The Rabbi is ...drumming?


di Miriam Camerini

Foto di Shendl Copitman Kovnatskiy

La mia ultima settimana a Yiddish Summer Weimar l’ho trascorsa così: provando - finalmente - a tenere il tempo battendolo sul tamburo, come la mia profetica e carismatica omonima, e già che c’ero, e che era tutta la vita che aspettavo questo momento, mi sono lasciata sedurre da vari esperimenti: il daf imprestato da un amico curdo (stessa parola dell’ebraico tamburello taf o tof), la poika, tamburi vari.

Il suggerimento è venuto dal direttore del festival Alan Bern, compositore e musicista meraviglioso che mi ha incoraggiata a stare e a provare.

Ero incerta, indecisa, non sapevo, non lo avevo mai fatto. Eppure quel nome che tanto mi rappresenta, Miriàm, è proprio di una donna che suona il tamburello, nella Bibbia, libro dell’Esodo, capitolo 15, verso 20: una frase o due appena, per raccontare di una donna profetessa, sorella di un profeta, che prende in mano un tamburo, (chissà di che foggia, formato, dimensione?) e inizia a batterlo, scandendo il tempo della gioia, della celebrazione del pericolo scampato, della libertà ancora tutta da meritare e guadagnare, ma già conquistata. L’uscita d’Egitto, almeno quello fisico, è consumata, il Mar Rosso si è aperto per i figli e le figlie di Israele e chiuso sugli egizi, sui loro carri e poveri cavalli innocenti, su una struttura di potere autocratico che deve scomparire tra i flutti, sepolto dalla sua stessa ingiustizia e prepotenza.

Il commento rabbinico indugia su un particolare che sembra forse marginale, ma mi ha sempre commossa: le donne lasciando in fretta la terra d’oppressione e di lavoro coatto tralasciano, lo sappiamo, la perfetta lievitazione e cottura del pane: l’azzima basterà, non c’è tempo per i manicaretti; però si ricordano di portare con sé gli strumenti musicali, di canto e di danza: per quelli c’è tempo, sì... Un tempo che aspettano da secoli (4, per l’esattezza, secondo i Maestri del Midrash). Portano con sé gli strumenti musicali perché hanno fede, sanno che ci sarà di che gioire, un motivo per far festa.

La festa arriva, infatti, e Miriàm la profetessa è pronta a guidare le donne che “escono dietro di lei” con tamburi e flauti (o cetre? Chi lo sa..), quel che conta è contare il tempo, tenere il ritmo: d’altra parte sono le donne a tenerlo da sempre, a contare le lune con i propri grembi, a guardare queste e quelli crescere per tornare vuoti e poi di nuovo pieni.

Secondo una storia rabbinica contenuta nel Talmud, e che racconterò questa sera, shabbat, sotto la luna crescente del mese di Elul, a un gruppo di studenti ebrei di tutta Europa, sono proprio le donne in Egitto a farsi guardiane e custodi della fertilità del popolo d’Israele, seducendo e inducendo alla procreazione quegli uomini prostrati dalla persecuzione che hanno gettato la spugna, che non vogliono mettere al mondo nuovi figli se poi dovranno annegarli nel Nilo come comanda Faraone. Le donne però sentono già battere i tamburi, sanno che la salvezza verrà, che bisogna solo andare a tempo, sentire il ritmo. L’Eterno stesso (o stessa?) d’altra parte lo ha insegnato a Mosè, appena 3 capitoli più sopra: “Questo mese sarà per voi il Capo dei Mesi”... (Esodo 12): da oggi inizia il calendario, iniziate a tenere voi il conto della liberazione, fatevene partecipi, se volete esserne parte: la redenzione richiede collaborazione, il Dio dell’Esodo non “salva gratis”: ai salvandi sono prescritti lavoro e impegno: iniziare un tempo nuovo, contare i giorni, fissare un calendario, attività di mediazione fra natura e cultura, di interpretazione del Creato con misure umane.

Il Creatore comanda di iniziare a celebrare la luna vuota, dividere il tempo in unità misurabili, separare i giorni e le settimane, attività difficile per chi è abituato da secoli di schiavitù a lavorare senza paga, senza giorni di ferie, senza feste né vacanze, il cui tempo è informe perché senza valore, non retribuito, tutto uguale.

Misurare il tempo è il primo passo verso la liberazione, l’età adulta: cantare, contare e camminare d’altra parte vanno spesso assieme per un popolo che da sempre narra, danza e suona la propria erranza a tempo di musica, scandendolo su un metro di passo.

Così il popolo infante impara a camminare e a contare, ossia rac-contare la propria storia. I bambini concepiti dalle donne speranzose e creative (in tutti i sensi), seducenti e testarde sono – sempre secondo il midrash – proprio quelli che per primi canteranno all’apertura del Mar Rosso: “Questa è la mia divinità e La loderò”, perché riconosceranno il miracolo, avendone già fatta esperienza alla nascita.

Alla fine ho preso il tamburello e sentito la felicità di fare musica con altri, decidere in fretta, lasciarmi andare, trascinare dentro al ritmo.


Foto di Paola Cazzaniga