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Escravo negro vendendo leite à uma mulher branca e homem vestido de casaco, chapéu e peruca - Carlos Julião, Rio de Janeiro. secolo XVIII - immagine tratta da commons.wikimedia.org


Chiesa e schiavitù

di Dario Culot



Servirebbe un libro intero per sviscerare a fondo il rapporto fra Chiesa e schiavitù, che è piuttosto complesso. Qui mi limiterò a fare degli accenni che comunque già appaiono significativi per vedere come, fino all’Ottocento, manchi nella Chiesa un documento ufficiale che proibisca e condanni tout court la schiavitù.

È stato indubbiamente l’Umanesimo, proprio del mondo occidentale, a portare al centro della cultura la dignità dell’uomo, liberandolo da quell’idea negativa e peccaminosa che aveva di sé,[1] sì che ciò che avveniva per le leggi naturali che regolano la materia è stato esteso alle leggi morali, nel senso che, essendo l’uomo parte del cosmo, anche lui doveva essere autonomo e trovare le proprie leggi all'interno di sé stesso: l’uomo doveva cercarsi la strada da solo, e - col passare del tempo - questa ricerca ha permesso, in positivo, di porre fine alla caccia alle streghe, di abolire la tortura come strumento legale per ottenere una confessione di colpevolezza, di abolire la schiavitù, fino a giungere alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo. Ma ha anche portato a non credere più a leggi asseritamente promulgate in un altro mondo e ulteriormente regolamentate dai rappresentanti in terra di quel mondo (tipo: non mangiare carne il venerdì; non fare la comunione dopo aver avuto un rapporto sessuale,[2] eccetera).

Limitandoci alla schiavitù, quello che si può dire è che non si può vedere nella Chiesa una presa di posizione decisa e costante per la sua eliminazione. Il cristianesimo non è stata cioè una religione antischiavista dal suo inizio, ancorché già Paolo (Gal 3, 26-28; Col 3, 11) avesse sostenuto che non c’è più “né schiavo, né libero”. Ma lui stesso si è subito contraddetto. Infatti, nella breve lettera con cui Paolo rimanda a Filemone un suo schiavo fuggito sicuro che ci sarà il perdono, Paolo non esprime alcuna condanna esplicita della schiavitù. Difficile però criticare Paolo. Il problema è che, solo nel tempo, l’uomo (e anche la Chiesa), avendo affinato la propria coscienza, ha acquistato la capacità di superare dei mali che prima non sembravano tali, e che ora – se mantenuti – metterebbero a disagio l’intera società. Anzi, all’epoca, eliminare di botto la schiavitù avrebbe messo in crisi l’intero sistema economico, perché quella società si basava sulla schiavitù, sul lavoro degli schiavi; e pur di diffondere il cristianesimo nell’impero, Paolo ha accettato lo scotto perché il messaggio venisse accettato in quella società. Per far accettare il cristianesimo nell’impero Paolo ha accettato la schiavitù, ma anche la subordinazione della donna e l’obbedienza all’autorità.

Ricordo che ancora Papa Gelasio I (492-496) aveva proibito l’ordinazione sacerdotale degli schiavi, anzi aveva ordinato – come Paolo - di restituirli ai loro padroni per non danneggiare il diritto di proprietà di questi ultimi[3]. E se ancora nella seconda metà del 1700 i gesuiti avevano solo loro oltre 20.000 schiavi nelle Americhe, vuol dire che la schiavitù era ritenuta ancora permessa dalla Chiesa[4].

Certo, già nell’Apocalisse (Ap 18, 13) c’è l'indignazione per il commercio di essere umani, per le persone ridotte a corpi (pensiamo ai gladiatori, alle giovani ragazze trasformate in oggetti di piacere per i ricchi). Ma questo dimostra solo la pluralità iniziale di vedute del cristianesimo.

Alla fine del Medioevo l’Europa ha cominciato a uscire dai suoi confini e a occupare altre terre. Con la bolla Romanus Pontifex,[5] papa Niccolò V, l’8.1.1454, donava – come fosse sua - al re Alfonso del Portogallo tutta l’Africa, affinché gli abitanti arrivassero a conoscere il vero Dio, e non quello dei musulmani, convinto che in tal modo “si prestava a Dio il massimo ossequio”[6]. Sennonché il dono comprendeva “la piena e libera facoltà d’appropriarsi, per sé e i suoi successori,” dei beni e, soprattutto, gli conferiva il diritto di conquistare e “sottomettere a perpetua schiavitù queste genti”[7]. È stato fatto giustamente notare che, per quanto nobili fossero le intenzioni, veniva dato inizio, dietro allo schermo di Dio, a quel colonialismo e al commercio di schiavi con cui gli europei si sarebbero arricchiti nel XVII e XVIII secolo. Non c’è allora da stupirsi se, andando ancora oggi nei Paesi dell’America Latina o dell’Africa, il cristianesimo viene facilmente abbinato alla forza conquistatrice dell’occidente, avendo fatto svolgere colà al nostro Dio il ruolo di oppressore: l’Occidente ha cioè trasferito su Dio il proprio imperialismo culturale, economico e politico[8]. Anche nei Paesi in cui il cristianesimo non è stato imposto con la forza, l’immagine che gli altri ne hanno resta impastata con l’immagine dell’economia e della politica delle potenze occidentali.

Con la bolla Pastor Bonus, del 7.10.1462,[9]  rivolta al vescovo di Rubicon (nelle Canarie), papa Pio II  si sofferma sull’evangelizzazione e la conduzione spirituale della diocesi (reclutamento dei missionari, prebende, ordinazioni, matrimoni), elogia l’opera di liberazione degli schiavi convertiti, e impone la scomunica per i «perversi cristiani» trafficanti di schiavi attivi nella zona a danno dei neofiti cristiani e anche degli infedeli. La motivazione portata non è propriamente teologica, ma volta a garantire un pacifico lavoro di evangelizzazione e gestione spirituale del vescovo e dei suoi missionari, per impedire che i locali, una volta evangelizzati, siano razziati da trafficanti con danno per l'evangelizzazione e la sicurezza degli evangelizzatori. Perciò ha sbagliato papa Giovanni Paolo II a dire che papa Pio II aveva condannato la schiavitù parlando di “crimine enorme”[10] (malum scelus), parole non presenti nel testo. In realtà papa Pio II sembra più in sintonia con papa Nicolò perché si sofferma sui rapimenti di persone alle Canarie, ma non vieta il commercio portoghese, ormai molto fiorente, degli schiavi dall’Africa.

Anche le successive bolle, non vietano la schiavitù degli africani, ma intervengono solo a favore dei nativi americani, e questo silenzio ha indubbiamente dato nuovo e grande impulso al commercio degli schiavi dall’Africa. Si calcola che nel corso di quattro secoli circa 12 milioni di africani vennero deportati come schiavi nelle Americhe, e oltre due milioni non sopravvissero neanche alla traversata dell’Atlantico.

Sulla stessa linea di papa Pio si pose papa Callisto III, il primo dei Borgia, il quale aveva come progetto principale la cacciata dei turchi da Costantinopoli per cui cercò invano di riaccendere lo spirito delle crociate. Con la bolla Illud reputante del 01.10.1456[11] condannò semplicemente la riduzione in schiavitù dei cristiani orientali da parte dei cristiani occidentali.

Con la bolla Veritas Ipsa (conosciuta anche col nome di Sublimis Deus o di Excelsus Deus)[12] papa Paolo III il l2 giugno 1537 scomunicava «tutti coloro che ridurranno in schiavitù gli indios o li spoglieranno dei loro beni… perché essi sono veri uomini…capaci di ricevere la fede cristiana». Di nuovo nulla si dice sul commercio degli schiavi dall’Africa.

Con la bolla Pastorale Officium, del 29.5.1537,[13] sempre papa Paolo III condanna, pena la scomunica, la riduzione in schiavitù da parte di cristiani («tanto nefasti misfatti di empi di tal fatta», talium impiorum tam nefarios ausus) degli amerindi, cristiani e non, da parte degli spagnoli, «poiché sono uomini e per questo capaci di fede e di salvezza» (cum homines, ideoque fidei et salutis capaces sint). La bolla si conclude con la scomunica per chi la viola (“con la presente ordiniamo e comandiamo affinché tu, o altro o altri, assistendo tutti i suddetti indiani con un’efficace aiuto di difesa, tutti e singoli di qualunque dignità, stato, condizione, grado ed eccellenza, incorrano ipso facto alla pena di scomunica latae sententiae se hanno fatto il contrario”). Il documento segue e conferma un decreto regio di Carlo I del 1530, il quale già vietava la schiavitù degli indiani d’America.

A prescindere dal fatto che la ripetizione delle bolle dimostra la loro inefficacia, va comunque spiegato che, quando i cristiani spagnoli conquistarono il Nuovo Mondo rimasero inorriditi dai sacrifici umani che le religioni di quei luoghi compivano con frequenza. Per non saper né leggere, né scrivere, gli spagnoli cominciarono a imporsi con la violenza per civilizzare e cristianizzare queste “primitive” popolazioni locali, di fatto però rendendole schiave[14]. Agli inizi del Cinquecento, cominciarono a levarsi le prime voci di condanna degli abusi commessi dagli spagnoli contro gli indiani: ad Hispaniola (odierna Haiti), ad esempio, il domenicano Antonio de Montesinos denunciò le gravi vessazioni di cui era stato testimone, annunciando «io sono la voce che grida nel deserto di quest’isola, ed io vi dico che voi siete in stato di peccato mortale a causa della vostra crudeltà contro un popolo innocente». Nel 1511 questo rompiscatole di Montesinos, che non esitava a rifiutare i sacramenti agli encomenderos[15] violenti venne richiamato in Spagna, ma tanto si diede da fare anche lì che riuscì ad ottenere delle leggi che imponevano migliori condizioni di lavoro per gli indiani (che comunque vennero anche queste disattese). Tolto di mezzo Montesinos emerse Bartolomeo de Las Casas, che diventò «difensore degli Indiani»[16]. Il re Carlo V, preso fra due fuochi dai gruppi che difendevano gli interessi economici degli encomenderos e di quelli che ne denunciavano gli abusi, proibì la schiavitù; ma nel 1534, per le proteste dei coloni, revocò il suo decreto. In seguito alle pressioni del re, anche Paolo III promulgò il decreto Non Indecens Videtur (19 giugno 1538), nel quale veniva ritirata la scomunica per gli schiavisti comminata con la Pastorale Officium un anno prima.

Nel 1542 il re di Spagna promulgò una legge che metteva gli indiani sotto la diretta protezione della Corona di Spagna, esigendo che le autorità reali intervenissero contro gli abusi degli encomenderos e vietando la costituzione di ulteriori encomiendas. Queste leggi provocarono però una nuova generale sollevazione degli encomenderos. Juan Ginés de Sepúlveda, richiamandosi ad Aristotele, scrisse il trattato De justis belli causis apud indios, in cui difese la conquista come una necessità e un dovere, perché la Spagna aveva il dovere morale di dirigere, se necessario con la forza le popolazioni locali, così prive di senso morale, verso la verità. Las Casas replicò col trattato Treinta proposiciones muy jurídicas, sostenendo che soltanto col buon esempio poteva essere promossa una colonizzazione, la quale doveva restare rispettosa dell’identità e dignità delle popolazioni e della società precolombiana. A quel punto Carlo V riunì un collegio di teologi, giuristi ed ecclesiastici ed ordinò il dibattito di Valladolid sulla legittimità della conquista. Il dibattito di Valladolid del 1550-51 (che oppose essenzialmente la tesi del domenicano Bartolomeo de Las Casas e del teologo Juan Ginés de Sepúlveda) finì con un sostanziale nulla di fatto.

Tenuto però conto del fatto che, fra il 1519 e il 1595, le popolazioni del centro America passarono da 25 milioni circa a 1.375.000,[17] si dimostra che, con la scusa religiosa di eliminare l’orrenda pratica del sacrificio umano propria di una religione falsa, in nome di un’altra religione ritenuta superiore, non ci si fece scrupolo di continuare a trattare i popoli precolombiani come inferiori da sottomettere e da sfruttare senza remore. Certo i conquistadores pur dichiarandosi cristiani non si comportarono come tali, ma trovarono facile sponda nella propria religione che doveva essere imposta a tutto il mondo, anche con la violenza quando s’imbatteva in oppositori della vera religione. Non c’è allora da stupirsi se ancora oggi in Centro e Sud America si vede il cristianesimo, che pur è riuscito a imporsi, come una religione che ha appoggiato una conquista violenta da parte degli europei. Infatti i locali non parlano mai di ‘scoperta dell’America’, ma di ‘conquista dell’America’.

Con bolla Commissum Nobis, del 22.4.1639,[18] promulgata su richiesta del gesuita Diartano contro le scorrerie fatte dai brasiliani in Paraguay per procurarsi schiavi, papa Urbano VIII, a conferma del decreto del re di Spagna Filippo IV che nel 1626 aveva ribadito il divieto di rendere schiavi gli indiani, vietava pure lui di  ridurre in servitù, vendere, comprare, scambiare o donare, separare da mogli e figli, spogliare di cose e beni, e deportare e trasmettere in altri luoghi, e in qualsiasi modo privare della libertà e trattenere in servitù» gli indios, sotto pena di scomunica.

Con bolla Immensa Pastorum Principis, del 20.12.1741, papa Benedetto XIV per l’ennesima volta rinnovava la proibizione di ridurre in schiavitù gli indios, sotto pena di scomunica che evidentemente non aveva funzionato in precedenza, e anche «vendere, comprare, scambiare o donare, separare da mogli e figli, spogliare di cose e beni, e deportare e trasmettere in altri luoghi, e in qualsiasi modo privare della libertà e trattenere in servitù».  

Come si vede, il trattamento – almeno in astratto - riconosciuto ai nativi americani, non era lo stesso di quello riservato ai negri. Questo perché per secoli si condivideva l’idea di Aristotele secondo cui la schiavitù è giusta e necessaria. Uno dei motivi per cui la cultura greca vede la schiavitù come una necessità, come sottolinea lo studioso Remo Bodei,[19] è che «nessun uomo potrebbe sviluppare interamente le potenzialità della sua natura se alcuni non provvedessero alle “cose necessarie dell’esistenza”, permettendo ad altri di raggiungere la pienezza dell’umanità». Perché alcuni realizzino se stessi, altri devono essere trattati come strumenti. 

Non è perciò strano ricordare che, nonostante tutte le bolle sopravviste, il 20.6.1866, la Chiesa cattolica riconosceva ancora la piena legittimità della schiavitù seguendo Aristotele. Merita riportare in proposito il documento del Sant’uffizio[20] del XIX secolo che oggi leggiamo con sgomento: “ tamen servitus ipsa per se et absolute considerata iuri naturali et divino minime repugnat, pluresque adesse possunt iusti servitutis tituli… Dominium enim illud, quod domino in servum competit non aliud esse intelligitur quam ius perpetuum de servi operis in proprium commodum disponendo, quas quidem homini ab homine praestari  fas est… Christiani igitur  licite possunt  servos emere, atque in debiti solutionem, vel in donum recipere [La schiavitù, di per sé, non ripugna affatto al diritto naturale né al diritto divino, e possono darsi a essa molti giusti motivi… Infatti, il possesso del padrone sullo schiavo non è altro che il diritto di disporre in perpetuo dell’opera del servo per la propria comodità, che è giusto che un uomo fornisca a un altro uomo… Pertanto i cristiani possono lecitamente comprare schiavi, o darli in pagamento di debito o riceverli in dono].

Questo documento ufficiale costituiva una risposta data a fra Guglielmo Massaia, all’epoca vicario apostolico in Etiopia e in seguito diventato pure cardinale, il quale, notando che la schiavitù faceva parte del costume locale, si chiedeva se anche i cristiani potevano avere schiavi. Allora i casi sono due: o il vicario apostolico ignorava completamente che per ormai consolidato indirizzo della Chiesa la schiavitù, intesa come la intendiamo noi, era da lungo fermamente proibita (e questa ignoranza sarebbe stata già di per sé grave per un funzionario nella sua posizione apicale), ma allora il Sant’Uffizio avrebbe dovuto tirargli le orecchie e rammentargli gli estremi dei documenti che aveva definitivamente abolito la schiavitù (documenti che in realtà non esistono); oppure, se Massaia era perfettamente consapevole che la Chiesa era contro la schiavitù, il suo interpello era senza senso perché, essendo un funzionario “interno” che aveva studiato compiutamente la dottrina della Chiesa e capiva perfettamente il linguaggio “interno,” egli già era a conoscenza che la Chiesa aveva da tempo abolito la schiavitù.

Eppure, quasi mezzo secolo prima, nel 1814, papa Pio VII, su richiesta dell’Inghilterra – che aveva dichiarato illegale il commercio degli schiavi nel 1807, poco prima del congresso di Vienna - aveva inviato una lettera ai re di Francia e Spagna chiedendo loro di condannare il commercio degli schiavi, che avveniva principalmente dall’Africa all’America[21]. Da rimarcare che il commercio degli schiavi era tenuto sempre distinto dalla schiavitù in sé e per sé. Con la bolla In Supremo Apostolatus del 3.12.1839,[22] papa Gregorio XVI, pure questa emessa su richiesta inglese, condannava la riduzione in schiavitù e il commercio degli schiavi[23] attraverso l’Atlantico:

Ma siccome neanche con questa bolla si condannava tout court la schiavitù ancora praticata negli Stati Uniti, alcuni vescovi cattolici americani ritennero che la schiavitù di per sé, esercitata negli Stati Uniti, non andava contro l’insegnamento della Chiesa[24]. Solo così, del resto, è possibile spiegare anche il decreto del Sant’Uffizio del 1866, perché l’abolizione totale della schiavitù non era mai stata imposta totalmente dal Vaticano[25]. Tanto è vero che non esiste una bolla che condanni definitivamente, irrevocabilmente non solo il commercio, ma anche il possesso di altri esseri umani come schiavi. Ancora alla fine del 1800 c’erano molti dubbi in proposito. Scrive infatti il gesuita Giacomo Martina, storico della Chiesa, nell'opera dedicata a Pio IX (papa dal 1846 al 1878), a proposito del contrasto fra abolizionisti e schiavisti: “Pio IX sostanzialmente favorevole ad una graduale evoluzione della schiavitù e contrario ad una abolizione immediata...esortò l’episcopato ad evitare ogni discussione sul problema della schiavitù ed intervenne solo due volte...per disapprovare più o meno esplicitamente le due tesi opposte degli abolizionisti e dei conservatori”[26].  Del resto neanche papa Giovanni Paolo II avrebbe avuto motivo di scusarsi[27] nel suo viaggio in Africa se la Chiesa si fosse da secoli inequivocabilmente opposta a quel turpe commercio: avrebbe semplicemente richiamato con forza i documenti con cui la Chiesa ufficiale aveva abolito la schiavitù nei secoli precedenti,[28] addossando la colpa ai governi laici e dimostrando che la Chiesa era migliore dei laici. Non l’ha fatto perché non c’erano documenti da esibire in tal senso.

Finalmente il 10.2.1888, papa Leone XIII si dichiarò d’accordo lo statista brasiliano Joaquim Nabuc che l’aveva sollecitato a scrivere un’enciclica in favore dell’abolizione della schiavitù in Brasile: il tema era in discussione proprio in quel periodo davanti al Parlamento brasiliano. Il primo ministro brasiliano, antiabolizionista, chiese alla Santa sede di ritardare l’uscita dell’enciclica, che uscì il 24.5.1988[29] però con la data del 5.5.1988, quando il Parlamento brasiliano aveva abolito la schiavitù con legge del 13.5.1988. Tutti contenti: il papa perché si era mosso formalmente prima della decisione del Parlamento, il Parlamento perché aveva deciso prima che l’enciclica fosse diffusa e poteva affermare che non aveva agito su pressioni vaticane. Poco più tardi, il 20.11.1890, seguì l’Enciclica Catholicae Ecclesiae[30] con cui si richiamava l’epistola scritta il 5 maggio 1888 ai vescovi del Brasile, in cui ci si congratulava per quanto “essi avevano con lodevole esempio operato pubblicamente in quel paese per la libertà degli schiavi, e insieme avevano dimostrato quanto la schiavitù si opponeva alla religione ed alla dignità dell’uomo”. Si aggiungeva però qualcosa di troppo: che la Chiesa cattolica, fin dalle sue origini, si era battuta per “vedere abolita e totalmente eliminata la schiavitù, che sotto un giogo crudele teneva moltissimi fra i mortali”. Questo non è assolutamente vero, anche se è vero che molti teologi, fin dal 1500, si erano battuti per far eliminare la schiavitù.

Dunque appena il 1888 è il primo anno in cui la Chiesa cattolica si dichiarava espressamente a favore dell’abolizione della schiavitù tout court, e finalmente dal punto di vista teologico contraddiceva ciò che la Santa Sede (ancora attraverso il Sant’Uffizio del 1886) aveva dichiarato solo poche decadi prima: che cioè la schiavitù non era contraria al diritto naturale e alla legge divina.

Non si può dare ogni colpa alla Chiesa con la mentalità di oggi, ma se siamo convinti che quella di oggi è la mentalità giusta, vuol dire che lo Spirito santo non tollerava la schiavitù neanche in passato e, allora, non sempre è riuscito a ispirare la Chiesa per metterla prontamente sulla strada giusta. Ma se la Chiesa ha sbagliato in passato, chi ci assicura che non possa sbagliare anche oggi?


NOTE

[1] Lenaers R., Benché Dio non stia nell’alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 17.

[2] Il limite fondamentale dell’etica della legge divina è la sua incapacità di giustificarsi di fronte alla ragione critica. Ad esempio, andare a letto insieme la notte prima delle nozze era peccato mortale; il giorno dopo, no. Ma come può una stessa azione umana, accompagnata dagli stessi sentimenti, cambiare totalmente natura in 24 ore? (Lenaers R., Benché Dio non stia nell'alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 35).

[3] Epistola 14, 14 riportata da Castillo J.M., La chiesa e i diritti umani, ed. Gabrielli editori, S. Pietro in Cariano (VR) 2009, 129.

[4] Vedi l’articolo del gesuita Christopher Kellerman sulla rivista on line dei gesuiti “America Today” il 15.2.2023, Per un approfondimento Kellerman C.J., S.J., All Oppression Shall Cease: A History of Slavery, Abolitionism, and the Catholic Church, Orbis Books, 2022. 

[5] Il testo latino è reperibile nel Bollarium Romanum, in https://icar.beniculturali.it/fileadmin/risorse/Bullarium_Taurinensis/Tomo_V_1860.pdf, bolla n. VIII, §5. In italiano potremmo così tradurre il passo: “poiché abbiamo concesso precedentemente con altre lettere nostre, tra le altre cose, piena e completa facoltà al re Alfonso di invadere, ricercare, catturare, conquistare e soggiogare tutti i Saraceni e qualsiasi pagano e gli altri nemici di Cristo, ovunque essi vivano, insieme ai loro regni, ducati, principati, signorie, possedimenti e qualsiasi bene, mobile ed immobile, che sia di loro proprietà, e di gettarli in schiavitù perpetua e di occupare, appropriarsi e volgere ad uso e profitto proprio e dei loro successori tali regni, ducati, contee, principati, signorie, possedimenti e beni, in con­seguenza della garanzia data dalla suddetta concessione…”

[6] Stando poi alla rivista “La Civiltà cattolica”, Anno secondo, Volume VII, edizioni La Civiltà cattolica, 1851, 67, già nel lontano 1102 un concilio cattolico a Londra avrebbe vietato il commercio di schiavi che definiva nefarium negotium (traffico infame). Evidentemente il papa non l’ha seguito.

[7] Evidente in contrasto palese e insanabile col principio affermato dal Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes, § 69 - del 7.12.1965, secondo cui «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti» che oggi si cerca di far passare come da sempre sostenuto dalla Chiesa (Negri L. e Cascioli R., Perché la Chiesa ha ragione, ed. Lindau, Torino, 2010, 41).

[8] Schillebeeckx E., Per amore del Vangelo, ed. Cittadella, Assisi, 1993, 156.

[9] Testo in https://it.cathopedia.org/wiki/Pastor-Bonus-(1462)

[10] Incontro con la comunità cattolica dell’isola di Gorée nella chiesa di San Carlo Borromeo, 22.2.1992 (www.vatican.va, papa Giovanni Paolo II, Viaggi, 1992).  

[11]  Testo in

https://it.cathopedia.org/wiki/Illud_Reputantes#:~:text=Illud%20Reputantes%20è%20una%20bolla%20di%20Papa%20Callisto,cristiani%20%28orientali%29%20da%20parte%20di%20altri%20cristiani%20%28occidentali%29.

[12] Testo in https://www.radiospada.org/2020/06/i-papi-contro-la-schiavitu-la-sublimis-deus-di-paolo-iii/

[13] Testo in https://it.cathopedia.org/wiki/Pastorale_Officium.

[14] Si rinvia in proposito allo scritto di Canova P., Guadalupe – dalla parte degli ultimi, ed. Villadiseriane, Villa di Serio (BG), 2008, 9ss., che essendo scritto da un monsignore cattolico non sarà certamente contestato di eccessività anticattoliche.

[15] Gli abitanti di una zona venivano affidati a un colono spagnolo (encomendero) cui spettava il compito di cristianizzarli, proteggerli e (soprattutto) utilizzarli. 

[16]  Ancora oggi, egli ha mantenuto questo titolo, e in Messico, nella regione del Chacas, la città di San Cristobal aggiunge il suo nome, e ancora oggi si chiama San Cristobal de las Casas. Ma va anche ricordato che, secondo la tradizione, quando i conquistadores stavano per essere sopraffatti dalle forze soverchianti degli Incas, sarebbero stati sbaragliati dalla Madonna guerriera – una bianca fanciulla, secondo le cronache incaiche - che li avrebbe messi in fuga (Camilleri R., Le lacrime di Maria, ed. Mondadori, Milano, 2013, 143). Dunque, Dio stava dalla parte dei conquistadores.

[17] Boff L,.Teologia della liberazione e opzione per i poveri, oggi, in Con i poveri della terra, a cura di Vigil J.M., ed. Cittadella, Assisi, 1992, 160.

[18] Testo in https://it.cathopedia.org/wiki/Commissum_Nobis

[19] Bodei, R., Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale, Il Mulino. Bologna, 2019, 67.

[20] In Collectanea S. Congregationis de Propaganda Fide seu Decreta Instructiones Rescripta pro apostolicis Missionibus, vol. I, n.1293, ed. Typographia Polyglotta, Roma, 1907.

[21] Basta ricordare che Thomas Jefferson, presidente degli Stati Uniti, nel 1807 non notava contraddizione nel sostenere che il commercio era una precisa violazione dei diritti umani nei confronti degli inoffensivi abitanti dell’Africa, ma non  era illegale mantenere in schiavitù i discendenti degli schiavi commerciati in passato.

[22] In www.totustuustools.net/magistero/g16insup.htm: “ammoniamo e scongiuriamo energicamente nel Signore tutti i fedeli cristiani di ogni condizione a che nessuno, d’ora innanzi, ardisca usar violenza o spogliare dei suoi beni o ridurre chicchessia in schiavitù, o prestare aiuto o favore a coloro che commettono tali delitti o vogliono esercitare quell’indegno commercio con il quale i Negri vengono ridotti in schiavitù, quasi non fossero esseri umani, ma puri e semplici animali, senza alcuna distinzione, contro tutti i diritti di giustizia e di umanità, destinandoli talora a lavori durissimi. Inoltre, chi propone una speranza di guadagno ai primi razziatori di Negri, provoca anche rivolte e perpetue guerre nelle loro regioni.

Noi, ritenendo indegne del nome cristiano queste atrocità, le condanniamo con la Nostra Apostolica autorità: proibiamo e vietiamo con la stessa autorità a qualsiasi ecclesiastico o laico di difendere come lecita la tratta dei Negri, per qualsiasi scopo o pretesto camuffato, e di presumere d’insegnare altrimenti in qualsiasi modo, pubblicamente o privatamente, contro ciò che con questa Nostra lettera apostolica abbiamo dichiarato”. Testo parziale in Denz. 2745-2746.

[23] “Pertanto, col trascorrere del tempo, essendosi dissipata più ampiamente la caligine delle superstizioni barbariche ed essendosi mitigati i costumi anche dei popoli più selvaggi sotto l’influsso della carità cristiana, si arrivò al punto che da diversi secoli non ci sono più schiavi presso moltissimi popoli cristiani. Ma poi, e lo diciamo con immenso dolore, sono sorti, nello stesso ambiente dei fedeli cristiani, alcuni che, accecati dalla bramosia di uno sporco guadagno, in lontane e inaccessibili regioni ridussero in schiavitù Indiani, Negri e altre miserabili creature, oppure, con un sempre maggiore e organizzato commercio, non esitarono ad alimentare 1’indegna compravendita di coloro che erano stati catturati da altri”.

[24] Come il vescovo di Charleston John England e Francis Kenrick di Filadelfia affermarono che gli Stati Uniti avevano condannato il commercio già ai tempi di Jefferson, e ritenevano tranquillamente che la schiavitù negli Stati americani del sud non andava contro l’insegnamento del Vaticano (cfr. sempre l’articolo di Kellerman): nessuno veniva ridotto in schiavitù, ma nascevano già schiavi, e il papa non aveva dichiarato che, vietare la riduzione in schiavitù significava anche ordinare la liberazione di tutti coloro che erano schiavi.

[25] Insomma, come sempre, fatta la legge trovato l’inganno: Thomas Paprocki, vescovo americano di Springfield ha individuato il modo di aggirare nella sua diocesi il divieto papale contenuto nell’ultimo rescriptum varato apposta per eliminare il latino. Il vescovo ha visto che il divieto vaticano si concentra, infatti, solo sulle chiese parrocchiali. In pratica se i vescovi vogliono far celebrare la messa in latino al momento occorre chiedere un permesso speciale in Vaticano; allora il vescovo di Springfield ha tolto lo status parrocchiale alle chiese dove si celebrava la messa in latino. In questo modo la questione si è risolta da sé. Non essendo più chiesa parrocchiale non ci sarà più bisogno del permesso vaticano. In pratica tutto resterà come prima.

[26] Martina G., Pio IX, Volume 1, Gregorian&Biblical BookShop, Roma, 1985, 494.

[27] Vedasi Viaggio in Africa, 9.8.1993, riportato in www.cathpedia.org e pure nell’enciclopedia Wikipedia.

[28] In effetti, anche Papa Leone XIII, con l’enciclica In plurimis del 05.05.1888 (in www.vatican.va/Sommipontefici) prendendo posizione contro la schiavitù, richiama tutto quello che molti pontefici romani hanno fatto a favore degli schiavi, ma non cita un documento ufficiale con cui la Chiesa avesse dichiarato in passato, una volta per tutte, che la schiavitù è in opposizione diretta alla legge di Dio e al diritto naturale.

[29] Papa Leone XIII, Enciclica In Plurimis del 24.5.1888, in www.vatican.va.

[30] Papa Leone XIII, Enciclica Catholicae Ecclesiae del 20.11.1890, in www.vatican.va.