Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano


Un po’ di storia



di Dario Culot



Leggendo i vangeli abbiamo appreso che fra giudei e samaritani non correva buon sangue. Ma perché? Non erano tutti ebrei? Non erano arrivati tutti assieme in Palestina guidati prima da Mosè e poi da Giosuè? Certo, anche nel cristianesimo ci sono posizioni diverse, ma non è curioso (o meglio sarebbe dire: vergognoso) come persone che abbracciano sostanzialmente la stessa religione si credano di per ciò solo superiori, più degne e pretendano più diritti di coloro che hanno credenze religiose anche solo leggermente diverse dalle proprie?[1]

Pur essendo incerte le origini nella nazione israelitica, sappiamo che, alla fine, il piccolo popolo d’Israele fu il primo a professare con estrema forza il Dio unico. Forse è il nome del Dio della liberazione dall’Egitto, dove un gruppo di contadini, non ancora popolo, si ribellò alle oppressioni colà sofferte, per riunirsi alla fine con altri contadini che si erano a loro volta ribellati ai propri sovrani nelle terre di Canaan: quando questi due gruppi si riunirono organizzandosi in tribù, formarono il popolo che chiamiamo Israele[2].

In ogni caso, questo dio unico è una divinità che, a partire dal 1200 a.C., quindi circa sei secoli dopo Abramo (se fissiamo la sua vita attorno al 1800 a.C.), comincia ad avanzare dall’Egitto verso Israele (Os 11, 1), fa via via sempre più fedeli, e finirà per inglobare tutte le altre divinità, Ovvio che tutto questo è avvenuto per gradi e non senza resistenze. Anche quando Yhwh aveva ormai assunto il ruolo più importante, era ancora impensabile che ci fosse soltanto lui. C’erano tante altre divinità, come, si legge nell’Esodo (Es 15,11): “chi è come te fra gli dei, Yhwh”. Oppure si legge nel libro dei Giudici[3] (Gdc 3,7) che gli “gli israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore (cioè sempre Yhwh), dimenticarono il Signore, loro Dio, e seguirono Baal e Asherà” sua moglie, divinità adorate dai popoli circostanti. Del resto, basta ancora oggi fare una visita in Israele per capire come vi fosse una gran commistione fra i popoli, che convivevano a macchia di leopardo senza chiari confini.

Oggi, che torna alla ribalta la questione degli immigrati, sappiamo che gli ebrei erano degli immigrati che, per occupare la terra promessa, avevano ammazzato con fervore nel nome del proprio Dio quelle popolazioni che già la occupavano e non accettavano l’idea di essere sfrattati (come i Cananei), o che cercavano al pari di loro di occuparla (come i Filistei che venivano dal mare[4]).

Ma come mai, a un certo punto, non si sopportavano neanche tra di loro, tanto che i giudei consideravano i samaritani una razza inferiore e scismatica – quel popolo stupido[5] che abita a Sichem, come risulta dal Siracide (Sir 50, 26), - ed erano convinti che Dio in persona avesse preso nota della malvagità della Samaria che meritava lo sterminio (Os 8, 5-6). Per questo, i giudei non sopportavano che anche quei miscredenti della Samaria (2Re 17, 24-41) potessero adorare lo stesso Dio che loro, gli unici veri credenti, adoravano in Gerusalemme: detto-fatto, avevano distrutto il Tempio costruito dai samaritani sul monte Garizim,[6] in passato luogo delle benedizioni della Bibbia (Dt 11, 29; Dt 27, 12). A distanza di tempo i samaritani avevano reso pan per focaccia profanando il Tempio di Gerusalemme, impedendo così la celebrazione della Pasqua;[7] in ritorsione quei miscredenti di samaritani avevano ricevuto il divieto assoluto per il futuro di entrare nel Tempio sacro da essi profanato. Comunque, ogni qualvolta s’incontravano, erano normalmente botte da orbi, per non parlare dei furti[8]. Non era solo questione di sensibilità religiose diverse. Per capire questo astio bisogna risalire alla storia d’Israele.

Già al tempo del profeta Isaìa (sec. VIII a. C.) il popolo di Dio era diviso in realtà in due popoli: «Israele», cioè il più ricco regno del nord, con capitale Samarìa, dove abitava circa il 90% della popolazione ebraica formato da dieci tribù, e «Giuda» che comprende le due tribù più a sud[9] con capitale Gerusalemme.

Il re d’Israele o del Nord (742-740), filo assiro, venne assassinato dall’ufficiale Peca (o Pekach), il quale con un colpo di stato s’impadronì del potere (2Re 15, 23) e poi si alleò con i siri di Damasco. Cercò di coinvolgere nella sua politica anche il re Acaz di Gerusalemme, e al suo rifiuto, gli invase le terre (2Re 16, 5; Is 7, 1). Acaz chiese appunto aiuto agli Assiri[10] (2Re 16, 7), potente popolo della Mesopotamia, i quali non chiedevano di meglio: invasero, ridussero la ricca Samaria in macerie[11]  (nel 722 a.C.) e deportarono gran parte della popolazione ebraica. Visto che c’erano devastarono anche il Regno di Giuda risparmiando solo la sua capitale (Gerusalemme). Da allora non si parlerà più del regno del Nord, cancellato e sparito per sempre. Questa, storicamente, è la più grande deportazione degli ebrei, alla quale non seguirà alcun ritorno. Ma siccome sono stati i giudei a scrivere la Bibbia, loro enfatizzeranno la deportazione di Gerusalemme ad opera dei Babilonesi[12]. Dopo la deportazione ad opera degli Assiri, la popolazione della Samaria sarà costituita da pochi ebrei mischiati a molte altre popolazioni pagane fatte affluire nella zona centrale della Palestina sempre dagli Assiri, i quali avevano proprio l’abitudine di sradicare le popolazioni soggiogate dalle loro terre e trasferirle altrove. La politica degli Assiri si caratterizzava per deportare e sparpagliare le popolazioni conquistate al fine di cancellarne l’identità[13]. Questo è avvenuto anche con gli ebrei della Samaria che, nel prosieguo, sono stati assimilati dalle altre popolazioni dell’impero assiro. Ma per questo i nuovi abitanti della Samaria vennero considerati discendenza impura dai successivi reduci giudei di Babilonia, che si ritenevano gli unici veri ortodossi, e da qui è nato il disprezzo giudeo per i samaritani.

Una seconda domanda interessante, collegata a quanto si è appena detto è la seguente: da dove è venuta fuori l’idea che il popolo eletto israeliano avesse contratto un’Alleanza con Dio? A dire il vero si parla di nuova alleanza anche nella nostra messa, e quindi nel cristianesimo.

La stessa parola Testamento, che normalmente da noi significa “disposizione di ultima volontà”, deriva dal latino, e questa parola latina era prima ancora arrivata dal greco diatheke (διαθηκη), parola che significa testamento, ma significa anche alleanza: in effetti, la parola diatheke è stata usata quando la Bibbia è stata tradotta dall’ebraico al greco; ma mentre in ebraico la parola usata significava solo alleanza, o patto, in greco la stessa parola aveva un duplice significato[14]. Dunque, una traduzione più corretta sarebbe stata probabilmente: “La Nuova Alleanza”, e non “Il Nuovo Testamento,” termine che erroneamente può far pensare alle disposizioni di ultima volontà di Gesù. Nuova alleanza per distinguerla dalla vecchia, promessa da Dio agli Israeliti[15] in Es 19, 5, stretta fra Dio e Mosè in rappresentanza del popolo in Es 34, 10, e ratificata per iscritto in Es 34, 27.

Invece il cambio dell’acqua in vino, nelle nozze di Cana, va inteso come il passaggio dall’antica alla nuova alleanza: è il cambio dalla religione del merito alla fede del dono. Il collegamento fra le due alleanze emerge dall’inizio dell’episodio che comincia con Il terzo giorno (Gv 2,1); anche sul Sinai il terzo giorno Dio si manifestò attraverso la legge, dando inizio alla vecchia alleanza (Es 19, 16). Ma mentre la religione insegnava che l’amore di Dio va meritato col proprio sforzo, indispensabile per essere premiati da Dio,[16] Gesù insegna che l’amore di Dio viene dato gratuitamente e gioiosamente a tutti, cattivi e buoni (il vino). Questo è il cambio tra l’antica alleanza (le giare con l’acqua per le faticose abluzioni rituali di purificazione), e la nuova alleanza (il vino che è stato creato per dar gioia e allegria - Sir[17] 31, 35)[18].

Ma l’idea della prima alleanza, nella Bibbia, va sempre ricercata nella storia. La politica imperialista degli Assiri portava a dei trattati bilaterali, su imitazione della politica ittita, che rapportati al mondo occidentale potremmo chiamare di vassallaggio: il padrone assiro, che imponeva il trattato, prometteva di proteggere il vassallo da attacchi esterni; in cambio pretendeva oro, argento, giovani maschi da mandare in servizio obbligatorio di leva nel proprio esercito, giovani femmine per rendere più ricchi i propri harem; inoltre il padrone pretendeva che i propri dèi trovassero posto nei templi del vassallo, e che fossero adorati al pari degli dèi o del dio del vassallo. I firmatari del trattato lo concludevano invocando ciascuno i propri dèi per ricevere ogni tipo di maledizione in caso avessero avuto l’idea malsana di infrangere il trattato, o di benedizioni in caso di osservanza dell’alleanza. Fra Assiri ed Israele questo durò per quasi due secoli, e ovviamente solo gli Assiri avevano interesse a rispettare il trattato[19].

Ecco da dove nasce nella Bibbia l’idea di alleanza: tutti gli israeliti sapevano benissimo cosa significasse un trattato. Ecco da dove nasce nella Bibbia l’idea del peccato di idolatria, ovviamente con uno sguardo a posteriori: crollata la potenza degli Assiri, quando si scrive la Bibbia a Gerusalemme è facile, a quel punto, criticare l’empio Manasse, idolatra perché aveva ospitato nel Tempio di Gerusalemme immagini di vari dèi,[20] ma ci si dimentica che, barcamenandosi, quel re era riuscito a far vivere in una certa tranquillità il suo popolo per un’intera generazione. Facile a dire che doveva cacciare dal sacro Tempio gli dèi degli altri (cioè degli Assiri), come ha fatto in seguito Giosia: ma Giosia l’aveva potuto fare perché ormai gli Assiri si stavano logorando in una guerra con l’Egitto, e non avevano più né tempo, né energie sufficienti per occuparsi d’Israele. Ecco da dove il Deuteronomio prende l’idea delle benedizioni e soprattutto delle maledizioni che puniscono chi infrange il trattato (vedasi Dt 28).

Il profeta Osea, invece, introduce un elemento del tutto nuovo che sarà apprezzatissimo e seguitissimo: vede la rottura dell’alleanza (con Dio) come la rottura di un matrimonio;[21] la rottura è allora aggravata dall’adulterio della sposa infedele (Israele), perché – a differenza di quella solo politica con gli Assiri – Osea vedeva un’alleanza basata sull’amore reciproco (Os 2). Ma sappiamo anche che Osea venne ritenuto pazzo. Quando uno è veramente troppo avanti rispetto alla mentalità e alla cultura del momento, viene considerato uno fuori di testa.

Fu solo col re Giosia, alla fine del VI secolo, che vennero portati fuori del Tempio[22] tutti gli oggetti fatti in onore di Baal, di Asherà e di tutta la milizia del cielo (2Re 23,4-10); lo stesso re destituì – senza però ammazzarli come aveva fatto Elia -  i sacerdoti che offrivano a Baal, al sole alla luna e a tutto l’esercito del cielo; infine profanò il Tofet (santuario nella valle della Geenna dove si sacrificavano i bambini al dio Moloch), affinché nessuno potesse più far passare per il fuoco suo figlio o sua figlia in onore al dio Moloch. Dalla fine del VI secolo a.C., dunque, la Geenna (valle fuori delle mura di Gerusalemme, ancora oggi esistente, anche se trasformata quasi in un parco) venne profanata tramutandola nell’inceneritore di Gerusalemme, luogo quindi impuro per eccellenza; e tale era ancora ai tempi di Gesù, perché lì si bruciavano le immondizie della città[23]. Ovviamente il luogo impuro è l’opposto di un luogo sacro gradito agli dèi.

Dall’inceneritore è venuta anche l’idea dell’inferno come punizione per i cattivi peccatori, e per di più di una punizione eterna perché il fuoco nella Geenna non si spegneva mai[24]. Ovvio: il fuoco era ininterrottamente alimentato da sempre nuove immondizie.

Il re Giosia fu quello che, più di tutti, riuscì ad allargare i confini del suo regno senza trovare l’opposizione degli Assiri orami irrimediabilmente indeboliti; a Gerusalemme trovò una maggioranza ebraica, ma nel resto del regno, a causa delle deportazioni di ebrei di cui si è detto, e delle parallele importazioni in Palestina di altre popolazioni, trovò più stranieri che ebrei: queste popolazioni adoravano non solo il dio unico adorato a Gerusalemme, ma anche tutti gli altri dèi come imposto dagli Assiri. Giosia cercò allora di restaurare il culto unico di Yhwh; ricorrendo anche alla forza impose l’unico Tempio a Gerusalemme (2 Cr; 34, 33), e fece distruggere tutti gli altri santuari e ammazzare i relativi sacerdoti idolatri (622 a.C.). Trovò però una fiera opposizione alla sua catechizzazione, tanto che nella Geenna ancora si bruciavano in sacrificio i propri figli al dio Moloch (Ger 7, 29-32). La Bibbia esalta questa condotta profondamente religiosa del re Giosia, ma storicamente è evidente che essa apparve a molte genti della Palestina un sopruso. Comunque, morto Giosia, tutto tornò come prima, a dimostrazione che l’uso della forza aveva costretto, ma non convinto le popolazioni. Geremia, di fronte a queste continue violazioni dell’alleanza con Dio, cominciò ad annunciare la prossima invasione dei babilonesi (Ger 37, 3-17), contro i quali non ci si doveva opporre. Geremia non era un pacifista tutto d’un pezzo: consigliava di arrendersi e pagare le tasse ai babilonesi perché li vedeva troppo superiori di forze. Questa volta nessuno lo ascoltò e venne tacciato di disfattismo. Anche Sofonia, Naum e Abacuc previdero l’imminente nuova distruzione, e – in seguito – si capì che i profeti avevano visto giusto. Ma non occorreva essere ispirati da Dio o dei maghi per capire come sarebbe finita: anche gli ateniesi sbarcati a Melo avevano subito capito chi avrebbe vinto[25].

In effetti arrivarono i babilonesi e dopo una prima parziale deportazione nel 598, ne effettuarono una seconda più consistente nel 588, previa distruzione di Gerusalemme e del sacro Tempio di Salomone. L’esilio babilonese durò fino al 538 a.C. (e qui in esilio operarono i profeti Ezechiele ed il deutero Isaia - capp. 40-55 del libro di Isaia); a Babilonia nacque anche il Talmud[26] babilonese (testo di commenti pratici alla Torah, legge scritta). Da questa triste esperienza vissuta nacque il racconto dell’epopea dell’esodo dall’Egitto,[27] ma non c’è prova storica di una prigionia in Egitto e del conseguente esodo. Col passare del tempo finì anche l’impero babilonese ad opera dei persiani, e Ciro permise il rientro a Gerusalemme: ma fra il dire e il fare passarono circa altri dieci anni, e non furono molti quelli che in realtà rientrarono. È questo il momento degli oracoli dell’incoraggiamento (Zaccaria, Abdia, Malachia) e della lenta ricostruzione – finanziata in gran parte dallo stesso impero persiano – che durò fino a circa il 450 a.C.[28] Tornati da Babilonia, gli ebrei non parlavano più ebraico, ma aramaico, e presto si diffuse anche al greco, la lingua unificante del Mediterraneo. Era ormai cambiata la lingua, ma era cambiata soprattutto la mentalità, per cui non ci devono stupire le contraddizioni che si trovano nella Bibbia, dovute proprio a questi mutamenti. 

In conclusione, mi sembra interessante far notare come la religione di un popolo sia strettamente legata agli accadimenti storici che influenzano la mentalità e la cultura di quel popolo.



[1] Pensiamo anche ai conflitti fra cristiani cattolici e protestanti, o fra musulmani sciti e sunniti.

[2] Pixley J., L’opzione per i poveri e il Dio biblico, in Con i poveri della terra, a cura di Vigil J.M., ed. Cittadella, Assisi, 1992, 25 s. e 28. È questa una delle tre teorie sulla nascita di Israele; un’altra, più conforme alla Bibbia, parla di conquista militare, e un’altra ancora di nomadi che poi diventano sedentari (Mancuso V., Io e Dio, ed. Garzanti, Milano, 2011, 260). Secondo altri autori, invece, Israele sarebbe nato da un’unica famiglia patriarcale e non dall’unione di varie stirpi (Sole F., Il matrimonio presso gli israeliti, “Palestra del clero”, 1964, 1081). In estrema sintesi: non c’è nulla di certo.

[3] I “giudici” non sono dei magistrati, ma dei condottieri, persone normali alle quali Dio comunica la sua forza, sbaragliano i nemici e poi tornano al proprio lavoro. Rassomigliano a Cincinnato dell’epopea romana.

[4] Enciclopedia storica L’uomo e il tempo, ed. Mondadori, Milano, 1972, vol.3, 106.

[5] Per i giudei un samaritano non poteva essere buono: erano tutti cattivi, e dare del samaritano ad uno era un’offesa grave. Gesù stesso fu accusato d'essere un samaritano per le sue idee eterodosse (Gv 8,48), e per questo la donna samaritana al pozzo si stupisce che Gesù le rivolga la parola (Gv 4,9).

[6] I samaritani, il cui sommo sacerdote si riteneva discendente di Aronne, avevano come testo sacro il solo Pentateuco e, pur non credendo nella tradizione orale e negli altri scritti biblici, credevano nella prossima venuta del  Messia, atteso come il profeta (Dt. 18,15); avevano un proprio calendario e proprie usanze, e facevano sacrifici sul monte Garizim vicino a Nablus (ove nel III sec. a C. avevano costruito il loro Tempio). Da notare che anche i puri farisei hanno escluso dal canone dell’AT tutti i libri scritti in greco (AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion, Torino, 1993, 67).

[7] Maggi A., La follia di Dio, ed. Cittadella, Assisi, 2010, 49.

[8] Tacito, Annali, 12, 54.

[9] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 311: Giuda è il regno del sud.

[10] Quando impaurito dalla potenza dei suoi nemici, il re Acaz cerca la sicurezza che gli può dare un’alleanza con il grande impero di Assiria, Isaia gli suggerisce di contare solo su Dio per la difesa di Gerusalemme e del suo trono, forte della promessa di Dio fatta a Davide; il re preferisce affidarsi ai patti militari più che all’alleanza con Dio, chiama in aiuto gli Assiri (che non aspettavano altro), ma le cose non vanno bene neanche per lui.

“Se non crederete, non comprenderete” (Is7,9). La versione dei Settanta della Bibbia traduceva così le parole del profeta Isaia al re Acaz.  Nel testo ebraico, invece, si legge così il monito del profeta al proprio re: «Se non crederete, non resterete saldi» (e questa traduzione è sicuramente più centrata, visti i fatti storici). C’è qui un gioco di parole con due forme del verbo ’amàn: "crederete" (ta’aminu), e "resterete saldi" (te’amenu) (Enciclica Lumen Fidei § 23 di Papa Francesco). Il profeta, allora, lo invita ad affidarsi soltanto alla vera roccia che non vacilla, il Dio di Israele. Poiché Dio è affidabile, è ragionevole avere fede in Lui, costruire la propria sicurezza  solo sulla sua Parola. È questo il Dio che Isaia più avanti chiamerà, per due volte, "il Dio-Amen" (Is 65,16), fondamento incrollabile di fedeltà all’alleanza, tradotto con Dio veritiero nella Bibbia dei LXX. Nell’Apocalisse, il nome Amen viene attribuito come nome proprio a Cristo (Ap 3, 14).

[11] Isaia dà una chiara immagine della devastazione che ha subito Israele: «Così la figlia di Sion è rimasta come un capanno in una vigna, come una capanna in un campo di cocomeri» (Is 1,8): finita la stagione del raccolto, i campi sono squallidamente spogli, la capanna è desolatamente abbandonata.

Da notare anche che a nulla valeva che il precedente re fosse filo assiro e fosse stato assassinato, e soprattutto che il popolo stesse da una parte o dall’altra, o fosse anche neutrale, non contava nulla. Non è la povera gente che decide la politica.

[12] La deportazione definitiva ad opera di Nabucodonosor, con distruzione di Gerusalemme, è del 587 a.C.

[13] Perché ogni conquista ottenuta con la spada e col sangue, deve essere mantenuta con la spada e col sangue (Enciclopedia storica, L’uomo e il tempo, ed. Mondadori, Milano, 1972, vol.3, 93). Vedasi anche 2Re 17, 24-41.

[14] Fu Paolo, nella lettera ai Galati (Gal 3,17) a utilizzare la parola diatheke nel senso di testamento quando, passando dal piano divino a quello umano, spiegò che, come il testamento, non può essere revocato e modificato da nessuno all’infuori del testatore, così la promessa fatta da Dio ad Abramo (l’alleanza) è immutabile e nessuno può modificarla se non Dio.

[15]A dire il vero, nella Bibbia Dio stringe più alleanze con gli ebrei: si pensi non a quella con Abramo, ma anche a Noè, a Davide.

[16] E ancora oggi c’è chi afferma che il paradiso è un premio (Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 12).

[17] Siracide o Ecclesiastico sono lo stesso libro. Il vino è la bevanda della gioia e della festa: «Allegria del cuore e gioia dell’anima è il vino bevuto a tempo e a misura» (Sir 31,25).

[18] Crepaldi G., I miracoli di Gesù, i miracoli della fede, Messaggio per la Quaresima, §5, allegato a “Vita Nuova”, n.4464 del 15.2.2013.

[19] Un po’ come se oggi la Russia riuscisse a vincere la guerra, ad occupare tutta l’Ucraina e a imporre la sua pace. Solo la Russia, non l’Ucraina che a quel punto avrebbe perso la sua indipendenza, avrebbe interesse a osservare quel trattato di pace.

[20] Lo stesso Manasse ricollocò nel Tempio di Gerusalemme anche la stele di Asherà (2Re 21, 7) e fece sacrificare il proprio figlio al dio Moloch (2Re, 21, 6: fece passare suo figlio per il fuoco),[20] nella valle della Geenna, anche se tale tipo di sacrifici era già proibito (Lv 18, 21), e anche se il Levitico (Lv 20, 1) stabiliva che chi vive in Israele, anche se straniero, e sacrifica un proprio figlio a Moloch deve essere messo a morte. Dimostrazione che i sacrifici umani non erano affatto terminati con Abramo (Ger 19, 5).

[21] Monasta A., Matrimonio e divorzio nella Bibbia e nella prassi della chiesa, “Testimonianze”, 1969, 887.

[22] Si capisce perché il primo comandamento, esattamente tradotto, non è: “non avrai altro Dio all’infuori di me”, ma “non avrai altri dei di fronte a me”, nel senso che nel Tempio, dove si collocava la stele dia Yhwh, c’era di fronte – ad es. - una stele più piccola che indicava la divinità femminile, Asherà. 

[23]  Virgil R., Geremia e le violenze dell’amore, in Ricordati dell’amore, ed. Paoline, Milano, 2007, 59. Pulcinelli G., Il verme che non muore, “Famiglia Cristiana”, n.7/2012, 13. Ravasi G., Il verme che non muore, “Famiglia Cristiana”, n. 45/2012, 121.

[24] Vedi amplius la spiegazione nell’articolo sull’Inferno, al n. 467 di questo giornale (https://sites.google.com/site/agostosettembre2018rodafa/numero-467---26-agosto-2018/inferno), su cosa s’intende per fuoco inestinguibile.

[25] Sullo scontro fra ateniesi e abitanti di Melo vedasi quanto detto nell’articolo sulla guerra in Ucraina, al n. 651/2022 (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-651-6-marzo-2022/dario-culot-la-guerra-in-ucraina-e-la-nostra-coerenza).

[26] La nostra Chiesa fino al 1700 aveva sempre fatto bruciare tutti i Talmud che trovava, ritenendoli opera del demonio. Interessante, in proposito, lo studio della professoressa universitaria Caffiero A., Legami pericolosi. Ebrei e cristiani tra eresia, libri proibiti e stregoneria, ed. Einaudi, Torino, 2012), in cui non si parla solo del decreto del 1553 De combustione Talmud, ma del progetto della Chiesa cattolica di proibire ogni relazione fra ebrei e cristiani, fra superstizioni (come quella che parlava del pane azzimo ebraico impastato con sangue di bambini cristiani), ideologie (come quella del teologo Farinacci Prospero che suggeriva la pena di morte per l’ebreo che aveva rapporti don una donna cristiana), e teologie (come quella che indicava tutti gli ebrei come popolo perfido e perverso, uccisore di Gesù).

[27] 430 anni sarebbe durato il periodo di schiavitù in Egitto (Es 12, 40; ripreso da Paolo in Gal 3, 17): non ne è mai stata trovata traccia negli archivi egizi, che pur registravano tutto. Quindi si deve dubitare che si tratti di storia realmente accaduta.

[28] Il decreto del persiano Ciro (cfr. Esd 1, 2) è del 538 a.C. Il ritorno e la ricostruzione, prima del Tempio (verso il 515 a.C.) poi del resto di Gerusalemme, avvenne per gradi con interruzioni (Neemia arrivò a ricostruire le mura verso il 450 a.C.), e sempre e solo grazie al finanziamento dei persiani, i quali volevano lì un caposaldo contro l’Egitto. Stando alla Bibbia, invece, pare che il tutto avvenne gratuitamente (Ne 2, 1-9), ma in politica nulla è gratis, e il fatto che Israele non ebbe l’indipendenza politica conferma che lo scopo persiano era di controllare il vicino Egitto da una Gerusalemme ricostruita, ma a lei soggetta.