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Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org










13. Domande e risposte su Chi è Gesù?


di Dario Culot



23. Lei ha detto che la risurrezione non è stata per Gesù il passo mediante il quale ha recuperato la condizione divina perduta o dismessa. Però Fil 2, 6-8 dice che essendo Gesù nella forma di Dio, non considerò qualcosa da sfruttare questo essere pari a Dio, cioè decise di non sfruttare per sé la parità con Dio, l’uguaglianza con Dio, ma anzi svuotò sé stesso prendendo la forma di schiavo e diventando di aspetto umano. Quindi, in sostanza, Paolo dice che Gesù era effettivamente nella situazione invidiabile di scegliere fra restare divino e comprimere la sua condizione divina, e ha scelto di dismettere la sua condizione divina. Col che si riconosce che Gesù era Dio.

E poi la risurrezione, non è anch’essa prova della divinità?

Mi dispiace, ma anche qui le interpretazioni possono essere molteplici e diverse.

È noto che questa lettera di Paolo è stata fra le più studiate da teologi ed esperti. C’è chi ha speso anni, anche vent’anni, per studiarla. Solo questo fatto già ci dice che la questione non è poi così evidente come Lei pensa. Se ci fosse l’evidenza che Gesù è Dio occorreva studiare quelle frasi per vent’anni?

Oggi, nella versione CEI del 2008, la parola greca morphé è tradotta entrambe le volte con “condizione”: condizione di Dio e condizione di schiavo. Se prendiamo invece la precedente versione CEI del 1974 si parlava di “natura di Dio”, il che ovviamente portava a confermare la Sua tesi della divinità di Gesù, perché nessuno ha natura divina se non Dio stesso. Tutti invece possono assumere la condizione divina, diventando magari figli adottivi di Dio. È chiaro quindi che la diversa traduzione anche di una sola parola può portarci su binari differenti. Pensiamo alla parola “uguaglianza” con Dio. Il termine può essere inteso nel senso di essere uguale a Dio, ma anche nel senso di essere trattato come se fosse Dio (quasi deo come cantavano i primi cristiani[1]), perché se Gesù è immagine di Dio – come si è detto più volte,- ben poteva essere pensato incorruttibile come Lui, ma Gesù ha preferito spogliarsi di questa prerogativa divina, scegliendo di farsi vedere come uomo, al pari di tutti gli uomini. Quindi Gesù uomo si è tolto questo mantello di divinità che qualcuno poteva anche appioppargli; uomo era e uomo è rimasto.

In ogni caso è pacifico che il termine greco morphé[2] non significa né natura, né condizione, ma significa “forma” (e così è stato tradotto fin dall’inizio in latino), e di conseguenza dovremmo porci la domanda: come mai, in passato, il termine forma è stato tradotto in italiano con natura (che fa pensare all’essenza o sostanza)? Tanto più che in greco esistevano altre parole per questi concetti, come ousìa o phisis.

Allora c’è chi ha osservato[3] come lo svuotamento (kénosis) di Dio in Cristo non si spiega a partire dai concetti di ousía, physis, ma appunto di morphé, cioè la spoliazione si vede nella «manifestazione visibile» (questo significa forma) non di una «sostanza», non di una «natura» o di una «persona», ma di un «servo» (in greco doúlos).

Non mi può obiettare che solo chi è già Dio può avere la forma di Dio, perché la forma si vede in una materia che è visibile, mentre Dio, puro spirito invisibile, non ha forma. Certamente non ha la forma di quel vecchio con la barba bianca che abbiamo visto in tanti quadri. Non si può parlare di forma di Dio perché Dio non ha forma. Un pallone (visibile) ha una forma sferica; una casa (visibile) ha una forma cubica. Forma è l'aspetto di un oggetto, sufficiente a caratterizzarlo esteriormente. L’uomo ha forma. Dio non ha forma.

Dio, senza forma, si è fatto conoscere nell’uomo Gesù umanizzandosi nella forma di un servo, cioè scendendo fino in fondo, fino al gradino più basso, conservando tuttavia ciò che è comune a tutti gli esseri umani, quello in cui tutti noi esseri umani comunque coincidiamo,[4] a prescindere dalle differenze etniche, nazionaliste, culturali, di genere, di origine, di lingua, di religione o di cultura. Ma questo l’abbiamo capito oggidì, perché basta pensare a come la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti del 1776, che a parole affermava “Noi riteniamo che sono per sé stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”, in realtà non riconosceva affatto alcuna uguaglianza e alcun diritto agli schiavi (e neanche ai nativi pellerossa[5]). Quindi, queste verità non erano poi così evidenti come lo sono oggi. Oggi pensiamo che i padri della Costituzione americana erano, a dir poco, incoerenti, ma perché solo nella odierna cultura siamo in grado di comprendere che c’è un minimo comune denominatore di umanità in tutti gli uomini. Gesù l’aveva capito già duemila anni fa, i padri della Costituzione americana, no. I rappresentanti dei cristiani russi ortodossi, nemmeno, perché avevano i servi della gleba fino ai tempi di Lev Tolstoj, in pieno 1800. I cristiani cattolici, nemmeno, stante il documento del Sant’Uffizio[6] del 20.6.1866, con cui ancora si riconosceva la piena legittimità della schiavitù in Africa[7]. Ma, anche se pensiamo di essere più coerenti dei nostri avi, in realtà non lo siamo, visto che la comune umanità, oggi pur così evidente, concreta e incontestabile, non basta ancora a fondare una vera fraternità[8].

Sbagliata sarebbe anche un’interpretazione della frase paolina basata sulla metafisica greca, dovendosi ricorrere piuttosto sempre a un’interpretazione storica (all’accadere, non all’essere, come si è ormai detto più volte), e storicamente, mettersi al servizio degli altri come «servo di tutti (pánton doúlos)» (Mc 10, 44-45), significava occupare il gradino più basso nella società. Questo è stato proprio quello che Gesù ha fatto e poi chiesto di fare ai suoi apostoli, a imitazione di quella che è stata la sua vita (Mc 10,45).

Non è che Gesù ha rinunciato al regime di privilegio divino che gli spettava da sempre essendo un soggetto divino preesistente,[9] che si è abbassato a prendere forma inferiore di uomo. Gesù era uomo dall’inizio. È Dio, venendo ad abitare in lui, che gli procura un’energia interna che lo mette in piena sintonia con Lui, sì che in Gesù vediamo l’immagine di Dio. In Gesù, questa energia (spirito) si rende però visibile nel mondo esterno occupando il gradino più basso di quella società, quello di servo, mentre avrebbe potuto presentarsi come re. È chiaro quindi che l’ordine di suore creato da madre Teresa di Calcutta è molto più vicino a ciò che dice il Nuovo Testamento di tanti altri ordini religiosi, ricchi di soldi e di potere.

Questa energia (spirito) è poi una forza esterna all'uomo, nel senso che non scaturisce dalla sua natura umana. Quando questa forza viene da Dio si chiama santa, non solo per la sua origine, ma anche per la sua attività, capace di fornire all’uomo la stessa capacità d’amare di Dio, se solo l'uomo l'accoglie ed entra in sintonia con essa. Dunque lo Spirito santo è l’energia che viene da Dio, e non avvolge l’uomo dall’esterno come un cono di luce, ma come una fiamma che nasce e si sviluppa all’interno dell’uomo e lo separa dalla sfera del male, mettendolo in piena sintonia con Dio (santo)[10]. Quando invece questa forza non viene da Dio, ma viene da realtà che gli sono contrarie, si parla di “spirito impuro” (ad es. Mt 10, 1; Mc 1, 23; Lc 4, 33) o immondo, perché mantiene l’uomo nella cappa delle tenebre e quindi della morte, impedendo la sintonia con Dio, che è "il puro" per eccellenza.

Quando all’inizio del vangelo di Marco Gesù entra nella sinagoga (Mc 1, 21) intende liberare il popolo da una falsa immagine di Dio. Ma un pio frequentatore della sinagoga è abitato appunto da uno spirito impuro[11] che gli si contrappone e che, come formando una barriera invisibile, impedisce a quest’uomo di essere ‘toccato’ dalla Parola innovativa e vivificante di Gesù. Da notare che mentre Gesù “entra” nella sinagoga, quell’uomo posseduto già “c’era”; è cioè una presenza continua, è un frequentatore abituale della sinagoga. Lo spirito impuro ha dunque un rapporto strettissimo con la religione[12]. Quando Gesù s’imbatte in uno spirito impuro, in un indemoniato,[13] all’interno della struttura religiosa in realtà s’imbatte in persone che non ragionano con la propria testa, ma con la testa della classe dirigenziale religiosa che li comanda (Gesù invece ci ricorda - Lc 12, 57: “perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?”): gli indemoniati sono le persone pie sempre obbedienti al clero, sono principalmente le persone possedute dalla religione. Sono talmente possedute dalla religione che è stata loro insegnata da non accorgersi di ciò che Dio offre loro e, in nome della religione che hanno introitato, finiscono per rifiutare l’offerta d’amore di Dio[14]. Ecco perché più si è lontani dalla religione che ci ha fatto assorbire una certa immagine di Dio, più è facile accogliere questo messaggio innovativo; più si è immersi in un mondo sacrale, in un mondo religioso patriarcale e autoritario, più si è refrattari alla novità portata da Gesù. Se solo tanti vescovi meditassero su questo punto.

Stiamo ovviamente usando parole limitate per cercar di spiegare qualcosa che s’intravede quando ci si trova sulla soglia della Trascendenza. Ma siccome della Trascendenza non possiamo conoscere quasi nulla, non possiamo descrivere l’essenza divina, per cui di Dio possiamo conoscere solo la sua manifestazione visibile e tangibile; e – appunto come dice Paolo,- Dio si è fatto conoscere in forma di servitore nell’uomo Gesù, che ci ha così spiegato qualcosa del Trascendente[15]. Quello che possiamo dire è che, per farsi conoscere, Dio ha rinunciato definitivamente ad ogni grandezza, ad ogni maestà, e soprattutto ad ogni espressione di potere e di ricchezza. Invece noi, abitati da spiriti impuri, ancora dopo duemila anni pensiamo di capire chi è Dio partendo dai concetti di potere e regalità, per cui inneggiamo a un Dio onnipotente e a Cristo Re. Accettiamo cioè più volentieri Gesù nato in una reggia che in una stalla.

Invece il Dio di Gesù si incontra solo in ciò che può rappresentare un servo, e quindi siamo anche davanti alla totale rinuncia ad ogni condizione sacra, che di per sé sola porta molti privilegi. Altro che “eminenza, eccellenza”[16]. Ed è per questo motivo che si può affermare che il centro del cristianesimo non è il divino, ma l’umano. Il Dio di Gesù, prendendo forma umana in Gesù, ci ha fatto capire che, più le persone sono umane, più si incontrano con il divino nella loro esistenza; mentre più le persone sono disumane, più si adornano di titoli, più hanno potere sugli altri, e più si allontanano da Dio[17].

Il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14) significa allora che Dio (il Verbo) ha assunto una materia e una forma[18] concreta, la consistenza e la forma dei gesti compiuti da Gesù, che hanno incarnato l'amore di Dio per l'umanità[19]. Non solo; se la divinità trascendente inconoscibile si è umanizzata (l’umano-immanente è l’unico ambito alla nostra portata) questo significa che, al di fuori di ciò che è umano, non è possibile fare esperienza di Dio, perché dovremmo entrare nella trascendenza. E visto che l’umanità manifestata da Gesù è quella del servo, l’esperienza di Dio si fa relazionandoci con quello che è il più basso livello dell’umanità. Detto ancora meglio: il vangelo di Giovanni ci dice che solo in Gesù (in cui abita il Verbo) vediamo come si comporta Dio e possiamo conoscere qualcosa di Lui, perché l’uomo Gesù ha reso visibile con la sua condotta quello che in Dio resta invisibile, e che senza Gesù non avremmo visto. E allora vediamo che Dio si è incarnato in un essere umano del più basso livello sociale, mentre si è fatto credere ai cristiani che la dignità del papa (addirittura vicario di Gesù) è la massima fra tutte le dignità della terra (art.196 Catechismo Pio X)[20]. Invece Dio non si è incarnato nella religione. Dio non si è incarnato nella verità della dottrina insegnataci dal magistero, e neanche nelle alte cariche che il magistero si è attribuito. Dio non si è incarnato neanche nel potere. Servendo gli altri, poi, Gesù non si carica dei loro peccati, ma si fa carico della loro emarginazione: infatti, dopo aver toccato e guarito il lebbroso a Cafarnao Gesù non può entrare in città perché considerato a sua volta impuro (Mt 1, 45); dopo aver guarito l’indemoniato di Gerasa, gli abitanti vedendo che quel concittadino pazzo furioso è tornato sano e normale decidono di accoglierlo (Mt 5, 20), però non sono disposti a pagare alcun costo per questa liberazione, per cui avendo subìto il danno della perdita della mandria di porci contro la loro volontà, invitano caldamente Gesù ad andarsene da un’altra parte (Mc 5, 17), prima di subire altri danni. Far del bene a una persona toccando però il patrimonio di altri non è ben accetto[21].

Quindi, dove troviamo Dio? Nell'umano, stando a quella che dice e fa Gesù. Quando infatti Gesù dice agli increduli sacerdoti che distrutto il tempio in tre giorni lui lo farà risorgere (Gv 2, 19), sta parlando del tempio sacro del corpo: l’uomo è il santuario di Dio; non lo è più il Tempio[22] (e quindi neanche la Chiesa). E allora il bene dell’uomo, non il bene del Tempio (della Chiesa), non l’osservanza della legge, diventa il punto focale: tutto ciò che concorre al bene di quell’uomo concreto che si trova davanti a noi può essere fatto e va fatto, a prescindere da quello che dice la legge (divina o meno). Tutto ciò che accresce la dignità dell’uomo[23] è bene dell’uomo, e il bene dell’uomo è l’unico valore non negoziabile del cristianesimo[24].

Bisogna invece rendersi conto che, per come ci è stato spiegato il cristianesimo, il sacro opera tuttora una netta divisione nella realtà. Infatti il magistero ci ha spiegato che c'è una realtà sacra vicina a Dio, dove si trova Iddio e dove si colloca la Chiesa, e una realtà profana fuori del sacro, dove si lavora, si condivide la vita quotidiana, si gode la vita e spesso si soffre, ecc. E questi restano due spazi nettamente distinti: uno spazio sacro ed uno profano (chiesa e casa); due tempi distinti: uno sacro ed uno profano (domenica- feste di precetto e altri giorni della settimana); due qualità di persone: la persona sacra (il sacerdote) e la maggioranza profana (il gregge di laici). Da qui l'idea che hanno tanti religiosi, tanti vescovi, convinti che il sacro è veramente un potere superiore a quello del potere profano, compreso il potere civile. Per tanti vescovi non è neanche pensabile mettere in discussione il loro potere sacro e maschilista, sennonché, con questa mentalità, oggi non è più possibile connettersi col mondo attuale[25] e il futuro sta nella collegialità[26].

Va dunque ribadito che l’aspetto centrale della vita di Gesù non è stato il religioso e la religiosità, ma l’umano e l’umanità. E proprio poiché Gesù si è posto dalla parte della vita e della felicità degli esseri umani, il Vangelo incentra la sua attenzione sulla salute dei malati, sulla convivialità con tutti e sulle migliori relazioni umane possibili (specialmente con i poveri e gli emarginati). Invece non risulta che Gesù abbia mai spartito la convivialità con i potenti, con i politici, con i sommi sacerdoti.

Questo è il senso da ricavare dalla lettera di Paolo quando dice che Gesù ha scelto l’umanità spogliandosi della divinità. Invece noi oggi cerchiamo di interpretare Paolo con le conoscenze che abbiamo acquisito nel corso di duemila anni, ma giustamente è stato osservato,[27] come la pericope paolina non pone – e soprattutto all’epoca non poteva porre,- l’attenzione su ciò che è Cristo di per sé, sulla sua vera natura, sulla sua essenza, per il semplice fatto che in quel momento dello sviluppo della cristologia non erano ancora sorti i problemi sulla natura di Cristo[28]. Quindi molto probabilmente Paolo non si era neanche lontanamente posto i problemi che in seguito ci siamo posti noi e che ancora oggi ci poniamo leggendo le sue lettere. Probabilmente vogliamo far dire a Paolo qualcosa cui lui non aveva mai pensato.

Ma quand’anche Paolo avesse pensato che Gesù era Dio (però neanche lui l’ha mai detto espressamente), questa resterebbe un’opinione di Paolo, profonda quanto si vuole, ma Paolo non è Dio (anche se alla fine delle letture che lo riguardano, alla messa, si dice ‘Parola di Dio’): non si può affermare che i suoi scritti sono Rivelazione di Dio. Ad esempio, nell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia del 19.3.2016, §150-159 il papa riconosce che san Paolo raccomandava l’astinenza perché attendeva un imminente ritorno di Gesù e voleva che tutti si concentrassero unicamente sull’evangelizzazione (1Cor 7, 29), ma afferma che questa era una opinione personale dell’apostolo (cfr. 1Cor 7,6-8), e non una richiesta di Cristo (1Cor 7,25). Quindi quello che pensa Paolo non va preso come fosse un dogma di fede, tanto che al §80 della stessa Esortazione il papa, in barba a quanto pensa Paolo, dice che la sessualità è ordinata all’amore coniugale dell’uomo e della donna[29]. Eppure, dopo aver letto Paolo, si continua a dire: “Parola del Signore”.

Infine, quanto alla risurrezione, se Gesù fosse risorto perché era Figlio di Dio sostanzialmente uguale al Padre, cioè grazie alla sua natura divina, si tratterebbe di un “miracolo” che non tocca da vicino nessuno di noi;[30] né il credente né il non credente, visto che noi abbiamo solo la natura umana. Dunque, questa è certamente un’indicazione non soddisfacente: dove sta la buona novella per chi non ha natura divina, ma solo una misera natura umana, se Dio resuscita chi ha già una natura divina? Ma mi chiedo anche perché, se Gesù è Dio (e a quel punto restava solo Gesù-Dio, perché Gesù-uomo era morto), non ha potuto resuscitarsi da solo, ma è stato necessario l’intervento esterno di Dio-Padre (At. 2, 32)?[31] Una risposta l’ha data un noto teologo che sicuramente non è mai uscito dai binari dell’ortodossia: «La risurrezione è l’evento della piena e definitiva figliolanza di Gesù. È l’opera del Padre, che riconosce in Gesù il suo Figlio, anzi che pienamente lo ‘genera’ come Figlio»[32]. Dunque c’è una subordinazione di Gesù al Padre.

La resurrezione, come risposta tangibile che Dio dà a Gesù per il suo modo con cui ha vissuto l’amore[33], si può forse oggi meglio spiegare col fatto che Gesù, avendo fatto propri i valori di Dio, si è trovato nella pienezza della vita umana e per questo ha potuto superare indenne la soglia della morte e, a sua volta, quest’uomo straordinario ha assicurato che assomigliando al Padre tutti noi umani possiamo diventare figli di Dio[34] e passare indenni la stessa soglia della morte:[35] «Se uno osserva la mia parola non morirà mai» (Gv 8, 51). Come ha detto san Giovanni della Croce[36] la morte non può essere amara perché non spoglierà la vita di quanto possiede, ma le darà il compimento dell’amore che desidera.

La resurrezione, così, può valere per tutti gli uomini. Questa è indubbiamente una buona novella. Ma ne siamo assolutamente certi? Ovviamente ‘No’. Chiaro che questa promessa di salvezza che viene da Dio e di una vita che continua sotto un’altra forma non può essere una certezza, ma solo una speranza, perché tutto ciò che sta dopo la morte fa parte della trascendenza che non possiamo conoscere veramente. Noi aspiriamo all’idea che il male (e la morte, il peggiore dei mali) siano vinti e questa salvezza venga da Dio, ma per noi cristiani c’è un germe di salvezza già in Gesù: lui ha conosciuto la risurrezione, che anche noi speriamo di ottenere. Rispondendo alla domanda n.22 ho ricordato che Gesù ha detto: “voi uomini siete dèi”. Cioè Gesù Cristo dà il senso definitivo alla vita, alla vita nella sua pienezza perché il destino dell’uomo è partecipare alla vita di Dio, diventare come dèi[37].

Detto questo, ci sono teologi di altissimo livello i quali sostengono che la resurrezione di Gesù dà semplicemente la conferma di una posizione preesistente, che gli avversari non gli avevano prima riconosciuto[38]. Altri, di pari livello, affermano invece che prima della resurrezione, Gesù non era il Messia, il Figlio di Dio, il Signore, e tale sarebbe diventato solo con la resurrezione; dunque la signoria per Gesù non è una dignità non riconosciuta e in seguito recuperata, ma è proprio una dignità acquistata per la prima volta solo con la resurrezione[39].

Come vede, se anche le opinioni dei teologi sono discordanti fra di loro, non è attraverso i richiami a questi singoli passi, in un senso o nell’altro, che è possibile affermare con assoluta sicurezza che Gesù ha vera natura divina.

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24. Mi sembra che Lei dimentichi un altro passo (Gv 17, 5) dove si riconosce chiaramente la divinità di Gesù: “Padre glorificami alla tua presenza con la gloria che avevo alla tua presenza prima che il mondo esistesse”: quindi qui si riconosce una preesistenza di Gesù, il che può accadere solo se Gesù è Dio.

Inoltre, anche un Vangelo sinottico (Mt 20, 19) dimostra che Gesù era Dio; infatti, se come uomo egli poteva immaginare che l’avrebbero ucciso (cfr. la parabola dei vignaioli omicidi - Mc 12,1-12), solo come Dio poteva sapere in anticipo che l’avrebbero crocifisso.

Quanto a Giovanni, ho già detto nelle risposte precedenti che ci sono dei passi che possono far propendere per la divinità di Gesù, e altri che sembrano negarla. Come sempre, anche a questo passo controverso si può dare un’interpretazione diversa da quella che Lei suggerisce.

Il biblista Alberto Maggi, ad es., spiega la pericope in questo modo: già nelle pericopi precedenti (Gv 17, 3-4: Questa è la vita eterna: che conoscano te l’unico Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo), Gesù ha manifestato la gloria del Padre continuando la sua azione creatrice e proprio per glorificare il Padre (manifestare visibilmente quello che Dio è), dice: “io ti ho glorificato sulla terra, finendo l’opera che mi hai dato da fare”. Gesù sta dicendo che quello che doveva fare l’ha fatto. Per di più si può notare che Gesù non dice: "che conoscano te, me e lo Spirito Santo che siamo tutt'uno". L’unico Dio è il Padre. Il Dio di Gesù si cura degli uomini (Tt 3, 4), e solo il Padre crea, ma se Dio crea, genera, dà vita, ama, Dio è più madre che padre.

Poi, subito dopo in Gv 17, 5, chiede:ora glorificami tu”, ed usa l’imperativo perché ogni evangelista ha una sua linea teologica differente dagli altri; qui non c’è la richiesta (più umana) che troviamo in Matteo: “Padre allontana da me questo calice”, ma una richiesta di glorificazione. In effetti, secondo Giovanni, sulla croce Gesù neanche soffre, tanto da poter dare tranquillamente disposizioni a Maria e al discepolo amato (Gv 19, 25ss.). Il tutto ha chiaramente solo un significato teologico, essendo del tutto impensabile che sia avvenuto così nella realtà. Un uomo fustigato e poi inchiodato sulla croce non ha di sicuro grande voglia di cominciare a disquisire sul futuro della comunità (con quelle parole stava forse istituendo la Chiesa?).

Dunque, che spiegazione dare alla frase: glorificami tu “davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te, prima che il mondo fosse”? Per comprendere questo passo – dice Maggi [40]- bisogna rifarsi al prologo del vangelo di Giovanni dove c’era scritto: In principio era il Verbo, la Parola di Dio, e il Verbo era presso Dio e tutto fu fatto per mezzo di lui.... il mondo cioè fu fatto per mezzo del Verbo. L’evangelista corregge la teologia dell’autore del libro della Genesi, primo libro della Bibbia, che comincia: ‘In principio Dio creò il cielo e la terra’, dicendo che in principio, prima della creazione, c’era già una Parola che conteneva un progetto, il progetto di Dio: da sempre (prima che il mondo fosse) esisteva in Dio questo grande progetto; progetto che comprendeva anche l’arrivo sulla terra di un uomo, abitato pienamente da Dio (quindi con la condizione divina) che in seguito si realizzerà pienamente nella figura di Gesù[41].

Sulla terra, Gesù ci ha mostrato che la fedeltà a Dio non è più dovuta all’osservanza della legge, ma all’accoglienza del suo stesso dinamismo d’amore. Questo vuol dire che Dio non governa gli uomini emanando leggi che questi devono poi osservare, ma – come detto nella risposta precedente,- comunicando loro il suo stesso spirito, la sua stessa capacità d’amore[42]. Lo Spirito permette all’uomo di essere immerso nell’amore di Dio. Del resto quando il Battista dice che lui battezza con l’acqua, ma arriverà uno che battezzerà in Spirito (Mc 1, 8) s’intende proprio che arriverà uno (Gesù) che metterà gli uomini in contatto con l’amore di Dio. E anche il n. 733 del Catechismo evidenzia questo stretto contatto fra Dio e il suo amore che viene riversato negli uomini per mezzo dello Spirito.

Per questo Gesù può dire: e ora glorificami (perché la sua morte imminente sarà la manifestazione visibile dell’amore del Padre all’umanità), con quella gloria che avevo presso di te, che cioè tu (Dio) già avevi pensato per me prima ancora della creazione del mondo in quanto faceva parte del tuo progetto sull’umanità, e che ora finalmente si realizza, perché grazie a questo tuo progetto io supererò la morte. Stando a Giovanni prima ancora di creare il mondo, Dio aveva questo progetto, e tutta la creazione è stata fatta in vista della realizzazione di questo progetto. La gloria di Gesù è quella del progetto divino sull’uomo che in lui si è pienamente realizzato. A Gesù urge la piena realizzazione del progetto sull’umanità che vedrà il suo apice nel momento della sua morte-resurrezione[43].

Quindi la preesistenza è del progetto, della Parola di Dio, non di Gesù. La preesistenza è del Verbo, che resta distinto da Gesù.

Quanto a Gesù, invece, egli è rimasto effettivamente glorificato perché dopo duemila anni si continua a parlare di lui proprio perché ha iniziato a mettere in pratica ciò che serviva per realizzare finalmente il progetto di Dio sull’uomo, e molti uomini gli hanno creduto. Comunque l’Uomo non è in grado di bloccare questo progetto. L’Apocalisse cerca di spiegare come si fa a vivere la proposta già contenuta nei vangeli dandoci la certezza che il diavolo, o il drago, o la bestia, o il male che dir si voglia, è destinato al fallimento e può al massimo solo rallentare questo progetto divino. Tutta l’Apocalisse contiene una costante denuncia di ogni meccanismo politico-economico che si oppone al programma liberatorio di Cristo[44].

Quanto alla previsione della crocifissione, Gesù dice per tre volte, in tutti e tre i vangeli sinottici, che finirà ammazzato (Mt 16, 21; 17, 22-23; 20, 17-19), e sappiamo che il numero tre significa completezza, definitività:[45] pensate solo alla triplice negazione di Pietro (Mc 14, 30), oppure alla resurrezione prevista il terzo giorno (Mc 8, 31; Gv 2, 19).

Solo nell’ultimo annuncio di Matteo Gesù dice che sarà crocifisso: non lo dice negli annunci precedenti e non lo dice in nessuno degli altri due vangeli (cfr. anche Mc 8, 31; 9, 31; 10, 32-34. Lc 9, 22, 9, 43-44; 18, 31-33). Ora, che Gesù fosse cosciente di andare incontro la morte è scontato: basta pensare a come trasgrediva frequentemente e ostentatamente il sabato, sapendo bene che per questa violazione ripetuta era prevista la pena di morte. Sicuramente, già dopo il martirio di Giovanni aveva capito che la stessa fine sarebbe capitata anche a lui, ma non si è tirato indietro. Aveva bisogno di stare col Padre per parlare con Lui, per capire come proseguire la sua missione, per cui cerca di appartarsi (Mt 14, 13). E in altra occasione, quando si scontra con i farisei e dice: “Gerusalemme Gerusalemme, tu che uccidi i profeti...!” (Lc 13, 34), sta parlando probabilmente anche di sé stesso. Analogamente sta parlando di sé stesso quando racconta ai sacerdoti e agli anziani la parabola della vigna, in cui gli affittuari uccidono il figlio del padrone dopo averlo portato fuori della vigna (Mt 21, 38s.). E Gesù sarà in effetti ucciso fuori delle mura di Gerusalemme, la città santa per antonomasia, metaforicamente rappresentata dalla vigna[46].

Però come mai in Matteo, alla fine, si parla proprio di crocifissione? Oltre al fatto che lo sapeva perché, come dice Lei, era Dio, mi vengono in mente anche altre due spiegazioni, pur identificando Gesù sempre e solo come uomo.

La prima: Matteo scrive a cose fatte e ormai conosciute, e mette in bocca a Gesù un qualcosa che è ormai avvenuto e che tutti sanno, mentre prima che avvenisse non si sapeva.

La seconda: continuando nel suo scontro con i capi religiosi, Gesù, come uomo, aveva anche capito che i capi religiosi non si sarebbero accontentati di eliminarlo, col rischio di fare di lui un martire, visto il seguito che aveva guadagnato presso le folle. Bisognava assolutamente diffamarlo perché andava continuamente in contrasto con l’insegnamento della religione,[47] e così convincere le folle che non era affatto inviato da Dio: per arrivare a questo non c’era altro che la crocifissione, perché come sappiamo – per gli ebrei, - chi veniva crocifisso era un maledetto da Dio (Dt 21, 22-23). Quindi, una volta dimostrato che era un maledetto da Dio nessuno avrebbe più potuto pensare che era stato inviato da Dio con la sua benedizione[48]. Conoscendo l'odio nei suoi confronti [le persone religiose dicevano che attaccava la religione ed il suo tempio (Mt 26, 61; 27, 40); che andava con persone di malaffare (Lc 15, 1-2); che bestemmiava (Mc 2, 7; Mt 26, 65); che era indemoniato (Mc 3, 22), che non osservava la legge (Mc 2, 23-27), il che era vero; che sobillava il popolo (Lc 23, 5), e c’erano stati già diversi tentativi di ucciderlo andati a vuoto (Mc 3, 6; Mt 12, 14; Gv 8, 57)] Gesù poteva anche aver immaginato che volessero fargli fare quella fine. E siccome questa precisazione di Matteo avviene solo alla fine, può ben trattarsi della maturazione di un’idea esclusivamente umana. Ma come sappiamo, se stiamo qui ancora a parlare di Gesù, vuol dire che il progetto dei capi religiosi è fallito, mentre continua ad andare avanti il progetto di Dio.


NOTE


[1] Come ricordato alla risposta sub 19, al n.596 di questo giornale, in https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-596.

[2] Vedi amplius quando detto nell’articolo Morphé al n. 559 di questo giornale, in https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-559---31-maggio-2020.

[3] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 210s.

[4] Cfr. quanto detto al punto (8) della relazione in punto equivalenza, al n. 579 di questo giornale.

[5] Del resto ricordiamoci che dopo la scoperta dell’America agli occidentali si erano perfino chiesti se i nativi erano veramente persone o meno.

[6] In Collectanea S. Congregationis de Propaganda Fide seu Decreta Instructiones Rescripta pro apostolicis Missionibus, vol. I, n.1293, ed. Typographia Polyglotta, Roma, 1907 “…Pertanto i cristiani possono lecitamente comprare schiavi, o darli in pagamento di debito o riceverli in dono”.

[7] Vedi amplius l’articolo su cosa è contro natura, al n. 435 di questo giornale in https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199998---gennaio-2018/numero-435---14-gennaio-2018

[8] Ricca P., Ego te absolvo, Claudiana, Torino, 2019, 13.

[9] Il fatto che Marco e Giovanni introducano Gesù direttamente nel battesimo, senza alludere a comunicazioni precedenti di Dio, mostra che per questi evangelisti un impegno d’amore come quello di Gesù rientra nelle capacità umane. Dunque la qualità umano-divina non è un dono arbitrariamente concesso a Gesù. Esiste una convergenza tra la disposizione di costui e lo Spirito, realtà divina che gli viene comunicata. L’impegno totale di Gesù per il bene dell’umanità, espresso nel battesimo, rende possibile la comunicazione della pienezza di Dio alla sua persona. Questo impegno d’amore senza limiti per gli uomini porta Gesù al massimo della possibilità umana, lo mette al tempo stesso in sintonia con la realtà divina che, essendo amore, non può non comunicarsi a lui (Mc 1, 10: il cielo si squarcia). All’atto culminante di Gesù-uomo, Dio risponde infondendogli la totalità della propria forza d’amore e vita (lo spirito); il risultato è l’uomo di condizione divina, l’uomo-Dio, meta della creazione. Questa realtà sarà poi designata come Figlio dell’Uomo, che appare come il punto d’incontro tra l’apice di ciò che è umano e la realtà di Dio, il luogo dove si fondono umano e divino (Gv 1, 51: allusione alla scala di Giacobbe) (Mateos J. e Camacho F., Il figlio dell’uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 235).

[10] Paolo (Rm 8, 14-17) dice che lo Spirito di Dio, che ha resuscitato Gesù dai morti, ora abita nei credenti, e li rende “figli adottivi” di Dio, ma “se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio. Se siamo figli siamo perciò investiti dello Spirito di Dio che ci spinge da dentro (non dall’esterno, come fa il magistero della Chiesa), essendoci in noi un maestro interiore.

[11] In questo racconto, questa persona pia e religiosa che si dedica ai riti nella sinagoga viene indicato come indemoniato. Perché? Perché non vuole mettersi dietro a Gesù, ma davanti a lui e indicargli cosa deve fare. Anche Pietro si beccherà l’appellativo di indemoniato quando vorrà mettersi davanti a Gesù (Mt 16, 23). L’indemoniato di Cafarnao poi parla al plurale, a nome dell’intera comunità religiosa, perché Gesù sta rovinando l’autorità dell’infallibile magistero di allora che pretendeva di parlare in nome di Dio e di comandare all’intera comunità religiosa. È cambiato qualcosa?

E lo spirito impuro se ne va straziando l’indemoniato. Come mai? Ci hanno insegnato da sempre che certe cose erano vere perché rivelate dallo stesso Dio. Scoprire che non solo non erano vere, ma addirittura allontanavano da Dio, questo è lo strazio che subisce il religioso nella sinagoga, ma l’identica lacerazione la subiamo anche noi quando scopriamo che qualcosa che avevamo ormai appreso e accettato come vera non lo è. Certo che tutti stiamo bene nelle nostre certezze, tanto che vorremmo perfino fermare il tempo come vuol fare Pietro al momento della trasfigurazione, perché vuole ancora mettere al centro Mosè (cioè per Pietro la legge biblica non si tocca), la voce di Dio intima di ascoltare solo Gesù (Mc 9, 7). Ma Pietro ancora non accetta le innovazioni portate da Gesù.

[12] Quando Gesù entra nella sinagoga di Cafarnao vi trova un uomo «posseduto da uno spirito impuro» (Mc 1, 23), il che significa che ha dato adesione a una ideologia, al demone di un’idea incompatibile con l’insegnamento di Gesù. L’indemoniato è colui che vede in Gesù il Messia che doveva rispondere alle attese che tutto il popolo aveva nei confronti del Messia: un Messia che doveva essere in piena sintonia con l’insegnamento degli scribi. Attribuendogli il titolo di Santo di Dio l’indemoniato ricorda a Gesù che l’atteso Messia doveva vivificare e osservare la tradizione e la legge, doveva perciò mettere le sue capacità al servizio del sistema, al servizio dell’istituzione religiosa e della sua dottrina. L’uomo dallo spirito impuro snatura la fede, mentre Gesù pone una netta differenza tra la religione e la fede: nella religione l’uomo deve meritare l’amore di Dio attraverso i suoi sforzi, nella fede deve semplicemente accoglierlo. L’amore di Dio non è frutto dei meriti dell’uomo acquisiti con tanti sforzi, ma è una azione divina che si fa dono all’uomo.

Lo spirito impuro, che alberga in tutti gli uomini, mi fa dire: “io so chi tu sei” (Mc 1, 24). E se so chi è Gesù, so chi è Dio, so che Dio deve comportarsi come penso io. In tal modo ingabbio il mistero divino nella mia costruzione mentale religiosa.

[13] La differenza tra spirito immondo e indemoniato è che mentre l'uomo posseduto dal primo solo in particolari circostanze manifesta la sua condizione di posseduto, la condizione dell'indemoniato è evidente e continua (Maggi A., Gesù e Belzebù, ed. Cittadella, Assisi, 2000, 80s.).

[14] Gesù ci ha fatto passare dalla religione alla fede. La religione fa lavorare l’uomo per la divinità, ma come emerge dal vangelo questo continuo sforzo porta solo sterilità nell’uomo (basta ricordare l’episodio di Zaccaria ed Elisabetta – Lc 1, 7; oppure pensiamo al figlio maggiore nella parabola del padre misericordioso – Lc 15, 25ss.) Invece la fede è aprirsi per cercar di sintonizzarsi su Dio, non fare qualcosa per Lui, ma respirare in Lui (e finire per essere una cosa sola col Padre, come lo è Gesù - Gv 17,11) per far fiorire la vita attorno a noi.

[15] Ci hanno insegnato che Dio si può conoscere solo attraverso Gesù, perché Dio lo possiamo conoscere ed incontrare solo nell’umano. Poi, però, la stessa istituzione ecclesiastica ha fatto coriandoli di questo principio. Prendiamo il Catechismo. Da dove comincia? Forse da Gesù che si è speso per gli uomini, soprattutto per gli emarginati ed esclusi? NO. Comincia da Dio che evidentemente è più importante. Correttamente è stato fatto allora notare che il Dio che ha in testa la maggior parte di coloro che credono o che non credono “si comprende a partire dal potere, dalla grandezza, dalla maestà, dalla forza che impressiona, dall’autorità che si impone e comanda, dalla minaccia che intimorisce e fa paura.” Indubbiamente questa spiegazione sta bene agli uomini a cui sta a cuore il potere, l’autorità (Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, Cittadella, Assisi, 2008, 42). Ma il Dio che si è fatto conoscere in Gesù si comprende a partire dal servizio.

[16] Certo che i troni creano distanza ed incutono sogge­zione; è per questo che la «deposizione dei potenti dai troni», così come canta la Madonna del Magnificat (Lc 1, 52), è un atto liberatorio che solo un Dio detronizzato può compiere.

[17] Cfr. note precedenti.

[18] Aristotele sosteneva che quando una cosa ha materia e forma esiste nella realtà. Per san Tommaso, forma (che limita la materia) e materia esprimono invece l'essenza (il che-cosa-è; ciò che fa sì che una cosa sia quella e non un’altra) ma non dicono niente se nella realtà quell'essenza esiste (es. l'araba fenice, il marziano esistono?). Per esistere l'essenza deve essere in atto: un blocco di marmo è marmo in atto e statua in potenza; quando avrà la forma di statua sarà statua in atto. Tutte le cose sono composte di potenza e atto, per cui sono imperfette, perché possono modificarsi. L'essenza è potenza rispetto all'atto di essere. Quando l'essenza riceve l'atto di essere si ha l'ente, ossia quel particolare essere esistente nella realtà. L’ente è essere in atto, l’esistente nella realtà, quindi il ciò-che-è. Tutto ciò che esiste è essenza che esiste nella realtà, essere in atto (Fontana S., Filosofia per tutti, ed. Fede&Cultura, Verona, 2016, 49s.). Solo Dio è atto puro, e quindi perfezione. Il Logos è parola divina (Gn 1, 1-3) che, detta, crea: quindi è potenza ed atto pieno e perfetto. Perciò anche il Logos è Dio.

[19] Galantino N., L'amore di Dio abita in mezzo a noi, "Famiglia Cristiana", n.51/2015, 95.

[20] Non è curioso che Papa Francesco faccia tanto scalpore perché fa e dice cose assolutamente normali, ma che appaiono del tutto eccezionali in quanto vengono dalla più alta carica della Chiesa che noi non siamo abituati a vedere come una persona normale?

[21] Come ricordava il Machiavelli (Il principe, 17[3]) gli uomini dimenticano più facilmente la morte del padre che il furto del proprio patrimonio.

Ovviamente, se prendiamo il racconto alla lettera, come un fatto storico realmente accaduto, siamo davanti a un racconto grottesco, non essendo credibile che un’intera mandria di porci corra per chilometri e si getti in mare (Guerriero A., Quaesivi et non inveni, Mondadori, Milano, 1973, 246).

[22] Il che viene confermato nell’episodio della samaritana al pozzo (Gv 4, 20ss.). Quando la donna, un po’ frastornata, chiede a Gesù in quale tempio si deve realmente pregare Dio, Gesù le risponde che non si deve andare più in alcun luogo sacro.

[23] Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes §9 e soprattutto 12 e 27 – del 7.12.1965.

[24] Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 63 e 65ss.; Mateos J. e Camacho F., Il figlio dell’uomo, Cittadella, Assisi, 2003, 59; Maggi A., Gesù ebreo per parte di madre, Cittadella, Assisi, 2007, 111ss.

[25] Intervista radiofonica a José Maria Castillo, a cura di don Paolo Iannaccone - martedì 23 maggio 2017.

[26] Per molti vescovi il discorso è ancora tabù, perché pensano che la libertà religiosa distrugga la verità, che l’idea della collegialità nella Chiesa distruggerebbe il primato di Pietro. Invece lo stesso papa Benedetto XVI aveva riconosciuto che il Concilio Vaticano II ci ha insegnato che per la struttura della Chiesa è costitutiva la collegialità; che il papa può essere soltanto un primo nella condivisione e non un monarca assoluto che prende decisioni in solitudine e fa tutto da sé (Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 107). Pensate a quanta difficoltà incontra ancora papa Francesco che da anni spinge i vescovi italiani a un sinodo, e finora nessuno si è mosso.

[27]La Bibbia – lettera ai filippesi, a cura di Pitta A., Piemme, Casale Monferrato, 1996, 2843.

[28] La questione della natura di Cristo divenne incandescente con Ario, appena nel terzo secolo dopo Cristo.

[29] Pensate a come la Chiesa è cambiata nel corso dei secoli: per il vescovo di Arles, Cesario (503-543), era peccato mortale anche avere rapporti coniugali prima delle feste religiose e durante la Quaresima, per cui egli imponeva una penitenza canonica pubblica (Ricca P., Ego te absolvo, Claudiana, Torino, 2019, 57).

[30] La resurrezione come miracolo avrebbe rinviato a una nuova religione. La resurrezione come segno rinvia a un nuovo modo di esistenza (Yannaras C., Contro la religione, ed. Qiqajon Comunità di Bose, Magnano (BI), 2012, 58).

[31] Ratzinger J. Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2000, 153 ss.: solo se Gesù è realmente uomo al pari di noi può essere nostro mediatore, e solo se egli è realmente Dio al pari di Dio la mediazione raggiunge lo scopo. Altri teologi, però, sostengono ragionevolmente che anche eliminando dalla figura di Cristo la dimensione della sua divinità, è possibile credere in lui. La fede non è, infatti, conseguenza diretta della conoscenza di Gesù, tant’è che non tutti quelli che l’hanno visto hanno avuto fede in lui. La fede si fonda invece sulla “Pasqua.” Quando Gesù è morto ha lasciato i discepoli delusi e scoraggiati: questo prima della Pasqua. Poi, improvvisamente, li troviamo completamente trasformati e capaci perfino di affrontare la morte senza paura. Cosa è veramente successo non si sa. Tutto quello che possiamo dire è che qualcosa di notevole e non previsto deve essere accaduto (Van Buren P., The secular Meaning of the Gospel, SCM Press, Londra, 1963, 128). Non abbiamo sufficiente prove storiche per confermare che la resurrezione sia avvenuta come ce la raccontano. Quello che è certo, però, è che gli apostoli hanno cominciato a vedere Gesù in maniera nuova e inattesa, e la sua libertà è diventata “contagiosa” (p.131 ss.), per cui i discepoli raccontano la storia di un uomo libero che li aveva resi liberi. Teniamo infatti presente che Gesù libera senza legare, senza impossessarsi di chi libera; come si vede fin dall’inizio del vangelo di Marco, Gesù dopo averli liberati lascia andare sia l’indemoniato della sinagoga, sia il lebbroso, sia l’indemoniato di Gerasa. L’opposto di quanto aveva detto il Dio biblico, che avendo liberato gl’israeliti dalla schiavitù egiziana, li considerava suoi servi (Lv 25,55: «Poiché gli Israeliti sono miei servi; miei servi, che ho fatto uscire dal paese d'Egitto. Io sono il Signore vostro Dio»).

La figura di Gesù emerge allora come quella di un essere umano straordinariamente libero. Gesù era completamente libero per il prossimo, ed era un uomo completamente libero di darsi agli altri, e di liberare gli altri perfino dalla schiavitù della legge mosaica (Gal 2, 19; 3, 10-13; 4, 21-31; 5, 1-4), come dice Paolo. E per gli altri, la resurrezione sta semplicemente a significare liberazione dalle preoccupazioni, dalle miserie, dalle angosce, dai desideri, dal peccato e dalla morte (Robinson J.A.T., Dio non è così, ed. Vallecchi, Firenze, 1965, 102; Bonhoeffer D., Lettere e appunti dal carcere, ed. Bompiani, Milano, 1969, 252.).

In tal modo cade anche la teoria sulla quale molto ha battuto la Chiesa del valore infinito dell’opera redentrice di Gesù-Dio che non sarebbe possibile se la passione di Cristo fosse solo la passione di un uomo: infatti non si può negare che Dio avrebbe potuto perdonarci i peccati per qualunque azione di Cristo (e tale perdono sarebbe già redenzione), se così fosse piaciuto a Lui (Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, Cittadella, Assisi, 1997, 76). Di più: quando il potere romano divinizza sé stesso presentandosi come salvatore del mondo, Dio umanizza sé stesso per salvarci. E se Dio si è abbassato al livello umano, dobbiamo anche pensare che Dio salvi a livello umano, privandosi dei suoi poteri e della sua alta dignità. Ancora una volta, esattamente il contrario di quello che normalmente noi uomini continuiamo a pensare, perché noi (compreso il Vaticano) siamo sempre convinti che solo a partire dal potere, dalla forza, dal denaro (e perché no? con un po’ di violenza, perché quando ci vuole, ci vuole) possiamo cambiare questo mondo malandato e sconquassato.

[32] Coda P., Dio Uno e Trino. Rivelazione, esperienza e teologia del Dio dei cristiani, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1993, 115.

[33] Del resto, il Risorto non si presenta mai pieno di luce sfolgorante (Lc 24, 16), ma ripetendo quelle forme che, da vivo, avevano manifestato il suo amore: ad es., viene riconosciuto non per il volto o la veste che brillano, ma dallo spezzare il pane (Lc 24, 30-31), segno riassuntivo di tutta una sua vita di amore per gli altri.

[34] Lc 20, 36 vincola la nostra filiazione alla resurrezione.

[35] Se uno si orienta correttamente in questa vita, la sua stessa vita è già definitiva e in grado di superare la morte perché la sua è una vita senza limiti (Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 239-246).

Chi resta chiuso nel suo egoismo, chi resta chiuso nel suo bozzolo, non va al di là dello stadio di crisalide, e se non si trasforma per tempo in farfalla, marcisce dentro il suo bozzolo. Io credo avesse ragione Pierpaolo Pasolini a dire: “Là dove il cristianesimo non rinasce, marcisce”. Se non rinnoviamo il cristianesimo, alla luce delle nuove comprensioni, se continuiamo a usare parole e formule che ormai non ci dicono più nulla, esso marcirà.

[36] Giovanni della Croce, Cantico spirituale, B, 11, 10. Vedasi anche il Finale del Cantico dei Cantici: ‘Forte come la morte è l’amore!’

[37] Sono stati soprattutto i teologi greco ortodossi a dire che possiamo diventare Dio: vedi già Atanasio, L’incarnazione della Parola, § 54, in www.documentacatholicaominia.eu, sotto voce Athanasius: “Egli si fece uomo affinché noi potessimo essere divini”. Il progetto di Dio sull’umanità è che ogni uomo diventi suo figlio, attraverso la pratica di un amore che assomigli al suo. Ogni uomo è così importante per Dio che Egli vuole dargli condizione divina (Maggi A., Il Dio impotente, conferenza tenuta a Senigallia il 7.3.2010).

[38]Ad es. Lohfink G., Gesù di Nazaret, ed. Queriniana, Brescia, 2014, 411.

[39] Ad es. Ortensio da Spinetoli, Bibbia e Catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 108.

[40] Maggi A., Prologo del Vangelo di Giovanni, conferenza tenuta ad Assisi, 17.19.9.1993, in www.studibiblici.it.

[41] Anche altri autori sostengono la formula nei termini del Progetto di Dio: un essere divino era il progetto (Gv 1, 1), e ciò si verifica in Gesù ove il progetto si fece carne (Gv 1, 14), cioè si realizzò in un uomo mortale (Mateos J. e Camacho F., Il figlio dell’uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 234).

[42] Maggi A., omelia sul battesimo di Gesù del 10.1.2021. Cfr. anche quando ha detto don Luciano Locatelli a proposito dello Spirito santo, nella risposta n.20.

[43] Cfr. precedente nota 22.

[44] Per cui la Chiesa, stando sempre all’Apocalisse, dovrebbe ritirare la sua adesione a tutto ciò che si oppone a questo disegno.

[45] Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, Cittadella, Assisi, 1997, 76.

[46] Anche la Bibbia aveva descritto il rapporto di Dio col suo popolo equiparandolo a volte al rapporto dello sposo con la sposa, altre volte al rapporto dell’agricoltore con la sua vigna (Is 5, 1 ss.). La vigna non è una pianta qualunque: insieme al fico rappresenta il popolo di Israele (Ger 5, 17; Os 2, 14; Zac 3, 10).

Nella parabola dei vignaioli omicidi Marco descrive la futura distruzione di Gerusalemme come azione di Dio (Mc 12, 9: il padrone della vigna verrà e sterminerà tutti gli affittuari, affidando poi la vigna ad altri).

[47] Gesù si rivolgeva di continuo a quelli che il sistema religioso rigettava. Ha abbracciato i lebbrosi la cui carne immonda era condannata come intoccabile dalla tradizione religiosa. Ha permesso di essere toccato dalla donna con un disturbo mestruale cronico che, per le leggi religiose tradizionali, era dichiarata impura e fonte d’impurità. Ha messo da parte il riposo del sabato quando entrava in conflitto col bisogno umano. Ha chiamato Matteo, un giudeo che lavorava per i romani come esattore ed era perciò impuro, per farlo diventare uno dei 12. Ha rifiutato di condannare la donna sorpresa in adulterio come ordinava la Torah (Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 208). Nella distribuzione dei pani (Mt 14) manca il rituale lavaggio delle mani degli ebrei religiosi, perché altrimenti quello che mangi ti rende impuro. E avanti così.

L'impurità era vista in allora come qualcosa di fisico che contagiava: come noi oggi chiediamo all'amico che ha il Covid di non starci troppo vicino perché abbiamo paura di essere contagiati dai suoi virus, così gli ebrei erano convinti di poter essere contagiati dall'impurità degli altri.

Pilastro della religione era perciò il seguente: l'uomo deve purificarsi per essere degno di Dio. Gesù dimostra invece che è l'accoglienza di Dio quello che purifica. L’opposto di quello che insegna la religione. Cfr. anche risposta n.20.

[48] Per questo stesso motivo, i musulmani che riconoscono in Gesù un grande profeta, non accettano l’idea che possa essere morto crocifisso, perché non sarebbe potuto essere benedetto da Dio. Nella Sura IV 157 infatti si legge: “fu crocifisso qualcuno simile a Gesù”. Un altro ha preso il suo posto per volontà divina beffando i romani e i sacerdoti d’Israele.