaccato alla Legge e il superamento di essa da parte di Gesù è stato troppo per lui.

[8]Tommaso d’Aquino, Super Evangelium Johannis, in www.documentacatholicaomnia.eu.

[9] Lettera 15.8.1988, Mulieris dignitatem, 16, in www.vatican.va.

[10]Le donne al servizio del Vangelo, udienza generale 14.2.2007, in www.vatican.va.

[11] Vedi quanto già detto rispondendo alla domanda 29. Ripeto qui l’osservazione di Pagola, perché repetita juvant.

[12] Richiamo qui la nota 17 dell’Introduzione nella relazione, in https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-573---6-settembre-2020.

[13] “In disparte” è una connotazione negativa: queste persone hanno bisogno di ripetizioni extra, non bastando la lezione comune (AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion. Torino, 1993, 129).

[14] Piccolo inciso: se Giuda non avesse potuto controllare il suo tradimento di Gesù, allora, non avrebbe avuto il libero arbitrio e la sua punizione come traditore nella cultura occidentale non sarebbe affatto meritata. Se Giuda è stato mandato all'inferno per il suo tradimento, ed il suo tradimento era un gradino necessario nella morte di Gesù Cristo per la salvezza umana, allora Giuda è stato punito per la salvezza umana. Se Gesù ha sofferto soltanto mentre moriva sulla croce ed è poi asceso al paradiso, mentre Giuda deve soffrire per l’inferno per l’eternità, allora bisogna riconoscere che Giuda ha sofferto per i peccati dell'umanità molto più di Gesù. Insomma, si deve rimeditare anche la posizione di Giuda.

[15]Marco parla di Simone il Cananeo. Il suo Vangelo è scritto in greco, ma questa non è una parola greca. Marco non dà alcuna spiegazione al riguardo, mentre spiega che boaneges (altra parola non greca) significa figli di tuono. La parola cananeo, in aramaico, significa zelota. Questa viene ritenuta un’altra prova che Marco scrive per i romani, ed era poco saggio coinvolgere Gesù con gli zeloti. Ciò suggerisce anche che questo vangelo fu scritto in un periodo in cui il termine zelota era ben conosciuto e assai poco apprezzato a Roma, cioè non prima del momento della guerra giudaica (Connoly P., The Jesws in the time of Jesus, ed. Oxford University Press, Oxford e al. (GB), 1994, 94). Furono infatti gli zeloti a dar inizio alla guerra giudaica, raccontata da Giuseppe Flavio, assalendo la Fortezza Antonia e trucidando la guarnigione romana.

[16] San Girolamo, La perenne verginità di Maria (contro Elvidio), ed. Città Nuova, Roma, 1988, 53.

[17]Didimo significa gemello, forse perché manifesta una doppia personalità, che oscilla fra la fede (es. Gv 11, 16: andiamo a morire con lui) e il dubbio (es. Gv 20, 24-25: se non vedo non credo) (Santi Grasso, Il Vangelo di Giovanni, ed. Città Nuova, Roma, 2008, 773).

[18]Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, ed. Cittadella, Assisi, 1997, 97.

[19] Maggi A., Ma voi, chi dite che io sia?, incontro biblico - Cuneo il 6-8.6.2008, in www.studibiblici.it/Scritti/ conferenze.

[20] Maggi A., Roba da preti, Cittadella, Assisi,2003, 105ss.

[21]Fare qualcosa in memoria di Gesù non è ricordare solo quello che lui ha fatto duemila anni fa. È rivivere nella nostra vita quello che egli ha vissuto, assumendo i valori evangelici, disposti a dare il nostro sangue e la nostra vita perché gli altri abbiano la vita. Chi non è pronto a dare la vita per coloro che non hanno accesso alla vita stessa non dovrebbe avere diritto ad accostarsi alla mensa eucaristica (altro che impedirlo ai divorziati o agli omosessuali!). C’è comunione con Gesù se c’è impegno di giustizia verso i più poveri, “infatti chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). (in http://paroledivita.myblog.it/2010/06/19/fare-comunione-frei-betto/). In altre parole, il richiamo a una semplice memoria del passato vuol dir solo "sapere"; invece la convinzione di voler vivere come visse Gesù, che sfocia in una condotta e in un modo di vita nuovo, è vera fede (Castillo J.M., La humanización de Dios, ed. Trotta, Madrid, 2010, 42).

[22] Ricca P., Gesù e le donne nei vangeli, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013.

[23] Maggi A., Commento al Vangelo di Giovanni, 14.4.2013, in www.studibiblici.it/ Omelie.

[24] Ireneo, Adversus haereses III, 1, 1, in www.documentacatholica.eu. San Girolamo, La perenne verginità di Maria (Contro Elvidio), ed. Città Nuova, Roma, 1988, 51.

[25] Cfr. Schindler P., Petrus, ed. SAT, Vicenza,1951, 134, e vedasi ancora ai giorni nostri il cardinal Tettamanzi, in “Famiglia Cristiana,” n.15/2012, 12, o n.15/2013, 15.

[26] AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion, Torino, 1993, 129.

[27] Odifreddi P., Perché non possiamo essere cristiani, ed. Longanesi, Milano, 2007, 137.

[28] Ad s. Schnackenburg R., Il Vangelo di Giovanni, ed. Paideia, Brescia, 1977, P.I, 121 ss.

[29] Fabris R., Giovanni, ed. Borla, Roma, 1992, 73; Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, ed. Cittadella, Assisi, 1997, 109 s.; Brown R.E., Introduzione al Vangelo di Giovanni, ed. Queriniana, Brescia, 2007, 208 ss.,Wengst K., Il Vangelo di Giovanni, ed. Queriniana, Brescia, 2008, 776; Maggi A., Il mandante, ed. Cittadella, Assisi, 2009, 37s. Ravasi G., Il discepolo amato figura del vero credente in Cristo, “Famiglia Cristiana”, n.46/2013, 116.

[30] Vannucci G., Nel cuore dell’essere, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 120.