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Particolare del Trittico della Crocifissione di Rogier van der Weyden (1425-1430) - Gemäldegalerie (Berlino) - elaborazione di foto tratta da commons.wikimedia.org

Le discepole che Gesù amava e il Sabato Santo



di Stefano Sodaro


Durante la Via Crucis di ieri sera al Colosseo – cui si è unito il Papa in preghiera -, alla XIII Stazione la parola ha lasciato, fuori programma e fuori “protocollo”, spazio al gesto. Forse per le proteste da parte ucraina, sia diplomatica che ecclesiale (con niente poco di meno che l’Arcivescovo Maggiore dell’intera Chiesa Cattolica Ucraina di rito bizantino)? Forse. Ma l’effetto è stato, a parere di chi qui scrive, ancora più penetrante, lacerante, efficace, straziante, di verità vera.

Una donna russa e una donna ucraina hanno portato assieme quella croce in completo silenzio: parlavano le loro figure, i loro volti, le loro braccia e le loro mani.

La lettura della Passione secondo Giovanni, che ieri è stata ascoltata – anzi, sarebbe meglio dire celebrata – nelle chiese cattoliche secondo la liturgia romana, ad un certo punto presenta un enigma, che mi pare non venga mai fatto rilevare. Riportiamo soltanto tre versi, dapprima in greco, del capitolo 19 di Giovanni, i versi da 25 a 27: «Εστήκεισαν δ παρ τ σταυρ το ησο μήτηρ ατο κα δελφ τς μητρς ατο, Μαρία το Κλωπ κα Μαρία Μαγδαληνή. ησος ον δν τν μητέρα κα τν μαθητν παρεσττα ν γάπα λέγει τ μητρί· Γύναι, δε υός σου· ετα λέγει τ μαθητ· δε μήτηρ σου. κα π’ κείνης τς ρας λαβεν μαθητς ατν ες τ δια.»

La pronuncia: “Eistèkeisan de parà to staurò tou Iesoù he mèter autoù kài he adelfè tes metròs autoù, Marìa he toù Kleopà kài Maria he Magdalenè. Iesoùs oun idòn ten metèra kài ton mathetèn parestòta hon egàpa lèghei te metrì: Ghýnai, ìde ho hyòs soù: èita lèghei to mathetè: Ìde he mèter soù. Kài ap’ekèines tes hòras èlaben ho mathetès autèn èis ta ìdia.”

Dunque la traduzione: “Stavano presso la croce di Gesù [sarebbe “del” Gesù] sua madre, la sorella di sua madre, Maria, quella di Clèofa e Maria la Maddalena. Gesù allora, vedendo la madre e che stava lì il discepolo che amava, disse alla madre: Donna, ecco tuo figlio; e quindi disse al discepolo: Ecco tua madre. Da quel momento il discepolo prese la madre di lui nella sua vita, nella sua casa, in tutta la sua esistenza”. Traduzione un po’ libera, ma mi sento di dire anche molto letterale.

Qual è l’enigma? L’interrogativo nasce dal fatto che l’elenco delle donne sembra assolutamente esaustivo. Non ci sono altri sotto la croce. Tutte sono indicate nominativamente. E basta.

Com’è allora che spunta, improvvisamente, senza alcuna menzione precedente, “il discepolo che lui amava”? Chi sarebbe costui? Com’è possibile che siano tutte indicate per nome e questa presenza improvvisa, da sempre considerata maschile, invece no? Tutte donne, anzi no. Come può essere considerato verosimile che il narratore si sia sbagliato, o prima o dopo?

Ovviamente non è lecito dir nulla al riguardo e l’enigma resta tale.

Però un’ipotesi proviamo ad avanzarla. Ipotesi tuttavia che non compare neppure nella recentissima pubblicazione al riguardo, Chi è «il discepolo che Gesù amava»?, dello studioso Joseph Lê Minh Thông, appena edita da Queriniana.

Per avanzare la nostra ipotesi ricorriamo allora ad un altro testo, pure di recentissima pubblicazione, soltanto qualche giorno fa, intitolato Eretiche. Donne che riflettono, osano, resistono, opera di cui è autrice la straordinaria Adriana Valerio, in libreria per il Mulino.

Approfondendo l’eresia del cosiddetto “montanismo”, a pag. 52, Valerio ricorda che le fonti antiche (per la precisione Epifanio) riportano una visione da parte di una delle due protagoniste del montanismo, Massimilla e Priscilla, e la fonte dice così: «Sotto forma di donna, ornata con abiti splendido, venne da me Cristo, mi infuse la saggezza, mi rivelò che questo luogo [Pepuzia, nella Frigia] è santo e che qui sta scendendo dal cielo Gerusalemme».

L’ipotesi di scioglimento all’enigma, di risposta all’interrogativo, è allora che “il discepolo che lui amava” sia conciso semplicemente con la comunità di donne che da sempre ha seguito il rabbi, fino alla morte ed anche dopo di essa, al sepolcro.

Detto in termini ecclesialmente più contestuali e forse vicini alla nostra sensibilità: “il discepolo che lui amava” è la “Chiesa delle donne”. Ma questa “Chiesa” – chiamiamola così per capirci – non ha quei confini che immaginiamo noi, si dilata sino alle dimensioni di quell’altra realtà teologica, vero contenuto della predicazione dell’assassinato di Nazaret, denominata “Regno di Dio”, che al greco è pure parola femminile, “basilèia”. “Il discepolo che lui amava” è il “Regno di Dio” che solo le donne sanno rendere presente.

C’è peraltro qualcosa di davvero matrimoniale, sponsale, nell’associare propria madre a colei – o coloro – che si ama/amano. Come se - speriamo che nessuno si scandalizzi - un intero gruppo di “mogli” entrasse nella casa della suocera.

Esagerazione? Sì, certamente, e chiediamo scusa, senza retoriche, a chi avverte diversa sensibilità su questioni tanto delicate eppure anche tanto decisive.

Eppure non c’è proprio nulla da fare. Sotto la croce uomini non ce n’erano. Di mattina presto, in cimitero, il giorno dopo il Sabato, neppure.