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La teologia di Castillo


di Dario Culot

 Foto tratta dalla rete

Dicono che quando i grandi cadono, tocca ai piccoli proseguire. Ma sarà assai difficile colmare il vuoto che ha lasciato il grande José María Castillo, uno degli scrittori più importanti della teologia contemporanea. Gesuita profondamente radicato nel Concilio, e per questo spesso deviante rispetto alla visione teologica di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, proprio per questo motivo, nel 1988, era stato allontanato dall’insegnamento da Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, senza alcuna accusa formale, cosa giustamente mai digerita da Castillo[1]. Come si vede nella foto, è stato riabilitato appena qualche anno fa da papa Francesco.

Oggi, per ricordare questo gigante della teologia, cercherò di riassumere a grandi linee la sua impostazione teologica[2] (sperando di essere fedele riassuntore del suo pensiero), che mi ha da subito colpito e convinto, e che sicuramente ha contribuito a farmi cambiare la precedente immagine di Dio che avevo appreso col catechismo e con l’insegnamento tradizionale.

Innanzitutto questo teologo è stato capace di parlare di Dio parlando di noi; cioè ha parlato alla gente, a livello della gente, senza mai usare un linguaggio di élite, senza volare a quote stratosferiche che solo gli studiosi di filosofia capiscono. Tutti possono leggere i suoi libri.

Ha cominciato col dire che, se l’evangelista Marco inizia con l’annuncio della Buona Novella di Gesù (Mc 1,14), da portare ad ogni creatura (Mc 16, 15) e soprattutto ai derelitti (Lc 4, 18s.), è chiaro da subito che la dottrina insegnataci non appare in linea con quanto dice il Vangelo. Quale sarebbe infatti questa buona notizia che invece non ci è stata annunciata? Che Dio è buono; che Dio è amore e da questo amore di Dio nessuna persona, qualunque sia la sua condotta nella vita, può sentirsi esclusa; che la vita non finisce con la morte;[3] che Dio si dona gratuitamente a tutti (non solo ai meritevoli), non si può comprare; non siamo noi in grado di farlo venire nelle nostre vite, ma è Lui che prende l’iniziativa e chiede soltanto di essere accolto qui, sulla terra, in modo che, potenziati da Lui, si diffonda in spirito di servizio questa onda di amore sugli altri, sì da rendere la vita migliore adesso, sempre qui sulla terra. Dunque Dio non è mai un pericolo per l’uomo, e di Dio non si può avere paura.

Non molto di più possiamo dire di Dio. In effetti, nel libro L’umanizzazione di Dio, EDB Bologna 2019, il teologo Castillo parte da tre domande fondamentali: la domanda su Dio; la domanda sul Dio escludente; la domanda sul Dio violento, tutte cose insegnateci dalla religione. Ma se noi umani siamo costretti a rimanere nell’ambito dell’immanenza, mentre quando si parla di Dio c’imbattiamo nell’insuperabile barriera della trascendenza,[4] tutte le rappresentazioni che ci facciamo di Dio (apprese dal magistero o pensate da noi) sono solo delle nostre rappresentazioni mentali, e non sono mai Dio. Quando Dio entra come termine nel nostro discorso, siamo già fuori strada. Quel poco che possiamo sapere di Dio è solo quello che di Lui ci ha insegnato Gesù. E se Gesù ha per tutta la sua vita risanato, ha cercato di alleviare le sofferenze umane, ma non mai castigato nessuno,[5] vuol dire che Dio si comporta così.

Conseguentemente non ha senso chiedersi se Gesù è Dio o non è Dio, perché cercar di dire chi è Dio è proprio quello che non sappiamo e non possiamo sapere[6]. La Chiesa ci ha invece imposto di credere che il Dio da lei spiegato è proprio l’unico vero Dio, che Gesù è il nostro unico Salvatore e unico mediatore fra noi e questo Dio. Ma così, escludendo ogni altra possibilità e combattendo chi non la pensa in questi termini, la Chiesa presenta necessariamente un Dio escludente e – soprattutto in passato - anche violento, avendo noi cristiani cercato di imporlo al resto del mondo con disumana violenza. Il Dio Padre, illustratoci da Gesù, non corrisponde al Dio illustratoci dalla religione, la cui visione divide e fa scontrare gli uomini, anziché unirli.

Poi, tutti noi uomini portiamo, nel profondo di noi stessi, una disumanità che ci spinge ad espanderci senza sosta, con la pretesa di appropriarci di tutto e di tutti, per cui non realizziamo il progetto creativo di una nostra piena umanità. Gli uomini non sono nati perfetti; siamo imperfetti, limitati, e ancora in piena evoluzione, solo tendenti verso una perfezione che si troverà alla fine (se mai ci arriveremo, se non ci auto-distruggeremo prima). Basta pensare ad Adamo quando Eva gli si para davanti: “Eva è roba mia!”[7] Se è roba mia ne faccio quello che voglio, e quindi la causa di tanti femminicidi sembra essere piuttosto antica. Siamo ben lontani dall’idea di una coppia originaria perfetta.

Dunque, la prima pietra da cui Castillo parte nella sua costruzione teologica è la contrapposizione fra umano e disumano. Nel progetto di Dio l’uomo deve arrivare a superare la disumanizzazione (l’imperfezione) che porta dentro di sè, e in questo senso, dire che Dio si è incarnato significa dire che Dio si è umanizzato; l’incarnazione di Dio manifestata in Gesù non è nient’altro che il massimo dell’umanizzazione cui può arrivare l’umanità. La conseguenza è che il punto d’incontro con Dio non sarà mai il divino (per noi irraggiungibile in quanto trascendente), ma sempre e solo l’umano (unico ambito per noi raggiungibile)[8]. Perciò è proprio nell’incontro con l’altro essere umano che abbiamo a disposizione l’unico modo per incontrare quello stesso Dio che anche preghiamo in chiesa.

Visto che il fulcro del cristianesimo sta nell’incarnazione, questo significa che Dio ha rinunciato alla sua condizione divina e si è identificato con l’umanità. Quindi l’uomo non deve sforzarsi di salire per divinizzarsi, perché è Dio ad essere sceso per umanizzarsi. Ecco perché possiamo incontrare Dio solo in ciò che è umano, per cui bisogna pensare a ciò che è specificamente umano, cioè a quello che è comune a tutti gli esseri umani, a prescindere da sesso, razza, lingua, convinzioni politiche o religiose, condizioni personali o sociali[9].

In effetti, il Dio presentato nei vangeli si fonde con l’umano, perché Gesù dimostra che a Dio, che si comporta come un buon Padre, ciò che interessa è il bene dei suoi figli, cioè di tutti gli esseri umani, già qui sulla terra. Lo stesso Regno di Dio, che non ci dobbiamo aspettare cali miracolosamente dall’alto, ma che dobbiamo noi stessi aiutare a costruire con la nostra attiva collaborazione, ha – stando ai vangeli,- tre obiettivi assai terreni, e quindi profani:[10]

1. La salute delle persone (motivo per cui Gesù cura tanti infermi);

2. Il cibo. E non basta neanche che tutti abbiano da mangiare perché Gesù invita alla condivisione della tavola, a non a mangiare da soli (motivo per cui Gesù partecipa a tanti pranzi).

3. La felicità o quanto meno la serenità delle persone su questa terra, che si ottiene soprattutto con le sane relazioni. Mentre Giovanni Battista si era interessato in primo luogo del peccato e della confessione dei peccati (Mt 3, 5s; Lc 3,3), il centro dell’interesse di Gesù è stato la vita, la felicità e la gioia della gente.

È piuttosto evidente che tutti e tre questi obiettivi sono di solito fuori della religione, e anzi visti con sospetto dalla stessa. La religione preferisce accompagnare le persone verso la perfezione dell’anima e la santità. Gesù invece non è stato affatto spirituale nel senso che intendiamo di solito noi, tanto che già i suoi contemporanei lo vedevano come un mangione ed ubriacone (Mt 11, 19), non certo come un’asceta.

Per gli ebrei la perfezione fisica andava di pari passi con la perfezione spirituale, e in Israele coloro che avevano handicap fisici (come i ciechi, gli zoppi, gli amputati) erano esclusi dalla vita religiosa: non potevano neanche entrare nel sacro Tempio (Lv 15, 31; 2Sam 5, 7s.). Gesù invece fa capire che non è vero che Dio esclude qualcuno, e afferma che si è integri dinnanzi a Lui perfino con la menomazione fisica autoinflitta pur di evitare di creare scandalo fra i piccoli (Mt 18. 7ss.). Allora scandalosa può essere proprio la ricerca della perfezione spirituale, perché così si guarda con disprezzo quanti non raggiungono uno standard accettabile da chi si sente già giusto e arrivato (Lc 18, 11: è il caso del fariseo), oppure si finisce col pontificare e mettere sulle spalle degli altri pesi insopportabili.

Quindi Gesù non è venuto a divinizzarci, a santificarci, e neanche a salvarci dal peccato, ma semplicemente a mostrarci una via per liberarci dalla nostra disumanità, ancora profondamente radicata nell’umanità. La disumanità mette al centro il proprio ‘ego’,[11] mentre solo quando si mette al centro il bene degli altri, ci si cura degli altri con misericordia, con gratuità e in spirito di fratellanza, ci si libera della propria disumanità.

Quello che Gesù ci ha detto e insegnato con la sua vita non è stata dunque una nuova religione, ma un «nuovo modo di vivere». Quest’ultima affermazione richiede una spiegazione. Nella storia di ogni religione la prima cosa che emerge è la definizione e la delimitazione di ciò che è sacro e religioso, affinché questo resti da parte, separato e messo al di sopra del profano e del secolare. Il sacro è ciò che si relaziona direttamente col divino, mentre il profano è ciò che appartiene all’umano. Il sacro, pertanto, è proprio di Dio, mentre il profano è proprio dell’uomo. Per questo le religioni stabiliscono luoghi sacri (i templi), persone sacre (i sacerdoti), oggetti sacri (gli altari, le immagini dei santi e gli angeli, le pissidi, i calici, i canti religiosi...) tempi sacri (giorni di precetto, feste religiose), norme sacre (alimenti che non si possono prendere, giorni in cui non si deve mangiare, proibizioni relative alla vita amorosa e sessuale, al lavoro, al riposo...)[12]. Gesù, pur volendo portare la gente a Dio,  non ha ordinato di costruire neanche un cappella, non ha individuato luoghi sacri, non ha organizzato alcun luogo di ritiro o di preghiera, non ha chiesto di fare oggetti sacri, non ha ordinato nessun sacerdote (neanche fra i 12 apostoli), si è fatto seguire anche dalle donne contravvenendo a una lunga tradizione; non ha proibito di mangiare certi cibi, non ha chiesto di digiunare in certi giorni, non ha organizzato funzioni religiose, non ha scritto né ordinato di scrivere un codice di regole religiose o liturgiche. Insomma, ha fatto esattamente tutto il contrario di quello che hanno sempre fatto i fondatori di religioni. Anzi, i vangeli raccontano come Gesù è vissuto e ha parlato in modo tale da entrare in costante conflitto con la religione, con i rappresentanti di Dio in terra (cioè con i sacerdoti e gli scribi), col Tempio, con le persone pie ed osservanti della religione (i farisei), che pretendevano obbedienza ai loro insegnamenti[13].

Il centro dell’attenzione dei «religiosi» è ancora oggi il culto sacro, l’adorazione di Dio, l’adorazione dell’ostia consacrata, il peccato che offende Dio; nella logica della religione, tutte queste cose stanno al di sopra del meramente umano. Al contrario, con la parabola del buon samaritano (Lc 15, 11ss.) Gesù fa chiaramente intendere che la religione (rappresentata dal sacerdote e dal levita) non risolve la situazione, mentre chi la risolve è l’eretico (rappresentato dal samaritano), che essendosi occupato di quella urgente necessità umana, viene indicato come il modello del credente, anche se dalla religione era considerato un miscredente senza Dio. Quindi, ciò che Gesù realmente insegna è che la necessità umana viene prima dell’osservanza divina: l’uomo viene prima di Dio. Se Gesù vuole che si soccorra il sofferente, siamo esattamente all’opposto di quanto insegnato dalla religione: “La sofferenza deve essere dolce e saporosa per amore di Cristo…la sola strada che porta alla vita è quella della santa croce e della mortificazione quotidiana…Gesù è morto in croce per te…se davvero vuoi amare il Signore e servirlo, ti resta soltanto il patire…”[14].

Anche quando Gesù invierà in missione i suoi, darà l’incarico di cacciare i demoni e guarire dalle malattie. Quindi Gesù non affida ai suoi apostoli una “missione religiosa”, ma una “missione umanitaria” (Mt 10, 1; Lc 9, 1), una missione di cura per alleviare le sofferenze della gente. Mai Gesù ha detto ai suoi discepoli di andare in cerca dei peccatori per convertirli dei loro peccati, e proprio questo atteggiamento ha suscitato stupore perfino in Giovanni Battista (Mt 11, 2), il quale nella sua missione aveva invece sempre minacciato l'imminente arrivo di un Messia che, con la scure, avrebbe stroncato i peccatori, e non si capacitava del comportamento di Gesù che sembrava trovarsi perfettamente a suo agio con tutta quella marmaglia di gente impura senza Dio. Ma anche nella risposta data agli emissari del Battista, Gesù elenca semplicemente una serie di condotte utili ad alleviare la sofferenza della gente[15]. E così anche nel giudizio finale (Mt 25, 31-46) il criterio scelto da Dio per giudicare gli uomini non sarà il peccato, ma sempre e solo la sofferenza degli altri[16].

In conclusione, Gesù non è venuto a divinizzarci, a santificarci, e neanche a salvarci dal peccato, ma semplicemente a mostrarci una via per liberarci dalla nostra disumanità, ancora profondamente radicata nell’umanità. Attraverso questa via, una via laica più che religiosa, materiale più che spirituale, possiamo incontrare il Dio di Gesù e avvicinarci al divino. Chiaro, allora, che prevale una via orizzontale, rivolta agli altri esseri umani, rispetto a una via verticale rivolta solo alla ricerca di un Dio soprannaturale. Questo, se si vuol prendere seriamente l’idea di sequela, cioè cercar di comportarci come Gesù si è comportato in terra. Se Dio umanizza sé stesso per salvarci, se cioè Dio si è abbassato al livello umano, dobbiamo anche pensare che questo Dio salvi a livello umano, su questa terra, e non nell’aldilà. In effetti Castillo ci fa notare che nei vangeli sinottici, il Salvatore è un uomo. I sinottici, quando parlano di salvezza, si riferiscono a situazioni di sofferenza e di minaccia che riguardano questa vita, riferendosi soprattutto alla cura degli infermi come salvezza. Una salvezza che, a quanto indicano i testi, si attribuisce alla fede dell’essere umano: «la tua fede ti ha salvato» (Mc 10, 52; Lc 7, 50; 8, 48; 17, 19; 18, 42), tenendo anche presente che si tratta di una salvezza integrale, che sana sia il corpo che la dignità della persona, com’è il caso di Zaccheo: «Oggi è arrivata la salvezza in questa casa» (Lc 19, 9). In queste situazioni non si fa menzione di intervento divino, bensì di decisioni umane[17]. Non si parla di salvezza per l’aldilà, ma di oggi, qui, sulla terra.

I dogmi e la dottrina, con tutte le loro verità assolute insegnate dalla Chiesa, sono stati imposti dopo Costantino (313 d.C.), quando trono e altare si sono coalizzati per operare congiuntamente nella società, convenendo ad entrambi appoggiarsi l’un l’altro per conservare il potere. Ovvio che, avendo lo stesso Costantino convocato il primo concilio (quello di Nicea) da lì non sarebbe mai potuta uscire una dottrina che fosse in opposizione netta con gli interessi dell’imperatore romano. È del tutto evidente che per Costantino era molto meglio essere equiparato a Dio, al quale tutti devono obbedire, piuttosto che essere indicato come il servitore di tutto il popolo di fronte al quale era lui a doversi mettere in ginocchio (Gesù invece aveva detto di essere venuto per servire – Mc 10, 45). Inaugurato il connubio con il potere statale, anche la Chiesa ha goduto di un potere sempre maggiore, perché in vari posti riusciva a erodere il potere imperiale, condizionandolo. Questo avveniva specialmente in Occidente, mentre a Costantinopoli, in Oriente, l’imperatore lì presente riusciva ad evitare un’eccessiva ingerenza della Chiiesa nella politica. Ma così agendo, la nostra Chiesa si è conformata al Vangelo oppure all’Impero?

Se il cristianesimo, progetto di umanizzazione dell’umanità, è diventato una religione che ha creato tanti conflitti, divisioni e sofferenze, si spiega con almeno due motivi:

1) Nella Chiesa – osserva il prof. Castillo - c’è una confusione irrisolta dopo tanti secoli, dovuta alla mescolanza fra Vangelo di Gesù e religione che proveniva dal giudaismo. Ebbene, questa fusione di “religione” e di “Vangelo” non è stata ancora risolta, perché la Chiesa, in modo del tutto naturale, vive un gran numero di cose che contraddicono ciò che Gesù, la Parola di Dio e il Figlio di Dio, ha detto e fatto. E Gesù ha dato tanta importanza a queste cose da perderci la vita. Si riferisce in particolare al “potere” ed alla sua maniera concreta di esercitarlo. Al “denaro” e ai rapporti oscuri che la Chiesa ha con questa questione capitale. E alle “relazioni umane” che la Chiesa mantiene, e che non sono sempre relazioni di “uguaglianza” e “bontà” nell’amore reciproco[18].

2) Avendo poi preteso di essere l’unica religione legittimata a sedere nei posti della Verità, questa Chiesa cattolica sta occupando dei posti che non è in grado di occupare dopo aver razionalmente convinto gli altri, ma solo in virtù della pretesa d’imporre la sua autorità e il suo potere. Cosa c’è di più di anticristiano di questo, visto che per tutta la sua vita terrena Gesù ha presentato un percorso che libera dalla morsa del potere? La conseguenza pratica è che gli integralisti cristiani, aggrappandosi a una dottrina cristallizzata nei secoli, hanno finito per portare con sé divisione e contrasto,[19] piuttosto che speranza e vita in questo mondo malandato, quando compito del cristiano non avrebbe dovuto essere quello di credere e combattere per dei dogmi, ma quello di collaborare al Regno di Dio attraverso opere che comunicano, arricchiscono e restituiscono vita a chi vita non ha. Il Dio-Padre di Gesù si accontenta che ogni uomo ravvivi il suo piccolo angolo di mondo in cui vive; non gl’interessa invece riceve lodi e sacrifici (Mt 9,13; 12,7; Os 6,6: “Misericordia io voglio e non sacrifici”).

Dunque il credente integralista è il primo a creare divisioni nel mondo, perché se solo l’altro rifiuta di venire passivamente assimilato non resta che la sua espulsione o l’eliminazione fisica: o l’altro si adegua, o l’integralista cancella l’altro dalla propria vita. Ma se solo ci fermiamo a meditare sui vangeli è piuttosto evidente che un Gesù che divide e porta allo scontro gli esseri umani non è e non può essere il vero Gesù[20].

Visto che il vangelo aveva già detto: ‘Tutti sapranno che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri’ (Gv 13, 35), dovrebbe anche essere ormai assodato che se Dio è Amore (e l’amore è un’esperienza, non un dogma metafisico) qualsiasi messaggio imposto viene in realtà dalla religione, ma non può venire da Dio, perché l’amore è di per sé a forma libera e non sorveglia nessuna porta d’ingresso[21]. L’amore è una relazione di cura, libera e creativa, mentre un amore cristallizzato nei dogmi resta soffocato e muore.

Ma se Gesù non ha fondato questo tipo di «religione cattolica» alla quale molti si aggrappano fanaticamente,[22] non ha neanche fondato la «Chiesa cattolica» che abbiamo adesso, con tutte quelle cattedrali, templi, conventi, con tante leggi, tante disuguaglianze fra chierici e non chierici, fra vescovi e il resto dei mortali. Evidenzia come le pratiche religiose, il potere e lo sfarzo della Chiesa abbiano raggiunto un livello tale e un’importanza tale nel cattolicesimo, che per molti cattolici questi elementi hanno finito con l’essere più importanti del Vangelo stesso[23]. E purtroppo più importanti anche del modo di vivere che nel Vangelo Gesù ci ha raccomandato come fulcro e centro delle nostre vite.

Per come ce la raccontano i vangeli, è evidente che a Gesù neanche è passata per la testa l’idea che avrebbe potuto essere il fondatore di tutto questo solenne e grandioso allestimento. La messa in scena che vedono i turisti che visitano Roma, o anche le solenni cerimonie cui assistono quelli che vanno nelle cattedrali nei giorni di festa, hanno poco a che vedere col Vangelo.  Come si può vedere una somiglianza fra tutto questo e Gesù, salito in groppa all’asinella che lo ha portato al tempio, dove lo stesso Gesù ha preso una sferza e, con poche e decise frustate, ha buttato all’aria le attività e i banchi dei commercianti del culto sacro? Cosa c’entrano tante cose che vediamo e sentiamo dire, che ci vengono comandate e proibite durante le messe e le funzioni religiose, nelle chiese e nei conventi? Cosa c’entra tutto questo con la vita condotta da quel povero e semplice viandante che andava su e giù per la Galilea, dicendo e facendo cose che già rendevano nervosi i preti di allora, fino a far imbufalire i capi religiosi, i quali non si sono fermati fino a quando non lo hanno ucciso appendendolo a un legno come se fosse il più spregevole dei delinquenti?[24]

Gesù è morto perché così ha deciso l’istituzione religiosa di allora;[25] Gesù, che si è scontrato per tutta la sua vita pubblica con l’istituzione religiosa, è stato considerato un pericolo dal magistero ecclesiastico resosi conto che se la Buona Novella avesse preso piede, l’istituzione avrebbe finito per perdere la posizione di unica mediatrice tra l’uomo e Dio, e conseguentemente la posizione di privilegio all’interno della società ebraica. Se la gente crede davvero a Gesù e al suo messaggio, crede che Gesù è sempre in mezzo alla gente (Mt 28, 20), i sacerdoti non hanno più niente da fare: si chiudono le porte del Tempio, non occorre più il Tempio perché Dio è presente sempre, mentre insegnavano che il tempio era l’unico segno della presenza di Dio in terra. Di più: fin tanto che il magistero riesce a convincere le persone che tra gli uomini e Dio c’è distanza abissale, la religione e l’istituzione sono salvi.

Il triste è che la stessa situazione si è ripetuta con la nostra Chiesa. Se Dio è lontano dagli uomini, se gli uomini non gli si possono rivolgere hanno bisogno di mediatori, ed ecco allora i sacerdoti. Questi mediatori, a loro volta, si possono rivolgere a Dio soltanto mediante complicati riti, ed ecco la liturgia. Inoltre non tutti i luoghi sono adatti a svolgere queste pratiche, ed ecco le chiese. Si è ripetuta tale e quale la situazione del Tempio di Gerusalemme. Non ci hanno infatti insegnato che Gesù-Dio è presente nel tabernacolo?

Se si pensa pacatamente a tutto questo, dice Castillo,[26] ci renderemo subito conto che qui c’imbattiamo in un punto che è più serio di quello che sembra  a prima vista. Perché, in fin dei conti, quello che ci dicono i vangeli è che possiamo incontrare Dio (il Padre del Cielo) quando viviamo onestamente, quando rispettiamo gli altri, quando siamo buone persone e aiutiamo tutti quelli che hanno bisogno di noi. E soprattutto, quando non tolleriamo di veder soffrire quelli che sono vittime delle ingiustizie da parte di coloro che possono commetterle, perché hanno il potere di calpestare quelli che sono d’intralcio.

In pratica, un cristiano se volesse vivere vere relazioni con gli altri dovrebbe fare semplicemente quello che sta scritto nel Vangelo: 1) Non avvicinarsi all’altare, se sa che qualcuno ha qualche lagnanza contro di lui. 2) Non dire mai nulla che offenda o disturbi l’altro. 3) Prima che si arrivi alle mani o alle lotte giudiziarie, regolare amichevolmente i tuoi problemi[27]. 4) Non permettere che ci domini il desiderio di appropriarci di quello che non ci appartiene: sia la moglie di un altro, o delle cose di un altro (cfr. anche Es 20,17). 5). Non non mettere Dio dove non lo si deve mettere; neanche giurare nel suo nome perché la propria credibilità deve essere tale che basta la propria parola.

Sta di fatto che, se prendiamo sul serio quello che ha fatto e detto Gesù, tutto quel suo stile di vita non ha molto a che vedere con la religione che pratichiamo oggi, né con la Chiesa cui apparteniamo come i cattolici. E allora, a cosa ci ancoriamo? A questa religione e a questa Chiesa che nessuno sa, con sicurezza, né da dove viene e né dove va? Non dovremmo cercar di recuperare per davvero quella che è stata la specificità di Gesù e di vivere in accordo col Vangelo?

Di certo, se andare in chiesa e praticare la solita religione ci aiuta anche ad essere brave persone, in questo caso vanno bene anche le messe e le omelie. Però che nessuno usi la Chiesa, la religione, il battersi il petto e le tante preghiere, e cose del genere, per dire che – una volta fatto questo,-  ha la coscienza a posto e le mani pulite. Chi pensa e parla così inganna sé stesso, e si presenta agli altri come un perfetto ipocrita[28].

Insomma, il futuro è tutto da costruire.

 

Molto probabilmente, arrivati fin qui, ci saranno persone che si sono sorprese, o forse anche scandalizzate. Ma se uno prende in mano i vangeli e comincia a leggerli con calma, come fosse la prima volta, non potrà non prendere atto che tutto quello che ha sostenuto il prof. Castillo sta scritto esattamente nei vangeli, per cui non si può più rimanere ancorati alla solita vecchia religione insegnataci, per lo meno come molta gente è ancora abituata a intenderla e a praticarla.





NOTE


[1] Ma è stato correttamente detto che ha sbagliato i conti chi pensava di lasciargli solo l’umano togliendogli  il ‘divino’ una volta toltagli la cattedra. Infatti la teologia di Castillo ha proseguito evidenziando che solo nell’umano possiamo trovare il divino (Campedelli M., José María Castillo, “Don Chisciotte” della teologia, in Adista n. 40 del 25.11 2023, 3).

[2] Troverete sicuramente maggiori approfondimenti in tutti i suoi libri e articoli, e particolarmente nel suo libro che ho avuto l’onore di tradurre in italiano insieme all’amico Lorenzo Tommaselli, L’umanizzazione di Dio, edizioni EDB, Bologna, 2019.

[3] Mentre per i greci la morte era il limite più grande della vita, per cui nella loro etica era profondamente radicato il senso del limite dell’uomo, il cristianesimo ha portato questa ventata di speranza assolutamente innovativa: “la vita prosegue oltre la morte”. Inoltre ha fatto gran uso del concetto di libertà; ora, se uno è libero è anche responsabile delle proprie azioni, e se è responsabile è anche punibile quando trasgredisce. Da qui l’etica cristiana basata sull’intenzione dell’uomo che agisce, perché agisce liberamente. In particolare questa seconda linea di pensiero è stata fondamentale nello sviluppo della cultura europea. Per fare un facile esempio, basta pensare a come tutto l’ordinamento giuridico europeo abbia seguito il cristianesimo, giudicando ogni azione, che è decisa liberamente, in base all’intenzione di chi l’ha posta in essere (pensiamo all’omicidio, che può essere colposo, preterintenzionale o doloso).

[4] E la caratteristica della trascendenza, rspetto all’immanenza, è per definizione l'incomunicabilità.

[5] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 195.

[6] Se Dio non è alla nostra portata, se ciò che possiamo sapere di Dio è solo un’approssimazione lontana, quando parliamo di Dio ne facciamo una cosa, un oggetto della nostra cognizione, per quanto a tale oggetto si ponga il solenne nome di Assoluto, Altissimo, Onnipotente, ecc. Se Dio trascende tutti, ciò vuol dire che nessuno lo può abbracciare, né comprendere, né descrivere, né analizzare (Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 76).

[7] Gn 2, 23: Adamo parla solo lui; non chiede niente ad Eva, neanche chi è e come si chiama. Da vero macho ancestrale decide subito tutto lui.

[8] Invece molti cristiani ancora pensano che per avvicinarsi a Dio occorre allontanarsi dall’umano (Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 263).

[9] Guarda caso è proprio quello che sostiene la nostra Carta costituzionale all’art.3.

[10] Come ben spiega il prof. Castillo J.M., nel suo libro L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 235ss.

[11] L’egocentrismo è una economia molto precisa: tutti i costi li scarichiamo sugli altri.

[12] Castillo J.M., Teología popular I, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2012, 107.

[13] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 253: I Vangeli narrano che i discepoli di Gesù diedero prova evidente, in diverse occasioni, di sete di potere (chi era il più grande Mc 9, 34; Mt 18, 1; Lc 9, 46, 22,24 – chi pretendeva i primi posti Mc 10, 37; Mt 20,21). Gesù fu in questi casi sempre tagliente: chi vuol essere il più grande si metta a servire e diventi l’ultimo. Non è questione di umiltà: Gesù vide che si giocava qualcosa di molto più serio. C’era in gioco niente meno che il problema di Dio e la fede in Dio. Il Dio che si è rivelato in Gesù è il Dio che si fa presente nel piccolo, nella gente semplice. Non è il Dio del potere assoluto. Non è il Dio che mostrano coloro che ad ogni costo esigono obbedienza e sottomissione schermandosi con l’argomento che essi sono la voce del Dio onnipotente.

[14]De imitatione Christi, Libro II, Cap.XII.

[15] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 59: per Gesù la cosa principale è porre rimedio alla sofferenza umana.

[16] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 65: Il giudizio non si farà su ciò che ognuno ha fatto o ha tralasciato di fare a Dio, bensì su ciò che ha fatto o ha tralasciato di fare agli esseri umani con i quali ha convissuto. 

[17] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 372

[18] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2019, 12. Castillo J.M., Il disinteresse per l’elemento religioso, pubblicato in spagnolo il 25.07.2020 nel Blog dell’Autore in Religión Digital - www.religiondigital.com.

[19] L’integralismo è anche il rifiuto dell’idea liberale di separazione fra politica e religione. L’integralismo chiede la subordinazione  del potere politico a quello religioso, dell’autorità statale a quella ecclesiale. L’integralismo pensa che, se anche le regole civili devono indirizzare l’uomo alla sua meta finale, posto che l’uomo è sia temporale che eterno, due poteri regolano l’uomo: quello temporale e quello spirituale; ma siccome quello temporale termina con la morte ed è subordinato a il fine eterno, il potere temporale deve essere subordinato a quello spirituale.

Ricordo che papa Francesco ha aggiunto: «Meglio vivere come ateo che andare in chiesa e odiare» (Udienza generale, gennaio 2019).

[20] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 63.

[21] Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, Massari, Bolsena, (VT), 2010, 212.

[22] Ad es. è ben spiegato, con i dovuti richiami evangelici, nel primo volumetto della Teologia popolare come con Gesù non c'è più il tempio, non c'è più la legge religiosa, non ci sono più le disuguaglianze, non c'è più la signoria, per cui, se accettiamo tutto questo, vuol dire che non c'è più neanche la religione che ci hanno insegnato (Castillo J.M., Teología popular I, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2012, 111).

[23] Castillo J.M., Teología popular I, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2012, 111.

[24] Idem, 112.

[25] AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion, Torino, 1993, 147.

[26] Castillo J.M., Teología popular I, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2012, 112s.

[27] Se solo così si fosse fatto fra Ucraina e Russia… eppure sono due nazioni cristiane.

[28] Castillo J.M., Teología popular I, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2012, 113.