Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano


Un epitaffio per papa Benedetto XVI: “Disse e si contraddisse”



di Dario Culot

Papa Benedetto XVI con il camauro

e con le scarpette rosse

È opportuno iniziare con una premessa forse scontata: ci sono cristiani talmente legati alle tradizioni passate che temono qualsiasi cambiamento nella Chiesa, e sono convinti che l’attuale crisi sia dovuta alle innovazioni importate dopo l’ultimo concilio. Ci sono altri che si aspettano un forte rinnovamento, a cominciare dalla struttura vaticana, e sono convinti che senza grandi innovazioni la Chiesa, così com’è, è destinata a scomparire. Mentre Francesco persegue una Chiesa rinnovata, più inclusiva, più misericordiosa e meno attenta ai dogmi, Benedetto XVI - al pari del predecessore Giovanni Paolo II - è stato certamente un papa che voleva custodire il passato. Per questo molti ritengono che abbiano cercato di affossare il concilio Vaticano II, potendo contare su una Curia nell’insieme piuttosto tradizionalista[1]. Come? Il romanzo della teologa Zarri sembra molto realistico sul punto: «I funzionari della curia erano forti, con in mano tutte le leve del potere, sapevano muoversi e destreggiarsi meglio di chiunque altro e tuttavia – rispetto ai confratelli che venivano (per il concilio) da ogni parte del mondo – erano meno numerosi e si trovarono presto in minoranza. Masticarono amaro ma non si persero d’animo. Anche nel passato concilio era accaduto lo stesso, e alla fine loro si erano detti: “I padri conciliari ora tornano a casa e qui restiamo noi.” Così fu. I padri se ne andarono e i curiali restarono e cominciarono a seppellire il concilio adagio, con un po’ di sabbia per volta, che quasi non paresse; seguitando a citarlo e seguitando a insabbiarlo»[2].

Condivido pienamente l’analisi della Zarri perché è chiaro che, fintanto che le vere scelte sono riservate esclusivamente ai funzionari vaticani, non c’è sconfitta che loro non possano alla fine rovesciare.

Facendo parte di coloro che si aspettano un rinnovamento, visto che Gesù, annullando l’abissale distanza tra Dio e gli uomini creata dalla religione, ha reso inutile l’enorme struttura religiosa posta come mediatrice tra Dio e gli uomini,[3] se mi avessero chiesto di scrivere un epitaffio per la tomba di papa Benedetto, avrei suggerito: “Disse e si contraddisse”. Perché? Lo chiarisco qui di seguito.

Quando, nel 2005, il cardinal Ratzinger è diventato papa, aveva passato già vari lustri a dirigere la Congregazione per la dottrina della fede. La sua fama di acuto teologo aveva convinto papa Giovanni Paolo II a chiamarlo in Curia fin dagli anni ’80 per dare un indirizzo univoco e preciso alla dottrina cattolica e difendere le chiare tradizioni della fede. Perciò, essendo ben inserito nelle vicende vaticane, era stato probabilmente eletto nella convinzione che fosse il più idoneo a misurarsi con la difficile eredità lasciata da papa Giovanni Paolo II[4].

Indicato nell’insieme come uomo mite, umile,[5] come un erudito e grande studioso, come un amante della Verità, ha in realtà sostenuto che, siccome solo Dio è Verità, occorre obbedire alla volontà di Dio, che però si può conoscere solo grazie a ciò che il magistero dice di Dio. Col suo modo di dirigere la Chiesa, di far conoscere la Verità divina e la dottrina della Chiesa senza voler dar spazio a dubbi, ha ridotto al silenzio, tolto cattedre e cercato di zittire decine di teologici seri e coscienziosi che sentivano di dover attualizzare quei principi che il concilio Vaticano II aveva proclamato. Solo per richiamare qualche nome noto, ha cercato di togliere dalla circolazione menti brillanti come Jon Sobrino, Gustavo Gutiérrez (ideatori della teologia della liberazione che aveva al suo centro l’opzione per i poveri),[6] Juan Antonio Estrada, Bernhard  Häring, Jacques Dupuis, Anthony de Mello, Hans Küng, Edward Schillebeeckx, Leonard Boff, Karl Rahner, Matthew Fox, Eugen Drewermann, Pedro Casaldàliga, José Maria Vigil, Tissa Balasuriya, Ortensio da Spinetoli, Franco Barbero, José Maria Castìllo (e molti altri; sono un centinaio solo fuori dell’Europa).

Eppure, nel 1968, Ratzinger in persona aveva sottoscritto un documento firmato da 1360 teologi cattolici di 53 paesi. La Dichiarazione di Nijmegen diceva: «Qualsiasi forma di inquisizione, per quanto sottile, non solo danneggia lo sviluppo di una teologia sana, ma provoca anche un danno irreparabile alla credibilità della Chiesa come comunità nel mondo moderno»; quello stesso documento chiariva che l’opera d’insegnamento del papa e dei vescovi «non può e non deve soppiantare, ostacolare e impedire il compito di insegnamento dei teologi in quanto studiosi»[7]. Anni dopo, parlando come papa a Lourdes il 14.9.2008, aveva sostenuto che “Nessuno è di troppo nella Chiesa. Ciascuno, senza eccezione in essa deve potersi sentire a casa sua, e mai rifiutato”[8]. Chiaro che queste sue affermazioni non possono dirsi coerenti col suo comportamento, perché papa Benedetto ha trasformato la sua teologia nell’unica teologia ammessa, la sua teologia è diventata l’unità di misura dell’ortodossia e nonostante la sua sorridente mitezza è stato in realtà un teologo portatore di un pensiero rigido e inflessibile. Chi non si uniformava non aveva diritto di parola; la Chiesa non era affatto casa sua.

Ma quello che mi ha colpito ancora di più in questa persona che aveva partecipato con entusiasmo alle innovazioni feconde del Concilio (era stato chiamato come perito dall’arcivescovo di Colonia Josef Frings, che apparteneva alla corrente degli innovatori), è stata la sua frenata e retromarcia teologica, evidentemente spiegabile solo con il suo spavento nel proseguire sulla linea rinnovatrice del concilio. Per far notare le enormi contraddizioni fra il giovane Ratzinger che aveva partecipato al concilio e il Ratzinger papa riporto qualche esempio.

(1) Il n.36 del Catechismo della Chiesa cattolica[9] – papa Ratzinger ha curato personalmente il Compendio[10] del 2005 rendendo il Catechismo più snello, e all’art.3 conferma quanto detto nel Catechismo maggiore, - proclama solennemente che “La Santa Chiesa, nostra madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create” (Rm 1, 20). Questa affermazione venne resa dogmatica[11] dalla Chiesa nel concilio Vaticano I, ovviamente sotto la consueta minaccia di scomunica[12] per chi la pensava diversamente, e venne rinforzata da Papa Pio X con l’imposizione di un giuramento in tal senso per tutti i professori ed educatori cattolici[13]. Tale giuramento venne abolito appena nel 1967 da papa Paolo VI[14] e quindi anche papa Benedetto XVI l’aveva necessariamente prestato visto che aveva 40 anni al momento dell’abolizione e aveva cominciato a insegnare a Monaco almeno dieci anni prima. Eppure, da cardinale, aveva clamorosamente smentito il Catechismo e il Vaticano I, affermando (assai più ragionevolmente) che l’esistenza di Dio come persona pur solidamente argomentabile “non è oggetto di dimostrazione” ma resta un’ipotesi che esige da parte della Chiesa “di rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell’ascolto umile”[15]. Sorge allora spontanea qualche domanda. Per questa sua presa di posizione il cardinal Ratzinger ha subìto la scomunica in base all’anatema del concilio Vaticano I?

(2) Gesù aveva detto: «non chiamate nessuno Maestro, perché uno solo è il maestro». Infatti, tutta la Chiesa si atteggia a Maestra,[16] come se Gesù non avesse detto niente. Gesù aveva abolito tutti i titoli ecclesiastici perché siamo tutti fratelli (Mt 23, 8), tutti a formare lo stesso cerchio con al centro solo Gesù,[17] e la Chiesa ha fatto l’esatto contrario di quello che Gesù aveva detto e fatto. In particolare Gesù aveva abolito l’uso di paramenti e segni distintivi, e abbiamo visto le scarpettine rosse e tutto il resto. Ma proprio a proposito degli abiti e dei paramenti riportati in auge da papa Benedetto XVI, guardate cosa scriveva negli anni ’60 il giovane Ratzinger: “La nostra realizzazione cristiana effettiva non sembra essere la maggior parte delle volte assai più simile al culto delle alte cariche dei giudei stigmatizzato da Gesù che non all’immagine da lui disegnata della comunità cristiana fraterna? Non soltanto il titolo di ‘padre’ viene limitato in Matteo 23, 8-11 (non fatevi chiamare rabbi, padre, guide), bensì tutta la forma esteriore (ribadiamolo: esteriore) del gerarchismo, così come essa si è strutturata nei secoli dovrà in continuazione lasciarsi giudicare da questo testo”[18]. Possiamo fondatamente chiederci: Benedetto XVI è stato forse un sosia di Ratzinger?

(3) Essere sottomessi ed obbedire sempre al magistero è imprescindibile per poter insegnare[19] e per poter indagare all’interno della Chiesa[20]. Visto che i nn.150 e 180 del Catechismo parlano di adesione libera e cosciente alla fede, sembra si sia liberi di aderire, ma poi, una volta entrati nel recinto, con un’evidente contraddizione, ci si trova imbrigliati da un bel numero di articoli (come, ad esempio, i nn. 143, 154, 156, 182 del Catechismo), i quali affermano che al Dio che si rivela va prestata piena sottomissione in base alla sua autorità (non si parla più di adesione libera e cosciente all’offerta della Buona Novella). Annota criticamente un teologo[21] che siccome nessuno ha mai visto e mai vedrà il Dio che si rivela, la piena sottomissione alla sua autorità si trasforma immediatamente nella piena sottomissione all’autorità della Chiesa[22] che parla nel nome di Dio; ed il n.182 del Catechismo conferma in effetti proprio questo assunto. Non è un caso se, nel corso dei secoli, la categoria più perseguitata è stata proprio quella dei credenti che si rifiutavano ostinatamente di sottomettere la loro intelligenza alla autorità del magistero romano, posto che la fede viva e vera è stata intesa dalla Chiesa sempre e solo come accettazione obbediente al suo insegnamento. Diceva ancora pochi anni fa il cardinal Ruini,[23] presidente della CEI sotto papa Benedetto, che la fede è viva solo se mediata dall’autorità della Chiesa, solo accettando l’autorità della Chiesa; al di fuori del recinto della Chiesa la fede è morta. Ma è stato forse scomunicato Benedetto XVI quando, ancora giovane teologo progressista, aveva scritto: “Al di sopra del papa… sta ancora la coscienza individuale, alla quale prima di tutto bisogna obbedire, in caso di necessità anche contro l’ingiunzione dell’autorità ecclesiastica”?[24] Possiamo di nuovo chiederci: Benedetto XVI era un sosia di Ratzinger? E come dimenticare che nel 1974 (quindi dopo il concilio) Giovanni Franzoni, abate del monastero benedettino San Paolo fuori le mura, è stato sospeso a divinis, per aver sostenuto la libertà di coscienza dei cattolici nel referendum sulla legge sul divorzio? Ratzinger non è stato sospeso, Franzoni sì per aver applicato a un caso pratico ciò che Ratzinger aveva sostenuto in astratto.

(4) Molti cattolici tutti di un pezzo, dopo quasi mezzo secolo dal Concilio, non hanno ancora preso atto, e soprattutto non vogliono prendere atto - che «L’essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza» (n.1800 del Catechismo[25]). Tanti, ancora oggi, aderiscono alla vecchia visione romana[26] sostenendo che non dovremmo assolutamente decidere secondo coscienza, perché la mia coscienza potrebbe essere diversa dalla tua, e allora chi ha ragione? C’è una sola Verità, oggettiva, universale e uguale per tutti,[27]  non tante, e allora come si fa? Semplice: si va a sentire qual è l'insegnamento della Chiesa in proposito perché la Chiesa possiede questa Verità, e poi - che piaccia o no, se si vuole veramente cercare di seguire la “dritta via”[28] - la si segue e basta, altrimenti si corre il rischio di deificare la soggettività, facendo diventare la coscienza infallibile[29]. Obbedienza dentro al recinto della Chiesa. Chissà se, prima di morire, Benedetto XVI sarebbe stato imbarazzato se gli fosse stata posta qualche domanda su quanto aveva scritto da giovane teologo: “Al di sopra del papa, come espressione della pretesa vincolante dellautorità ecclesiastica, resta comunque la coscienza di ciascuno, che deve essere obbedita prima di ogni altra cosa, se necessario anche contro le richieste dell'autorità ecclesiastica. Lenfasi sull'individuo, a cui la coscienza si fa innanzi come supremo e ultimo tribunale, e che in ultima istanza è al di là di ogni pretesa da parte di gruppi sociali, compresa la Chiesa ufficiale, stabilisce inoltre un principio che si oppone al crescente totalitarismo”[30].  Evidentemente da giovane, il futuro papa riteneva che chi seguiva la strada della sicurezza all’interno del recinto della Chiesa, nella certezza di ricevere solo lì una verità assoluta e immutabile, rischiava il totalitarismo, l’imperialismo religioso. Mi sembra però evidente che, seguendo queste linee, la salvezza della dottrina diventa ben più importante della salvezza delle persone. Ma Gesù è venuto per salvare le persone. Da notare che non diversamente, nello stesso periodo, ci si comportava nel partito comunista, che non a torto veniva spesso definito come una chiesa: Aragon Louis, poeta e scrittore francese, fedele sostenitore del partito comunista francese, sosteneva: “Il Partito mi ha fatto sapere che il poeta Paul Nizan era un traditore. Ebbene gli ho creduto…Io credo sempre a quel che mi dice il partito”.

Mi sembra ulteriormente evidente che, quando un’istituzione rivendica il diritto assoluto di essere l’unica rappresentante del più alto grado di sviluppo dello spirito del mondo, tutti gli altri sono privi di diritti. Personalmente credo che, quando una struttura tende a soffocare ogni deviazione dall’ortodossia spacciandola per relativismo, quando una struttura ha timore di essere smentita e detronizzata da idee diverse, corre il rischio di far emergere alla fin fine la volontà di un piccolo gruppetto di uomini, anche nella Chiesa, e non è detto che questa volontà sia quella di Dio.

(5) L’opposto della verità assoluta e del totalitarismo è il relativismo. Questo relativismo (culturale, scientifico, etico e perciò anche religioso) è stato per papa Benedetto “il male” della modernità, tanto che aveva parlato perfino di dittatura del relativismo ancor prima di essere eletto[31], e si dice che questa sua presa di posizione abbia favorito la sua elezione. Battendo su questo chiodo fisso[32], fin dai primi giorni del suo pontificato, questo papa ha incoraggiato tutti a non lasciarsi vincere dalla mentalità relativista, che è un modo di rinunciare alla ricerca sulle Verità già offerta dalla Chiesa, è uno stile di pensiero in cui si evita di parlare in termini di vero o falso, dal momento che non si riconosce un’esigenza di validità oggettiva sui giudizi (in particolare sui giudizi che trascendono quanto ciascuno può vedere e toccare: Dio, l’anima, ecc.). Il relativismo resta perciò indifferente alla verità, perché ogni opinione è uguale a un’altra.

Non mi sembra che questo pensiero del papa sia condivisibile, e mi sembra assai più logico sostenere che fra il dogmatismo (c’è una sola Verità ed è questa che vi offre la Chiesa) e il relativismo radicale (non è possibile conoscere la verità, sì che qualsiasi opinione è parimenti valida) possa esistere un'ampia gamma di possibilità, e negando il primo non si accetta automaticamente il secondo, né viceversa. Tra il vedere chiaramente la realtà e l’essere ciechi c’è un abisso, e un’ampia terza via. Un miope non vedrà benissimo, ma quanto basta per non andare a sbattere[33].

Il relativismo, allora, può essere inteso almeno in due modi molto diversi. Una prima interpretazione è quella sostenuta dal papa, secondo cui una affermazione equivale all’altra. Non ci sono differenze in ordine alla verità, perché la verità in sé non esiste. Un secondo criterio ritiene che ogni affermazione sia relativa ad un determinato orizzonte culturale ed all’interno di quell’orizzonte sia “orientativa” della verità, per cui invita ad andare in quella direzione. Per un credente in Dio, il relativismo radicale non ha senso, proprio perché anche per lui la Verità esiste, ed è Dio. Non è, però, conoscibile pienamente, perché Dio è sempre oltre le nostre possibilità e la verità non è mai esaurita nelle formule umane limitate. Proprio perché viene affermato che Dio è più grande, è sempre oltre, la verità non può mai essere fissata in una prospettiva unica. In questo senso il pluralismo è un valore, e la molteplicità delle prospettive può consentire un arricchimento reciproco. In questo modo il dialogo diventa uno degli strumenti fondamentali per la conoscenza della verità. Neanche per il relativista c’è un’equiparazione assoluta di tutte le formule. Ce ne sono alcune più perfette ed altre meno, perché sono relative ad una verità che è comunque sempre più grande. Il discernimento – tante volte richiamato da papa Francesco - è allora necessario.

E per sdoganare ciò che papa Benedetto chiamava il male del secolo, cioè il relativismo che - a suo giudizio - nel rifiutare d’impostare la dottrina in termini binari (sbagliato-giusto), è un pericolo per l’unità della Chiesa e la sicurezza dei fedeli, basterà qualche semplice esempio. Anzi, l’esempio aiuta a capire che la realtà non può essere interpretata solo in prospettiva binaria (vero o falso; sbagliato-giusto). Immaginiamo che io scriva in grande il numero “6” su un tavolo dove mi trovo seduto; per chi mi si avvicina dalla parte opposta di quel tavolo il numero che leggerà sarà il “9”. O ancora meglio: immaginiamo un treno che viaggia velocemente da Trieste verso Venezia; un signore va verso il bagno in coda al treno. Per un passeggero seduto nello stesso vagone quel signore si sta spostando verso Trieste. Ma per un osservatore a terra quello stesso signore si muove invece verso Venezia. È la realtà a dirci che il relativismo ci offre più verità, e non possiamo dire che una sola affermazione è sempre l’unica giusta mentre l’altra è sempre sbagliata. Questo ci suggerisce anche che non possiamo avere prima un’idea e poi adattarla alla realtà; prima c’è la realtà, cui segue l’idea.

In Giappone il modo di pensare è diverso, nel senso che i giapponesi non pensano come nella logica europea degli opposti. Se noi diciamo che una cosa è nera, significa che non è bianca. I giapponesi dicono: è bianca, ma forse è anche nera. In Giappone si possono combinare gli opposti senza cambiare punto di vista, tanto è vero che nel simbolo del Tao, dentro alla parte bianca c’è un puntino nero e viceversa, perché ogni manifestazione ha già in sé il suo opposto[34].

Ma, alla fin fine, il bello è che anche papa Ratzinger è di quest’idea perché troviamo più di una sua affermazione dottrinale chiaramente in tal senso, cioè ‘relativizzata’, quando scrive[35] che, se vogliamo parlare del Dio Trascendente, dobbiamo renderci conto che non sappiamo sostanzialmente nulla e riusciamo solo ad accennare alla verità, che tuttavia nella sua totalità non coglieremo mai in questa vita. Insomma, anche riconoscendo che la Verità è una sola, Ratzinger ammette che nessun uomo riesce a coglierla tutta intera, e ognuno di noi può al massimo cogliere solo qualche aspetto della Verità. Questo l’aveva detto prima di diventare papa; ma anche alla fine del suo mandato di papa, ha espressamente smentito la storiella, a lungo insegnataci, secondo cui la Chiesa possedeva la Verità Assoluta; infatti ha riconosciuto che “Noi siamo solo collaboratori della verità che non possediamo; è lei che possiede noi, che ci tocca. E nessuno osa più dire "Possediamo la verità", cosicché anche noi teologi abbiamo tralasciato sempre più il concetto di verità”[36]. Allora, ancora di più mi stupisce questa sua lotta al relativismo e mi sovviene inevitabilmente questa domanda: se perfino un papa conservatore riconosce che di Dio possiamo avere solo qualche vaga idea, se quindi si parte da queste basi così incerte, come può poi la Chiesa imporre ancora oggi a noi tutti i suoi dogmi che definiscono in maniera autoritaria, definitiva e indiscutibile l’essenza di Dio? (Unità e Trinità di Dio; natura divina e umana della seconda persona della Trinità, che però è solo persona divina e non umana). Non lo so; dovete chiederlo a Benedetto XVI.

Ora, non dico che uno non possa cambiare opinione, ma di fronte a queste palesi contraddizioni mi sarei aspettato che un normale teologo avesse chiarito i motivi che lo avevano portato a cambiare idea. Invece per nessuno di questi casi ho trovato una benché minima spiegazione.

Non spetta a me, che non sono neanche teologo, dire se papa Benedetto XVI è stato o meno un grande teologo (alcuni lo hanno perfino paragonato a sant’Agostino). Quello che mi sembra di poter dire è che offrire il fianco a più interpretazioni fra di loro opposte indica per lo meno una non grande linearità e coerenza. È un bel pasticcio cercar di capire se papa Benedetto credeva veramente a quello che aveva detto una o magari anche più volte, oppure alla dichiarazione diametralmente opposta fatta magari anche una sola volta.  Ecco perché “Disse e contraddisse”.

 

 


NOTE

[1] Ricordo che ai tempi dell’ultimo concilio l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale italiano Alfredo Ottaviani, sconvolto e impaurito dalle novità che irrompevano, aveva ripetuto più volte: “Spero di morire prima della fine del Concilio, così morirò da cattolico” (Grana F.A., Papa Francesco  ha troppi nemici?, in

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/20/papa-francesco-ha-troppi-nemici-i-veri-problemi-sono-sulla-scrivania/3865827/

[2] Zarri A., Vita e morte senza miracoli di Celestino VI, Diabasis, Reggio Emilia, 2008, 31.

[3] Maggi A., Il mandante, ed. Cittadella, Assisi, 2009, 41.

[4] In particolare ci s’interrogava su come trasmettere il messaggio evangelico a uomini sempre più secolarizzati, che volendo emanciparsi dal controllo religioso della Chiesa erano sempre più lontani dalla Chiesa. Ci si rendeva perfettamente conto che la linea pastorale finora seguita non era ormai più in grado non solo di fare nuovi adepti, ma soprattutto non frenava l’emorragia di chi si allontanava dalla Chiesa. In quest’ottica papa Benedetto XVI ha creato, all’interno della Chiesa, una struttura nuova, chiamata per l’appunto della nuova evangelizzazione, senza riuscir tuttavia a risolvere il problema. Come fosse stata presa di sorpresa dal cambiamento culturale, l'istituzione Chiesa sussiegosa e autoreferenziale non ha saputo rispondere alla progressiva perdita di prestigio e alla detronizzazione dal proprio scanno di unica mediatrice fra Verità Assoluta e mondo, che aveva occupato per secoli.

[5] Umile? È stato perfino pubblicato un numero speciale di “Famiglia cristiana”, per ricordare il compianto papa emerito, dal titolo La grandezza dell’umiltà. Ora, se il titolo fosse stato usato per fratel Biagio Conte, il fratello laico dei poveri deceduto ai primi di gennaio, non avrei avuto nulla da ridire, come nessuno ha mai avuto nulla da ridire per il rozzo saio di san Francesco, visto poi come viveva e quello che ha fatto.

Ma nel vangelo si dice che l’Onnipotente ha rovesciato i potenti dai troni (Lc 1, 52), e papa Benedetto XVI ha reintrodotto il tronetto di Pio IX, che fino al restauro e recupero da lui ordinato se ne stava in decadenza al Museo del Laterano.

Nel vangelo si dice che Gesù è entrato a Gerusalemme su un asinello (Lc 19, 35), non su un cavallo simbolo dei re, dei potenti, ma su un animale da servizio, perché il Dio di Gesù è colui che serve, colui che porta su di sé i pesi degli altri, e papa Benedetto è andato in giro con le scarpette rosse e le stole in oro pesante, non col grembiule di don Tonino Bello, quando l’unico paramento di cui parlano espressamente i vangeli è  proprio il grembiule (Gv 13, 4: cinse sé stesso), segno di servizio.

Personalmente mi sembra che questa pomposità, questo sfoggio di potenza lungi dal richiamare il mistero di Dio (forse anche con la messa in latino il papa voleva richiamare il mistero di Dio, visto che quasi nessuno capisce più il latino, che quindi è una lingua  per i più misteriosa), rende palese il voler conservare la piramide gerarchica plurisecolare: in alto il vicario di Dio vestito in modo strano (come un aristocratico romano alla corte di Costantino), e in basso, alla base, il gregge vestito comunemente. Questo paludamento che vuole distinguersi a tutti i costi dalla gente normale non mi fa pensare proprio per niente all’umiltà, ma piuttosto al film Il marchese del Grillo, dove chi ha un po’ di potere si sente importante e ricorda agli altri che: «io sono io, e voi non siete un c…z».  Ma voi, ve lo immaginate Gesù Cristo vestito con le scarpette rosse di Papa Benedetto XVI e che passa dall’asinello al tronetto o alla sedia gestatoria per entrare a Gerusalemme?

[6] Questa teologia è stata liquidata da Ratzinger – quand’era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede -  perché avrebbe fatto solo del moralismo politico (Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 197). Cfr., per saperne di più, l’articolo sulla Teologia della liberazione al n.450 del 30.4.2018 di questo giornale.

[7] Citato in John Allen, Pope Benedict XVI: A Biography of Joseph Ratzinger, New York, Continuum, 2005, 67.

[8] In www.vatican.va/ Discorsi – 2008 - Viaggio apostolico in Francia in occasione del 150° anniversario delle apparizioni di Lourdes – alla conferenza episcopale francese.

[9] Di cui Ratzinger è stato risoluto e appassionato fautore (intervista a Cristoph Schönborn, “Famiglia Cristiana” n.3/2023, 19).

[10] E, a proposito dell’idea restauratrice di papa Benedetto, ecco una chicca: l’art.492 del Compendio precisa che lo ‘stupro’ è un peccato contro la castità, e non contro la persona. In Italia, col codice fascista era considerato un reato contro la morale e il buon costume, ma dal 1999 è finalmente diventato un reato contro la persona perché la cultura era ormai cambiata. Evidentemente nella Chiesa si fa più fatica ad accettare i cambiamenti culturali, ed è più difficile schiodarsi dalla tradizione. Eppure la teologia dovrebbe adattarsi a dialogare con la cultura che cambia.

[11] Siamo all’enfatizzazione della scuola di Tommaso d’Aquino secondo cui fede e ragione ben si possono armonizzare (cd. “via antiqua”); contro questa scuola si pose quella di Guglielmo d’Ockhan (cd. “via moderna”, seguita poi da Lutero) che non ammetteva questa possibilità, negando che Dio fosse comprensibile con la ragione, ma solo attraverso la rivelazione (Kampen D., Introduzione alla spiritualità luterana, ed. Claudiana, Torino, 2013, 13s.).

[12] Costituzione dogmatica Dei Filius del 24.4.1870: “La Santa Madre Chiesa ritiene e insegna che Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza mediante la luce naturale della ragione…Se qualcuno dice che Dio unico e vero, creatore e Signore nostro, non può essere conosciuto con certezza: sia anatema. Anatema significa essere sbattuti fuori della comunità. L’affermazione è ripetuta, ma attenuata nel Concilio Vaticano II, con la Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione – Dei Verbum §6 – del 18.11.1965.

[13] Il quale impose a tutti i professori cattolici di effettuare questo giuramento: “Confesso che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con il lume naturale della ragione.” 

[14] Mancuso V., Io e Dio, ed. Garzanti, Milano, 2011, 82.

[15] Riportato in Mancuso V., Io e Dio, ed. Garzanti, Milano, 2011, 101 s.

[16] E lo stesso papa Benedetto ritenendosi un “papa maestro” ha pensato che la sua autorità pastorale di annunciatore della fede e di animatore di vita in un senso evangelico, lo avesse investito anche del potere di controllare il “servizio teologico” (Queiruga A., Benedetto XVI il destino del papa professore, pubblicato il 7.1.2023 in Religión Digital (www.religiondigital.com).

[17] Nel cerchio, a differenza che nella piramide, tutti si trovano alla stessa distanza dal centro, tutti sono uguali, e Gesù viene sempre individuato nel mezzo, mai in cima (Mc 3, 32; Lc 22, 37; 24, 36; Gv 21, 12s.).

[18] Ratzinger  J., La fraternità cristiana,  ed. Queriniana, Brescia, 2005, 74.

[19] Quand’era prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio, oggi Dicastero), nel togliere l’incarico dell’insegnamento universitario al teologo americano Curran Charles aveva scritto in questi termini: “le Sue tesi sono forse convincenti per Lei, ma divergono dall’insegnamento pur ‘non infallibile’ della Chiesa. Non è vero che andando contro l’insegnamento non infallibile si mette in atto un dissenso responsabile che dovrebbe essere sempre permesso. Occorre invece sempre obbedire all’insegnamento, anche se non infallibile, del magistero. Quindi, non obbedendo, Lei non può più essere considerato idoneo né eleggibile ad esercitare la funzione di professore di teologia cattolica” (riportato da Sandri L., Il papa gaucho e i divorziati, Gioacchino Onorati ed., Canterano (RM), 2018, 69s.).

[20] Nel 1987 il gesuita americano Terence Sweeney intervistò 312 vescovi americani su celibato e ordinazione delle donne. Non appena Ratzinger conobbe i risultati (35 vescovi non erano d'accordo con Roma) ordinò a Sweeney di distruggere il materiale o ad abbandonare l'ordine. Sweeney rispose che un’obbedienza non basata sulla ragione e verità non si concilia con la dignità umana (riportato da Drewermann E., Funzionari di Dio, ed. Raetia, Bolzano, 1995, 321).

[21] Mancuso V. Io e Dio, ed. Garzanti, Milano, 2011, 353.

[22] Nella sua opera principale, Historia del Concilio tridentino, Paolo Sarpi (religioso, teologo e scienziato inviso al Vaticano che gli rifiutò la nomina di vescovo sia per quello che diceva, sia perché aveva troppi contatti con colleghi protestanti) considera il Concilio di Trento sostanzialmente come uno strumento della politica accentratrice del papato, tanto che per primo aveva parlato di monarchia pontificia: una svolta decisiva per la Chiesa, in quanto ha abbattuto gli ultimi residui delle sue antiche "libertà" instaurando l'assolutismo papale che si veniva preparando da secoli. Nel concilio non prevalsero, secondo Sarpi, gli interessi religiosi, ma quelli politici: la Chiesa ne uscì rafforzata nel suo organismo temporale, a scapito dei suoi attributi propriamente religiosi e spirituali (in www.treccani.it).

Ecco perché nei secoli la Chiesa, spaventata da una cultura che non le riconosceva il primato assoluto nel mondo e temendo una sua marginalizzazione (quando invece, ad es. nella Redemptoris missio §§17ss. si diceva che solo la Chiesa possiede la totalità dei mezzi di salvezza), ha contrapposto autorità a libertà, perché ha letto la libertà come negazione della sua autorità e ha visto (e tuttora molti nel magistero vedono, perché sono più legati al concilio di Trento che all’ultimo concilio) ogni cosa nuova come una minaccia. Questa presa di posizione ha poi indotto a far credere che Dio sia contrario alla libertà, mentre sicuramente il Dio prospettatoci da Gesù è il Dio della libertà (Lc 4, 18). Anche san Paolo aveva affermato che “siamo chiamati a una vita di libertà” (Gal 5, 1-13). Giustamente allora oggi viene riproposta questa domanda: quando ci confrontiamo con le donne e gli uomini del nostro tempo, l’immagine che diamo è quella della libertà dello Spirito o quella di coloro che sono preoccupati di porre paletti o di disegnare recinti entro i quali l’autorità si trova a suo agio? (Casati A., Le paure che ci abitano, Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2010, 73).

[23] Riportato in Mancuso V. Io e Dio, ed. Garzanti, Milano, 2011, 197.

[24] Scritto di Ratzinger J., in raccolta solo tedesca degli anni 1962-65, citato da Küng H., La mia battaglia per la libertà, ed. Diabasis, Reggio Emilia, 2008, 511 s.

[25] Si tratta di un’innovazione del Concilio Vaticano II, sempre mal digerita da papa Benedetto perché vista solo come l’espressione dell’assolutezza del soggetto, oltre alla quale non ci sarebbe alcun controllo (Ratzinger J., Quid est veritas?, “Micromega,” n.3/2000, 207. 21).

[26] Papa Gregorio XVI, nel 1832, riteneva assurdo delirio la libertà di coscienza, oltre che errore velenosissimo la libertà di pensiero e di stampa propugnata dai liberali (Enciclica Mirari vos, in Enchiridion delle encicliche, 2°, ed. EDB, Bologna, 1996, 40).

[27] Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, ed. Cantagalli, Siena, 2009, 42.

[28] Gv 16, 13 ben chiarisce che lo Spirito ci guiderà alla verità tutta intera, sì che la verità è solo una promessa di Dio, che ce la darà, ma non l'abbiamo ancora raggiunta perché siamo in cammino. La Chiesa sbaglia se ritiene di possedere già tutta intera la verità.

[29] Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, ed. Cantagalli, Siena, 2009, 6 e 42.

[30] Ratzinger J., Commentary on the documents of Vatican II, vol. V, a cura di Vorgrimler H., ed. Herder and Herder, New York, 1967-1969, 134.

[31] Ratzinger J., Omelia alla Messa pro eligendo Romano Pontefice del 18.4.2005, “L’Osservatore Romano” 19.4.2005.

[32] Ratzinger aveva sul punto fin scritto un libro: Fede, verità e tolleranza, Cantagalli, Siena 2003.

[33] Dal Maschio E.A., Platone, ed. Hachette Fascicoli s.r.l. Milano, 2015, 71.

[34] Cercando di spiegare meglio: la vita è possibile grazie alla dinamica degli opposti, non alla staticità degli opposti; solo nella tensione del dualismo (vita-morte, luce-buio, giorno-notte, freddo-caldo, maschio-femmina) avviene l’evoluzione e la trasformazione; se esistesse solo il sole e il giorno, il pianeta sarebbe arido. Ma il passaggio da un estremo all’altro non è repentino, non si passa improvvisamente dal bianco al nero; la crescita di un fenomeno comporta la proporzionale decrescita dell’opposto, e giunti al culmine di un fenomeno appaiono i segni del suo opposto: il tutto in una circolarità senza fine. L’eliminazione del movimento porterebbe invece alla fine dell’universo.

[35] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 163s.

[36] Benedetto XVI, Ultime conversazioni a cura di Seewald P., Corriere della sera, Milano, 2016, 225. Ma allora, se non si possiede la Verità assoluta, non si può essere certi che le idee altrui siano di per sé errate, e che spetti all’istituzione il doveroso compito di sradicarle. Voler sradicare l’errore (la zizzania), magari anche con la violenza, finisce solo con l’incrementare la violenza complessiva.