Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Torri militari ingusce fortificate di Erzi nella valle di Armkhi, Inguscezia, Caucaso centrale. La valle della montagna Armkhi è illuminata dai raggi del sole al tramonto. Laltezza delle torri medievali è di circa 29 metri (95 piedi), intorno al XVI secolo. Erzi, Repubblica di Inguscezia - Foto tratta da commons.wikimedia.org


Il mio percorso (continua)

di Dario Culot



Poi, una sera, a una conferenza sulla morte – argomento non proprio gettonatissimo - cui occasionalmente ero stato invitato, ho conosciuto don Carlo Molari (morto l’anno passato), e anche se non saprei riproporre esattamente cosa aveva detto, ricordo che quella sera tutti sarebbero stati contenti di morire, anche subito.

Inoltre, sentivo per la prima volta dire da un teologo cattolico che noi possiamo catturare nella nostra vita solo frammenti di verità, mai la verità tutta intera. Imponendo la sua Verità totale e assoluta, nella convinzione di aver capito tutto, la Chiesa ha fatto in realtà svanire Dio. E come ha detto don Paolo Scquizzato, la religione sta morendo perché ha fallito il compito di essere custode del fuoco; oggi si limita a custodire le ceneri. In cambio, però, cresce sempre più forte la spiritualità, che è semplicemente un accostarsi al mistero, sentendosi parte di esso[1]. Ma il mistero non può essere svelato; al massimo riusciamo a percepire qualcosa anche se non capiamo bene. Dio deve essere per noi un’esperienza, non un’idea in cui credere.

Poi, sempre don Molari, sostenendo che le formule devono restare aperte,[2] mi ha anche dato una risposta ragionevole alla domanda: “chi è Gesù?”  senza ricorrere all’astrusa storia delle due nature e dell’unica persona divina. In effetti non ero riuscito proprio a digerire l’idea che Gesù era vero uomo senza però essere persona umana, visto che non conosco nessun uomo in carne e ossa che non sia anche persona umana.

Attraverso Carlo Molari ho conosciuto Giovanni Vannucci, o meglio i suoi scritti, perché era già morto da lungo tempo. Peccato! Sarebbe stato interessantissimo poter parlare direttamente con lui. E ricordo il primo capitolo di un suo libro che avevo letto e mi aveva fatto sobbalzare: “se le congregazioni romane che presiedono alla dottrina della fede fossero state di quel valore che pretendono di avere e che molti, oggi, riconoscono loro, questo risulterebbe dai vangeli: “un giorno a Roma si fonderanno quei dicasteri, ascoltateli!”  Invece nessun vangelo lo dice. Gesù ha soltanto detto: “ascoltate lo Spirito Santo” (Mc 13, 11; Gv 14, 16.26; Gv 16, 13), che, come sappiamo, soffia dove vuole (Gv 3, 8) e non si trova agli arresti domiciliari presso i capi della Chiesa cattolica.

E poi, sempre da una sua lettura, ho avuto un’altra grande indicazione: a chi Gesù affida i suoi seguaci al momento finale? Forse a Pietro, agli apostoli, ai loro successori, al magistero della futura Chiesa cattolica?

No. Nel momento cruciale in cui pronuncia le parole di commiato (Gv 17, 9ss.), a differenza di quanto ha fatto Mosè che aveva nominato Giosuè suo successore (Dt 34, 9), Gesù non li affida a Pietro che non viene affatto nominato suo successore e vicario; non li affida al magistero infallibile della Chiesa (cfr. invece n.85 Catechismo), non li affida ad una dottrina o a leggi divine insegnate dal magistero romano, non li affida nemmeno a sé stesso. Invece «Affida coloro che crederanno in lui al Padre, cioè a quella realtà misteriosa che è al di là di tutte le cose, che è all’origine e al termine di tutte le cose e che noi uomini non possiamo mai nominare senza ridurlo alla nostra piccolezza mentale di uomini. “Li affido a Te, consacrali nella verità, siano una sola cosa, come Io e Te siamo una sola cosa”; e vedete, in queste parole di Cristo, egli stesso scompare: noi siamo stati affidati alla presenza invisibile del Dio vivente».

Poi, sul sentiero verso Santiago di Compostela, parlando un altro camminatore italiano, questi mi incuriosì raccontandomi che sua sorella voleva far battezzare il figlio appena nato, mentre il suo compagno no. Li aveva mandati entrambi da frate Alberto Maggi. Cosa Maggi aveva loro detto non sa, ma il bambino è stato battezzato[3].

Questo Maggi mi ha ovviamente incuriosito e ho incominciato a leggere i suoi libri. Leggere Alberto Maggi, che scrive in maniera semplice, in modo che tutti possano capire, è stato come aprire le finestre di una stanza in cui l’aria non veniva cambiata da tempo, ed era ormai stantia e mefitica.

Insomma un autore tira poi l’altro: poi ho conosciuto José Maria Castillo, Ortensio da Spinetoli, Paolo Ricca, Bruno Mori e tanti altri, ed ho scoperto che esiste una Chiesa diversa da quella che avevo sempre conosciuto, con la quale potevo entrare finalmente in dialogo e anche trovarmi in sintonia, e dalla quale soprattutto non mi sentivo oppresso.

Così ho cominciato ad approfondire, e poi anche a scrivere; ma scrivo in primo luogo per me stesso, per cercar di schiarirmi le idee, utilizzando le idee di tutti questi scrittori che – prima di papa Francesco il quale ha messo al centro il Vangelo e non la dottrina - erano borderline, cioè ai limiti dell’eresia rispetto alla dottrina ufficiale (perché eretico è chi mette in dubbio una specifica dottrina tradizionale).

Ma sul punto mi è di conforto pensare che Gesù stesso è morto da eretico, condannato a morte dalla religione ufficiale (Mc 3, 6; 14, 1), perché aveva osato offrirci un’immagine di Dio completamente diversa da quella che veniva offerta dalla religione ufficiale. Come Socrate, anche Gesù era stato accusato, processato e condannato perché ‘non riconosceva le divinità tradizionali’ e quindi ‘corrompeva’ i giovani. 

In conclusione, come detto, ho ancora tanti dubbi, ma ho trovato consolanti le parole di papa Francesco:

- la grazia può avercela anche chi non crede[4].

- «Se una persona dice di aver incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza…se ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui…Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio. Si deve lasciare spazio al Signore, non alle proprie certezze»[5].

E allora per concludere, se qualcuno mi chiedesse se sono credente risponderei così:

“Io penso di essere credente, non so se molto o poco, ma comunque mi intriga il messaggio del Vangelo”. Quello che ho trovato in particolare affascinante nell’uomo Gesù è questa sua capacità di far sgretolare ogni volta l’immagine di Dio che gli uomini si erano costruiti. Se leggiamo il Vangelo e ci fermiamo a meditare, vediamo che in continuazione il Vangelo ci mette in crisi. E temo dica cose vere perché facilmente fingiamo di essere sordi ai suggerimenti del Vangelo[6].

- C’immaginiamo un Dio severissimo di cui bisogna aver paura, perché così ci hanno insegnato? Nella parabola dei talenti (Lc 19, 27) il re (che è Dio) risponde: “ti giudico sulla tua immagine che hai di Dio, e questa immagini ti si rivolta contro”. E la parabola ci fa capire che se Dio è cattivo, anche noi siamo cattivi.

- C’immaginiamo che bisogna meritare con i nostri sforzi la benevolenza di Dio, perché così ci hanno insegnato? E che per essere meritevoli dobbiamo mettere sempre Dio al primo posto e osservare le sue leggi?

Ma se solo leggiamo la parabola del buon samaritano vien fuori che non è così: un sacerdote scende da Gerusalemme per il sentiero impervio verso Gerico. Vede improvvisamente una persona a terra, che poi sarà soccorsa dal samaritano impuro peccatore, ma non si ferma perché teme che questa persona sanguinante e impura possa contaminarlo col suo sangue e renderlo a sua volta impuro, perché così stabilisce la legge divina (Lv 22, 4-5; Ag 2, 13). Ovviamente toccare un impuro andrebbe contro i suoi principi non negoziabili: il centro della propria vita deve essere Dio, la santità e la purezza perché se un sacerdote osa avvicinarsi a Dio in stato di impurità deve temere la sua ira (Es 19, 22; Sof 2, 2), e solo l’osservanza dei comandamenti divini santifica (Lv 22, 31-32), cioè rende veramente gloria a Dio. Per lo stesso sentiero scende di lì a poco anche un levita,[7] il quale si comporta esattamente come il sacerdote: vede e continua anche lui il suo cammino sul sentiero come niente fosse. Non siamo davanti a persone cattive[8]. Semplicemente, per ogni persona pia e religiosa, visto che al primo posto deve esserci Dio, è più importante onorare Dio che onorare l’uomo: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Dt 6, 5). La legge impone come principio non negoziabile di onorare innanzitutto e compiutamente Dio; l’altro, il prossimo, non va amato in questi termini assoluti, ma solo in termini relativi (Lv 19, 18): non con tutto il cuore, l’anima e la mente.

Gesù spiega invece che seguire la legge divina, come vuole la religione e come impone il magistero ancora oggi, rende atei. Con questa parabola, Gesù dimostra che la religione rende atei perché rende la persona disumana, e la persona diventa disumana ogniqualvolta ritiene più importante il rispetto di Dio e della sua Legge che i bisogni degli uomini. La parabola di Gesù chiarisce che solo onorando l’uomo si onora anche Dio, solo umanizzandosi sempre di più ci si avvicina al divino. E così fa il samaritano ritenuto miscredente dalla religione, che invece Gesù indica come il modello del nuovo credente. Se, credendo di onorare Dio, si disonora l’uomo, si va contro il Dio di Gesù,[9] per il quale le persone contano sempre più delle regole[10]. Il sacerdote ed il levita, persone religiosissime addette al culto e alle cerimonie nel santissimo Tempio di Gerusalemme (Nm 4, 1ss.; Dt 10, 8), mettono al primo posto le regole religiose, ma questo li rende atei, e solo credono di credere. La parabola del buon samaritano (Lc 10, 30) dimostra che più uno vuol essere santo, più uno vuole mantenere il suo stato di purezza per conservare il suo contatto diretto con Dio, più uno vuole obbedire alla legge divina, più è ateo, come lo è il sacerdote che, essendosi purificato nel Tempio, è convinto di trovarsi in grazia, per cui – secondo la religione – in lui dovrebbe essere impressa la bellezza del divino archetipo[11]. Il sacerdote, che scende in stato di purità da Gerusalemme, vuole mantenersi puro per Dio e non vuole farsi contaminare dall’impurità terrena: questo è ciò che ha imparato seguendo l’insegnamento del magistero, e la legge divina non ammette eccezione alcuna. Invece Gesù insegna esattamente l’opposto: se, credendo di onorare Dio, si disonora l’uomo, si va contro il Dio di Gesù,[12] per il quale le persone contano sempre più delle regole. Perciò, per Gesù, sarebbe impensabile un Dio che chiede a un padre di sacrificare il proprio figlio[13]. E qui c’è anche da chiedersi: una madre avrebbe accettato il sacrificio del figlio Isacco come ha fatto Abramo? Forse istintivamente la donna è più vicina di un maschio al pensiero di Gesù.

Magari questo sacerdote, come il levita che sopraggiunge di lì a poco, saranno stati anche soddisfatti di quello che avevano fatto, erano contenti di loro stessi, erano convinti di essere in stato di grazia, di essere veri credenti vicini a Dio perché si erano elevati verso il cielo tramite la purificazione. Magari arrivavano a cavallo canticchiando i grandi salmi che avevano appena recitato nel Tempio, dove si erano smacchiati di ogni impurità e resi graditi a Dio. Ma loro sono passati oltre. Il samaritano, dei tre il più lontano da Dio secondo l’insegnamento della religione, quello che doveva avere l’anima nera per i peccati e aver offeso Dio, si ferma, si sporca le mani, perde il suo tempo e il suo denaro per aiutare un uomo sconosciuto, e fa tutto questo gratuitamente, senza alcun secondo fine, senza minimamente pensare a cosa ordina la legge divina. È lui, senza saperlo, ad essere in stato di grazia, non il sacerdote e neanche il levita. È lui, senza saperlo, ad essere il modello di vero credente, mentre per la religione lo erano il sacerdote e il levita.

- C’immaginiamo, perché così ci hanno insegnato, che se facciamo del bene ma non siamo in stato di grazia santificante soprannaturale Dio non sa che farsene di quel bene e quindi è come se non avessimo fatto nulla. Solo la grazia (artt. 526 ss. Catechismo Pio X), cardine dell'insegnamento religioso, questo dono di cui siamo privati appena nati a causa del peccato originale e che possiamo e dobbiamo riacquistare col battesimo (n. 1997 Catechismo), questo strato di patina divina che sfugge alla nostra esperienza e può essere conosciuto solo con la fede (n. 2005 Catechismo), che comunica una radiosa bellezza, che ci spinge verso il bene, che ci rende puri e santi, oltre che partecipi della natura divina, ci porta a un livello soprannaturale. Perciò questo stato dell’anima esente dal peccato mortale dovuta al favore soprannaturale divino, che si può ottenere solo nella Chiesa attraverso i sacramenti[14]  e che – secondo la dottrina ufficiale – è l’unico che permette a un atto naturalmente onesto di essere elevato all’ordine soprannaturale e quindi di valere poi ai fini della vita eterna,[15] che fine fa alla luce della parabola del buon samaritano? Stando alla parabola, l’atto di amore servizievole di un cristiano in grazia e di un impuro extracomunitario che vive nel peccato hanno esattamente lo stesso valore. Ma come! Non ci hanno insegnato (art. 534 Catechismo Pio X; più sfumato n. 2005 Catechismo) che senza la grazia soprannaturale non si può compiere alcuna cosa che poi giovi alla nostra vita eterna? Che tutte le buone azioni fatte senza essere in grazia non hanno alcun valore per la vita futura? Lo ripeto, basta leggere la parabola del samaritano (Lc 10, 29-37) per scoprire che non è così.

- C’immaginiamo che, se non lo meritiamo con i nostri sforzi, Dio ci rifiuta. Nella parabola del padre misericordioso (Lc 15, 11-32) Gesù invece ci racconta che Dio, col peccatore, si comporta come quel padre misericordioso che scruta sempre l’orizzonte, aspettando il ritorno del figlio (Lc 15, 20); certo il primo passo l'ha fatto il figlio per ritornare, ma a tutto il resto pensa poi il Padre: quindi è sbagliato anche aver paura di Dio, perché il padre misericordioso non può far paura e, come dice Giovanni (1Gv 4, 18) nell’amore non ci può essere timore. Possiamo pensare che l’uomo Gesù avesse paura di Dio? Il suo Dio è un Dio che sta agli antipodi di quell'inquietante Dio che si trova ben radicato in buona parte della Bibbia e nell’insegnamento tradizionale che abbiamo ricevuto, con quel suo sguardo inquisitore e implacabile, di quel Dio dei farisei che premia e castiga, soprattutto castiga o quanto meno minaccia (e questo è ancora il Dio preferito dei credenti integralisti di oggi). Il Dio di Gesù non odia affatto il peccatore.

In conclusione, siamo a conoscenza di due cammini per cercar di trovare Dio: una via verticale che insegna che Dio si trova nella sottomissione e nell’ubbidienza, ed una via orizzontale che insegna che Dio si trova nella solidarietà, nella misericordia, nella sensibilità con il dolore e con la felicità degli altri. Secondo la prima via, troviamo Dio nella misura che siamo sottomessi e ubbidienti ai rappresentanti della legge divina e così via: e questa è la via preferita dei cosiddetti “cristiani conservatori” che apprezzano il papa teologo e pensano che l’attuale papa stia portando la Chiesa alla rovina. Secondo l’altra via, troviamo Dio nell'orizzontalità, cioè nella solidarietà, nella sensibilità, nel sapersi sintonizzare con il dolore, con la sofferenza, ma anche con la gioia, con la vita degli altri: e questa è la via dei cosiddetti progressisti, che apprezzano l’attuale papa che parla poco dei dogmi, ma molto di misericordia e di tenerezza.

L’esempio più chiaro di tutto il Vangelo per spiegare queste due vie è sempre la parabola del figliol prodigo. Due fratelli e un padre. Il fratello maggiore è l’esempio del rapporto verticale: “ho ubbidito, ho fatto tutto quello che mi hai ordinato, e non mi hai dato niente, neanche un capretto per far festa con i miei amici” (Lc 15, 29). L’altro, il disgraziato, il perduto, quello che è andato via, cosa dirà presentandosi al padre dopo aver sperperato tutto quel ben di Dio che aveva? Niente. Potrà portare a casa solo la sua povera condizione umana. E quando ha tentato di balbettare qualche spiegazione per giustificare la sua decisione di tornare a casa per fame (Lc 15, 18-19), il padre non gli ha permesso di spiegare niente: non gli ha lasciato neanche terminare l’atto di dolore che il giovane si era preparato giusto per giustificare il suo ritorno e poter mangiare (Lc 15, 21-22). Il padre lo ha già perdonato in anticipo; non ha bisogno di nessuna spiegazione, lo ha soltanto abbracciato, lo ha vestito, ha organizzato una festa, la cena che recrea y enamora[16]. Ecco l’immagine di Dio che ci mostra il Vangelo.

Potrei andare avanti a lungo così.

Superfluo, a questo punto, dire che spesso mi sento scoraggiato dalla mia mediocrità e dall’immensa distanza che mi separa dalla meta indicata dal Vangelo, che ha esigenze radicali: non basta abbandonare la barca e le reti per seguire Gesù per un certo periodo di tempo, perché si deve essere coerentemente disposti di andare sino al Calvario. Non credo di essere capace di arrivare a tanto. E come detto all’inizio, non credo neanche di riuscire a dare con la mia vita una vera testimonianza di fede perché nella vita ciò che conta non è ciò che si pensa, ma ciò che si fa. La fraternità è qualcosa di comune a tutti, ma la fraternità non è garantita naturalmente (pensiamo a Caino e Abele) per cui occorre attivarsi per diventare fratelli. La fraternità va costruita, e quindi occorre ancora costruire una Chiesa di fraternità.

Personalmente penso abbastanza (e spero con i miei scritti di aver comunicato a più persone un po’ dell’attualità e della vitalità del Vangelo), ma sono sicuro di non aver fatto e di non fare abbastanza.

Mi rendo anche conto che, come più volte hanno ripetuto Paolo Curtaz e don Luciano Locatelli, la maggior parte di noi crede di rendere contento Gesù costruendogli cappelle, chiese e facendo la comunione alla messa di domenica, ma questo nulla ha a che vedere con la richiesta di conversione[17] (Mc 1, 15).

Quando condividiamo il pane eucaristico possiamo pensare due cose:

- che la comunione è la via privilegiata fra noi e Dio perché ci fa guadagnare tanti bollini di merito che alla fine ci assicurano la salvezza.

- Oppure (e temo che questa sia la vera conversione) che la comunione ci deve spingere a seguire lo stile di vita terreno che ha vissuto Gesù, quello che ha fatto lui nella sua vita vivendo fino in fondo quanto aveva annunciato. E la sequela è seguire il Gesù storico, non il Cristo risuscitato.

La particola che si mastica[18] deve farci presente, dunque, lo stile di vita di Gesù. Si tratta di assimilare quel suo stile di vita terreno che ha generato altra vita, ricordandoci che lui è riuscito a perdonare perfino chi gli ha tolto la vita. Cosa per noi molto difficile, probabilmente impossibile.

Non è che con la comunione Dio ci fa diventare più buoni. Se poi ci comportiamo come ha fatto Gesù, e se lui fa così è perché ci dice che Dio fa così, saremo forse anche più buoni. Di nuovo occorre portare la nostra vita dalla dimensione verticale (uomo-Dio) a quella orizzontale (uomo-altri uomini).

Ecco, questo che ho narrato è stato il mio percorso spirituale nel corso degli anni, e continuo ad essere sempre in viaggio senza essere mai arrivato.



NOTE

[1] Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 21.

[2] Nello stesso senso ho sentito raccontare che il gesuita Moingt Joseph (nel libro Lo spirito del cristianesimo) ha detto “Il linguaggio dogmatico… non è più credibile, perché non tiene conto né della nuova storiografia dell’Antico Testamento, che rimette in discussione la rivelazione che la Chiesa sostiene di trovarvi, né nuove esegesi del Nuovo Testamento, ammesse da un grande numero di studiosi, che non permettono più di affermare. ad esempio, che Gesù si sia proclamato Figlio di Dio (nel senso del dogma), né che sarebbe morto volontariamente per espiare i peccati degli uomini …La Chiesa ha un problema con la verità”. Eppure questo suo libro, come i precedenti, non ha praticamente suscitato reazioni, come se si preferisse ignorarlo per non discuterne.

[3] E sempre in un libro di Molari ho trovato una risposta finalmente ragionevole al perché si battezzano i bambini appena nati, senza ricorrere alla fesseria del Limbo (Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 483ss.).

[4] Colloquio di Papa Francesco con Scalfari, “La Repubblica” 1.10.2013, 3.

[5] Spadaro A., Intervista a Papa Francesco, “La Civiltà Cattolica” n.3918/2013, 469.

[6] Mi piacciono le parole di papa Francesco: “c’è bisogno di una teologia che sia fatta da cristiane e cristiani che non pensino di parlare solo tra loro, ma sappiano di essere a servizio delle diverse Chiese e della Chiesa; e che si assumano anche il compito di ripensare la Chiesa perché sia conforme al Vangelo che deve annunciare” (Papa Francesco, Discorso ai teologi, 29.12.2017).

[7] I leviti sono i discendenti della tribù di Levi; l’unica delle 12 tribù d’Israele a non aver avuto la terra (Dt 18, 1; Nm 3, 8); in cambio i leviti erano i responsabili per tutto ciò che accadeva attorno al culto (Es 35, 25-29; Eb 7, 5). Erano gli inservienti del Tempio.

[8] Siamo cioè lontani dalla superbia pavesata di umiltà del vero giansenista: “Non mi avvicino a te perché sono cattivo e impuro. Perciò non mi chiedere amore” (Paoli A. Chi ha diritto di dirsi cristiano?, ed. EDB, Bologna, 2015, 129).

[9] Castillo J.M., Teología Popular (III), ed. Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 16ss.

Quando si parla del Dio di Gesù non s’intende affrontare il problema identitario se Gesù è Dio lui stesso o meno. S’intende solo evidenziare che Gesù ha rivelato in modo completamente nuovo il volto di Dio, parlando di un Padre misericordioso, di un Padre amorevole. Gesù descrive solo come si comporta Dio, non ci spiega mai chi è. Come non ha spiegato chi era lui.

[10] Non era questa l’opinione di Papa Pio XII, il quale riteneva assurdo che il caso particolare potesse prevalere sulla norma astratta e generale, perché: “Il segno distintivo di tale morale è costituito dal fatto che essa non si basa in alcun modo sulle leggi morali universali, come ad esempio i dieci comandamenti, ma sulle condizioni o circostanze reali e concrete nelle quali si deve agire, e secondo le quali la coscienza individuale è tenuta a giudicare e a scegliere; questo stato di cose è unico ed è valido una sola volta per ciascuna azione umana. Perciò la decisione della coscienza, affermano coloro che sostengono tale etica, non può essere imperata dalle idee, dai principi e dalle leggi universali […]. Espressa sotto questa forma, l’etica nuova è talmente al di fuori della Fede e dei principi cattolici che persino un bambino, se conosce il suo catechismo, se ne può rendere conto e lo può percepire” (in www.vatican.va/ Sommi pontefici/ Pio XII/ Discorsi/1952/ Alle partecipanti al Congresso della Federazione Cattolica Mondiale della gioventù femminile/18 aprile 1952/ §8). Ancora Papa Giovanni Paolo II era dell’idea che è errato pensare che “tenendo conto delle circostanze e della situazione, si vorrebbe legittimamente fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale”, ma “in tal modo si instaura una separazione, o anche un’opposizione, tra la dottrina del precetto valido in generale e la norma della singola coscienza, che deciderebbe di fatto, in ultima istanza, del bene e del male”. Col che, seguendo questa strada, si finirebbe per  andare contro l’insegnamento del magistero e contro la legge divina (in www.vatican.va/ Sommi Pontefici/ Giovanni Paolo II sito web/ Encicliche/ Veritatis splendor 6.8.1993, §§52-56).

Meno male che il samaritano non aveva letto queste encicliche, e che infischiandosene della legge divina e degli insegnamenti del magistero ha seguito la sua coscienza.

[11] Olgiati F., Il sillabario del Cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1956, 74. Archetipo è il primo esemplare assoluto e autonomo. Nella definizione dell’Olgiati, archetipo sta per Dio.

[12] Castillo J.M., Teología Popular (III), ed. Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 16ss.

[13] Kierkegaard (richiamato da Buber M., L’eclissi di Dio, ed. Passigli, Firenze-Antella, 2001,107ss.) aveva acutamente osservato che, se Dio domanda ad Abramo di uccidere Isacco (e la legge divina non ammette eccezioni), significa che la validità dell’obbligo morale “non uccidere” – può essere sospesa da qualcuno superiore, dall’Essere Supremo, secondo le sue insindacabili intenzioni: per la durata di tale azione è cioè sospesa l’immoralità dell’azione immorale; anzi, ciò che è di per sé malvagio e condannabile diventa improvvisamente buono perché è gradito a Dio. Il dovere nel campo dell’etica perde conseguentemente l’assolutezza se viene messo a confronto col dovere assoluto verso Dio. Ma allora, il dovere è l’espressione della volontà di Dio, ed è sempre Dio a stabilire l’ordine del bene e del male, per di più da persona a persona (perché la sospensione vale solo per Abramo, ma non per gli altri padri contemporanei di Abramo), che magari avrebbero volentieri sacrificato il proprio figlio adolescente. Si chiede un autore: “Perché Dio chiese ad Abramo di sacrificare suo figlio Isacco quando aveva dodici anni?” E risponde: perché se ne avesse aspettato l'adolescenza (passati i tredici) non sarebbe stato un sacrificio (Berger M., Il giardino della luce, ed. Piemme, Milano, 2011,224).

[14] Vagaggini C., Il senso teologico della liturgia, ed. Paoline, Roma, 1965, 191.

[15] Olgiati F., Il sillabario del Cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1956, 69 s. e 76 s.

[16]San Giovanni della Croce (Cántico espiritual, Strofa 15), riportata in http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=2294

[17] Convertirsi, cambiare vita, significa seminare qualcosa di buono nel nostro ambiente (famiglia, lavoro, quartiere, politica), anche se nessuno può pensare di cambiare il mondo da solo.

[18] Vi ricordate quando al catechismo insegnavano che non bisogna assolutamente toccare l’ostia con i denti? Ma il vangelo ci dice che invece bisogna ‘masticare’ (Gv 6, 53). Non si fa la comunione con Gesù dicendo: “Oh quanto ti amo Gesù, sei tutto per me!”

Scomparendo davanti ai due di Emmaus Gesù sottintende che non è assolutamente solo per loro, ma per tutti (Lc 24, 31).

Dovremmo perciò dire: ‘faccio comunione, con colui che mi ha indicato uno stile di vita e m’impegno pure io a portarlo avanti’. Perciò il memoriale è riferito alla vita e al modo di vivere di Gesù, non a una cerimonia sacrificale come ci hanno insegnato.

 


Numero 718 - 18 giugno 2023